SVEGLIATI, AMORE, LA SITUAZIONE NON E' BUONA (PARTE II)

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blankDI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea

Necrofori, necrofagi

Un paese dell’illegalità e dell’assassinio di massa fisico e sociale, che a perfezione si inserisce
nell’incastro della guerra preventiva, globale, infinita.

Centinaia di nostri militari sono morti, o stanno morendo, uccisi dalle gerarchie politiche
e militari che li hanno spediti senza protezioni in teatri all’uranio, di guerra o di esercitazioni. Decine di migliaia sono le vittime militari tra i veterani Usa delle due guerre all’Iraq. Da uno studio del governativo
Centro per gli Affari dei Veterani, a Washington, risulta che il 67% dei bambini nati da veterani della Guerra del Golfo denunciano deformità genetiche e patologie gravi alla nascita: mancano gli occhi, i cervelli, gli organi genitali, orecchie, bocche, nasi, arti. Milioni di innocenti spendibili e da sfoltire nel Sud del Mondo sono stati distrutti e si lasciano dietro generazioni a non finire che nascono mostruosizzate e non vivranno mai, nel senso della vita, per quattro miliardi e mezzo di anni. L’uranio ineliminabile avanzato dalle centrali nucleari, ceduto gratuitamente ai guerrafondai, è con la droga, le bombe e la devastazione ambientale, il simbolo e il rompighiaccio di un’oligarchia criminale che, per allargarsi e togliersi dai piedi esuberi e disturbatori, si propone – nel caso migliore acconsente – l’eliminazione della maggioranza delle specie viventi. Stupefacente è che né la gente in generale, né le sinistre nello specifico, e neppure il papa, all’apparenza tanto tormentato dalle privazioni dei poveri, prestino a questa strategia di olocausto planetario l’attenzione centrale e la massima informazione-mobilitazione. Ne va di qualcosa che supera perfino i confini della lotta di classe,
già di per sé obnubilata e deviata verso subordinate. Tra il 1991
e il 2003 gli Usa hanno cosparso l’Iraq di quasi cinquemila tonnellate
di uranio. L’hanno scagliato su Somalia, Jugoslavia, Afghanistan.
E’ stato adoperato in Libano, insieme ad altri orrori chimici ed elettromagnetici.
Gli elementi radioattivi e chimici dell’uranio entrano nella catena
alimentare attraverso acqua e suolo, volano col vento a distanze imprecisabili,
anche se nessuno potrà mai ricondurre l’esponenziale crescita delle
nostre patologie al loro probabilissimo innesco. Cernobyl sta alla diffusione
militare dell’uranio 238 e 235, come il ponentino romano sta a Katrina.
E, con tutto questo, il governo Usa allestisce campagne belliche che
prevedono l’uso non solo di proiettili all’uranio, ma addirittura
di ordigni atomici, seppure chiamati “mini” e gli ex-capi di Stato
Maggiore di Gran Bretagna, Olanda, Germania e Francia, padroni della
Nato, hanno pubblicato a gennaio un documento collettivo in cui si perora
il riarmo atomico in vista dell’arma nucleare da adoperare contro
la “proliferazione terroristica”. Nessun governante o politico li
ha richiamati all’ordine, o alla sensatezza. Del resto, sono loro
a comandare, a decidere strategia politiche che corrispondano ai profitti
del complesso militar industriale. Nella rovina dell’economia capitalista,
sempre più evidente a partire dal suo cuore statunitense, il PIL, vale
a dire la ricchezza degli strati privilegiati, dipende dalle guerre,
dalla costante espansione produttiva e finanziaria dell’industria
militare (armi, elettronica, spazio, chimica, farmaceutica, metallurgia,
sicurezza).

