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La Redazione

 

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PACIFINTI E PSEUDOSINISTRI: AGEVOLARE LE GUERRE, …

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A cura di God
Il 7 Ottobre 2006
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Image Hosted by ImageShack.us… RILANCIARE IL “TERRORISMO ISLAMICO” A PARTIRE DAL 11/9

BADOGLEMA, BERTISCONI, COFFELTRONI, MENAGUERRA ALL’OTTAVA CROCIATA.

1700 milioni ai militari, sprangate ai lavoratori: contro il Libano e per la Grande Guerra tra Mediterraneo e Caucaso

DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea

NEBULIZZATORI E VIVANDIERE

La boiata pazzesca di Enrico Deaglio. La figura più di … l’ha fatta, una volta di più, il nebulizzatore mediatico (sapete, quando ci intossicano con nebbie chimiche) Enrico De Aglio. Ed è stata l’ultima di una lunga serie, per parte della quale sono stato testimone. Il giovane, riccioluto e già stempiatello Deaglio faceva parte di quei giovincelli bene (Donat Cattin e co.) che s’inventarono Lotta Continua, o piuttosto la sua degenerazione sofrista, nella città della Mole.

Neolaureato medico, all’impegno ippocratico per gli infermi del mondo, preferì presto l’impegno aristocratico per i raffermi della storia. Me lo ritrovai accanto nell’Irlanda del Nord della lotta vincente dell’Ira, già fortemente pencolante a destra e verso un dialogante buonismo. Ovviamente gli ero robustamente antipatico, anche perchè a me, dalla Domenica di Sangue in poi, lassù mi conoscevano bene, mentre dell’anglicizzante dalla erre moscia non si capiva bene che pesce fosse. Che pesce fosse lo si capì benissimo quando Deaglio mi succedette come direttore del quotidiano “Lotta Continua”, subitaneamente trasformato da tromba per la carica contro capitalismo e imperialismo in piffero hameliano (e ferrariano, martelliano, craxiano, pannelliano, sofriano) del riflusso e in lacrimatoio di femministe e maschietti in disordine ormonico (vedere Liberazione di oggi: nulla si crea, nulla si distrugge). Come l’intera loggia sofriana dei Liguori, Panella (rivisitatosi dopo i furori pro-Khomeini in islamofobo demenziale), Marcenaro, Fossati, Lerner, l’omino di rincalzo Deaglio assurse per suddetti meriti ai fasti dei media di regime. Accreditatosi a sinistra con qualche servizio tv su mafia e dintorni, si dotò del classico strumento dell’inchiappettatura proletaria: un organo d’informazione finto sinistro, che, da sinistra, sostenesse le mistificazioni dei padroni e, oaggi, del nazisionismo: la democrazia e l’autodifesa di Israele, “Milosevic dittatore”, le “pulizie etniche de serbi”, “Sarajevo martire dei serbi”, “Saddam mostro sanguinario e gassatore”, il “terrorismo islamico”, Al Qaida e, via via, tutta la panoplia dell’intossicazione funzionale all’intorpidimento delle coscienze-conoscenze e ai crimini di guerra e contro l’umanità. Fino al rilancio, dal fondo dell’abisso deontologico, dell’11 settembre.

