DI MARCO MAMONE CAPRIA
Fondazione Hans Ruesch
1. Le elezioni del febbraio 2013 hanno portato 163 deputati del Movimento 5 Stelle (M5S) in parlamento, con scorno e panico dei partiti tradizionali e dei principali media (giornali, televisioni, editoria), che avevano fatto di tutto per scoraggiare gli italiani dal pensare a tale movimento come a una plausibile opzione elettorale. Dopo le elezioni gli uni e gli altri si sono scatenati per convincere le loro vittime (gli sfortunati cittadini che li seguono) che l’unica, autentica novità democratica apparsa sul panorama politico italiano in mezzo secolo era invece, sotto mentite spoglie, un’accozzaglia del peggio della vecchia politica: qualunquismo, antipolitica, populismo, incompetenza, ipocrisia, piccineria, autoritarismo ecc. E, naturalmente, antidemocrazia, nel più puro stile della sempreverde neolingua orwelliana.
Bisogna capirli. Il M5S ha un grave demerito agli occhi dei partiti tradizionali e dei loro cani da guardia: i suoi deputati e rappresentanti locali sono veramente i portavoce del loro elettorato, nel senso che coltivano i rapporti con esso e non smentiscono, una volta eletti, le dichiarazioni pre-elettorali in nome di un fantasioso senso di “responsabilità” politica. La quale consisterebbe, secondo autorevoli commentatori, nella disponibilità a formare quelle alleanze partitiche che in effetti trasformerebbero il M5S in una delle tante vacche che la notte della politica italiana ha reso tutte nere.
Questo
modo diverso di concepire il rapporto con gli elettori è
evidente anche da come il M5S sta portando avanti la sua opposizione
alla vivisezione (nel senso di sperimentazione invasiva su animali:
bisogna ricordarlo, perché c’è sempre qualche linguista
immaginario che eccepisce che anche nelle operazioni chirurgiche si
seziona il vivente…). Il M5S è il solo partito che abbia
fatto sentire in parlamento una voce chiara e coerente contro la
vivisezione. Per sincerarsene si ascolti l’intervento di Paola
Taverna al senato all’inizio di luglio, a proposito del recepimento
della direttiva europea in materia, la 2010/63/UE [18]. Non mi
risulta nessun altro partito che nel nostro parlamento si sia
espresso con altrettanta limpidezza. Tengo a sottolineare questo
punto, perché di animalismo opportunista e “a tempo
determinato” ce ne è in giro parecchio, tra i politici
professionisti [13]. E il peggio è che non manca di riscuotere
riconoscimenti da parte di associazioni di settore come se fosse la
stessa cosa di quello genuino.
2.
In questi giorni i soliti media sono andati in escandescenze per un
secondo episodio [14, 16]. A Sarzana (SP) si svolge quest’anno dal 30
agosto al 1o settembre il
“Festival della Mente”, con il patrocinio, tra gli altri,
della Regione Liguria e della città di Sarzana. Il capogruppo
del M5S al comune di Sarzana, Valter Chiappini, ha scritto in data 18
agosto una lettera al sindaco [14], in cui chiede di «annullare»
la partecipazione al Festival di un noto scienziato o, «in
subordine», «prendere ufficialmente le distanze da ciò
che lo scienziato rappresenta». Lo scienziato in questione è
Silvio Garattini. La ragione è così spiegata:
«Giungono
da più parti rimostranze e proteste per la partecipazione del
Prof. Silvio Garattini alla conferenza “Invecchiamento
cerebrale: un’epidemia del terzo millennio” in calendario
il 1 Settembre prossimo. Potrebbe sembrare fuori luogo la richiesta a
seguire visto il tema della conferenza, ma non è il contenuto
della stessa che vogliamo contestare, ma ciò che Garattini
rappresenta: uno dei principali sostenitori della vivisezione e la
sperimentazione su animali in Italia. Pochi giorni fa a capo della
protesta contro la nuova legge, varata dal Governo, che limita le
tecniche di vivisezione e di sperimentazione ed impone l’uso di
anestesia per quelle ancora permesse […]»
Per
una presa di posizione “standard” che conferma questa
descrizione, si può vedere ad esempio [5], che contiene anche
un interessante commento sulla legge 413/1993 la quale permette in
Italia l’obiezione di coscienza alla vivisezione – una delle
leggi più sistematicamente e impunemente violate degli ultimi
vent’anni, come documentato in [2]. Secondo Garattini tale legge
stabilirebbe «un precedente pericoloso ed anche un po’
ridicolo: la possibilità, cioè, di obiettare contro
qualcosa che non è affatto obbligatorio». Chi sa di che
cosa si sta parlando non avrà difficoltà a farsi
un’idea della intelligenza e dell’onestà di questo giudizio.