Uranio per ridurre la densità umana

Gli scienziati dell Uranium Medical Research Center
hanno registrato nelle urine in Iraq, Afghanistan, ma anche in paesi
assai lontani, livelli di radioattività anche venti volte superiori
a quelli normali. Nel convegno sulle armi all’uranio, impoverito o
non, tenutosi ad Amburgo nell’ottobre del 2003, scienziati di tutto
il mondo hanno documentato lo spaventoso aumento di tumori e deformità
alla nascita, ovunque siano state usate queste armi. Le quasi mille
tonnellate allora già gettate sull’Afghanistan corrispondevano a
83.000 bombe di Nagasaki. La quantità usata sull’Iraq equivale a
250.000 bombe di Nagasaki (Università Ryukyus di Okinawa). Per aver
denunciato questi orrori, una biologa irachena, Ouda Hamash, membro
del Consiglio della Rivoluzione, è stata definita “Dottoressa Veleno”
e imprigionata dagli Usa. L’avevo ascoltata e poi intervistata negli
anni ’90 a Baghdad quando, per prima al mondo, documentò scientificamente,
incontrando anche scienziati europei e veterani Usa, l’uso dell’uranio
(allora negato) e i suoi effetti genocidi. Glie l’hanno fatta pagare.
Nel 1989, prima delle due guerre, in un Iraq dalla sanità esemplare,
le deformità alla nascita erano 11 su centomila. Nel 2001, dopo dieci
anni di embargo, erano cresciute del 1000%.. Si può immaginare cosa
abbiano prodotto le 4000 tonnellate di uranio del 2003. A Basra mi era
occorso di visitare l’ospedale pediatrico, già privato dall’embargo
di farmaci e supporti sanitari. La mortalità infantile era decuplicata,
i neonati deformi, con gli organi mancanti, o spostati come in un puzzle
impazzito. Non si leveranno mai più dagli occhi della mente. E non
ci avevano ancora messo la denutrizione (due terzi dei minori iracheni
nel 2007), il totale collasso del sistema idrico e fognario (ecatombe
per diarree e dissenterie), la frenesia assassina dei marines e la pulizia
etnica delle milizie di governo e filo iraniane. Per misurare la dimensione
criminale di chi ci governa, pensate che, di questo passo, grazie ai
vettori naturali, fra un po’ saremo irradiati e contaminati tutti.

Altri strumenti di morte di massa

Al traffico delle sostanze stupefacenti, i cui centri di produzione si trovano tutti sotto
controllo Usa, ci si aspetta, oltreché profitti calcolati dell’Osservatorio
Mondiale di Parigi in oltre un trilione di dollari l’anno e che entrano
nel circuito finanziario ufficiale, così sostenendo i poteri esistenti,
si deve attribuire un ulteriore decimazione della popolazione mondiale.
Nascono e partono, sempre sotto controllo Cia, da Colombia, Afghanistan,
Triangolo d’Oro, ora anche dall’Iraq dove, sotto il regime degli
occupanti e dei criminali loro fantocci, al posto di fragole e verdure
ora si coltivano papaveri. Attraversano corridoi fidati e controllati
come i Caraibi, il Kurdistan iracheno, laTurchia, il Kosovo-Albania.
Infine si riversano nel sangue di milioni di emarginati e disperati,
come di giovani generazioni alla ricerca di senso, sotto forma di migliaia
di tonnellate di morti psichiche o fisiche. 6000 tonnellate solo dall’Afghanistan
occupato da Usa, Nato e complici signori della guerra, nel 2007, anno
record, ma i primati si succedono. E’ grottesco, se non agghiacciante,
che la triade papa-ceto politico-Giuliano Ferrara abbia la sfrontatezza
di invocare la moratoria della pena di morte (da accoppiare subito a
quella dell’aborto, grata ai baroni banditi), mentre tace e, per la
parte maggiore, sostiene la pena di morte collettiva inflitta a interim
popoli senza che il mondo fiati. In Iraq, secondo l’autorevole società
britannica di sondaggi ORB che ha condotto ricerche con tecnici su tutto
il territorio del paese, nel settembre 2007 stavamo a 1,2 milioni di
vittime causate dal conflitto, dato che conferma quello di oltre 600mila
nel 2005 dell’altrettanto rispettata rivista medica Lancet.
Non sorprendentemente “il manifesto” senza più Chiarini prende
per buoni i 35-40mila morti registrati dall’ Irak Body Count,
una Ong cara al Pentagono perché elenca solo i decessi pubblicati nei
media governativi. Il precedente conflitto aveva ucciso centomila iracheni.
L’embargo ne ha eliminato, secondo l’ONU, un milione e mezzo. Siamo
a quasi tre milioni e ci arriveremo prestissimo. E’ stato fatto fuori
un sesto del popolo iracheno, dato che dalla popolazione complessiva
di 25 milioni tocca togliere quasi tre milioni di curdi, al sicuro nel
protettorato USraeliano, i 700mila cristiani emigrati, i due milioni
di profughi in Siria, Giordania e Libano. Come se all’Italia fossero
stati ammazzati quasi dieci milioni di cittadini.

Il contributo necrogeno degli agro combustibili e del lavoro

A far smagrire l’umanità in eccesso ci penseranno anche gli agrocombustibili, che
“il manifesto” insiste a chiamare “biocombustibili”, anche se
il brasiliano Frei Betto correttamente li chiama necrocombustibili.
Lo sciagurato accordo tra la speranza spenta Lula e l’obbrobrio confermato
Bush è destinata a incrementare non solo la deforestazione dell’Amazzonia
che ci fa respirare (già una Francia e un’Italia combinate sono andate),
ma il numero dei morti di fame nel mondo, da un miliardo oggi a quattro
miliardi domani. Se i piani per la produzione di etanolo da soia, canna,
grano, mais, verranno attuati, si toglierà all’alimentazione umana,
a vantaggio di quella delle già necrogene automobili, un abbondante
terzo del terreno coltivato. Visto che la deforestazione a scopo di
pascolo e legname va aumentando a ritmi vertiginosi, le industrie del
legno faranno superprofitti, i ricchi mangeranno più carne (che gotta
li colga!) e una gran fetta di popolazione umana si toglierà dai coglioni.

8000 morti sul lavoro dal 2001 al 2006, da tre a quattro al giorno, con la regolarità
del pendolo. Si esagera dicendo che anche l’ininterrotta e immutata
cadenza delle morti sul lavoro non sia effetto solo di colposa negligenza
e di disprezzo della vita di sottoposti, ma che corrisponda a una precisa
pianificazione di eliminazione di esuberi? Non sarà lucida intenzione
del singolo Krupp di turno, ma l’indifferenza e la non messa in opera
di misure di salvaguardia dell’incolumità rappresentano un assalto
alla vita del lavoratore che a me non pare tanto distante da quello
che i colonialisti compiono contro popoli inferiori da rimuovere. Che
si tratti di città da radere al suolo come Falluja, di popolazioni
da estinguere nella fame, nella sete e nelle stragi a casaccio, come
a Gaza, di quartieri proletari e neri da annegare e poi restaurare
alla speculazione come a New Orleans (dove fecero saltare gli argini
a protezione dei quartieri neri: migliaia uccisi, duecentomila dispersi,
7 scuole pubbliche dove ce n’erano 123, 31 private al posto di 7),
di operaie da stroncare nelle maquiladoras messicane delle multinazionali,
di emarginati da far scomparire nella favelas, lontano da Copacabana.
Quando le borghesie capitaliste e colonialiste occidentali prendono
possesso di un paese, l’immediato obiettivo è quello di renderlo
una fonte di arricchimento legale e criminale e uno strumento di morte.
A questa bisogna servono l’impoverimento fino all’inedia, la distruzione
delle infrastrutture alimentari (agricoltura, foreste, acqua) e igieniche,
la droga, il traffico di donne, bambini, organi, forza lavoro schiavista.
Pensiamo a quella fogna in cui è stato trasformato il Kosovo da Ong,
Nato e basi Usa. Pensiamo all’America Latina dove, fatte salve le
grandiose innovazioni in Venezuela, Bolivia e Ecuador, la denutrizione
colpisce 52, 4 milioni di persone, il 10% della popolazione. Con la
malnutrizione si arriva a metà. In Brasile, ma anche in Messico, Perù,
Colombia, Centroamerica, il dilagare delle colture di necrocombustibili
ha portato al passaggio dal lavoro ipersfruttato al lavoro schiavistico.
Nel solo Stato brasiliano di Minas Gerais, in meno di quattro anni sono
stati piantati 300mila ettari di canna da zucchero, sostituendo foreste
e coltivazioni agricole. Grazie all’imperversare di questi combustibili,
in mezz’ anno abbiamo visto il costo dei viveri salire a livelli
inaccessibili anche in Occidente: pane + 12,4%, cereali + 8%, pasta
+ 8%, formaggi e uova + 4,8%, frutta + 5%. Ed è solo l’inizio. Nel
mondo, e qui in Italia siamo al vertice, ci sono quasi un miliardo di
auto. Quante quelli che stanno morendo di fame. Bush, Lula, il capitalismo
mondiale hanno deciso di nutrire le prime e di moltiplicare i secondi
fino a che scompaiano: spazio alle macchine, mica agli esseri viventi,
specie se sono in eccesso quanto a forza lavoro, non consumano, epperò
mangiano. La deforestazione in Sud America, Africa, Indonesia, garantisce
un’accelerazione del cambiamento climatico che seminerà milioni di
morti, oltre a ondate bibliche di migranti votati alla repressione e
all’emarginazione ovunque arrivino. Pensate al decreto espulsioni
di Veltronussolini. Intanto le stragi africane da fame, epidemie, mancanza
di igiene, vengono attribuite all’Aids e, dunque, alle colpevoli irregolarità
sessuali dei primitivi. Il papa agita il ditino e noi ci sentiamo orgogliosi
ribelli a raccomandare il profilattico.

