PERCHE' HANNO PAURA DI MICHAEL MOORE?

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blankDI JOHN PILGER

In
Sicko, il nuovo film di Michael Moore, c’è una breve scena in
cui si vede un giovane Ronald Reagan mentre consiglia ai lavoratori
americani di respingere “la medicina socialista” come eversione
comunista. Negli anni 40 e 50 Reagan era stato alle dipendenze dell’American
Medical Association e faceva grossi affari come affabile portavoce di
un certo neo-fascismo deciso a persuadere l’uomo qualunque che i suoi
veri interessi, come il diritto alla tutela della salute, fossero
“anti-americani”.

Guardando questo, mi sono ritrovato
a pensare alle effusioni di commiato a Reagan quando morì tre anni
fa. “Molti credono – disse Gavin Esler nel programma Newsnight

della BBC – che lui ristabilì fiducia nelle azioni militari americane
e che fu amato persino dai suoi oppositori politici”. Sul Daily
Mail
Esler scrisse che “Reagan personificò il meglio dello spirito
americano – l’ottimismo di credere che tutti i problemi possono
essere risolti, che il domani sarà meglio dell’oggi, e che i nostri
figli saranno più ricchi e felici di quanto lo siamo noi”. Cotanto sbavare per un uomo che,
da presidente, fu responsabile del bagno di sangue del 1980 nell’America
centrale, e della nascita proprio di quel terrorismo che produrrà al-Quaeda,
diventò accettabile. La breve parte di Reagan in Sicko ci mostra
un raro momento di verità sul suo tradimento della nazione dei
“colletti blu” che affermava di rappresentare. Le slealtà di un
altro presidente, Richard Nixon, e di un possibile presidente, Hillary
Clinton, sono altresì smascherate da Michael Moore. Proprio mentre
sembrava che ci fosse poco ancora da dire sul grande infame del “Watergate”,
Moore tira fuori una conversazione registrata alla Casa Bianca nel 1971
tra Nixon e John Erlichman, il suo aiutante che finì poi in prigione.
Un ricco sostenitore del partito repubblicano, Edgar Kaiser, presidente
di una delle più grandi compagnie di assicurazioni contro le malattie,
è alla Casa Bianca con un piano per “un’industria nazionale per
la tutela della salute”. Erlichman lo presenta a Nixon, che ascolta
annoiato finché non sente la parola “profitto”. “Tutti gli incentivi
vanno nella direzione giusta – dice Erlichman – meno cure (mediche)
offrono, più soldi fanno”. A questo Nixon replica senza esitazione:
“Bene!”. Il fotogramma successivo mostra il presidente che annuncia
alla nazione che un pool di persone darà loro la “miglior tutela
della salute possibile”. In effetti è una delle peggiori e più corrotte
al mondo, come Sicko dimostra, un’assistenza medica che nega
un basilare trattamento umano a circa 50 milioni di americani e, per
molti di loro, il diritto alla vita.

La sequenza più angosciante è
quella catturata da una telecamera di sicurezza in una strada di Los
Angeles. Vi si vede una donna, con ancora indosso il pigiama ospedaliero,
che barcolla in mezzo al traffico, dove è stata scaricata dall’azienda
che gestisce l’ospedale (quello fondato dal sostenitore di Nixon)
a cui era stata ammessa. È malata e sconvolta, e non ha l’assicurazione
contro le malattie. Porta ancora il braccialetto di ammissione, da cui
però è stato cancellato il nome dell’ospedale.

Più avanti incontriamo quell’affascinante
coppia liberale, Bill e Hillary Clinton. È il 1993 e il nuovo presidente
sta proclamando la nomina della first lady, colei che soddisferà la
promessa fatta di dotare l’America di una “tutela della salute pubblica”
per tutti. E qui è la stessa “affascinante e arguta” Hillary, come
un senatore la descrive, a vendere la sua “visione” al Congresso.
Il ritratto fatto da Moore della loquace, civettuola, bieca Hillary
ricorda la splendida satira politica di Tim Robbins, Bob Roberts.
Ci si accorge subito che il cinismo le riempie la gola. “Hillary –
spiega Moore nel commento – fu premiata per il suo silenzio (nel 2007)
come la seconda più grande destinataria di contributi dall’industria
della sanità al Senato”.

