DI STANLEY L. COHEN
counterpunch.org
“I torti che ci sforziamo di condannare e di punire sono stati così premeditati, così malvagi e così devastanti, che una civiltà non può tollerare che essi vengano ignorati, perché non potrebbe sopravvivere alla loro reiterazione”
Con queste autorevoli parole, Robert H. Jackson, Procuratore Capo per gli Stati Uniti, aveva aperto i lavori del Tribunale per i Crimini di Guerra a Norimberga, Germania, subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
Incaricato di accertare la colpevolezza di esponenti di spicco dell’esercito, della politica e dell’apparato giudiziario per le violazioni alle leggi internazionali... comprendenti crimini di guerra, crimini contro l’umanità e contro le leggi di guerra…il tribunale aveva validato il principio della responsabilità personale per il genocidio nei confronti degli Ebrei e di altre etnie, che erano state considerate, dallo stato tedesco, una minaccia alla propria, dichiarata, supremazia razziale, religiosa e politica.
Sebbene questi reati si fossero manifestati in forme diverse, la loro efferatezza derivava, in realtà, da un pensiero collettivo condiviso, che considerava tutti quelli destinati ad essere soppressi dallo stato non solo (esseri) inferiori, ma indegni della vita stessa… uomini, donne e bambini, giovani e vecchi, ridotti a poco più di oggetti di grottesca derisione, la cui sola esistenza contaminava il concetto nazionale di supremazia della razza.
Non ci sono più segreti sulla campagna di terrore scatenata dal Terzo Reich, mentre invadeva nazioni e scatenava una violenza internazionale mai vista prima di allora. Neppure sono mai stati soggette ad un serio dibattito le sue modalità di guerra totale, sia verso i militari, che contro i civili. Anche se qualcuno ha scelto di contestare il numero delle vittime o di rielaborare gli esatti strumenti della persecuzione, nessuno storico serio dubita del ruolo avuto dai carri bestiame, dai ghetti e dai forni crematori nello sforzo cosciente di zittire le diversità della vita, mentre la maggior parte del mondo guardava altrove.
Questa attacco contro l’umanità non si è sviluppato in una notte, o in un vuoto pneumatico, manifestandosi con un’aggressione improvvisa. E’ venuto dopo una ben calcolata ed efficace riscrittura storica… una lenta, ma costante ricollocazione di intere popolazioni… che le ha private della loro storia, della loro cultura, del loro fine comune e del loro decoro.
Quello che era iniziato con il rogo dei libri ed il silenzio della stampa era diventato in breve una propaganda di successo, che aveva gettato un’ombra minacciosa su milioni di persone, la cui unica colpa era quella di parlare una lingua diversa, di avere una fede diversa o di chiedere giustizia. Una volta arrivati a questo punto, passare all’aggressione, o peggio, era stato veramente un attimo.
La ripetizione della storia
Pur con la coscienza e la visione esterna di persone estranee ai fatti, oggi è semplicemente impossibile non provare un senso di assoluta repulsione se, da persone caritatevoli, si fa una valutazione onesta di Israele.
Dimenticatevi il senso di umanità, la compassione o qualche altro elevato concetto riguardante nobili finalità collettive. In questo momento, Israele ha ridotto queste pietre miliari dell’idea stessa di decenza ad una flebile finzione…una narrativa di successo per una esistenza perversa, che schiaccia verità e giustizia come fossero tediosi ostacoli al proprio, ormai pluridecennale, pogrom etnico e razziale nei confronti dei diversi.
Israele, quello che fa, lo fa bene. Maledettamente bene. No, non si tratta dei massacri, delle torture, delle incarcerazioni senza termini e della confisca delle terre, queste sono cose risapute. Un oscuro, assolutamente pubblico, quasi orgoglioso record di “risultati”, che non ha assolutamente precedenti quando si parla di disprezzo, oggigiorno, per le leggi e le normative internazionali.
Come i suoi predecessori, ciò in cui eccelle veramente è la grande bugia… l’opportunistica riscrittura della storia, l’abilità di riplasmare ciò che è stato ieri, l’oggi e sicuramente il domani in un percorso di diritto in cui nessun oltraggio è inaccettabile, nessun crimine troppo efferato, nessuna offesa troppo offensiva. Il tutto, naturalmente, incastonato nel talismano della sopravvivenza. E’ un’abilità.. una perversa forma d’arte politica che trasforma le verità scomode in dogmi egoistici, con conseguenze letali anche troppo prevedibili.
A differenza dei rari regimi ferocemente autocrati o temporaneamente dispotici, Israele ha creato e perfezionato un controllo selettivo della realtà, collaudato ormai in modo assolutamente magistrale. Ben prima che gli antropologi delle Nazioni Unite scoprissero uno stato europeo nel bel mezzo della storia araba, i Sionisti avevano affinato l’arte dell’imbroglio fruttifero.
Così, un centinaio di anni fa, i terroristi europei erano diventati dei famosi combattenti per la libertà, mentre massacravano i Palestinesi che dormivano nei loro letti o nelle loro culle. La Nabka, una fuga precipitosa di almeno un milione di Palestinesi, innescata da omicidi e stupri di massa, è stata rivisitata con storica leggerezza e trasformata in una migrazione volontaria… un trasferimento di paesani irrequieti alla ricerca di una vita migliore, in un posto migliore.
I Kibbutzim, illuminate comuni socialiste che, quasi a rinnovarsi per magia, fiorivano in lande da lungo tempo desolate. Magari proprio sulle rovine dei vecchi villaggi e sui loro resti decomposti sotto il primo strato di sabbia?
Gli insediamenti, un’opportunità di impiego per una forza lavoro turbolenta, che aveva bisogno di motivazioni e disciplina. L’assedio di Gaza… niente affatto un premeditato embargo di cibo, medicine, acqua, energia elettrica e libertà di movimento per spezzare la volontà di due milioni di persone, ma piuttosto un generoso aiuto per liberarli dalle pastoie del loro idealismo primitivo e dal terrore di Hamas.
Presentandosi come una democrazia sotto assedio, Israele ha ormai da tempo abbandonato ogni pretesa di equità e di giustizia, nella sua infinita bramosia di annettersi quel poco che resta della Palestina e così, con questo suo tentativo, esalta uno stato ebraico, a tutti gli effetti, razzista.
Questa pulsione alla supremazia razziale è stata resa possibile non solo dal trascorrere del tempo o da una perdita di interesse da parte della comunità mondiale. Durante questo percorso, certamente di proposito, Israele ha sfruttato con successo la paura e l’ignoranza dell’Occidente riguardo alle comunità arabe e mussulmane. Ultimamente ha poi trovato dei volenterosi compagni in alcuni stati arabi, ansiosi di passare dal mezzo servizio al partnernariato a tempo pieno, essendo venuto a noia il “dilemma” rappresentato dalla Palestina.
In Israele e nei territori occupati, il catalogo delle modalità di sostituzione etnica è praticamente infinito. Con uno schiaffo… una pugnalata, un libro… una bomba, una preghiera… una provocazione, la narrativa sionista ha, da lungo tempo, fatto sparire ogni pretesa di rilevanza e, ancora meno, di realismo. E, comunque, da tempo immemorabile la maggior parte del mondo ha guardato sgomenta e si è bloccata, ipnotizzata da una continua diffusione di propaganda, di origine israeliana ma con echi provenienti anche dall’estero.
In ogni caso, negli ultimi dieci giorni, questo falso piedistallo di morale ha iniziato a collassare, perché i venti della verità hanno scoperchiato quella maschera di odio che è l’essenza stessa di Israele. In questo periodo, decine di migliaia di pacifici e disarmati dimostranti hanno marciato verso le barricate della prigione di Gaza, unicamente per andare incontro ad una carneficina.
Non è necessario ripetere, in tutti i dettagli, le storie dei massacri avvenuti dopo che centinaia di cecchini, droni e carri armati avevano fatto capire, con micidiale precisione, che tutti quanti erano bersagli giustificati (colpevoli) di niente più che proteste vocali. Quando il gas si era dissolto, quelli “fortunati”, giovani, donne, bambini, vecchi ed anche giornalisti, giacevano paralizzati dagli effetti devastanti di un attacco chimico, simile a quelli riferiti di tanto in tanto fin dal 2001, che aveva subito lasciato il posto a vomito e a tremori incontrollabili.