La portata dell”umanicidio”

L’intero sistema capitalistico sta precipitando verso una crisi rispetto alla quale quella
del ’29 appare un’increspatura, alla faccia dei milioni di morti che già quella è costata. La polverizzazione industriale, che ormai risparmia solo i giganteschi produttori di morte militare e il circuito
del banditismo finanziario ufficiale e illegale, contribuirà fortemente alla riduzione della densità umana. Nel sistema finanziario mondiale ogni banca può moltiplicare il proprio credito e usarlo in operazioni
che travolgono l’economia reale, oppure la possono soffocare. Il successo
è dato dal tasso di profitto, comunque conseguito. Intanto imprese,
settori industriali, paesi interi dipendono dal credito internazionale,
deciso da pochi operatori, legati tra loro da patti che rimangono segreti,
come se le popolazioni non avessero il diritto di sapere. Quelle popolazioni
che saranno poi tenute a pagare in termini di minori consumi e maggiore
povertà, disoccupazione, fame, malattie, morte,
per i delitti e i giochi segreti dei banchieri

(Galapagos). E’ questo il mondo in cui, dei tre miliardi di lavoratori
(40% donne, altro che Luxuria), mezzo miliardo guadagna meno di un dollaro
e quasi un miliardo e mezzo è sotto i due dollari. E’ questo forzatamente
il mondo in cui ogni giorno muoiono 26mila bambini sotto i cinque anni
e quasi 10 milioni l’anno per fame, malattie e guerre (Unicef). Non
si uccidono così anche i cavalli? Nell’Afghanistan “liberato”
dai Taliban si ha una mortalità infantile di 257 su mille. Prima era
di 60 su mille. Nel mondo la media è di 72, a Cuba, primato assoluto,
si è scesi a 5,3. Questa sottrazione di vite al mantello nero con la
falce dà la misura dell’assedio Usa alla vita. Si strepita sull’urgenza
di cambiare produzione e stile di vita per non annegare e arrostire
tutti fra vent’anni, ma se non rottamiamo macchine siamo nessuno e
se non prendiamo il caffè sotto il “fungo”, non sappiamo vivere.
Non c’è più bar, pub, ristorante che non ci voglia far stare ai
tavolini fuori, anche a 10° sottozero, appunto sotto il “fungo”
a gas. In piena emergenza climatica siamo arrivati a scaldare anche
l’aria, laddove nel Sud del mondo, gelato tra deserti e ghiacci, non
si possono riscaldare neanche le case. In Inghilterra ce ne sono 630mila
e sparano ulteriori 140mila tonnellate di C02 all’anno. Da noi si
vedono, ma non ci si pensa, il Ministero dell’ambiente ha altre gatte
da pelare. In un’ora, quell’aggeggio idiota consuma quanto una
macchina in 25 km. Da noi a sfoltire la plebaglia del Sud ci pensano,
in società con la camorra, il complesso politico-industriale del commercio
e dell’avvelenamento da rifiuti: genocidio da economicidio ed ecocidio.
Se non è strategia di sfoltimento questa!

Suharto, un modello sempre valido

In casi che si prestano si ricorre al metodo diretto. Un castigamatti al servizio dell’imperialismo
sfoltimondo, che intervenga con drasticità in cambio di vitalizi di potere e ruberie. Insieme ai generali vietnamiti come Diem o Cao Ky, a quelli argentini, a Pinochet, ai dittatori Cia del Sudamerica in genere,
è un classico esempio il generale Suharto di Indonesia, cui gli Usa
nel 1965 garantirono copertura e impunità (più un regno assoluto trentennale)
nell’eliminazione di un milione di comunisti indonesiani che rischiavano
di trascinare il paese verso il campo nemico e di negargli il ruolo
di anello nell’assedio Usa all’Asia Orientale. Marina Forti, altra
dama del “manifesto”, e il chierico Emanuele Giordana, “Lettera
22”, che su quel giornale insiste a rifilarci la “società civile” (cioè
borghese, saprofita, collaborazionista) asiatica con le sue Ong, sono
riusciti a riempire una pagina del quotidiano senza far riferimento,
neanche di sfuggita, al padrinato statunitense sul dittatore e sul suo
arcipelago strategico (petrolio, legname, basi). Deprimentemente meglio
“la Repubblica”.