Moore ha rivelato che Harvey Weinstein,
la cui ditta produsse Sicko, e che è amico dei Clinton, voleva
che questo commento fosse tagliato, ma lui si rifiutò. L’attacco
al candidato del Partito Democratico è una digressione per Moore, che
nella sua campagna personale contro Bush nel 2004 sostenne il generale
Wesley Clark, il bombardatore della Serbia, alla presidenza, e difese
Bill Clinton stesso, affermando che “nessuno è mai morto a causa
di un pompino”. (Forse no, ma mezzo milione di bambini iracheni morirono
per colpa delle sanzioni medievali imposte da Clinton al loro Paese,
insieme alle migliaia di haitiani, serbi, sudanesi e altre vittime di
queste sconosciute prevaricazioni.)

Con questa nuova apparente indipendenza,
l’abilità e il black humour di Moore in Sicko – che è un
brillante lavoro di giornalismo, satira e filmografia – spiega forse
meglio dei suoi film precedenti, Roger and Me, Bowling for Columbine
e Fahrenheit 9/11, la sua popolarità, influenza e capacità
di procurarsi nemici. Sicko è un film talmente valido che gli
si possono perdonare le lacune, in particolare il romanticismo circa
il Servizio Nazionale della Salute inglese, ignorandone il sistema a
“doppio strato” che trascura gli anziani e i malati di mente.

Il film apre con l’ironia di
un falegname che descrive come, dopo essersi amputato due dita con una
sega elettrica, avesse dovuto scegliere tra il pagare 60.000 dollari
per farsi ricostruire l’indice o 12.000 per il medio. Non poteva permettersi
tutti e due, e non era assicurato. “Essendo un romanticone – dice
Moore – scelse il dito dell’anello”, su cui portò la fede. L’arguzia
di Moore ci porta a scene roventi, tuttavia non sdolcinate, come quella
della sacrosanta rabbia di una donna alla cui bambina fu negata l’assistenza
ospedaliera e che di conseguenza morì. Entro pochi giorni dalla comparsa
di Sicko negli USA, più di 25.000 persone intasarono il sito
internet di Moore con testimonianze simili.

L’Associazione Infermieristica
della California e il Comitato Organizzativo Nazionale degli Infermieri
hanno mandato volontari per le strade con il film. “Dal mio punto
di vista – dice Jan Rodolfo, un infermiere di oncologia – questo
dimostra che esiste il potenziale per un movimento nazionale, perché
è ovvio che ispira moltissime persone ovunque”.

La “minaccia” di Moore è la
sua infallibile vista dal basso. Abroga il disprezzo che l’élite
e i media americani hanno per la gente comune. Questo è un soggetto
tabù tra molti giornalisti, specialmente quelli che affermano di essere
arrivati al “nirvana” dell’imparzialità e altri che si professano
insegnanti di giornalismo. Se Moore si fosse limitato a presentare le
vittime nel modo tradizionale di corse in ambulanza, lasciando gli spettatori
con gli occhi gonfi di lacrime ma paralizzati, avrebbe pochi nemici.
Non sarebbe guardato in cagnesco come un polemico o un arrivista, e
tutti i termini peggiorativi che si accollano a quelli che oltrepassano
l’invisibile linea di confine in una società dove la ricchezza è
equiparata alla libertà. I pochi che scavano a fondo nella natura di
un’ideologia liberale che si considera superiore, ancorché responsabile
di crimini di proporzioni epiche e solitamente negati, rischiano di
essere tagliati fuori dal “circuito virtuoso”, specialmente se sono
giovani – un procedimento che un mio ex editore mi descrisse come
“una specie di defenestrazione indolore”.