Incurante di un autogol che il tempo renderà di proporzioni planetarie, Deaglio si è esposto allo sghignazzo dei sani di mente con quella copertina di Diario che definiva “Una boiata pazzesca” la definitiva messa in crisi della versione ufficiale dell’11 settembre 2001 da parte di una ormai invincibile legione di scienziati, tecnici, investigatori, analisti, testimoni, politici, videografi di tutto il mondo, ma soprattutto degli Usa. Povero Deaglio, aggrappato alle contestazioni di livello Lego contro gli smascheratori degli autoterroristi di Washington formulate da Popular Mechanics, rivista pseudoscientifica, esclusa da ogni consesso accademico serio, ma prodotta da una lobby sionista legata ai più fascistizzanti organismi della guerra globale nazisionista: American Israel Public Affairs Committee (Aipac), American Enteprise Institute (AEI), Heritage Foundation, Washington Institute for Near East Policy, Jewish Institute for Security Affairs (JINSA). In soccorso del giornaletto caricato a molla da mani invisibili, ma individuabilissime, si sono subito precipitati gli altri reperti sofriani della più o meno camuffata cosca neocon-sionista, Ferrara, Panella, Lerner, Pirani, Panebianco, Lanfranco Pace (già mediatore tra Craxi e BR e ora moglie di Giovanna Botteri), Daniele Bellasio (il Carneade che fa da sottopancia a Ferrara nel Foglio e i cui imbarazzanti nonsense con fattuale puntualità Massimo Mazzucco, autore di uno dei risolutivi filmati sulla patacca epocale, sbranò a Matrix), supportati dagli ascari del “moderatismo” musulmano in Italia. Con la forza di una trasparente disperazione tentavano di opporre un’argine di carta, di accostamenti strumentali (“fate come i Savi di Sion”) e di forzosi sarcasmi, di terrorismo nordico, che a essere una boiata pazzesca fosse la versione autoassolutoria dei petrolieri e armaioli guerrafondai di Casa Bianca, Cia e Pentagono. Si era di fronte all’evidenza di torri fatte implodere, di “dirottatori suicidi” per un terzo ancora in vita, di paralisi comandata delle più efficienti e collaudate difese aeree del mondo, della scomparsa di ogni rottame di giganteschi aerei-fantasma che fanno buchi larghi come missili, dei DNA delle vittime nessuno dei quali appartenente ad arabi, di una versione ufficiale-gruviera, oltre tutto ostacolata e boicottata con tutti i mezzi dalla Casa Bianca, dell’incapacità dei pataccari di dare anche una sola risposta alle questioni sollevate da centinaia di tecnici e di congiunti delle vittime, nè a New York, nè a Washington, nè a Londra, nè a Madrid, nè ad Amman.

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[Enrico Deaglio]

Deaglio, parlaci di Amman. A proposito di Amman, 9/11/2005, quella volta nessuno potè negare che davvero i turisti israeliani, su imbeccata dei loro servizi segreti, furono prelevati dagli alberghi che il giorno dopo saltarono per aria (vedi il quotidiano israeliano Haaretz, confermato dall’ex-capo dello Shin Bet.. Sarebbero stati quattro kamikaze di Al Zarkawi (secondo la rivendicazione di questo ectoplasma) con la missione di “uccidere crociati, giudei e rinnegati (sciti)”. Solo che le bombe scoppiarono nei soffitti e i kamikaze, per quanto addestrati dal dipartimento Cia “Al Qaida”, non sono mosche; che non rimase secco nessun crociato, giudeo o rinnegato; che delle 54 vittime tutte, tranne 8, erano giordano-palestinesi sunniti partecipanti a un matrimonio; che i rimanenti otto, il vero bersaglio, erano cinque alti dirigenti palestinesi a colloquio in una sala riservata con tre delegati del Ministero della Difesa cinese. Nessun manifesto, o tantomeno Diario, si preoccupò di riportare questi stupefacenti e rivelatori fatti, pur disponibili su una marea di siti internet e mai smentiti. Tornando alle inoppugnabili smentite della patacca ufficiale sull’11/9, di fronte a questa colossale slavina si è seguita una strategia classica: prima seppellire tutto nel silenzio mediatico, poi, fallito l’occultamento, ridicolizzare e diffamare con lo sterotipo dei “complottisti” (come se la teoria dell’Osama cavernicolo e ipertecnologico non fosse complottista!), infine reprimere. Negli Usa quanto è accaduto a parlamentari, accademici e investigatori non ligi all’impostura ufficiale (ostracismo, estromissione dagli incarichi e dal lavoro, minacce e aggressioni), ci mostra che lì sono già alla terza fase. Qui da noi si arranca, da bravi ascari, indifferentemente destri o criptodestri “di sinistra”. Ma il pacchetto Pisanu, niente affatto messo in discussione dal berlusconismo unionista, anzi rafforzato secondo l’ideale glocal dal coffeltronismo imperversante da Roma a Torino, da Milano a Palermo, già offre gli strumenti per vendicare l’umiliazione dei ridicolizzatori della fase due.