L’epitome della strategia capitalista di riduzione della popolazione mondiale sono gli
attuali scenari di guerra: Iraq su tutti, Palestina, Afghanistan, ognuno
col suo Suharto, che si chiami Al Maliki, Mahmud Abbas, o Karzai. Truffaldina
è la conta dei morti mercenari, dell’esercito o privati, taciuta
o ridicolmente ridotta quella delle vittime civili, gonfiata quella
dei resistenti, pervicacemente ignorata quella degli effetti letali
sulla salute e vita delle popolazioni. In Palestina non si fanno somme:
come quella dei cinquemila palestinesi ammazzati dall’inizio
dell‘Intifada e delle migliaia destinati a estinguersi nel più criminale
meccanismo di privazioni visto da Auschwitz in qua. E per 30 dollari
la ditta israeliana Magen Yehuda vi fa fare un tour dell’omicidio
in cui assassini veterani insegnano ad appassionati dai 7 anni in su
come si spara a un palestinese. Viva, dunque, sia il coraggio e la determinazione
di Hamas che, stupendo il mondo, ha fatto saltare uno dei muri sionisti,
dando al popolo di Gaza alcuni giorni di libertà e ribadendo, contro
l’infame complicità dei boss di Fatah, la validità della resistenza.
E viva anche l’unico contributo possibile del mondo: il boicottaggio
di Israele, stigmatizzato dalla lobby ebraica capeggiata da Valentino
Parlato. In Iraq, situazione più tragica e più oscenamente ignorata
da tutti, sinistre comprese, a inizio 2008 vengono uccisi, grazie anche
a un aumento di 500 volte rispetto all’anno prima delle incursioni
aeree, una media di 50 cittadini al giorno, in parte torturati e liquidati,
dalle bande “di Stato” di obbedienza iraniana. La Resistenza, rifattasi
sotto dopo i mesi di allentamento a fine 2007, dovuti alla riduzione
dei pattugliamenti Usa e alla corruzione di alcuni capitribù sunniti
pagati per costituire i collaborazionisti cosiddetti “Consigli del
risveglio” (e subito decimati dalla Resistenza), all’inizio del
2008 torna a eliminare una media di tre occupanti (ammessi) al giorno.
In Afghanistan, dei bilanci di villaggi rasi al suolo dall’alto non
si sa praticamente nulla. In compenso gli analisti occidentali assegnano
al controllo della Resistenza il 52% del paese e la sua presenza nei due terzi.

Ma la guerra al terrorismo c’è?

Tutto questo va, e viene giustificato, sotto la denominazione di “guerra al terrorismo”,
partorita dal solito terrorismo di Stato dell’11/9. Vediamo in Tv
e compiangiamo le vittime di una dissennata lotta armata, come raccontate
dai figli Mario Calabresi, Benedetta Tobagi, Marco Alessandrini, che
rivendicano punizioni senza fine ai responsabili. Avete mai visto in
Tv i famigliari delle decine di ragazzi uccisi dalle “forze dell’ordine”,
in risposta al movimento di liberazione degli anni 60-70? Vi hanno detto
quanti sono? Hanno potuto chiedere giustizia e risarcimenti? Quanti
morti ha fatto la “guerra al terrorismo” e quanti il “terrorismo”?
Dov’è la sinistra che ha decostruito il paradigma grazie al quale
un colonialismo e una lotta di classe unilaterale stanno sterminando
popoli, rapinano risorse, si appropriano e distruggono beni comuni e
tornano a imporre un effettivo schiavismo ai subordinati del mondo?
Stiamo assistendo a una guerra globale interciviltà senza campi di
battaglia e senza confini, mascherata da rimozione dei Taliban e di
un Al Qaida, paradossalmente onnipresente e onnipotente, a dispetto
della massima coalizione militare e di intelligence di tutti i tempi.
Un’organizzazione virtuale, ma il cui logo viene appiccicato a qualsiasi
cosa si muova in controtendenza al dominio imperialista assoluto. Per
mantenerci nella nostra sciagurata indifferenza e ostilità rispetto
a popoli combattenti che rappresentano l’ultima, auspicabilmente la
nuova, trincea della giustizia e della libertà, si dà a tutti, dall’Iraq
all’America Latina, dall’Afghanistan all’Europa, l’infamante
nome di Al Qaida. Sigla che sarà pure stata assunta da qualche
gruppo di illusi manipolati, ma che rimane tutta di origine e utilizzo
anglo-euro-israelo-statunitense. Basterebbe ricordare il ruolo di Osama
bin Laden, per conto degli Usa, contro i sovietici, contro i serbi,
contro gli afghani (che avevano offerto, prima dell’attacco Usa, di
consegnarlo purchè si fornissero le prove delle sue responsabilità),
contro il Sudan, che, pure, lo aveva invano offerto a Washington nel
1998. Il terrore è un mezzo per perseguire fini politici e uno strumento
di lotta. Che senso ha muovere guerra a un mezzo e a uno strumento?
E se il terrore punta all’intimidazione politica e al consenso minacciando
o utilizzando la violenza contro civili, non sono forse gli Usa, Israele
e i loro alleati a fare proprio questo con le guerre “shock and
awe”
(colpisci e terrorizza), le bombe sugli abitati, le armi
proibite, gli assassini mirati, le punizioni collettive, gli squadroni
della morte, il sequestro e la tortura?

