PIU' TIFO, MENO COSCIENZA SOCIALE

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DI CARMELO R. VIOLA

Calcio e criminalità

Il capitalismo è di per sé un’entità patologica (con buona pace di quanti ancora dal governatore di Bankitalia in giù, ne parlano senza turarsi il naso) che si copre di pustole – come nella terribile malattia del pèmfigo – che scoppiano una dopo l’altra. Ogni volta è uno “scoppio di scandalo” e ci si chiede come sia potuto avvenire. Non si vuole ammettere che il capitalismo è questo: un “trinario” di criminalità: una legale (vedi chi si arricchisce “nel rispetto delle regole” e viene perfino insignito del titolo onorifico di “cavaliere” – sic!); una paralegale (dalla “mafia” alla cosiddetta criminalità economica comune, per fame e/o emulazione); la terza “intralegale” (del tipo “tangentopoli”).

La pustola (o bubbone, se si preferisce) calcio sarebbe scoppiata prima o poi perché si tratta del “normale andamento” del fenomeno di vocazione (da induzione contestuale) a possedere e ad essere potenti sempre di più. Il sufficiente è quanto meno noioso.

L’organizzazione del calcio è tutto fuorché un gioco e per comprenderlo non occorre conoscerne la tecnica. Un gioco è un’attività fisiologica che s’inserisce fra tutte le altre attività del soggetto e, come ognuna di esse, “nella giusta misura” con la sola eccezione della creatività che fa l’artista. Non è un mestiere e soprattutto non può essere l’espediente per camuffare, attraverso competizioni agonistiche, il fine di una “predazione”. Ma in un contesto capitalistico – competitivo per definizione (l’agonismo è un modus di derivazione animale, molto in auge nelle prime civiltà, comprese quelle greca e romana) è difficile l’esistenza di un gioco soltanto dilettantistico-ricreativo e affratellante. Nel caso in questione siamo al nonplusultra.

Il calcio, di cui si parla, è lo spettacolo pubblico di un gioco, giocato da professionisti, non fine a sé stesso ma ad una successione di conquiste in ragione delle quali aumentano i compensi degli attori fino a raggiungere cifre da capogiro: un vero impudico insulto alla povertà e al senso di giustizia. Pertanto, le squadre non hanno l’obbligo della rappresentatività locale, nel senso che una di Milano può ingaggiare dei giocatori torinesi o dei sudafricani. Questi sono vendibili come merce (vedi il calcio-mercato). A loro volta, le società “sportive” sono imprese affaristiche, ora di stampo neoliberista finalizzate ai profitti parassitari, che, nei livelli più alti della gerarchia calcistica, fanno soldi a palate. I loro titolari sono dei veri “padreterni” ancora più ricchi e potenti dei “giocatori” che usano come pedine. Il tutto avviene in nome dello sport!

In tale contesto, il calcio, come semplice gioco sportivo (certamente utile alla buona salute) non viene diffuso (popolarizzato), al contrario, viene negato ai più, i quali ripiegano nel cosiddetto “tifo”, che è un gioco “per partecipazione mentale-emotiva” (cerebrale, insomma).

Accanto all’affarismo esasperato, che porta alla tentazione del doping sui campi dello spettacolo e ai brogli nelle sfere della regia, avvengono almeno altre quattro fenomeni negativi: a) una crescente espansione nel tempo di uno pseudo-sport che, dalla cadenza settimanale è passato pian piano alla quotidianità; b) la generale assenza di pratica sportiva sostituita dal “tifo” che alimenta l’inerzia; c)la crescente ostilità fra le “tifoserie”, che superano di molto le antiche contrapposizioni campanilistiche e producono violenze fino all’aggressione e all’omicidio (come da cronaca locale e mondiale); il tifo è un surrogato psicodinamico dell’eterofobia, dell’odio sociale e, per estensione, dello spirito bellico. Siffatto sport non affratella – come bugiardamente dicono i manovratori dei favolosi giri d’affari del settore: a smentirli basta il crescente ricorso alle forze dell’ordine per prevenire o arginare le scene da vera guerriglia urbana. d) il tifo distoglie larghe masse del popolo dagli interessi sociali. Spesso si tratta dei cittadini bisognosi che nel tifo cercano una compensazione psicologica alle frustrazioni esistenziali o uno sfogatoio della loro “rabbia” di cittadini non tutelati dal pubblico potere (il che in altre circostanze diventa vandalismo). Questa è la dimensione demagogica molto utile ai vari governi di un sistema che non può realizzare la giustizia distributiva secondo il diritto naturale e che quindi non può andare fino in fondo nella prevenzione-repressione della violenza dei tifosi per il rischio di privarsi di una comoda copertura “democratica “ (sic); inoltre, spiega la crescente occupazione di spazi nelle televisioni – vergognosamente anche in quelle pubbliche – per meglio coinvolgere ed ottundere (ubriacare-drogare) milioni di “cittadini sovrani” distogliendoli dai propri interessi vitali.

Il gioco del calcio – così ridotto a strumento affaristico-demagogico – è uno dei principali “ottundori sociali” di paesi alla mercé di impostori che chiamano calcio un’attività profittifera aculturale e socialmente forviante. Trattandosi di una delle pustole del corpo del capitalismo, niente di straordinario che alla fine è scoppiata come una grossa bolla di pèmfigo, lasciando scorrere fuori il fetido pus di un organismo pietosamente ammalato. Processi sportivi e giudiziari non potranno andare fino in fondo (fino a dare un calcio ai responsabili mandandoli a lavorare!) e quindi non serviranno perché la causa principale è e resta il solo capitalismo.

Per concludere, accenno ad un avvenimento recente e reale. Il Catania è passato in serie A mentre l’Acireale (la squadra rappresentativa del comune catanese, da dove scrive) è stato retrocesso. Ebbene, a comprova che “il calcio affratella” (sic!), decine di migliaia di tifosi catanesi sono venuti più volte in questo comune per gridare ad alta voce la “gioia antropozoica” di essere superiori ai tifosi acesi insultando e, ove possibile, picchiando gli stessi e abbandonandosi ad azioni vandaliche. Interventi ripetuti e massicci delle forze dell’ordine, con arresti (ma anche con feriti!) sono serviti solo a condire un pandemonio degno di scene di “invasioni barbariche” di altri tempi. Resta la grande inesprimibile verità, comoda ai bugiardi di questo pubblico potere: “più tifo, meno coscienza sociale”!

Carmelo R. Viola
Fonte: http://www.rinascita.info/
Link: http://www.rinascita.info/cogit_content/rq_attualita/Calcio_e_criminalit.shtml
15.06.2006

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