A cosa serve il Diario. Il dibattersi patetico dei gazzettieri imperiali di complemento, affiancato puntualmente dalle nuove uscite di Al Qaida (ora anche in Palestina, come già due anni fa, quando fu smascherata dai palestinesi come infiltrazione israeliana) del lungamente defunto Osama e di suoi presunti adepti, in filmati che sul piano della credibilità, anche tecnica, urlano vendetta al cielo, non serve solo a contenere la fiumana di rivelazioni, documentazioni, incriminazioni, testimonianze del Truth Movement (“Movimento per la verità”). Tra le ultime, inesorabili, quelle dei vigili del fuoco che udirono decine di esplosioni mentre le torri venivano giù in caduta libera e che trovarono ancora settimane dopo, nel profondo, metalli incandescenti a 7000 gradi laddove il kerosene, presunto responsabile del crollo, brucia a non più di 800 gradi e si esaurìsce in poche decine di minuti). I rigurgiti lealisti dei sicofanti in subordine, affiancati alle bufole video e telematiche dei fantocci Cia in turbante, servono parallelamente a convincere della immutata virulenza del “terrorismo islamico”, sia a poche settimane dal confronto elettorale per il rinnovo delle camere Usa, sia nel l’imminenza di un conflitto che, domata con l’Unifil cripto-Nato la resistenza libanese e ristabilito l’antico protettorato eurostatunitense con un riequilibrio sociopoliticomilitare a favore delle destre cristiano-druse, dovrà allargarsi a Siria, Sudan, Iran e Caucaso. Appunto il Nuovo Medio Oriente di cui la punta diplomatica dello stragismo nazisionista, Condoleezza Rice, va blaterando anche nel sonno. E a questo punto, di rincalzo ai discoboli dell’11/9 e ai dischi rotti del “terrorismo islamico”, entrano in scena le forze speciali dei contractors, o mercenari. Non quegli evidenti farabutti che erano andati a pescare la pagnotta nel sangue degli iracheni, ma quei cantori dello stereotipo d’intossicazione che, guidati dal corifeo con giubbetto a stelle e striscie e cappuccio a stella di Davide (chi tenga il bastone del comando tra giubbetto e cappuccio è questione di uovo o gallina, discussione oziosa: sono un cavallo che tira e un somaro che spinge), allestiscono l’ambiente politically correct perchè si finisca tutti al seguito della nuova campagna di Russia.

I maleinvecchiati. Come per un tardivo tentativo di rimedio alle cadute ormonali – megghiu commannari che futtiri – primeggiano in questa fureria di caserma alcune anziane icone della sinistra e del pacifismo. Da Pietro Ingrao e dal ciarliero-a-ogni-sproposito Giorgio Napolitano, viste le origini stalinissime, nulla di meglio era da aspettarsi che un militante allineamento con la puttanata dell’intervento “di pace e ricostruzione”, sia nell’Afghanistan della sparatoria universale contro gli occupanti, a rincalzo degli anglo-canado-statunitensi sconfitti, sia nel Libano, dove si va a difendere il diritto degli israeliani di obliterare popoli, con particolare gusto i bambini, e frantumare paesi. Quest’ Ingrao bertisconizzato s’è poi avvalso dei meriti acquisiti nel sostegno rinnegato, opportunamente ex post, agli eversori di Budapest e nella cacciata dei cari consanguinei del manifesto, per dare bushianamente addosso al Fidel infermo, ma assai meglio ottuagenario di lui. A poca distanza da colui che l’ ha presa per i fondelli 40 anni fa, Rossana Rossanda, consumatasi già abbondantemente nella difesa di un indifendibile trombettista del peggio del peggio, Adriano Sofri, e della genuinità di quell’inquinatissimo minestrone di presuntuosi, suicidi, naives e infiltrati che erano le BR, nonchè, al pari di Cheney-Sharon, dell’autenticità di Al Qaida e dei suoi svolazzi Boeing su torri e pentagoni, s’è buttata nella difesa di un fantomatico dio cristiano tutto pace e amore. Quasi a rincorrere le contumelie antislamiche del panzerpapa, pure queste funzionali al riciclaggio della “guerra di civiltà” dei subumani di Washington.

