PEGGIO DI MCCAIN

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blankDI MIKE WHITNEY
Information Clearing House

Ogni quattro anni ci si aspetta che liberali e progressisti
mettano da parte le loro convinzioni per far quadrato attorno al candidato
del Partito Democratico. Questo rituale viene rappresentato immancabilmente
in nome dell’unità del partito. Non importa se il candidato è un
politico dalla parlata melliflua, disposto a gettare a mare colui che
da vent’anni è il suo pastore a causa di alcuni commenti imbarazzanti,
o se si rifiuta di difendere libertà civili fondamentali come il diritto
alla privacy sancito nel quarto emendamento. Quello che importa è che
al suo nome segua una grossa “D” e che mostri di voler attaccare
in qualche inutile giostra verbale il suo avversario repubblicano. Finora e per quasi un anno il pubblico è stato sottoposto a dosi costanti
di magniloquente arte oratoria del sig. Obama ed alle sue travolgenti
promesse che recitano: “Seguitemi nel Paradiso Terrestre”.
A queste infiorettature fanno seguito di solito dei “chiarimenti”
sulle questioni centrali che identificano Obama in un conservatore di
centro destra che non ha alcuna intenzione di minare lo status quo.
L’analista politico Alexander Cockburn l’ha sintetizzato così in
un recente articolo apparso su Counterpunch:

 
“Ultimamente sono apparsi molti articoli con titoli come “Obama
allunga a destra”. Io li trovo singolari. Mai per un momento Obama
mi ha dato l’impressione di uno ancorato, o anche mollemente ormeggiato
alle sponde della sinistra, o anche che mostrasse il minimo appetito
per le idee radicali, a parte qualche battuta buttata là dall’autobus
usato durante la campagna”. (Alexander Cockburn, “Potrebbe
esserci qualcuno peggio di Bush”?)

 
Cockburn ha ragione e la maggior parte delle persone lo sa. Semplicemente
fingono di non conoscere i fatti perché il pensiero che l’instabile
John McCain possa sedersi nella Stanza Ovale con le dita tozze a pochissima
distanza dal grande Interruttore Rosso è troppo pesante da sopportare.
Così riversano il loro sostegno su Obama e sperano per il meglio. Ma
Obama non ha fatto niente per meritarsi il loro voto e nulla indica
che abbia un qualche interesse a restaurare la repubblica o a porre
fine alla politica irresponsabile degli Stati Uniti. E’ solo un senatore
con un solo mandato, che non ha nessuna esperienza di politica estera,
che non vuole agitare le acque. Questo è tutto. Preferirebbe mantenere
sfocata la sua posizione sulle varie questioni e snocciolare frasi fatte
dal tono elevato piuttosto che dichiarare apertamente quello che pensa.
Purtroppo, quando viene pressato ed è costretto a dare una risposta
diretta, scarta prontamente a destra, dove si sente più a casa.

 
Tutto ciò preoccupa i fan di Obama che temono che, al di là della
fanfara retorica, Barak sia solo una zucca vuota; un uomo dalla parlantina
raffinata ma senza alcuna essenza morale. Non potrebbe forse essere
un altro “Slick Willie” [“Willie il Viscido”, nomignolo dato
all’ex presidente Bill Clinton, ndt], si chiedono? Un altro politicante
dedito all’auto-promozione, tanto desideroso di liquidare i suoi sostenitori
della classe operaia quanto di rincorrere una vivace stagista nella
camera da letto di Lincoln? Nessuno lo sa, perché nessuno è riuscito
a capire esattamente perché Obama sia in corsa. Vuole davvero risollevare
il paese dal fango degli otto anni di malgoverno di Bush, o vuole solo
andare a spasso sull’Airforce 1 e tenere discorsetti carini nel Giardino
delle Rose? Cos’è che spinge veramente Obama? E’ un mistero.

