Surveillance capitalism: se trovi un nickname trovi un tesoro

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DI ROSANNA SPADINI

comedonchisciotte.org

La prassi è ormai consolidata, si strumentalizza una notizia clamorosa per demonizzare il web e la sua libertà di informazione, si prende l’episodio Facebook – Cambridge Analytica  e lo si gonfia come un caso clamoroso, con le sue menzogne, fake news, condizionamenti del consenso elettorale. Ma dietro al caso c’è lo scontro di potere tra le potenti élites del regime tecnoligarchico globale.

Dice il Financial Times che Bruxelles si prepara a reprimere le società di social media, accusate di diffondere «fake», perché nutre forti perplessità sul fatto che scandali come la vendita di profili Facebook  stia rischiando di «sovvertire i nostri sistemi democratici». La Commissione europea teme che le elezioni del prossimo anno al Parlamento europeo possano essere alterate dalla «disinformazione euroscettica» che sta prevalendo online. La preoccupazione di Bruxelles sembra essersi acuita dopo il caso di CA e la sua raccolta d’informazioni personali su circa 50 milioni di utenti Facebook, durante le elezioni presidenziali americane.

Julian King, commissario europeo per la sicurezza, chiede «regole chiare» per disciplinare i social media durante periodi di «elezioni delicate», a partire da quelle del Parlamento europeo del maggio 2019. Una lettera di Sir Julian a Mariya Gabriel, commissario per l’economia digitale, richiede maggiore trasparenza sugli algoritmi interni delle piattaforme, limiti sulla «raccolta di informazioni personali» per scopi politici e divulgazione da parte di aziende tecnologiche di chi finanzia «contenuti sponsorizzati» sui loro siti web.

Strumentalizzare le rivelazioni di Cambridge Analytica è stato l’immediato intento dei  funzionari dell’UE, che hanno caricato a dismisura il problema, per paventare i forti rischi che la pseudo-democrazia europea starebbe correndo e riuscire di conseguenza a mettere il bavaglio al web.   Le «attività di targeting psicometrico» come quelle di Cambridge Analytica, una società di analisi dei dati, sono solo una «anticipazione degli effetti profondamente inquietanti che tale disinformazione potrebbe avere sul funzionamento delle democrazie liberali», ha scritto Sir Julian nella lettera del 19 marzo.

«È chiaro che la minaccia per la sicurezza informatica che stiamo affrontando sta cambiando, da un sistema principalmente mirato a uno che è sempre più diffuso come cyberspazio per manipolare il comportamento, approfondire le divisioni sociali, sovvertire i nostri sistemi democratici» aggiunge la lettera.

L’avvertimento di Bruxelles arriva quando un certo numero di stati membri dell’UE stanno elaborando «leggi anti-fake news» in mezzo a una serie di accuse sull’ingerenza russa nelle elezioni.  La Francia sta preparando una legislazione per consentire ai suoi giudici di rimuovere e bloccare i falsi contenuti virali durante le campagne elettorali nazionali. Emmanuel Macron stesso ha messo in discussione le «falsità diffamatorie» e la «propaganda ingannevole» delle organizzazioni dei media sostenute dal Cremlino, come RT e Sputnik, che hanno entrambi siti web in lingua francese.

All’inizio di quest’anno, la Germania ha introdotto la prima «legge sull’incitamento all’odio» che spinge le piattaforme a rimuovere rapidamente contenuti terroristici, xenofobia e notizie false, contro il rischio di multe fino a 50 milioni di euro. I funzionari dell’UE temono che le elezioni europee del prossimo anno vengano dirottate da forze populiste ed euroscettiche che usano piattaforme per diffondere «teorie cospirative, notizie false e video manipolati».

Secondo il Financial Times un sondaggio condotto a livello europeo lo scorso mese ha rilevato che più di un terzo dei cittadini europei ha trovato ogni giorno notizie false, e l’83% definiva il web  una minaccia per la democrazia, secondo Eurobarometro.

Marietje Schaake, un membro liberale del Parlamento europeo che si occupa di governance digitale, ha sostenuto la necessità ormai improrogabile di regole più rigide per algoritmi «black box» e l’anonimato a «zero responsabilità» di certi siti web. Ma ha anche avvertito dell’effetto controproducente che tali norme potrebbero sortire, se usate sconsideratamente.