blankLidia Menaguerra. Sorvolando sulla maleodorante fangazza degli ex-pacifisti e nonviolenti integrali ammucchiati in Rifondazione, nella Tavola della Pace, in Cgil, Arci, Ponte per e neocolumbristi vari, e anche degli ernestini (copertura a sinistra di Bertisconi), con i loro funamboleschi arzigogoli a giustificazione delle più efferate imprese coloniali, la palma della depravazione senile va una volta di più a Lidia-ma-sì-andiamo-in-Afghanistan!-Menaguerra. Fulminata sulla poltrona parlamentare dall’intuizione della “riduzione del danno” (bombe dipinte di arcobaleno), questa arzilla femminista nonviolenta con le zanne pone la sua prosa liberazionista al servizio delle frescacce del suo sponsor e del rincoglionimento altrui. Auspicando che sul parossismo guerresco di D’Alema e compari si rinnovino “le categorie analitiche, facendo lavorare la fantasia”, per biasimare chi il 30 settembre ha marciato contro la sciagurata spedizione coloniale euro-israelo-statunitense (altro che contraddizioni interimperialistiche, furbetti veltroniani della Rete dei Comunisti!), a rimedio del fiasco della giunta militare di Tel Aviv, Lidia Menaguerra fantastica di un intervento Onu che trasformi i resistenti Hezbollah, e poi i Taliban e tutti gli eserciti, da combattenti in attivisti “solo politici”. Convertita al “realismo”, ovviamente fantastico, in cui si vince passando dalle armi alla politica, come insegnano tutti i popoli che così l’hanno preso nel culo, la nostra prepara armate disarmate di caschi bianchi che finiranno col mettere tutto a posto. Proprio come i missionari apripista della regina Elisabetta I e di Cortez. Alle spalle di Lidia, le disarmate schiere delle machofemministe del PRC che, inalberando l’arma più micidiale di tutte, quella del depistaggio, sull’oceano di sangue femminile e infantile provocato dalle guerre cristiane stendono la cortina fumogena del patriarcato islamico e del tonitruante ordine del giorno:”Gli uomini uccidono le donne”. Condoleezza, Margaret Albright, Margaret Thatcher, la Merkel che fa la donna-cannone al largo del Libano e Messalina ringraziano. Ringrazia anche Bush.

A proposito della marcia contro le operazioni dei travestiti in Libano e Afghanistan, il 30 settembre, io non c’ero perchè stavo con altri 3000 a Milano a manifestare per Cuba resistente e vittoriosa. Erano pochini quelli di Roma, mi hanno detto, certo per la diserzione dei neopoltronizzati bertisconiani (sparita la copertura istituzionale, si sono volatilizzate anche le cornacchie pacifinte), ma forse anche perchè a certi partecipanti, roteanti come derwisci tra opposti come Veltroni, Unifil, Zarkawi e Moqtada e ahinoi legittimati da un nobile corteo, molti compagni non volevano mischiarsi. Comunque, onore ai Cobas che per primi quella manifestazione hanno voluto e realizzato, scoglio d’onore, di coerenza e di verità in una palude di viltà, disonore, opportunismo e ipocrisia ernestina.

Pacifinti a supporto della criminalità di Stato. Un dato che la storia sancirà determinante per la sconfitta politico-morale della fauna umana di cui sopra è quello implicito nel ghirigoro delle sue contorsioni dialettiche a sostegno delle direttive propagandistiche imperialiste: “interventi di pace o umanitari”, “democrazia”, “diritti umani”, “dittature”, “fondamentalismo islamico”, “spirale guerra-terrorismo”, Al Qaida, 11 settembre… Si tratta nè più nè meno che di un oggettivo sostegno alla criminalità politica internazionale. Della mafizzazione e integrale corruzione della nostra classe politica tutta ci sono evidenze politiche e giudiziarie che, a paragone, renderebbero una conventicola di Amish la corte di Amleto. Non c’è giorno, mese, anno, da De Lorenzo a Gelli, da Marcinkus a Mani Pulite, da Berlusconi a Unipol, dal Togliatti amnistiante al Cossiga che cerca Moro con la P2, dalla Coop a Cuffaro, dagli spioni Telecom alle collusioni tra D’Alema e gangsterismo sanitario pugliese, che non ci schizzino in faccia secchiate di quel fango. Ma il pesce puzza dalla testa e la nostra testa sta a Washington (magari con l’ipofisi a Tel Aviv). Quello che è indecente è assumere per buoni i cardini propagandistici della mistificazione cerebrocida anglo-israelo-statunitense, appunto “democrazia”, “terrorismo islamico”, eccetera, pur nell’abbagliante visione dello spettacolo osceno di uno Stato che massacra l’umanità, provoca caos ovunque per installare ovunque narcomafie. Non è più solo questione di bugiardi matricolati che disintegrano paesi e uccidono popoli sulla base di inesistenti armi di distruzione di massa, terrorismi da loro inventati e praticati e “pericoli mortali” vari. A fine settembre 2006, il presidente-burattino degli Usa ha fatto passare, con il pieno consenso dei repubblicani e di quasi tutti i democratici, il Military Commissions Act, la legge sulle commissioni (tribunali speciali) militari. E’ il coronamento del Patriot Act, fatto scaturire dalle macerie delle Torri Gemelle, e del processo di involuzione democratica e di repressione sociale in direzione di una dittatura delle elites padronali e militari, diffusosi velocemente a tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica, detta anche abusivamente “comunità internazionale”, alla faccia di quei cinque miliardi che ne stanno fuori. La legge sulle commissioni militari ha scaraventato dalla finestra quell’habeas corpus sul quale si basava la conclamata democrazia anglosassone. La filosofia di Hitler ha stravinto. E’ legalizzata la tortura, anche retroattivamente, con la quale ottenere ammissioni tanto vere quanto è benevolo il trapano che ti infilano negli occhi; si possono utilizzare prove segrete o estorte; si può arrestare chiunque ci si diverta a definire “sospetto” (di attività fastidiose per l’ordine esistente), non c’è bisogno di incriminarlo, nè l’arrestato può opporre le sue ragioni o i suoi legali, lo si può detenere indefinitamente senza accusarlo nè processarlo. Insomma si cancella quanto questa specie in qualche migliaio di anni si è data per proteggersi dagli eccessi dell’inimicizia, dell’odio e della sopraffazione. Si può eliminare dal consesso civile chiunque sia in disaccordo con il capo di Stato (o di governo) sulla guerra al terrorismo. Il corollario sono l’istituzionalizzazione di esecuzioni extragiudiziarie, detenzioni e carceri segrete, sparizioni, sequestri e extraordinary renditions. La pietra angolare della divisione dei poteri e dei controlli incrociati è disintegrata. La “democrazia” è fuffa, la dittatura di multinazionali e militari è sostanza. Guantanamano allargata al mondo. E le nostre “sinistre” stanno in un governo e in guerre che hanno per duce la marionetta cui la criminalità statuale, economica e militare ha fatto sancire tutto questo. E cosa fa l’organo del Bertisconismo? Pubblica mezza pagina intitolata “Violenza e patriarcato: una campagna europea contro la violenza sulle donne”. Andrebbe anche bene, se prima ci fossero quattro paginoni intitolati “Violenza e imperialismo: una campagna europea contro la violenza sui popoli e sulle classi deboli”. Concetti all’origine di tutto il resto. O no?