Le
richieste del M5S, che il sindaco (del PD) si è affrettato a
dichiarare «irricevibili» (probabilmente perché il
suo partito non ha niente in contrario agli esperimenti su corpi
vivi, come l’esposizione dei cittadini ai fumi degli inceneritori
[1]) hanno provocato prevedibili reazioni scomposte [16]. Per
esempio, c’è chi vi ha ravvisato gli estremi del
«comportamento fascista», perché «comunque
la si pensi sulla sperimentazione animale, operare per eliminare
la presenza di un esponente autorevole della comunità
scientifica da un pubblico dibattito è un comportamento in
perfetto stile fascista» (il corsivo è mio, e lo stesso
vale per i corsivi in tutte le citazioni seguenti). L’accostamento al
«perfetto stile fascista» non merita nemmeno un commento
diretto (che ne direste di riprendere in mano il manuale di storia
della scuola secondaria? Sì, quello dell’ultimo anno di
corso). Vorrei notare invece due punti essenziali.
3.
In Italia esiste dal 1993 una legge che vieta
e punisce con la reclusione «chi
diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o
sull’odio razziale o etnico» (la 205/1993). Ben prima di questa
data, però, l’apparizione pubblica di un noto ideologo
razzista sarebbe stata oggetto di boicottaggio, e gran parte
dell’opinione pubblica non trovava in ciò niente di
sconveniente o eccessivo – e tanto meno di “fascista”.
Quindi l’affermazione sopra citata
sicuramente non vale «comunque la si pensi sulla
sperimentazione animale», ma solo se si considera quest’ultima
una questione molto meno grave delle dottrine razziali (che, sia
detto incidentalmente, una settantina d’anni fa erano appoggiate in
Italia dai più “autorevoli” scienziati).
Vale
allora la pena di ricordare che una delle più influenti
dottrine circolanti nel movimento animalista mondiale sostiene che
trattare gli animali come materiale da laboratorio (o, quanto a
questo, ucciderli a fini alimentari ecc.) significa dar prova di
“specismo”, parola coniata apposta per generare
un’associazione intuitiva con “razzismo”. Quindi molti
animalisti hanno, di fronte a un noto apologeta della vivisezione
invitato a un evento pubblico, una reazione motivatamente analoga a
quella che molti altri avrebbero avuto, prima del 1993, se un noto
ideologo razzista fosse stato invitato a tenere una conferenza nella
loro città – anche se la conferenza fosse stata, tanto
per dire, sulle edizioni del Canzoniere
di Petrarca. Se si vuole criticare la protesta degli animalisti,
bisogna insomma entrare nel merito della loro posizione, e in tal
caso sarebbe difficile non vedere forti analogie tra il caso del
razzista e quello del vivisezionista. A chi trovi sorprendente o
stravagante questo accostamento consiglio vivamente, ancora una
volta, il libro di Patterson [15].
Mettersi
a negare in generale la legittimità del boicottaggio di
personalità associate a tesi politicamente o eticamente
ripugnanti mi sembra quindi un sintomo di scarsa lucidità.
