Di Massimo Selis, giubberossenews.it
Per alcuni, o molti, può sembrare scontato che si debba ancora parlare di Covid e di cosa esso abbia rappresentato e rappresenti. Altri invece, crediamo in numero decisamente maggiore, nonostante non abbiano minimamente assecondato la narrazione ufficiale, una volta ritornati alla “presunta normalità” hanno voluto, più o meno coscientemente, guardare avanti e non metterci più il pensiero o quasi.
Il variegato mondo dei “dissenzienti” rispetto alle folli imposizioni pandemiche può, oggi, suddividersi in uno di questi due gruppi. All’interno di ciascuno, vi sono senza dubbio delle sfumature e delle differenti intensità.
Ad esempio, molti non solo non ne parlano più apertamente in pubblico, ma nemmeno seguono più notizie e approfondimenti sulla questione. Come se fosse un drammatico episodio del passato su cui quasi stendere un rassicurante oblio. La vita di tutti giorni chiama, e non c’è tempo, né energie per riesumare quanto successo e le discriminazioni subite.
Vi sono anche coloro che vi mettono il pensiero assai di rado, ma se capita una conferenza o un altro evento sul tema cercano di essere presenti. In molti, anche se non lo ammettono, prevale ancora la rabbia. In altri, forse ancora più latente ma non per questo meno incisivo, si è adagiato uno stato simil depressivo, a seguito di ciò che si è subito, della cattiveria, ferocia in alcuni casi, ricevuta anche da parenti, amici, colleghi, ecc.
Ora però torniamo al punto di partenza, ovvero al fatto che sia oggi necessario continuare a parlare della “questione covid”, perché qui c’è stato e c’è un grande fraintendimento. Occorre arrivare alla motivazione prima per cui tale evento non può e non dovrà essere accantonato.
Dal 2020 noi abbiamo potuto constatare come oltre il 90% della popolazione del nostro Paese abbia assecondato ogni folle norma, all’interno di una narrazione che non poteva essere messa in discussione. Categorie come quelle della politica, della salute, della giustizia, dell’educazione e istruzione, della cultura, dell’arte, tanto per citare alcune fra quelle con importanti responsabilità sociali, hanno tutte viaggiato spedite sul sentiero della narrazione unica.
Cosa dice tutto questo se ci solleviamo dal piano della semplice analisi storica, scientifica, a quello metapolitico, che è il più importante? Qui l’uomo d’oggi difetta gravemente perché egli non sa più andare oltre l’analisi dei dati. Per cui ha un valore relativo se egli si posiziona dalla parte della maggioranza, del potere, o dalla parte minoritaria e antagonista, perché in entrambi i casi restano valide le “categorie di pensiero” dell’era moderna, le quali sono fallate perché totalmente antitradizionali.
I fatti parlerebbero chiaro se solo non avessimo paura di abbandonare le false categorie di pensiero della modernità. Essi ci raccontano di una crisi generale, radicale, irreversibile e pertanto “ultima” di ogni ambito dell’ordinamento sociale. Non parliamo di una crisi delle singole persone, ma di una crisi dell’umanità e della società tutta. Una crisi che doveva necessariamente erompere e manifestarsi in modo drammatico.
Non è tanto che la Storia abbia preso una nuova direzione dal 2020 in poi, quanto il fatto che vi era una storia – la minuscola qui è d’obbligo – che viaggiava in superficie, fatta dagli eventi che si concatenano e che noi interpretiamo solo attraverso analisi “orizzontali”. Ma al di sotto vi era la Storia – qui con la maiuscola – che sempre avanzava per condurre l’umanità verso il suo compimento. Questa Storia talvolta si manifesta in modi più “visibili” attraverso eventi che vanno letti chiaramente come dei Segni: l’evento covid è uno di questi.
Ecco che allora da quel 2020 la reale direzione della Storia si è palesata e a nessuno è più concesso di ignorarla, perché nulla da quel momento deve più essere come prima. Le idee stesse di politica, di istruzione, di cura, di arte, di cultura, di relazioni, e in ultima analisi di uomo, debbono essere messe in discussione per poi cambiarle. E cambiare radicalmente, così come radicale è la crisi che stiamo vivendo. Perché ognuno di questi ambiti oggi parla il linguaggio della fine, di una fine. E quando ci si approssima a tale compimento è sciocco pensare di apporre delle toppe, bisogna agire in chiave restauratrice, che è tutt’altra cosa. Lo sguardo deve farsi più che ideale, potremmo dire profetico, perché di veramente umano è rimasto davvero poco o nulla.
