DI ISRAEL SHAMIR
unz.com
L’atteso incontro è andato molto meglio del previsto. Le aspettative erano molto basse, soprattutto dopo la visita di Trump a Varsavia, dove ha recitato obbedientemente le banalità della guerra fredda impostegli. The Donald era stato mandato da Washington al G20 di Amburgo con un avvertimento: doveva parlare con Putin solo in presenza di “adulti”, come la zia Fiona (Hill) o lo zio HR (McMaster), ben noti per la loro avversione verso i russi.
Lo hanno avvertito che, tranne un attacco nucleare, ogni altra reazione verrà considerata tradimento. Tutti i neocon gli hanno detto di umiliare il russo e metterlo al suo posto. Non gli hanno neanche permesso di avere un adeguato incontro con Putin, con un programma completo, consiglieri e ministri, preferibilmente lungo alcuni giorni, in un formato simil Camp David. Hanno però fallito miseramente.
L’incontro ai margini del G20 è diventato l’evento centrale. Quando i due si sono incontrati, si è sùbito manifestata la reciproca simpatia. All’inizio, Putin è stato molto riservato, pronto ad un possibile rifiuto. Ma Trump lo ha messo abilmente a proprio agio.
Invece dei trenta minuti pianificati, hanno parlato per più di due ore; anche un tentativo di Melania di farli smettere è andato a vuoto. Non riuscivano a separarsi. Dopo mesi di separazione forzata dall’élite, i due si sono finalmente trovati.
I media occidentali, nel disperato tentativo di mettere zizzania, hanno parlato di unsa vittoria di Putin. Secondo il liberale Center for American Progress Action Fund, Trump si è “arreso ai russi”. Speravano che il vanitoso POTUS si arrabbiasse per esser stato “battuto” da Vlad. Noi invece non la pensiamo così. Entrambi hanno vinto, e noi con loro.
Ad un evento del genere, difficilmente ci si può aspettare risultati tangibili. Creare condizioni per una futura collaborazione è sufficiente. E comunque alcuni obiettivi sono stati raggiunti.
Vi suggerisco di guardare “Putin Interviews” di Oliver Stone per capire il personaggio. Nel film, Stone gli chiede conto delle accuse di aver interferito nelle elezioni americane, e Putin gli risponde esplicitamente. Dice di aver offerto ad Obama un accordo sulla sicurezza informatica, in cui era descritto in dettaglio cosa gli stati possono e non possono fare nel cyberspazio.
Gli Stati Uniti non accettarono l’offerta perché non volevano dar via la propria superiorità nel campo. “Secondo un anonimo funzionario di intelligence americano, l’amministrazione Obama ha penetrato le reti di telecomunicazioni russe ed i sistemi di comando del Cremlino. Il presunto hack significa che parti critiche dell’infrastruttura russa sono ora vulnerabili all’attacco da parte di segrete cyber-armi americane”, riferisce un’agenzia di stampa australiana.
Considerato che la NSA spia tutto e tutti, la presenza di “hacker russi” sa di balla. Sono invece i russi a vedersi spiate dai servizi americani milioni di chiamate ogni anno, come detto da Snowden. L’idea di elaborare e concludere un trattato che proibisca l’hacking offensivo è buona e tempestiva. Ad Amburgo, Trump ha convenuto sull’argomento, e così i due presidenti hanno deciso di nominare una commissione bilaterale per risolvere il problema. Sarà un bene per tutte le nazioni, non solo per gli americani e i russi, dato che la NSA spia anche gli alleati americani, tra cui la Merkel.
Il trattato dovrebbe riguardare anche virus particolarmente pericolosi, tipo Stuxnet, scatenato contro l’Iran, e le versioni più recenti come WannaCry. Assange ci ha detto che provengono dalla NSA, ed hanno già causato problemi, prima in alcune banche russe poi in alcuni ospedali britannici. Il trattato dovrebbe far sì che la fabbrica di virus NSA venga sottoposta a controlli.
Hanno anche parlato di interferenze nelle elezioni. Non quelle russe nelle ultime elezioni americane, ma quelle americane nelle elezioni in Russia, Francia e altrove. Trump ha detto che anch’esse dorebbero essere coperte dal trattato e fermate. I globalisti si sono allarmati: come si può confrontare l’intromissione russa con i nostri interventi pro-democrazia? Questo mi ricorda una vecchia barzelletta ebraica, di prima della prima guerra mondiale: – Ammazziamo i turchi! – E se ci uccidono loro? – E perché dovrebbero farlo? Non gli abbiamo fatto niente!
“Come puoi paragonare” è una frase tipica degli ebrei, spesso usata quando si confronta un ebreo ucciso e un palestinese ucciso. Non l’ho mai capita. Se è giusto che gli americani si intromettano nele elezioni russe, perché non vale il viceversa? Forse i due presidenti decideranno di cessare le reciproche intromissioni, ma non ci credo molto.
Hanno fatto un passo in avanti anche in Siria, approvando l’accordo preparato dalle loro squadre ad Amman, in Giordania. Per la prima volta, questo contiene una dichiarazione a favore dell’integrità territoriale siriana, un importante successo russo. Se portato a termine, l’accordo porterà ad un cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale, nell’area adiacente al confine giordano ed alla linea d’armistizio israeliana sulle alture del Golan.
Con una mossa a sorpresa, Trump ha deciso che la zona verrà presidiata dalla polizia militare russa, cosa molto contestata dagli israeliani. Nonostante le frequenti visite a Mosca, loro si fidano realmente solo degli U.S.A. Per i politici israeliani, dovrebbero esserci truppe americane a terra, e nessuna truppa russa vicina ai propri confini. Se la polizia militare russa dovesse effettivamente pattugliare la zona, gli israeliani dovranno mandar giù un rospo bello grosso.