La rapidità del cambiamento e l’arrivo di nuove tecnologie sono sorprendenti, il potere è passato dalle istituzioni tradizionali alle aziende della Silicon Valley, dove l’algoritmo di Google influenza l’attività imprenditoriale più di qualsiasi strategia industriale elaborata dai governi. Però non è solo Google, o Facebook, o Cambridge Analytica, in realtà il sistema coinvolge ormai tutti i soggetti in gioco, aziende di tipo commerciale e partiti politici.

Nel panottico digitale del nuovo millennio si viene twittati o postati, il soggetto e la sua psiche diventano produttori attivi di pensieri e beni immateriali, i dati personali e le emozioni sono costantemente monetizzati e commercializzati. E’ il «surveillance capitalism», divulgato dalla docente di economia aziendale di Harvard,  Shoshana Zuboff in «The Age of Surveillance Capitalism», espressione di un nuovo genere di capitalismo che monetizza i dati acquisiti attraverso la sorveglianza sul web.

Si è affermato a causa del connubio tra i vasti poteri del digitale e il narcisismo neoliberista del capitalismo finanziario, che hanno dominato il commercio per almeno tre decenni, specialmente nelle economie angloatlantiche.

Consolidatosi per la prima volta su Google, e successivamente adottato da Facebook e altri social,  utilizza meccanismi di estrazione, mercificazione e controllo del comportamento per produrre nuovi mercati di previsione  e modifiche comportamentali.

Zuboff afferma che il mondo online, diversamente da una specie di «nostro mondo», è ora il mondo dove il capitalismo si sta sviluppando in nuovi modi, mediante l’estrazione dei dati piuttosto che la produzione di nuovi beni, generando così intense concentrazioni di potere e minacciando valori fondamentali come la libertà e la privacy.

Il capitalismo di sorveglianza produce una nuova espressione di potere largamente incontrastata, che riesce ad alienare in modo efficace le persone dal loro stesso comportamento, mentre produce nuovi mercati di predizione e modifiche comportamentali, tale da sfidare le norme democratiche e allontanarsi in termini decisi dall’evoluzione secolare del capitalismo di mercato.

Bloomberg Business Week per esempio rileva che il sistema automobilistico vuole offrire agli assicuratori la possibilità di aumentare le entrate vendendo loro i dati dei clienti. Thomas Wilson, il CEO di Allstate Corporation vuol fare come Google «Ci sono molte persone che oggi stanno monetizzando i dati. Vai su Google e sembra che sia gratis. Non è gratis, perché stai dando loro informazioni e loro  vendono le tue informazioni. Potremmo, dovremmo vendere queste informazioni? È un gioco a lungo termine».

Alexander Nix, amministratore delegato di Cambridge Analytica, al Concordia Summit per le partnership d’affari pubblico-privato a New York.

Google è il punto zero di una nuova sottospecie del capitalismo, in cui i profitti derivano dal monitoraggio unilaterale e dal cambiamento del comportamento umano. Quali sono i segreti di questo nuovo capitalismo di sorveglianza, e in che modo tali società producono una tale ricchezza mozzafiato?

Non si tratta di un romanzo distopico, nessuna osservazione di un manager nella Silicon Valley e nemmeno un membro della NSA, il sistema è già in uso e in fase di continua evoluzione.

Stiamo assistendo a una ridistribuzione rivoluzionaria del potere, e dopo le campagne per Brexit, Trump e in seguito M5S, ci si è accorti di quanto siano ampiamente utilizzati strumenti come social media o il micro-targeting, i robot e la sorveglianza commerciale per ottenere un vero potere politico/economico vincente.

Mentre il vecchio mondo trema, ne sta emergendo uno nuovo, le piattaforme stanno cominciando a comportarsi come stati e gli attivisti digitali stanno scuotendo i partiti politici. Quello che una volta sembrava essere uno stato di emergenza digitale sta diventando la nuova normalità.

Nel marzo di quest’anno, The New York Times e The Observer hanno riferito sull’uso da parte dell’azienda Cambridge Analytica delle informazioni personali acquisite su milioni di utenti statunitensi da Facebook, senza autorizzazione, in risposta Facebook ha bandito CA dalla pubblicità sulla sua piattaforma. The Guardian ha inoltre riferito che Facebook aveva saputo di questa violazione della sicurezza per due anni, ma non ha fatto nulla per proteggere i suoi utenti.