Anche considerato
che a Sarzana l’accesso alle conferenze è a pagamento, una
ragionevole forma di boicottaggio, sia dell’oratore che degli
organizzatori, è a questo punto disertare
e invitare civilmente a disertare la sua conferenza,
e al tempo stesso cogliere l’occasione per
pubblicizzare e invitare a sottoscrivere la petizione europea
StopVivisection
[17].
Desidero
però precisare che, contrariamente a ciò che
cortocircuiti mentali suggeriscono ad alcuni, boicottare
non è
lo stesso che censurare.
Personalmente credo che anche i sostenitori delle opinioni più
risibili e già mille volte confutate (come
quelle della predittività dell’astrologia e della vivisezione)
debbano essere liberi di esprimere le proprie idee senza censure –
proprio per questo anche la frase sopra citata della legge 205/1993
mi sembra eccessivamente generale (se qualcuno dice, a torto o a
ragione, che gli atleti neri sembrano meglio conformati ad eccellere
in certi sport, sta commettendo un reato?). Questo non significa però
libertà di dilapidare denaro pubblico per ricerche fondate su
opinioni già ampiamente falsificate. Quando poi allo spreco di
risorse si aggiunge una pratica crudele sugli animali e pericolosa e
ingannevole nelle sue applicazioni sugli umani, allora la protesta è
doverosa – e non ci si dovrebbe far bloccare dal timore che sia
malinterpretata, perché reinterpretare
in maniera distorta una protesta fa parte, di regola, della
controffensiva
messa in atto da chi ne è oggetto.
4.
In secondo luogo la frase «operare
per eliminare la presenza di un esponente autorevole della comunità
scientifica da un pubblico dibattito» è chiaramente
inapplicabile al caso in esame.
Garattini
non è stato invitato a un pubblico dibattito, ma a tenere una
conferenza. Sarebbe stato diverso se al “Festival della Mente”
si fosse invitato anche qualcuno di tendenza contraria, per
permettere un confronto tra sostenitori e avversari della
vivisezione, in un momento storico in cui in Italia si sono ravvivate
le polemiche in gran parte dell’opinione pubblica a causa
dell’infelice recepimento della citata direttiva europea. Quando
Garattini si lamenta, a quanto riferito dai giornali, che «una
persona che da 50 anni lavora nell’interesse della salute
pubblica non può essere messa nell’impossibilità di
parlare», omette di ricordare l’eccezionale visibilità
che i principali media gli hanno accordato in questi 50 anni,
intervistandolo in ogni occasione, e dandogli spesso l’ultima parola.
E in questi 50 anni non mi risulta che Garattini abbia promosso al
suo istituto, il Mario Negri, dibattiti con critici della
sperimentazione animale, come Hans Ruesch, Pietro Croce, Irwin Bross,
Claude Reiss e altri. In generale la maggior parte delle sue
dichiarazioni in materia di sperimentazione animale, fatte in tutti
questi anni, lasciano perplessi anche osservatori ben disposti per il
loro carattere dilettantesco e disinformato: a volte viene il
sospetto che lo faccia apposta, a volte no. Lascio al lettore
giudicare quale alternativa sia la più disonorevole.
Quindi
non trovo niente di strano o sconveniente nel fatto che i cittadini
che considerano scorretto e sospetto il favoritismo dei media nei
riguardi di questo personaggio pubblico desiderino riequilibrare la
situazione.
E,
a proposito degli ultimi 50 anni: nonostante fosse dimostrato
(epidemiologicamente, ma non sugli animali) almeno a partire dal 1954
(per dettagli si veda [8]) che il fumo è cancerogeno, la
proibizione del fumo in tutti i locali pubblici in Italia è
entrata in vigore solo nel 2005 [4]. Gli impedimenti all’applicazione
sanitaria di genuine, importanti scoperte mediche sono spesso di un
tipo che non può essere eliminato col “dare più
fondi alla ricerca”. I cittadini farebbero bene a non fidarsi
del paternalismo degli esperti, soprattutto di quelli che
sostanzialmente si sono trasformati in politici, e a prendersi carico
della tutela della propria salute a livello individuale e collettivo,
anche partecipando a valutare le finalità e i metodi della
ricerca nei laboratori e altrove.