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Non solo petrolio. Narcostati dappertutto. Usa, Nato, Onu, coalizioni dei volenterosi, con l’Italia del sergente D’Alema sempre in riga (anzi, protagonista quale “settima potenza militare mondiale”), hanno aggredito, ucciso, distrutto, creato caos e poi imposto il potere della criminalità organizzata, o centralizzata, o frazionata in bande all’azzanno reciproco, in Somalia, Iraq, Kosovo, Bosnia, Croazia, Albania, Montenegro, Iraq, Afghanistan, Haiti, Centroamerica, adesso in Libano, domani in Siria, Sudan e, terminata la collusione irano-statunitense nello sbranamento dell’Iraq, in Iran. Altrove, senza guerre guerreggiate, hanno favorito governi tirannici e criminali: Egitto, Stati del Golfo, paesi del Sudest asiatico, del Caucaso, dell’Africa, dell’America Latina. Non sempre si tratta di petrolio, di acqua, di metalli o di altre risorse naturali atte a mantenere a mollo in piscine di Dom Perignon gli artigli dei vampiri. I nostri media e politici di ogni stampo, impegnati come sempre a reciderci i fili della memoria e quindi delle connessioni, cianciano di “taliban e signori della guerra che si finanziano con i proventi della droga”. Dicono lo stesso delle Farc colombiane che si oppongono al genocidio domestico e alle brighe antivenezuelane del capo-Gestapo Uribe. Non ne hanno la minima prova. Esiste invece la prova inconfutabile che i taliban, nel 2000-2001, d’accordo con l’Onu, avevano sradicato quasi per intero le coltivazioni d’oppio in tutto il paese, tranne nelle zone sotto controllo dell’integralissimo figlio adottivo degli Usa, Massud. L’aggressione scatenata nel novembre di quell’anno, tolto di mezzo l’equivoco “11 settembre e Al Qaida”, non fu innescata solo dal rifiuto dei taliban di far costruire alla statunitense Unocal (AD Karzai) un oleodotto dal Caspio all’Oceano Indiano, ma anche dall’insopportabile perdita per il sistema finanziario occidentale, eminentemente statunitense, del reddito da oppio, da eroina: secondo gli enti che studiano quel traffico, tra i 500 e i mille miliardi di dollari (compresi i flussi minori da Latinoamerica e Sudest asiatico) che ogni anno entrano nel circuito di quelle banche e di quelle istituzioni economico-finanziarie che, oltre ad ingrassare e crescere di potere, sostengono gli sforzi elettorali dei propri terminali politici in Congresso, Senato, Presidenza e governatorati. Se ne chieda conferma alla regina dei furti con destrezza Goldman Sachs del noto Mario Draghi… Tant’è vero che subito dopo l’invasione Usa, la produzione di oppio crebbe in modo esponenziale e inarrestabile, soprattutto nelle aree sotto controllo degli occupanti e dei signori della guerra loro amici. Rispetto al quasi azzeramento del 2001 (185 tonnellate), nel 2006 si è arrivati a un aumento del 3200% e a 7mila tonnellate che forniscono il 92% dell’eroina consumata nel mondo. Il 95% del profitto va al crimine organizzato e al sistema bancario ufficiale. Gli spiccioli vanno ai contadini e primi rivenditori: sul mercato internazionale l’eroina si paga 100 volte quanto viene elemosinato ai coltivatori. Il traffico di droga è il più remunerativo dopo quello del petrolio e delle armi e uccide anche meglio le presenze di troppo. Figurarsi se una banda di gangster come quella che da decenni governa gli Usa poteva lasciarsene sfuggire il controllo o insterilire le fonti. I massimi produttori di narcotici nel mondo sono Afghanistan e Colombia, entrambi paesi a regime criminale fabbricato negli Usa e fortemente criminalizzati e militarizzati dalle successive amministrazioni di Washington. Innumerevoli documenti provano il ruolo egemone della Cia nello sviluppo dei triangoli della droga sudamericano (Colombia, Perù, Bolivia, recentemente Messico) e asiatico (Afghanistan, Cambogia, Tailandia, Kurdistan). C’è poi una collaborazione internazionale esplicita nel garantire il controllo dei corridoi di transito in Centroamerica, Caraibi con Haiti, Messico, e in Kosovo e Kurdistan iracheno (i cui due capitribù narcotrafficanti, Talabani e Barzani, sono addirittura ai vertici dello Stato fantoccio iracheno e del Kurdistan autonomo sotto pieno controllo israeliano). L’Italia degli Andreotti e Berlusconi, del convivente con la mafia Lunardi, dei Provenzano e Riina e dei colletti bianchi cui fanno da gorilla, del D’Alema “liberatore” del Narcokosovo, ma non solo, delle commissioni antimafia rinviate ad libitum, in questi giochi fa da comprimario. In Libano si tratta di restaurare la coltivazione dell’oppio nella Valle della Bekaa, a suo tempo sostituita a quella della canapa indiana da Rifaat el Assad, zio dell’attuale presidente siriano, noto fiduciario della Cia, cacciato dall’ex-presidente Rifaat el Assad e che ora, da Londra, trama con chi sta lavorando al regime change a Damasco, a seguito dell’assassinio di Rafik Hariri per evidentissima mano Mossad e dell’invasione di “interposizione” (tra il popolo libanese e i suoi difensori) Onu.