Steve Bannon, fondatore di Cambridge Analytica, giornalista, politico e produttore cinematografico, ex capo stratega del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Ma questa storia viene inquadrata in modo fuorviante, si esamina Cambridge Analytica come fosse del tutto al di fuori del sistema, come se il problema principale fosse che i cattivi attori della società avessero attraversato i fili di trasmissione di Facebook nel modo prometeico di Victor Frankenstein, rubando agli dei per condizionare le coscienze globalizzate.

Quindi, per fare un’analisi obiettiva di tutta la storia, bisogna ammettere che l’uso di tecniche di marketing e pubblicità manipolate per venderci prodotti, stili di vita e idee è stato il fondamento della moderna società americana, tornando ai tempi del sedicente inventore delle pubbliche relazioni, Edward Bernays. Il vero santo graal dell’era digitale, risalente ormai a mezzo secolo fa, anche quando si tratta di commercializzare candidati e messaggi politici, usare i dati per influenzare le persone e plasmare le loro decisioni.

L’ecosistema del business internet di oggi è basato sulla sorveglianza del profitto, sulla profilazione comportamentale, sulla manipolazione e sull’influenza. Questo è il nome del gioco. Non è solo Facebook o Cambridge Analytica o addirittura Google è Amazon, eBay, Palantir, Angry Birds, MoviePass, Lockheed Martin. Sono tutte le app che si  scaricano, ogni telefono acquistato, ogni programma visto sui pacchetti TV via cavo on-demand. Cosa sanno queste aziende su di noi? Praticamente tutto.

Questo commercio di dati degli utenti ha permesso a Facebook di guadagnare $ 40 miliardi l’anno scorso, mentre Google ha incassato $ 110 miliardi.

Praticamente tutto ciò che inseriamo nelle numerose piattaforme di Google, dalla corrispondenza e-mail alle ricerche Web e alla navigazione in internet, viene analizzato e utilizzato per profilare gli utenti in modo estremamente invasivo e personale. La corrispondenza e-mail viene analizzata per significato e argomento, i nomi sono abbinati a identità e indirizzi reali, gli allegati di posta elettronica, estratti conto bancari o risultati di test di laboratorio medico, vengono raschiati per ottenere informazioni. Dati demografici e psicografici, inclusa la classe sociale, estraggono il ​​tipo di personalità, età, sesso, appartenenza politica, interessi culturali, legami sociali, reddito personale e stato civile.

Nel complesso, la filosofia di profilazione di Google non è diversa da quella di Facebook, che costruisce anche «profili ombra» per raccogliere e monetizzare i dati, anche se non hai mai avuto un account registrato di Facebook o Gmail.

Colin Stretch, (Facebook), Sean Edgett, (Twitter), e Richard Salgado (Google), prestano giuramento dinanzi al Senato per l’influenza dei social media sulle elezioni americane.

Include persino giochi divertenti come Angry Birds, sviluppato dalla finlandese Rovio Entertainment, che è stato scaricato più di un miliardo di volte. La versione Android di Angry Birds è stata usata per estrarre dati personali sui suoi giocatori, tra cui etnia, stato civile e orientamento sessuale, comprese le opzioni di categorie per single, sposato, divorziato, fidanzato e scambista.

Nel lancio di Android, Google ha scommesso sul fatto che, rilasciando gratuitamente il proprio sistema operativo ai produttori, sarebbe poi stato in grado di controllare l’intera telefonia mobile, rendendola il miglior gatekeeper delle molte interazioni monetizzate tra utenti, app e inserzionisti. Oggi Google monopolizza il mercato degli smartphone e domina il business della sorveglianza mobile per il profitto.

Questi profili psicologici dettagliati, insieme con l’accesso diretto degli utenti alle piattaforme come Google e Facebook, rendono entrambe le società erba gatta per inserzionisti, e strumenti politici preziosi.

L’enorme interesse commerciale che le campagne politiche hanno dimostrato nei social media ha guadagnato loro l’attenzione privilegiata dalle piattaforme della Silicon Valley, infatti Facebook gestisce una divisione politica separata, specificamente orientata ad aiutare i propri clienti a colpire e influenzare gli elettori.