5.
L’altro argomento che in questo tipo di polemiche riemerge
puntualmente e inesorabilmente è quello che vorrebbe difendere
la vivisezione in nome della “libertà di ricerca”.
La “libertà di ricerca”, che è cosa diversa
dalla libertà di opinione,
non mi risulta sia mai stata riconosciuta in nessuna carta
costituzionale, per ragioni che un po’ di riflessione renderebbe
presto evidenti a chiunque. D’altra parte non si sa se piangere o
ridere a sentir parlare di tale presunta libertà in un paese
in cui importanti ricerche di storia e sociologia politica del 20o
e 21o secolo
sono state regolarmente ostacolate dalla segretazione o addirittura
distruzione di documenti cruciali; e in un mondo in cui personaggi
come Bradley Manning, Julian Assange e Edward Snowden, che dovrebbero
essere idolatrati da chiunque credesse veramente nella “libertà
di ricerca”, sono invece trattati come criminali efferati dal
governo degli Stati Uniti, con la volenterosa complicità del
nostro e di altri governi, e nel totale silenzio dei sedicenti
difensori della suddetta libertà.
A
meno che, quando si parla di “ricerca” o “ricerca
scientifica”, non si intenda soltanto quella biomedica:
un’accezione di comodo per la quale è impossibile trovare una
giustificazione coerente.
Per
parte mia, ritengo anzi che una maggiore libertà di ricerca
storiografica (compresa
la storia degli ultimi 50 anni, ovviamente)
potrebbe avere sull’intera società
effetti benefici di gran lunga superiori a quelli che si possono
ragionevolmente sperare dalle ricerche condotte nei laboratori
biomedici.
6.
Venendo poi al merito della questione vivisezionista, la mia
posizione è che, anche a prescindere dalle importanti
considerazioni collegate al rispetto dovuto agli animali, la
vivisezione è metodologicamente una causa persa. È
cioè impossibile dire a favore della vivisezione, nel senso
fondamentale
della modellizzazione
delle problematiche mediche umane su altri animali,
cose sensate
e veritiere che convincano chi non vi abbia un interesse
carrieristico o economico, diretto o indiretto.
Ci sono autorevolissimi studi che dimostrano, ovviamente per chiunque
sia disposto ad arrendersi all’evidenza, che il potenziale predittivo
della sperimentazione animale è poco diverso da quello che ci
si può aspettare dal caso, e anche il potenziale euristico (se
si pensa non in generale a un vago “progresso della
conoscenza”, ma alle possibili applicazioni cliniche) è
pressoché inesistente.
Avendo
fornito numerosi riferimenti a prova di questi enunciati in articoli
precedenti [8-13], qui mi limiterò a due sole citazioni
recenti.
Uno
dei più acuti analisti della letteratura medica contemporanea,
John Ioannidis, ha scritto in un articolo apparso nel settembre 2012
che «it is nearly impossible to rely on most animal data to
predict whether or not an intervention will have a favorable clinical
benefit–risk ratio in human subjects» [7]. Ecco una
traduzione letterale:
«è
quasi impossibile fare affidamento sulla maggior parte dei dati
ottenuti su animali per predire se un certo intervento avrà o
no un rapporto favorevole benefici-rischi a livello clinico in
soggetti umani».