blank1700 milioni per un esercito da Grande Guerra. Ciò che il berlusconismo senza sghignazzo e dal volto prodiano toglie ai malati, ai pensionati, ai precari, agli statali, a professori, ricercatori e studenti, agli enti locali e ai loro amministrati, lo riversa dritto dritto nei suoi destini colonialisti d’accatto. Prodi come Crispi, D’Alema come Graziani o Badoglio. Tutti fattorini storicamente al guinzaglio di una potenza autentica dai cui banchetti raccogliere gli avanzi buttando sul tavolo qualche migliaio dei soliti morti. Altro che multilaterialismo sotto l’egida dell’Onu, fosse mai esistito! Altro che Europa che si erge a contenere, con l’alternativa armato-umanitaria, lo strafare dell’amministrazione Bush! Bisogna essersi fatti di acidi potenti per teorizzare nel contesto attuale su contraddizioni interimperialistiche tra gli Usa, cari alle nostre destre, e un’Eurasia vaticinata da aggregati criptodestri e rossobruni vari.

La 1701 di Annan e Consiglio di Sicurezza, scritta sotto dettatura israeliana e che cammina sulle gambe di chi grida più forte “difendere gli aggressori cronici e neutralizzare le vittime perpetue”, è inficiata già solo dall’aver puntato lo sguardo arcigno e rampognante verso gli stupefacenti e, dunque indecenti, partigiani libanesi e dall’averlo ostentamente distolto dalla mattanza perpetrata da Israele a Gaza e in Cisgiordania (serialkilleraggio più o meno mirato, genocidio biologico e infanticidi per 230 ammazzati in un mese, coltivazione del caos interpalestinese), dagli Usa e relativi squadroni della morte cogestiti con Israele e Iran nella voragine irachena (100 torturati e giustiziati al giorno), nonchè dalle pesantissime sconfitte subite dalla “civiltà occidentale” nello stesso Iraq e in Afghanistan. Ora dal Golfo Persico-Mare Arabico al Mediterraneo Orientale si è formata, grazie al pretesto pacificatore Onu e Nato, una gigantesca tenaglia militare attorno al cuore di quello che a Washington viene vaticinato come la colonia “Nuovo Medio Oriente”, il più possibile spopolata da proiettili, uranio, fame, malattie e squadroni della morte di salvadoregna memoria.. In questa Grande Armada il governo di – ha-ha-ha – centrosinistra, che porta accocolati sulle spalle due grilli parlottanti, le “sinistre” del PRC, ha buttato, strappandoli dalle fauci insaziabili dei redditieri da una pizza al mese, i 600 milioni e passa dello stanziamento annuo per gli ascari in Libano e i 1700 per armi con cui attrezzare gli stessi con le più moderne tecnologie, onde ristabilire tra i selvaggi il sano ordine cristiano di Isabella di Spagna e Vittoria d’Inghilterra.

Verso l’assalto euro-statunitense all’ “Asse del male”. Atomiche e contractors. La drammatica sconfitta del superpotente esercito israeliano e, insieme, di tutto il paradigma di un Israele civile, democratico e minacciato, su cui si reggeva l’equilibrio sionista-imperialista mediorientale dopo la sconfitta dell’Iraq nell’immaginario collettivo, ha fornito il pretesto per perfezionare quell’apparato bellico che da parecchio tempo era nei progetti colonialisti dell’eurostatunitense imperialismo collusivo, ancora per lungo tempo non collidente. La messa in posa di quell’apparato nel Mediterraneo Orientale è caratterizzata essenzialmente da forze di terra e navali israeliane e Nato, in ogni caso di paesi che quasi tutti hanno stretti legami di collaborazione e coordinamento militare con Israele, dentro o fuori dalla Nato. Nel Golfo e nel Mare Arabico, invece, l’armata navale è in massima misura statunitense, con partecipazione britannica, australiana e canadese. Nel complesso si tratta del più vasto schieramento, perlopiù nucleare, dalla