L’azienda consente anche alle campagne politiche di caricare le proprie liste di potenziali elettori e sostenitori direttamente nel sistema di dati di Facebook. Così gli operatori politici digitali possono quindi utilizzare i social network di quelle persone per identificare altri potenziali elettori che potrebbero essere di supporto al loro candidato e quindi indirizzarli con una nuova ondata di pubblicità. «C’è un livello di precisione che non esiste in nessun altro mezzo», ha detto al New York Times nel 2015 Crystal Patterson, un dipendente di Facebook che lavora con clienti governativi e politici, perché «Sa indirizzare il messaggio giusto alle persone giuste al momento giusto».

Naturalmente, nell’ultimo decennio sono sorti un gran numero di compagnie e agenti operativi sulla scena elettorale globalizzata sempre più incentrata sui dati, da collegare a queste fantastiche macchine d’influenza. C’è un’intera costellazione di diversi tipi di strategie: il targeting degli elettori tradizionali, i moti vorticosi della propaganda politica, gli eserciti dei troll e i robot.

Alcune di queste aziende sono politicamente agnostiche, lavorano per chiunque abbia denaro, altri sono invece molto faziose. La Death Star dei dati del Partito Democratico è VAN NGP. I repubblicani ne hanno alcuni di loro, incluso l’i360, un mostro di dati generosamente finanziato da Charles Koch. Naturalmente i360 collabora con Facebook per pilotare i propri elettori, sostiene inoltre di avere 700 punti di dati personali incrociati su 199 milioni di elettori e circa 300 milioni di consumatori, con la possibilità di tracciarli e puntarli con precisione puntuale in base alle loro convinzioni e opinioni.   Milioni di dollari sono stati riversati nel i360 con lo scopo di creare la migliore piattaforma di contatto degli elettori nel mondo, in modo tale che chi controlla i dati, detenga il potere.

Ecco come Andrew Rice, del National Journal, ha descritto i360 nel 2015 «Come Google, l’Agenzia per la sicurezza nazionale o la macchina per i dati democratici, i360 ha un vorace appetito per le informazioni personali, quindi ingerisce costantemente nuovi dati nei suoi sistemi di targeting, che predicono non solo l’identificazione partitica ma anche sentimenti su problemi come l’aborto, le tasse e l’assistenza sanitaria.

La Silicon Valley non offre solo campagne con piattaforme neutrali, lavora anche a stretto contatto con i candidati politici al punto che le più grandi compagnie di internet sono diventate un’estensione del sistema politico americano.  Facebook, Twitter e Google vanno oltre la promozione dei loro servizi e facilitazione degli acquisti pubblicitari digitali, modellando attivamente la comunicazione della campagna attraverso la loro stretta collaborazione con lo staff politico, servono appunto come consulenti digitali per le campagne, plasmando strategie, contenuti ed esecuzione.

Nel 2008, il giovane e alla moda Blackberry Barack Obama è stato il primo candidato di partito importante sulla scena nazionale a sfruttare appieno il potere di agitprop mirato su Internet. La prima campagna Obama ha costruito un’iniziativa innovativa di micro-targeting per raccogliere enormi quantità di denaro in piccoli pezzi direttamente dai sostenitori di Obama, che è salito al potere grazie anche alla tecnologia di profilazione e targeting di Facebook.

Per ora non esiste alcuna legge che impedisca a Facebook di fare tutto ciò, influenzare il feed di un utente in base a obiettivi politici, per obiettivi aziendali, per finanziamenti di gruppi politici, anche fossero le preferenze personali di Mark Zucchino.

Il fatto è che aziende come Facebook e Google sono sistemi di comunicazione pubblici che funzionano sulla profilazione e la manipolazione per il profitto privato, senza alcuna regolamentazione o controllo democratico. Ma certo, meglio denunciare lo scandalo di Cambridge Analytica, o meglio dare la colpa ai russi.

Cambridge Analytica è stato uno degli spauracchi minori per la vittoria di Trump. Nel marzo 2017, il New York Times, che ora strombazza la saga della rapina di Facebook da parte di Cambridge Analytica, ha messo in dubbio la tecnologia della società e il suo ruolo politico di propaganda.

«Un telefono cellulare ha occhi, orecchie, una pelle e conosce la tua posizione. Occhi, perché non ne vedi mai uno che non abbia una macchina fotografica. Orecchie, perché hanno tutti i microfoni. Pelle perché molti di questi dispositivi sono touch screen. E il GPS gli consente di conoscere la tua posizione».  (Vic Gundotra, ex vicepresidente social di Google, su Android)

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

11.04.2018

 

 

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