Di Roberto Pecchioli, ereticamente.net
Leggiamo un articolo sull’aumento dei problemi mestruali delle “persone con l’utero “. Una breve ricerca conferma che l’espressione “persone con l’utero” è sempre più utilizzata in certi ambienti politici, accademici, perfino istituzionali. Le persone con l’utero, tenetevi forte, sono le persone che si identificano con il genere femminile loro attribuito alla nascita.
A vista, da antiquati ginecologi e trogloditi genitori (1 e 2, ma anche “gestanti e “non gestanti”, come recita il codice civile spagnolo). Ma non solo loro: sono persone con l’utero anche tutt* coloro che, pur non identificandosi come donne – ci scusiamo per l’uso di questa parola antica, retaggio del buio passato – ne hanno tuttavia i caratteri fisiologici.
Nella speranza che la medicina risolva le anomalie del ciclo , dobbiamo dire la nostra sulle derive psicosociali in cui si diffonde l’ orrendo sintagma “ persone con l’utero” inventato dai negromanti della comunicazione al posto della semplice, corretta, semplicissima, bellissima parola “donna”. Il primo elemento della perniciosa sottocultura queer (storto, bizzarro) – la quinta lettera dell’acronimo LGBTQ, ora seguito anche dalla I di intersessuale (?) e dal segno + che tutto vuol comprendere – è l’odio per la normalità. Io sono ciò che voglio, qui e adesso. Nessuno può eccepire; la società deve prenderne atto e rimuovere gli ostacoli – biologici, naturali, psicologici, sociali – che ostacolano la mia volontà sovrana.
Dunque donna e uomo, maschile e femminile vanno distrutti, anzi “decostruiti” . Il risultato sarà un androgino spurio, un ibrido tendente verso l’unico, l’identico, il transumano, benché nell’attuale fase di passaggio domini l’utopia diversitaria di mille identità agonistiche. L’influenza delle culture omosessualiste maschili esprime un odio implacabile per la donna in quanto fertile, portatrice della vita. Il corrispettivo è l’avversione del femminismo estremo per l’universo maschile, simbolo di forza, protezione, trasmissione di principi. Tutte queste tendenze hanno in comune l’odio di sé, della natura e della realtà, ovvero la radice gnostica. l’idea di una creazione imperfetta che alcuni illuminati hanno il diritto-dovere di modificare. Rappresentano la declinazione contemporanea del mito dell’uomo nuovo (pardon, della persona nuova) ereditato dalle ideologie del Novecento , il cui sbocco naturale è la (in)cultura della cancellazione.