Altre migliaia, meno fortunate, sono state ferite da proiettili esplosivi ad alta velocità, destinati a strappare membra e a distruggere organi. I morti sono stati trentuno. Tutte le vittime sono state colpite alla nuca o alla schiena.
Che cosa c’è in una marcia pacifica, in una bandiera, in una canzone e in una danza Dabka che fa infuriare una forza di occupazione fino al punto da farle mandare i suoi cecchini a sparare con micidiale precisione, quasi fossero circondati da nemici armati fino ai denti?
La legge
Secondo le leggi internazionali, i crimini contro l’umanità comprendono “l’omicidio ed altri gesti inumani perpetrati nei confronti di tutta la popolazione civile… quando detti atti vengano eseguiti o tali persecuzioni portate a termine in esecuzione di, o in connessione con, ogni genere di crimine contro la pace o (in connessione) con ogni genere di crimine di guerra.”
Un crimine di guerra è un atto che costituisce una “grave violazione delle leggi di guerra, da cui deriva la responsabilità penale individuale, che comprende l’uccisione intenzionale di civili… la distruzione di proprietà civili… e le violazioni gravi dei principi di distinzione e proporzionalità, come il bombardamento strategico delle popolazioni civili.”
Secondo la legge di guerra, le necessità militari sono sottoposte a diversi vincoli: un attacco o un’azione militare deve avere come scopo la sconfitta del nemico; dev’essere un attacco contro un obbiettivo militare legittimo e i danni causati ai civili o alle proprietà civili devono essere proporzionati e non eccedere l’effettivo e diretto vantaggio militare preventivato.
Secondo la legislatura umanitaria internazionale, la proporzionalità è il principio che regola l’utilizzo legittimo della forza in un conflitto armato; in base ad esso i belligeranti devono accertarsi che i danni provocati ai civili o alle proprietà civili non siano eccessivi, in rapporto ai benefici militari, concreti e diretti, che ci si attende da un attacco contro un legittimo obbiettivo militare.
Infine, “il fatto che una persona abbia agito eseguendo gli ordini del proprio governo o del proprio superiore non la esime dalla propria responsabilità, secondo la legge internazionale, dal momento che non le era stata preclusa la possibilità di operare una scelta morale.”
Questo per dire che non è accettabile una linea di difesa che si basi semplicemente sull’assunto che “stavo solo eseguendo gli ordini dei miei superiori.”
Per anni, mentre qualcuno disquisiva sulle regole della legislatura internazionale, la maggior parte del mondo è stata silenziosa, e di conseguenza complice, mentre Israele si macchiava di crimini indicibili contro la popolazione della Palestina, in gran parte civile.
Sebbene venga fatta spesso con sfumature diverse, o addirittura contorte, l’applicazione della legge ai fatti non è una questione di magia. Alle volte una semplice lettura di accordi legali ben consolidati, alla luce di eventi ben conosciuti, può portare anche una persona digiuna di legge, ma di sani principi, a concludere che, effettivamente, la legge è stata violata.
Mai prima d’ora l’indifferenza di Israele per la legislazione internazionale era stata così chiara, così visibile, così convincente come si è visto attraverso la lente di ingrandimento dei ripetuti massacri degli ultimi dieci giorni a Gaza, quando migliaia di civili hanno semplicemente manifestato, e lo hanno fatto in pace (solo) per dire “basta.”
Oggi, più di settant’anni dopo il processo di Norimberga, assistiamo ad un innegabile paradosso, perché quelli che, molto tempo fa, erano state le vittime del concetto di superiorità razziale, religiosa e politica sono essi stessi diventati adepti totali e volenterosi della stessa malvagia dottrina.
Con parole che avevano scosso il silenzio dell’aula nella maestosità del momento, il procuratore per i crimini di guerra Robert H. Jackson aveva trasmesso alle generazioni future un monito sui doveri che dovrebbero accompagnare la (vera) umanità:
“Non dobbiamo mai dimenticare che i fatti per cui oggi noi giudichiamo questi imputati sono quelli per cui la storia giudicherà noi domani.”
Stanley L. Cohen è avvocato ed attivista, risiede a New York City.
Fonte: https://www.counterpunch.org
Link: https://www.counterpunch.org/2018/04/13/when-zionism-rubs-up-against-reality/
13.04.2018
Scelto e Tradotto da Markus per www.Comedonchisciotte.org