 
Ma non lasciatevi ingannare, Obama potrebbe rivelarsi peggiore di McCain,
molto peggiore. Nessuno mette in dubbio che sia più vivace e carismatico
rispetto all’irritante senatore dell’Arizona. E nessuno sottovaluta
la sua abilità, degna di un Pied Piper, di galvanizzare le folle e
di smuovere l’orgoglio nazionale. Ma a che serve tutto ciò? Obama
lavora per lo stesso gruppo di plutocrati corrotti di Bush; un fatto
che è risultato dolorosamente evidente proprio la settimana scorsa,
quando ha votato per l’approvazione del nuovo progetto di legge FISA
[Foreign Intelligence Surveillance Act, Legge sulla Sorveglianza dell’Intelligence
Straniera, che detta le procedure per la sorveglianza fisica ed elettronica
e per la raccolta delle informazioni sui servizi segreti stranieri,
ndt], che permette al presidente di continuare a spiare impunemente
i cittadini statunitensi. Obama è uno studioso della Costituzione;
capiva benissimo per cosa stava votando. Ha mandato ai suoi sostenitori
il messaggio che in realtà loro non contano; che ciò che conta davvero
è quel gruppetto di potenti corporatisti che guidano il paese e credono
che il presidente sia al di sopra della legge. E’ questo il vero significato
del suo voto.

 
Quindi perché votare per lui? Non ci serve un ragazzetto affascinante
che rovini la Carta dei Diritti. Qualsiasi vecchio autocrate lo farà.
Basta prendere un nome dalla lista degli “studiosi residenti”
dell’American Enterprise Institute. Quello dovrebbe farlo.

 
Né ci serve un altro presidente di cartapesta che cerchi di nascondere
i crimini di guerra degli Stati Uniti dietro dichiarazioni solenni e
ammuffite sul “fascismo islamico” e su altri rituali terroristici
oscuri. Abbiamo bisogno di qualcuno che abbia abbastanza coraggio e
tempra morale per riorganizzare la classe dirigente politica, porre
fine alle guerre e alle operazioni segrete, e dare una ripulita a Wall
Street.

 
Obama ha abbagliato i mezzi d’informazione con quel suo atteggiamento
disinvolto ed il savoir faire, ma non è l’uomo giusto per quella
carica. Si è circondato di ex clintoniani che continueranno l’attacco
globale con una ferocia persino maggiore rispetto a quella di Bush,
quantunque con molta più discrezione (in fin dei conti si tratta della
squadra più importante dell’impero). E, proprio come Clinton, che
sommerse di bombe Belgrado per 87 giorni senza battere ciglio, Obama
manterrà la macchina da guerra scoppiettante a tutta velocità, distraendo
contemporaneamente i mezzi d’informazione con le sue spacconate colorite
e il personaggio dall’aria da rock star. No, grazie.

 
Ciò di cui il mondo ha davvero bisogno è un periodo di pausa di cinque
o dieci anni dagli Stati Uniti; un attimo di respiro che permetta alla
gente di rilassarsi e tranquillizzarsi per un po’ senza subire la
preoccupazione che una festa di matrimonio venga polverizzata con raffiche
al napalm, o che un cognato venga trascinato via finendo in qualche
buco della CIA dove gli caveranno gli occhi e gli strapperanno le unghie.
Ecco quello che al mondo serve davvero, una pausa temporanea nella violenza
imperiale. Ma non ci sarà nessun anno sabbatico sotto il maresciallo
di campo Obama; neanche per sogno. Come evidenzia il giornalista Bill
Van Auken nel suo articolo sul sito web di World Socialist, Obama può
rivelarsi l’uomo di punta per il ripristino della leva:

 
Obama ha “deplorato la mancanza da parte dell’amministrazione
Bush nell’emettere “una chiamata in servizio” e “un richiamo
al sacrificio condiviso… Non c’è sfida più grande della difesa
della nostra nazione e dei nostri valori”, ha detto Obama. Noi “abbiamo
bisogno di alleggerire il peso che grava sulle nostre truppe, mentre
andiamo incontro alle sfide del ventunesimo secolo” che, secondo Obama,
renderanno necessario un “aumento delle forze di terra statunitensi
di 65.000 soldati e 27.000 marines” (“Obama continua a sbandare
a destra sulla guerra in Iraq e sul militarismo”, Bill Van Auken).

 
E’ questa la ragione per cui la classe dirigente politica è tanto
entusiasta di Obama, perché le serve un sottufficiale addetto al reclutamento
che sia migliore rispetto al poco stimolante McCain?