Molti si domandano come sia potuto succedere ciò che è successo. Chi vi scrive qui, invece, attendeva un tale evento da vent’anni, da quando ha iniziato a schiarirsi sempre meglio le idee su quale “tempo specialissimo” noi siamo chiamati a vivere. Non potevamo prevedere la natura dell’evento, ma sapevamo che un primo forte scossone sarebbe giunto. Perché era inevitabile. Perché era provvidenziale, in un certo senso. Sì, proprio così, provvidenziale! E che a questo scossone ne sarebbero seguiti altri, presumibilmente di maggiore intensità. E li attendiamo a breve.
Perché, potremmo chiederci? Affinché questa umanità si desti dal sonno in cui giace e comprenda come ogni aspetto del suo vivere, individuale e sociale, è pervertito, rovesciato. E come tale perversione opera più o meno sottilmente da lungo tempo, per cui nessuno può sentirsi esente. Le derive ideologiche e le follie pandemiche sono solamente i sintomi terminali di queste perversioni.
Il “Segno Covid” ci doveva destare dall’illusione di questa non-vita in cui lentamente siamo precipitati. In cui il lavoro è quanto di più disarmonico possa esistere, in cui la formazione è, se va bene, una trasmissione di conoscenze che non hanno più nulla di iniziatico, dove l’arte al massimo è piacevole intrattenimento o atto di denuncia, dove tutto, ma proprio tutto è antimetafisico. E l’uomo, prima ancora che un animale sociale è un animale metafisico. Ma forse noi oggi non sappiamo più nemmeno cosa significhi tale espressione, tanto per capire in quale abisso stavamo nuotando.
Questa società in cui noi siamo nati e cresciuti è destinata a sparire nel giro di pochi anni. Il quanto rovinosamente dipende in parte anche da noi. Non saranno le attuali strutture di potere a crollare su se stesse, ma l’intero edificio in cui ci sono anche i nostri lavori, i nostri studi, le nostre abitudini e così via. Il Segno parla di tutto ciò in maniera assai precisa, potremmo dire inequivocabile e ci impone di essere come i mandorli che fioriscono prima del concludersi dell’inverno annunciando la primavera. Simbolicamente essi sono i vigilanti, e così abbiamo da essere noi che mentre assistiamo al naufragare di un mondo, già ci adoperiamo per far sbocciare i fiori di quello a venire, anche se non lo dovessimo vedere con gli occhi esteriori. Non si tratta affatto di restare inerti e passivi, ma al contrario di adoperarsi con ogni mezzo e forza per costruire tutto il Buono, Il Bello e il Giusto che si potrà. E questo può avvenire solo e soltanto al di fuori delle comuni dinamiche sociali.
Ecco allora perché è imprescindibile parlare ancora di covid! Perché da quell’istante l’umanità è posta di fronte al suo destino, come di fronte ad un gigantesco specchio che le rimanda la sua immagine deforme e contemporaneamente la sua immagine gloriosa che deve riconquistare; perché è chiamata a riconoscere di essere l’umanità che deve vivere questa fine e il nuovo inizio. E come detto sopra, le prove proseguiranno ancor maggiori affinché ciascuno venga provato sino alla fine.
Ha senso oggi parlare di covid, e avrà ancora senso parlarne fra un anno, fra cinque, a patto però che finalmente lo si intenda come un Segno e si accetti di salire al piano di lettura metapolitico. Bisogna superare la contro-suggestione che ha cavalcato l’idea di una “soluzione” dentro la medesima cornice di questo mondo che è proprio quella che ha generato ciò che oggi vediamo. La Storia non si riavvolge.
L’evento covid è di portata universale, ma purtroppo non lo abbiamo inteso. Ci siamo comodamente assestati sul piano delle scontate partigianerie. Esso invece non parla solo a coloro che hanno assecondato la narrazione dominante, ma parla a ciascuno di noi e all’intera umanità perché tutti dobbiamo comprendere a fondo che delle forme mondane a cui siamo abituati non resterà pressoché nulla. Non è semplicemente il potere a manifestare le sue storture, ma la vita di ciascuno di noi. Bisogna scendere e comprendere in profondità il Segno. Alcuni hanno accettato di entrare in crisi e di comprendere. E si sono messi in cammino. Sono persone nuove che possono testimoniare come oggi vedano ogni realtà in modo diverso. Perché sì, per comprendere davvero bisogna passare per la crisi. Ci auguriamo che sempre più persone accettino questo piano di lettura della realtà. Sappiamo quanto sia difficile perché bisogna silenziare l’ego che vorrebbe solo trovare una soluzione dentro la cornice conosciuta. Che vorrebbe non vedere messa in discussione la sua realtà. Ma qui, vedete, ci stiamo confrontando con forze ben superiori al piano materiale. La Sapienza Tradizionale conferma al millimetro quanto esposto sin qui. Bisogna chiedersi se si vuol essere per la Verità e per la Vita o semplicemente ci si vuole accontentare di “avere ragione”.
Di Massimo Selis, giubberossenews.it
Fonte – https://giubberossenews.it/2024/06/19/perche-ha-senso-parlare-ancora-di-covid/