C’è un’altra sfumatura: nella polizia militare russa in Siria ci sono molti ceceni, bravi combattenti, di fede musulmana e devoti a Putin – anche se li ha combattuti, sconfitti e riportati sotto la legge del Cremlino. Un tempo, i nemici della Russia dichiaravano il proprio amore per i ceceni: ora non più. Ora il loro leader Ramzan Kadyrov, figlio del loro precedente presidente ribelle e lui stesso un ex ribelle, è un forte sostenitore di Putin e oggetto di una campagna di odio da parte dei liberali occidentali – e dei nazionalisti russi. Il posizionamento dei ceceni nella polizia militare in Siria è un successo delle politiche del presidente.
Questa settimana, le autorità russe hanno bloccato l’accesso del pubblico al sito Sputnik e Pogrom, di destra e nazionalista. Il che è curioso, dato che prende il proprio nome dalle sole due parole russe presenti nei dizionari inglesi. Sono simpatizzanti nazisti, come i nazionalisti ucraini, il che non è ben visto in Russia, che il nazismo l’ha combattuto. Il suo capo redattore, in un editoriale del 22 giugno, ha scritto che ogni buon russo era felice quando i tedeschi hanno invaso il paese.
Sono anche ferventi anticomunisti, anch’essa cosa non molto popolare in Russia. Il sito è stato creato con l’aiuto dei servizi occidentali per seminare discordia tra i cittadini russi di diversa origine etnica, proprio come lo fu l’americana Radio Liberty nei giorni sovietici. Fomentano ostilità tra russi ed ucraini e tra russi e gli abitanti del Caucaso.
Come spesso accade ad organizzazioni del genere, malgrado il nome del sito (il pogrom era, dopo tutto, una rivolta anti-ebraica), sono piuttosto pro-ebraici e ferventemente pro-sionisti. Altrimenti, la CIA non li sosterrebbe. D’altro canto, hanno sempre qualcosa da dire su Putin (lo odiano) e sui ceceni e il loro leader.
Ora vediamo che Vlad aveva ragione ad incoraggiare i ceceni a combattere per la Russia. È veramente una buona idea usare i musulmani sunniti come forze di polizia in quest’area sunnita, liberata dall’ISIS. I ceceni peraltro sono noti come combattenti feroci con cui nessuno vuole avere a che fare. È meglio averli dalla propria parte, e vale sicuramente la pena bloccare il sito Sputnik e Pogrom, lasciando da parte le considerazioni morali.
I due presidenti hanno parlato della Corea del Nord. Alcuni anni fa, i russi avevano sostenuto sanzioni contro la DPRK, e gli americani non hanno avuto alcun problema nel commissionargliele al Consiglio di Sicurezza. Non è più così. Il mese scorso, i russi hanno fatto un cambiamento radicale sulla Corea. Ora sono fortemente contrari a sanzioni che potrebbero economicamente soffocare il paese e sono sicuramente contro l’azione militare lì. La posizione russa si è dunque abbastanza avvicinata a quella coreana, sorprendentemente più di quella dei cinesi, nonostante il fatto che il commercio cinese con la Corea limiti quello russo. Se gli americani vogliono che Pyongyang la smetta con i propri test nucleari, Putin ha detto a Trump che devono astenersi dall’effettuare esercitazioni militari di larga scala. I russi vogliono anche incoraggiare il dialogo nord-sud Corea. Tale dialogo aveva avuto molto successo a suo tempo, ma poi gli Stati Uniti hanno interferito nelle elezioni sudcoreane e hanno bloccato i politici pro-dialogo. I governanti del Nord, tuttavia, vorrebbero che il dialogo riprendesse, avendo in mente una Corea unica. I russi e i loro alleati cinesi si oppongono fortemente al sistema americano di difesa missilistica THAAD installato in Corea del Sud.
Sull’Ucraina, i presidenti hanno convenuto di istituire un canale bilaterale di comunicazione tra l’ambasciatore statunitense e la sua controparte russa. Hanno anche confermato la loro fiducia negli accordi di Minsk, un importante risultato diplomatico per i russi. Tuttavia, questi accordi non hanno impedito alle truppe di Kiev di bombardare le città del Donbass.
Per riassumere, Putin e Trump sono riusciti a trovare dei punti comuni, a dispetto di tutte le previsioni. I loro successi immediati sono modesti, ma hanno preparato il terreno per progressi. I futuri passi dipendono soprattutto dalla capacità di Trump di sopportare la pressione, di liberarsi dai suoi controllori. È il primo presidente americano a sperimentare un attacco continuo dei media, e nonostante tutto è ancora in piedi. Sembra che i suoi consiglieri lo esortino a cedere ai suoi nemici nei media e nel congresso, ma lui è un uomo ostinato. Ha anche scoperto che in Putin può avere un vero amico e partner.
Il mondo è cambiato: negli anni ’80 i russi erano felici che il loro leader, Gorbachev, si fosse incontrato con Reagan e che fosse stato lodato dai media occidentali. Pensavano fosse naturale che il russo ammirasse l’americano. Ai tempi, il sostegno occidentale era un asset vitale per un politico russo. Gorbachev infatti salì al potere solo dopo la benedizione della Thatcher.
Ora i russi sono felici di avere un leader forte e resistente ad ogni tipo di pressione. Se è odiato dall’Occidente, vuol dire che sta facendo qualcosa di buono. Probabilmente i media occidentali, se vogliono minarlo, dovrebbero cominciare ad elogiarlo.
Israel Shamir
Fonte: www.unz.com
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10.07.2017
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG