Non solo Weinstein: l’anno in cui #MeToo ha scosso il mondo ebraico

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DI ALLISON KAPLAN SOMMER 

haaretz.com

Nell’ultimo anno, un vasto numero di potenti uomini ebrei è stato accusato di cattiva condotta sessuale. Se da un lato la cosa ha dato àdito agli antisemiti, gli attivisti affermano che affrontare il problema è vitale.

Dal pulpito delle chiese alla tavola del desco, il peccato ed il pentimento sono gli argomenti degli annuali rituali dello Yom Kippur, discussioni e momenti di introspezione. In tutto il mondo ebraico, tuttavia, le discussioni sul tema delle cattive condotte sessuali sono durate nel corso di tutto il 5778, l’anno del #MeToo.

La questione è stata così dominante che, con l’avvicinarsi dei Giorni Santi, un gruppo di rabbini e studiosi ha presentato una serie di aggiunte alla tradizionale preghiera dello Yom Kippur, modificando le confessioni esistenti con versi come:

“Per il peccato che abbiamo commesso con l’uso inappropriato del potere.

Per il peccato che abbiamo commesso con inappropriate avance sessuali.

Per il peccato che abbiamo commesso mandando al potere gente senza controllo.

Per il peccato che abbiamo commesso non prendendo sul serio le lamentele di una collega.

Per il peccato che abbiamo commesso non credendo alle vittime quando hanno denunciato l’accaduto.

Per il peccato che abbiamo commesso non essendo consapevoli del nostro potere o privilegio quando abbiamo fatto un’avance… ”

Harvey Weinstein si trasforma nelle autorità di New York, maggio 2018.

L’esplosione in questa consapevolezza è cominciata lo scorso anno, con le scioccanti rivelazioni sul produttore cinematografico Harvey Weinstein, una storia scoppiata pochi giorni dopo la fine dello Yom Kippur. Gli articoli sul New York Times e sul New Yorker hanno aperto le porte all’autoesame nelle comunità ebraiche, statunitensi prima, di tutto il mondo poi.

Né la comunità ebraica – dalle sue sinagoghe e scuole alle numerose organizzazioni non profit – né lo Stato di Israele sono rimasti immuni. Vedere le vittime raccontare storie che coinvolgono potenti uomini e, di conseguenza, guardare figure importanti uscire dalla vita pubblica, è stato allo stesso tempo fonte sia di ispirazione che di disorientamento.

“Perseguire la giustizia è uno dei principali obblighi del giudaismo”, ha affermato Keren R. McGinity ad un recente forum interreligioso sul #MeToo negli spazi sacri. “Ma, esattamente, come si intende perseguire la giustizia quando l’abusatore viene messo su di un piedistallo?”, ha domandato.

“L’idea che i panni sporchi degli ebrei si lavino in casa mi ha messo una specie di museruola, la semplice idea di raccontare pubblicamente tutto mi paralizzava”.

Alla fine, si è apertamente scagliata contro l’uomo che sostiene si sia comportato “in modo non etico ed assolutamente non ebraico” – l’importante sociologo ebreo-statunitense Steven M. Cohen. In séguito, altre donne si sono fatte avanti con simili storie. Nel proprio discorso, la McGinity ha affermato di esser rimasta piacevolmente sorpresa dalla “gratitudine mostrata da donne e uomini di ogni settore della comunità ebraica globale”, e dal modo col quale accademici ed organizzazioni ebraiche l’hanno appoggiata.

Ha ottenuto anche il supporto di #GamAni (il corrispondente ebraico di #MeToo), movimento emerso quasi immediatamente dopo le rivelazioni di Weinstein, e che è cresciuto nel corso di tutto l’anno. Il suo “focolare” è stata la relativa pagina Facebook, la quale, in un anno, ha raccolto oltre 1.000 membri, dopo aver invitato i partecipanti a “condividere esperienze personali sull’interazione di genere e cultura presso le organizzazioni comuni ebraiche”.

Il sociologo americano Steven M. Cohen, la cui ammissione per aver assunto un “comportamento inappropriato” ha scioccato la comunità ebraica.

La pagina funge anche da sorta di sfogo per discussioni su disuguaglianza, gerarchia di genere e sessismo nelle organizzazioni ebraiche.

Supporto ed incoraggiamento

Nell’ultimo anno, #GamAni ha fatto i conti non solo con i nuovi casi pubblicati sui giornali, ma anche con l’eredità di reati precedenti, che avevano visto per protagonisti personaggi come il rabbino Barry Freundel ed il compianto Shlomo Carlebach. Ha anche offerto incoraggiamento alle vittime, alle prese col dilemma se rendere pubbliche o meno le proprie storie, le quali avrebbero coinvolto uomini che, in molti casi, erano rispettati leader spirituali (come Carlebach) o studiosi di alto livello.

Il gruppo ha ampiamente discusso della spinosa dinamica presente nelle organizzazioni non profit ebraiche: da una parte gli anziani donatori, uomini ricchi e generosi, dall’altra le più giovani membri del personale femminile, le quali hanno paura di andar contro queste figure, che spesso sono i pilastri finanziari delle organizzazioni stesse.

Dalle prime settimane di ottobre 2017, dopo che la storia di Weinstein ha spinto altre donne a farsi avanti, la conversazione è entrata nel mondo ebraico.

Verso fine ottobre, Leon Wieseltier, ex editore letterario di New Republic, considerato uno dei maggiori intellettuali ebrei negli Stati Uniti, è stato accusato di molestie sessuali da parte di più donne. Una nuova rivista a cui stava lavorando è stata rapidamente accantonata dopo che i suoi finanziatori si sono ritirati, a seguito delle accuse.