Per
capire il significato e l’importanza di questa affermazione bisogna
ricordare che i fautori della vivisezione non dicono che “forse/in
teoria/in un lontano futuro”, la loro metodica potrebbe fornire
essenziali garanzie alla medicina. No, sono più di due secoli
che dicono che già lo fa. Alla luce della citazione (e
di tante altre analisi che puntano nella medesima direzione) penso
dunque che si possa considerare legittima la classificazione di
questi autori, secondo la felice espressione di Ruesch, come «falsari
della scienza» – o, più caritatevolmente,
propagandisti con finalità extrascientifiche.
L’università
dove Ioannidis lavora si è affrettata a cercare di
neutralizzare il colpo andandolo a intervistare e intitolando
l’intervista così: “Studi su animali: necessari
ma spesso difettosi, dice Ioannidis di Stanford” [3]. Ioannidis
all’intervistatore ha rilasciato una dichiarazione riassuntiva, in
cui conferma che
«l’evidenza
preclinica su animali correntemente pubblicata sembra avere una
concordanza molto limitata con quello che vediamo negli umani. Quasi
tutto sembra funzionare sugli animali, e poi quasi niente funziona
sugli umani».
Ioannidis
è un riformatore e non un rivoluzionario, e premette che
secondo lui «la ricerca su animali è estremamente
importante [N.B.: non dice “necessaria”], e in teoria
può offrire preziose intuizioni precliniche».
Secondo me, invece, il fatto che uno studioso intelligente come
Ioannidis debba dire che qualcosa che sta in giro da secoli è
estremamente importante per ciò che in teoria
può offrire (e forse per altre ragioni che però non
sono specificate), fornisce a sua volta «preziose intuizioni»
sulla struttura del mondo accademico e della comunità
biomedica.
Se
ho citato Ioannidis è non solo perché è a mio
parere uno dei pochi autori di fama che si occupino con competenza
dei problemi reali della ricerca biomedica, e non solo perché
sicuramente non è un animalista (il che rafforza, non
diminuisce, il valore delle sue conclusioni scettiche, contrariamente
a ciò che pensano certi scrittori della domenica). L’ho citato
anche perché è stato invitato a tenere una lezione
magistrale all’istituto Mario Negri di Milano il 6 luglio 2012. È
un bel riconoscimento. Chissà se abbia incontrato Garattini, e
se sì che cosa si sono detti.
7.
La mia seconda e ultima citazione è tratta da un articolo
molto recente [6] di un notissimo e autorevole esperto della
questione del valore della sperimentazione animale, Thomas Hartung. È
una delle sue principali considerazioni, che fa da titolo a una
sezione: «Se gli animali facessero gli indovini dell’efficacia
dei farmaci, non farebbero un sacco di soldi…» («If
animals were fortune tellers of drug efficacy, they would not make a
lot of money…»).
La
frase ha una forma umoristica, basata sul fatto che tutti sappiamo
che gli animali, poveretti, non giocano affatto a fare gli indovini,
e sicuramente non ci guadagnano nulla in nessun caso. I veri indovini
in questione sono i vivisettori. Ma ecco che se si sostituisce il
vero soggetto, la frase non funziona più: perché
l’industria della vivisezione prospera sui propri fallimenti.
E questo davvero non fa ridere.
Chi
guarda alla questione in una prospettiva storica sufficientemente
ampia trova molte analogie nel passato. La storia della medicina è
piena di pratiche inefficaci e metodiche inconcludenti che nondimeno
hanno fornito per secoli i mezzi per un’esistenza più o meno
agiata a interi ordini professionali. Non è che tutti ci
credessero, ovviamente. Adattando un detto attribuito a Catone al
caso della vivisezione, direi che c’è da meravigliarsi che un
vivisettore non scoppi a ridere quando gli capita di incontrarne un
altro. E infatti, «quante cose che costoro predicono si
avverano? E se qualcuna si avvera, che ragione c’è di ritenere
che non sia per un caso?». Oggi abbiamo dati e analisi sempre
più precisi che confermano le peggiori risposte a entrambe le
domande.
Marco Mamone Capria
Link: http://www.hansruesch.net/articoli/Sarzana.html
26.08.2013
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