Religione, ideologia di guerra e dominio

Quando si dice che papa Ratzinger, non meno di quanto abbia fatto il predecessore Woytila,
ma il polacco con più diplomazia e charme, ci sta riportando
al Medioevo, non si gonfia in iperbole una strategia di fatto. Si descrive
secca secca la realtà. Del resto, non è forse che a forza di panzane,
ricatti morali e spietata repressione che da 2000 anni questa Chiesa,
sempre più arida di fede, sempre più enfia di ubbie e negromanzie,
garantisce a sé e ai suoi partner politici la coesione degli alloccati
che stanno sotto? Se, con il concorso di Bertinotti (spirale guerra-terrorismo),
Veltroni, Berlusconi, le elites dominanti che esprimono i Bush, i Gordon
Brown, i Tony Blair, i Sarkozy, hanno inteso offuscare e rimuovere il
concetto di lotta di classe per convogliare i loro oppressi e sfruttati
nello scontro di civiltà contro popoli oppressi e sfruttati, il corollario
ideologico è fornito dalla religione. Qualunque religione, come interpretata
e utilizzata dai padroni, con il monarca assoluto del Vaticano in testa.
Come ai tempi dell’impero, delle conquista del nuovo mondo, del feudalesimo,
del colonialismo e dello Stato borghese, del fascismo. I protagonisti
dello scontro epocale cui assistiamo non sono i poveri, i ricchi, i
fuoriquota, i padroni, i lavoratori. Inseriti nel calderone terroristico,
si agitano e si combattono – o piuttosto si fanno
combattere, auspicando che si facciano a pezzi – militanti cristiani
evangelici e cattolici creazionisti contro laici, sunniti e sciti, buddisti,
musulmani, indù e cristiani, ayatollah ed ebrei, il Dalai Lama e i
contrapposti guru indiani, i Kikuyu cristiani e i Luo che vogliano tornare
alle origini.

E’ una conflittualità sanguinosa, sterminatrice, ma artefatta. Si devia dalla scontro naturale,
fisiologico, necessitato, storico, tra haves and havenots (chi
ha e chi non ha), si salvaguarda il potere esistente e si fa in modo
che gli altri si sbranino tra di loro. E’ da sempre lo strumento della
conquista, della divisione, del colonialismo. Ma è di più. Con la
supremazia ontologica ed escatologica delle religioni si torna a imporre
la superstizione al posto della ragione conquistata faticosamente, contro
roghi e eccidi, secoli fa. E con la superstizione che obnubila la visione
della realtà, del vero e del possibile, si ricostituisce anche il dominio
assoluto che si vanta disceso da verità rivelate, indiscutibili
a scanso di iconoclastia, emananti dall’Assoluto. Di cui evidentemente
l’autorità costituita è interprete e impositrice. Con strumenti
della superstizione-repressione, quali la sacralità della famiglia
codificata una volta per tutte, con il recupero del dominio totalitario
su sessualità, accoppiamento, procreazione, nascita e morte, si tolgono
di mezzo i diritti al libero arbitrio, alla libertà di scelta, all’uscita
dal seminato. Walter Veltrussolini è l’uomo dell’esclusione bipartitica
delle frange dissidenti e dello Stato di polizia travestito da presidenzialismo.
Non per nulla gli occorre il quadro ideologico della religione “rivelata”
e della Chiesa trionfante. Nell’era in cui le oligarchie credono di
aver bisogno del ristabilimento del principio, verticale, tirannico,
di gerarchia, le religioni, in particolare quelle intolleranti e fondamentaliste,
cattolicesimo in testa, forniscono gli strumenti per la guerra globale
e infinita e per la riduzione in schiavitù dei subalterni. Si consacra
il rapporto uomo-caporale. Ahamedinejad e i neo-teo-con faranno finta
di accapigliarsi, il papa sbertuccerà l’Islam, il gioco concordato
provocherà pure qualche sbavatura, qualche scontro vero, ma c’è
un filo che unisce questi rappresentanti della trascendenza in un interesse,
in un disegno antiumano comune. Alro che “oppio dei popoli”. Dei
popoli la religione è l’acido lisergico, una roba che propone lucciole
per lanterne, mentre è la coca per i potenti.