Seconda Guerra Mondiale. Washington vi ha addirittura impegnato la propria Guardia Costiera, mai prima uscita dalle acque territoriali. Solo contro Hezbollah o la trionfante Resistenza irachena? Il teatro bellico a cui queste due mastodontiche presenze fanno riferimento si estende a nord verso il bacino del Caspio e, a est, verso il Pakistan e il confine cinese. Nella fase attuale, la militarizzazione del Mediterraneo Orientale, genericamente sotto giurisdizione, anche se non formale, della Nato, condotta sotto la maschera della missione di interposizione Onu ai termini della risoluzione 1701, è finalizzata a ristabilire gli equilibri filo-occidentali e filo-israeliani sconvolti dalla forza delle masse resistenti in Libano e a penetrare poi in profondità verso Damasco, senza preoccupazione alle spalle. Questo formidabile potenziamento navale – flotte e truppe da sbarco israeliane, italiane, spagnole, francesi, danesi, greche, olandesi, belghe, turche tedesche (per le quali il cancelliere Merkel ha travolto le obiezioni libanesi a un dispiegamento all’interno delle acque territoriali libanesi. A proposito di sovranità…) – ha solo per scopo collaterale il disarmo di Hezbollah e dei combattenti comunisti. Una tale potenza militare d’attacco, comprendente sommergibili e sommozzatori, può essere solo diretta contro Stati, Siria, Sudan o Iran che siano. Tanto più se si pensa al suo coordinamento con la pianificazione di attacchi aerei, come previsti in CONPLAN 8022 fin dal 2004 (altro che invasione occasionata dalla cattura di soldati israeliani, del resto in pieno territorio libanese). Nel maggio 2004 Bush emanò la Direttiva Presidenziale per la Sicurezza Nazionale NSPD 35 che autorizza l’impiego di armi nucleari. Il riferimento è alla dislocazione di armi nucleari tattiche nel teatro mediorientale in ottemperanza a CONPLAN 8022. Non mancano neppure gli avvoltoi della bisogna, i contractors, o mercenari che, Piero Sansonetti (“i nostri ragazzi”) permettendo, dir si voglia. Gli Emirati Arabi, staterello cliente del Golfo, hanno avuto il mandato di sminare i territori del Sud Libano infestati dalle bombe a grappolo degli stragisti di Sion. Ma mettono solo i soldi. L’incarico è stato subito appaltato, per 5,6 milioni di dollari l’anno, a una società britannica di sicurezza, Armor Group International. L’Armor Group International ha fornito servizi di sicurezza agli Usa in Iraq, nel Golfo Peersico e in Afghanistan, nonchè per compagnie petrolifere in Saudia, Giordania, Kuwait, Nigeria e Azerbaijan. Come nel caso di una nota ditta italiana e di altre società angloamericane, lo sminamento non è che la copertura per l’impiego di mercenari, professionisti dell’assassinio e della tortura. Dovranno scovare e far fuori i partigiani libanesi mischiati alla folla? Sequestrare e deportare sospetti? Individuare i depositi d’armi? Eseguire provocazioni da attribuire a Hezbollah? Non è questo il loro mestiere? Del resto qual’è la sorpresa? Quante volte voci autorevoli israeliane, militari e civili, hanno perorato e anticipato un attaco a Siria e Iran? Quante volte tale attacco è stato ipotizzato dai media e dagli esperti? E se la Siria o l’Iran vennissero attaccati, un modo per reagire e far male agli aggressori sarebbe quello di infliggere danni all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, tra Azerbajan e Turchia, inaugurato lo stesso giorno dell’attacco israeliano al Libano e realizzato da una confluenza d’interessi euro-statunitensi per sottrarre ai russi il controllo del petrolio del Caspio. La Grande Armada del Mediterraneo, in cui facciamo la parte del vieni-avanti-cretino, serve anche a bloccare un simile colpo.