 
Nessuno ha seguito la deriva verso destra di Obama con maggior interesse
e disorientamento dei redattori del Wall Street Journal. Hanno registrato
fedelmente ogni titubanza, confusione e marcia indietro e si sono formati
un’opinione: Obama marcia direttamente verso le braccia accoglienti
del Partito Repubblicano. E’ vero; sta gradatamente abbracciando il
programma politico conservatore ed abbandonando ogni pretesa di liberalismo.
Due settimane fa il WSJ ha pubblicato un editoriale riassumendo la metamorfosi
di Obama in un articolo dal titolo “Il terzo mandato di Bush”:

 
“Stiamo iniziando a capire il motivo per cui Barack Obama continua
a protestare in modo così vivace contro la prospettiva del ‘terzo mandato
di George Bush’. Forse è preoccupato che qualcuno si accorga che è
lui il candidato in corsa per quella carica.

 
La maggior parte dei candidati alla presidenza modificano in parte il
loro messaggio dopo aver vinto la nomina di partito, ma il sig. Obama
non sta semplicemente ‘correndo al centro’. E’ in fuga da molte sue
posizioni originarie e lo fa in modo così marcato e veloce che finisce
con l’abbracciare una bella fetta della politica del presidente Bush.
Chi avrebbe mai pensato che sarebbe stato un Democratico a ripristinare
l’agenda di Bush, su cui si è tanto malignato?” (Wall Street
Journal)

 
Questa analisi è abbastanza corretta. Obama ha cambiato atteggiamento
sul suo “sostegno agli ostruzionisti di qualsiasi legge che includa
l’immunità retroattiva per le società di telecomunicazioni”.
E’ sgattaiolato fuori evitando di prendere un impegno preciso sul
ritiro delle truppe dall’Iraq (una vera e propria lezione di triangolazione
clintoniana). Ha fatto marcia indietro sulla promessa di riscrivere
l’accordo NAFTA sul libero scambio. Ha dato il suo appoggio ai programmi
sociali “a base di fede” di Bush, che prevedono sovvenzioni
statali per le organizzazioni religiose. Si è persino schierato con
quei mentecatti dell’estrema destra alla Corte Suprema sul diritto
alle armi e sulla decisione di proibire la pena di morte in caso di
stupro (veramente scandaloso). Come si può sostenere un candidato che,
su questioni giuridiche, si trova sullo stesso versante ideologico di
Antonin Scalia?

 
Nelle ultime settimane il Senatore Voltafaccia ha sparato a raffica
su Fidel Castro, Hugo Chavez e Mahmoud Ahmadinejad, ricoprendo contemporaneamente
di lodi il nostro “buon amico” Israele. Sul sito web aperto
da Obama per la campagna elettorale compare persino un commento di due
paragrafi che loda il devastante attacco di Israele al Libano di un
anno fa, che uccise 1.500 civili e ridusse in macerie molte delle infrastrutture
essenziali del paese.

 
Siete ancora dell’idea che il “candidato della pace” non
possieda la buona fede guerrafondaia per fare il lavoro sporco dell’impero?

 
Pensateci ancora.

 
Molti di noi che hanno criticato Obama vengono respinti in quanto cinici,
ma questo non ha senso. La verità è che i sostenitori di Obama hanno
proiettato i propri valori sul loro candidato e cercano di farlo apparire
come qualcosa che non è. Gli mettono le parole in bocca per poter continuare
ad aggrapparsi alla folle idea che il sistema in realtà non si sia
guastato, e che possa essere ripristinato semplicemente tirando una
leva il giorno delle elezioni. Questo è proprio il modo tipico dell’uomo
pigro di ignorare il vero lavoro che dev’essere fatto per ristabilire
la democrazia negli Stati Uniti: l’organizzazione di gruppi e di reti,
la fondazione dei sindacati e coalizioni di lavoratori, la determinazione
che miri ad estirpare la corruzione e il potere consolidato delle grandi
aziende. Il sistema dev’essere ricostruito dal basso verso l’alto,
non dall’alto verso il basso. Ciò comporterà una rivoluzione di
pensiero e un sacco di duro lavoro. Non esiste una soluzione immediata.
La libertà non è più gratis; bisogna contrattarla. Votare per Obama
tenendo le dita incrociate non è segno di speranza. E’ segno di autoinganno.

Mike Whitney
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info/
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article20269.htm
11.07.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA MAZZAFERRO

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