Integralismi allo sbaraglio

La duplicità tra apparenza e sostanza si è manifestata in termini addirittura grotteschi
in occasione del tour di Bush in Medioriente all’inizio del 2008.
Data a Israele l’ennesima via libera alla liquidazione dei palestinesi,
il presidente Usa ha preteso nelle varie capitali degli arabi vassalli
di creare un fronte contro l’Iran, da lui definito “massimo promotore
mondiale del terrorismo”. Oltre a riequilibrare un po’ il sorpasso
persiano nella spartizione dell’Iraq, l’operazione, del tutto propagandistica,
serviva a rinfocolare il mantra della guerra al terrorismo e dello scontro
di civiltà, tanto necessario alla eliminazione degli spazi di democrazia
in Occidente e alla lubrificazione della macchina militar-industriale.
Non erano passati che pochi giorni che l’intero pollaio mediorientale
rettificava l’assunto e rimetteva le cose nel giusto ordine: il governo
fantoccio di Baghdad e i paesi del Golfo invitavano a casa loro, con
cordialità, il presidente iraniano, appena reduce dal suo primo coccolatissimo
pellegrinaggio alla Mecca, Condoleezza Rice si vestiva da soubrette
per ammansire diplomaticamente Tehran. L’Egitto apriva addirittura
al ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Si tratta di paesi nei
quali, notoriamente, non si muove foglia senza che il padrino di Washington
non voglia. Altro che coalizione per la guerra all’Iran messa in piedi
da Bush. C’è poco da ciurlare nel manico.

Svegliati, amore

Svegliati, amore, la situazione non è buona. Anzi, è molto peggio di come ce la presentano
le cosiddette sinistre politiche e mediatiche. E finché non ne prendiamo
atto, combattiamo con il braccio legato alla schiena Eccoci qua,
a sessant’anni dalla Costituzione e, più strappacuore, a quarant’anni
dalla rivolta sociale e generazionale del ’68, a poche ore dal vomito
rigettato su quegli anni dagli scampati di Palazzo, soprattutto da quelli
“recuperati”, come Ferrara, l’enfio e spampanato Liguori, Riotta
che scimmiotta i conduttori Usa, il vivandiere d’armata Sofri, perennemente
spaventati dal potenziale di forza delle masse, a dispetto di calmieratori
come i capi delle nostra “sinistre”. Gli abbiamo messo addosso una
paura che ancora oggi gli deforma le facce: guardate Veltroni, Fassino…I
sensi di colpa, per quanto sepolti sotto montagne di dollari e broccati
da cerimonia, ti corrodono senza che te ne accorgi. Eravamo laici, anticonformisti,
ribelli, comunisti, innamorati gli uni degli altri, della vita, del
futuro. Avevamo venti, trent’anni, anni spumeggianti di idee coraggio,
disposti a ogni sacrificio, straboccanti di musica fatta e cantata,
non solo ascoltata, il privato era pubblico. Oggi siamo appena a cinquanta,
sessanta, neanche tanto vecchi da non rifare tutto, magari meglio, ma
molti quanto invecchiati! Addirittura, se guardiamo ai convertiti, putrefatti.
Io quella vicenda l’ho vissuta tra Boulevard S. Michel, la valle del
Giordano insieme ai Fedajin di Hawatmeh e del mai dimenticato e sempre
rimpianto George Habash, le casupole da fiammiferi di Belfast e Derry,
la savana dell’Eritrea in lotta di liberazione, il Vietnam, la Sapienza,
Piazza Cavour, Bologna. Inestimabili e assolutamente da ritrovare le
intuizioni e i contenuti di allora. Uscivamo, a forza di Bee-Bee-Berlinguer,
dal riformismo di Togliatti e di una burocrazia a rischio – realizzato
– di corruzione e integrazione, che effettuava la “lunga marcia
attraverso le istituzioni”, perdendo a ogni passaggio un pezzo di
forza, integrità, pulizia, etica. Fino a D’Alema, fino a Fassino,
Veltroni, Napolitano, Bertinotti. Scoprimmo che ci avevano incastrato
in una scala gerarchica senza pioli, ma con in cima monarchi e preti.
Liberammo i corpi e l’anima dai ceppi e cappi dell’antisessualità.
Scoprimmo, soprattutto con Lotta Continua, che accanto agli operai,
non ancora normalizzati, c’erano fasce escluse o lobotomizzate, soggetti
di giusta e forte potenzialità politica: i carcerati, i militari di
leva, i poliziotti e, alla grande, un popolo dimenticato, formicolante
nelle periferie, i senza servizi sociali, i rincoglioniti nelle scuole
di classe, i senza casa, i senza lavoro, i senza felicità, il Sud,
quelli che già paventavano il collasso della biosfera, gli antiguerra
vincenti di Comiso (da rifare a Vicenza), le donne non ingabbiate da
manipolazioni ginocratiche, speculari a quelle patriarcali, i bambini,
gli scugnizzi, i senza sindacato passati da Enna alle acciaierie della
Ruhr. Vennero i Consigli di fabbrica a mettere in riga i gialli, le
gigantesche conquiste dei lavoratori in termine di salute, ambiente,
salario, diritti, “sapere alto” (le “150 ore”), vennero gli
organi collegiali, tutto strappato a forza di scontri di piazza, scioperi,
occupazioni, comunicazione intelligente e vera.Che onore, aver fatto
il direttore di quel giornale, “Lotta Continua”, con nella testata
le vittoriose barricate di Parma nel ’22. I ragazzi Provisional dell’Ira
erano molto cattolici, ma stavamo incondizionatamente con la loro