Dal 1945 mai tanta concentrazione di forze offensive. Sul lato sudorientale di questo scacchiere, c’è un concentramento navale tale, da far apparire l’invasione dell’Iraq e l’eliminazione del governo antimperialista e antisionista di Saddam come un primo passo per l’accerchiamento di altri obiettivi in direzione est e nord-est. Incrociano nel le acque del Golfo – anche a impedimento di una chiusura degli stretti di Hormuz, vena giugulare del petrolio, da parte di Tehran – corazzate, portaerei, incrociatori, motovedette, fregate, navi d’appoggio, sommergibili e forze antisommergibili (l’unico paese che dispone di sommergibili è l’Iran), con un’integrazione aerea di cacciabombardieri ed elicotteri d’assalto, che sembrerebbe inutilmente dispendiosa una volta eliminata le capacità offensive dell’Iraq e certamente sproporzionata rispetto alle storiche katiuscia, “organi di Stalin”, dei partigiani libanesi. Se a questa drammatica militarizzazione si aggiungono le tensioni provocate dal candidato Nato Georgia, del fantoccio amerikano Saakashvili, con la Russia, la destabilizzazione rinfocolata dalla Cia in Cecenia, le provocazioni antirusse dell’Azerbaijan si percepisce come la partecipazione italiana alla “normalizzazione” del Libano sia soltanto un tassello di una strategia assai più ampia e infinitamente più pericolosa. E, comunque, un tassello al servizio dei progetti geostrategici Usa e del suo esecutore in loco Israele. Progetti che, iniziati da Bush padre con la prima guerra del Golfo, proseguiti da Clinton con la liquidazione di un focolaio antagonista in Somalia, punto strategico fondamentale, e con la disintegrazione della Jugoslavia, baluardo anti-Nato verso Est, rilanciati alla grande da Bush figlio sfruttando l’autoattentato dell’11/9 e replay successivi in Europa e Asia, sembrano ora andare verso il culmine della parabola con la Grande Guerra per il Nuovo Medioriente. In questa andrà integrato anche il renitente Sudan, grande stato arabo-africano sfuggito finora alla progressiva balcanizzazione della regione lungo linee etnico-confessionali, e contro il quale il Grande Inciucio Umanitario sta utilizzando l’altra strumentale mistificazione: “la tragedia umanitaria del Darfur”. Si sentono echi di balle kosoviane, ma Franco Giordano, il microbertinotti segretario del PRC in disarmo, non vede l’ora di “andare anche in Darfur”.

Questo, cari amici che siete riusciti a seguirmi fino in fondo a questo serpente boa, è quanto sostiene il governo che abbiamo voluto al posto del pagliaccio-mascalzone. Ai gessati da gangster sono succedute le grisaglie del banchiere da rapina e, di domenica, la tenuta da mozzo nel naviglio d’altura dei padroni. La sinistra vera è in immersione, coloro che dicono di rappresentarla hanno le braghe attorno alle caviglie, non portano neanche le mutande e se ne dicono fieri. E no dire che è qualunquismo. E’ vomito. Il disordine sotto il cielo e grande, la situazione è di merda.

Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
07.10.2006

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