Nessuno ha fatto breccia come Moore,
e i suoi detrattori sono maligni nel dire che non è un “giornalista
professionista”, quando il ruolo del giornalista di professione è
spesso quello del furtivo zelota, servo dello status quo. Senza la “lealtà”
di quei professionisti al New York Times e altri augusti giornali
(perlopiù liberali), di queste istituzioni mediatiche “documentate”,
l’invasione criminale dell’Iraq potrebbe non essere avvenuta e un
milione di persone sarebbero oggi ancora vive. Collocato nel sancta
sanctorum di Hollywood – il cinema – il film di Moore, Fahrenheit
9/11
, ha gettato una luce in faccia a loro, ha raggiunto il vuoto
di memoria, e detto la verità. Ecco perché spettatori di tutto il
mondo gli riservarono una standing ovation.

Quello che mi colpì quando vidi
Roger and Me
, il primo film importante di Moore, fu l’invito ad
apprezzare la gente comune americana per le loro battaglie, per la loro
tempra, per la loro politica che va oltre l’assordante e finta industria
democratica americana. Inoltre, è chiaro che la gente si rende conto
che nonostante Michael sia ricco e famoso, dentro, è uno di loro. Uno
straniero che facesse qualcosa di simile sarebbe attaccato come “anti-americano”,
termine spesso usato da Moore per dimostrarne la scorrettezza. Con un
sol colpo lui si libera di quella semplificazione usata da una recente
serie di Radio 4 della BBC che presentava l’umanità come pro o anti-America,
mentre il cronista trasudava ossequio per l’America “la città sulla
collina”.

Proprio come tendenzioso è un
documentario chiamato Manufacturing Dissent, che sembra essere
stato cronometrato per screditare, se non Sicko, Moore stesso.
È stato girato dai canadesi Debbie Melnyk e Rick Caine, e la dice lunga
sui liberali cerchiobottisti e le lamentose gelosie suscitate tra gli
alti papaveri. Melnyk ci spiega fino alla nausea quanto lei ammiri i
film di Moore, la sua politica e quanto sia ispirata da lui, per poi
tentare di diffamarlo con una serie di spropositate affermazioni per
sentito dire circa i suoi “metodi”, condite da veri e propri insulti,
come quello del critico che contestava il “gruzzolo” di Moore e
di qualcun altro che riteneva che Moore odiasse l’America – che
fosse anti-americano, nientemeno!

Melnyk insegue Moore per chiedergli
perché, nel cercare un’intervista con Roger Smith della General Motors,
ha omesso di dire che gli aveva già parlato. Moore disse di avere sì
già intervistato Smith, ma questo molto tempo prima di iniziare il
film. Quando lei in altre due occasioni intercetta Moore durante una
tournée, rimane giustamente imbarazzata dalla sua gentile risposta.
Se esiste un revival di documentari, Manufacturing Dissent non
è tra i più meritevoli.

Non intendo dire che Moore non
dovrebbe essere ripreso e sfidato se prende scorciatoie o meno, proprio
come il lavoro del padre dei documentaristi inglesi, John Grierson è
stato riesaminato e rimesso in discussione, ma non con parodie irresponsabili.
Facendo però come ha fatto Moore, con giri di telecamere che rivelano
un “governo invisibile” di poteri forti e la loro spesso subdola
propaganda, è certamente il modo giusto. Nel far questo, il documentarista
rompe con il silenzio e la complicità descritta da Günther Grass nella
sua candida autobiografia Sbucciando la cipolla, silenzio e complicità
mantenuti da coloro che “fingendo la loro ignoranza dei fatti e garantendo
quella di altri sviano l’attenzione da qualcosa che si intende dimenticare,
qualcosa che comunque si rifiuta di essere dimenticato”.

Per me, il primo Michael Moore
è stato quell’altro grande denunciatore “anti-americano” , Tom
Paine, che ha dovuto subire la collera dei poteri corrotti quando ammoniva
che se alla maggioranza della gente erano negate “le idee della verità”,
allora era tempo di assaltare quella che lui chiamò “la Bastiglia
delle parole”, e noi chiamiamo “i media”. Quel tempo è scaduto.

John Pilger
Fonte: http://pilger.carlton.com/
Link: http://pilger.carlton.com/page.asp?partid=458
17.10.2007

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA

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