lotta contro il nemico principale. Oggi chi sta con i guerriglieri islamici?
La resistenza irachena non ci parla”, sentenziò un fesso
di RC.

Grazie alle BR,
ma prima ancora, grazie alle stragi dello Stato Cia-P2, alla collusione-collisione
tra PC e DC, Confindustria e Sindacato (un po’ come tra Usa e Iran),
fummo fregati, neutralizzati, incarcerati, espulsi, uccisi. Alcuni suicidi,
alcuni passati al nemico e retribuiti con poltronissime nei media e
altrove, molti appassiti nella rassegnazione. La situazione non è buona:
il Vietnam, vittorioso sul campo e che s’è venduto la vittoria, la
Jugoslavia in pezzi miserandi, l’Irlanda del Nord cogestita da proconsoli
coloniali e combattenti della riunificazione che hanno indossato cravatta
e “realismo”, le nostre sinistre… ne abbiamo parlato abbastanza
e ci fanno anche un po’ nausea. In Palestina, Iraq e Afghanistan una
resistenza eroica e indomabile non ci compensa delle mostruosità
inflitte a quei popoli. La situazione non è buona.

One solution, revolution!

Ma le guerre gli strateghi dello sterminio le stanno perdendo inesorabilmente. Se quei
resistenti, ovunque all’offensiva, potessero animarci a casa nostra
come ci animarono i Vietcong e i fedayin! E, con orgoglio, i nostri
partigiani. La Russia si è rimessa in piedi, ha riacquistato dignità
alla faccia dei detrattori sinistri che echeggiano le parole d’odio
e di paura dei padroni d’Occidente. Non è il socialismo, ma è la
fine delle ruberie, della sottomissione, dello spadroneggiare dei predatori
occidentali. Ed è il requilibrio geostrategico, quello che per mezzo
secolo ci ha preservato dallo scatenarsi dei signori della guerra Usa.
Non è poco, in difesa della vita. E’ una crisi, forse terminale,
del sistema che ci ha portato all’orlo dell’apocalisse. E’ lo
spuntare all’orizzonte di uno scontro tra potenze discendenti e potenze
ascendenti che, come sempre nella storia, da Roma dei Barbari al ’17
dell’Ottobre, ha aperto la strada a sconvolgimenti epocali. Si tratta
di farcisi valere. Come sta avvenendo in America Latina, intero continente
in un sisma guidato da rivoluzionari. Difficile oggi? Era più difficile
per guerriglieri cubani che, in poche dozzine, avevano di fronte una
dittatura armata fino ai denti e tutti gli Stati Uniti? Era più difficile
per i paesi sudamericani che fino a ieri avevano sul collo il giogo
più pesante della loro storia? E’ più difficile in Iraq, dove basta
attraversare la strada per essere fulminati da un videogiochista di
Dallas, dove si buttano in carcere le donne e i figli perché rivelino
cosa fanno i loro mariti e padri, dove agli angoli ti aspetta il fanatico
al servizio dell’Iran per trapanarti il cranio? E’ più difficile
a Gaza dove, con l’ultima pagnotta
lontana dalla pancia, l’ultimo lavoro perso nella polvere degli anni
vanificati dai traditori, l’ultimo salario dimenticato, l’ultimo
farmaco scomparso, l’ultima incubatrice spenta, il popolo si alza
in piedi, rompe il muro e corre? Li richiuderanno, ma quei giorni all’aperto
hanno fornito ossigeno per un altro bel po’ di lotta. Il pendolo va
avanti e indietro. Poi torna avanti. In fondo al tunnel più lungo lumeggia
qualcosa. Siamo fortissimi, oltre l’80% della specie umana. Tutti
bassotti. C’è chi può dire che, alla vista di quanto emerge da queste
pagine, che le cose non stiano così? Che ci sia altra soluzione che
la rivoluzione?

Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
01.02.2008

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