Poi, in dicembre, la United Synagogue Youth – il gruppo giovanile del movimento conservatore – ha tagliato i ponti col proprio storico direttore, Jules Gutin, dopo che degli ex membri l’hanno accusato di inappropriata condotta sessuale. Le accuse includevano molteplici istanze nelle quali Gutin avrebbe invitato i partecipanti dell’USY a dormire nel suo letto e, in almeno un caso, l’accusa di aver toccato uno dei giovani.

A gennaio c’è stato sdegno quando il 92nd Street Y di Manhattan, prestigioso centro culturale, ha invitato Ari Shavit, scrittore ed ex editorialista di Haaretz, a parlare ad un evento commemorativo per il 70° anniversario dalla nascita di Israele. Shavit si era ritirato dalle apparizioni pubbliche l’anno precedente, a séguito di accuse di molestie da parte di una giornalista ebrea. Dopo l’annuncio del 92Y, altre due donne si sono fatte avanti con nuove accuse di cattiva condotta sessuale.

A luglio, le affermazioni della McGinity e di altre donne contro Steven M. Cohen – e la sua immediata ammissione di aver assunto un “comportamento inappropriato” – hanno ulteriormente scosso la comunità.

Cohen aveva goduto di una lunga ed illustre carriera, comprendente prestigiosi incarichi all’Hebrew University ed all’Hebrew Union College. Aveva condotto studi per molte organizzazioni ebraiche, e prestato servizio come consulente per il sondaggio condotto nel 2013 dal Pew Research Center sugli ebrei americani.

Il mese seguente ha visto rivelazioni su come il rispettato rabbino Haskel Lookstein non sia riuscito a prendere provvedimenti in molteplici casi di presunta cattiva condotta sessuale – compreso l’abuso di studenti – da parte di educatori affiliati a Ramaz, la scuola dell’Upper East Side da lui gestita per 50 anni. La storia è nata in séguito ad un’indagine di The Forward, che ha accusato Stanley Rosenfeld di esser stato un predatore seriale negli anni ’70. Questi ha insegnato per anni in diverse scuole ebraiche, tra le quali Ramaz, e lavorato in numerosi campi estivi.

Infine, a settembre, quando il 5778 è diventato 5779, due nuove accuse hanno dominato i titoli dei giornali. Il New York Jewish Week ha rivelato che a Michael Steinhardt, co-fondatore di Birthright e Megadonor, è stato impedito di tenere riunioni da sé col personale femminile dell’Hillel International, a causa di comportamenti inappropriati. E David Keyes, uno dei portavoce del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, si è rivelato avere una perniciosa storia di accuse di comportamento sessuale aggressivo, messe sotto il tappeto quando è stato nominato da Ron Dermer, ambasciatore di Israele negli Stati Uniti.

Israele non è rimasta estranea a #MeToo, forse non a sorpresa. Dopotutto, un ex presidente israeliano, Moshe Katsav, era già stato condannato ed imprigionato per stupro nel 2010, e gli scandali per molestie sessuali avevano abbattuto importanti personaggi politici come Yitzhak Mordechai e Haim Ramon. #MeToo ha avuto un impatto non solo nella sfera della politica, ma anche in quelle dei media e dell’high tech.

Elefante nella stanza

A prescindere dalla gravità delle situazioni, la parte difficile non è stata il discutere di molestie sessuali nel mondo ebraico.

Il problema più scomodo è stato lo spropositato numero di uomini ebrei coinvolti in #MeToo, a cominciare da Weinstein, e l’affrontare questo fatto senza dar troppo spago agli antisemiti.

Oltre a Weinstein e Wieseltier, l’elenco degli uomini ebrei coinvolti in #MeToo negli ultimi 12 mesi comprende: l’ex senatore democratico Al Franken; l’ex capo della CBS Les Moonves; gli attori Dustin Hoffman, Jeremy Piven e Jeffrey Tambor; i registi Woody Allen, Brett Ratner e James Toback; il drammaturgo Israel Horowitz; i giornalisti Mark Halperin e Michael Oreskes; il direttore d’orchestra James Levine; i conduttori radiofonici Leonard Lopate e Jonathan Schwartz.

Jeffrey Tambor, che è stato licenziato dalla serie Amazon “Trasparente” dopo che sono emerse accuse su comportamenti inappropriati.

Ancorché non manchino i trasgressori non ebrei – tra i quali il defunto Roger Ailes, Mario Batali, Garrison Keillor, Matt Lauer, Bill O’Reilly, Charlie Rose e Kevin Spacey – è impossibile ignorare il numero e la rilevanza di quelli ebrei.

Parlare pubblicamente del tema ha però anche avuto un prezzo. Mark Oppenheimer lo scorso ottobre ha scritto su Tablet di quella che ha definito la “depravazione specificamente ebraica di Harvey Weinstein”. Nell’articolo ha anche sottolineato che “quasi tutte” le sue vittime erano donne non ebree, “quasi scelte a simbolo dell’ascesa del produttore al di sopra delle proprie origini semitiche”.

In séguito alle polemiche, Oppenheimer, caporedattore di Tablet, ha pubblicato il giorno seguente le proprie scuse, definendo l’articolo “frettoloso e sconsiderato”.

Nel frattempo, in un post intitolato “Gli uomini ebrei sono maiali?”, il rabbino Daniel Brenner ha osservato che quando il comico ebreo Larry David ha sottolineato in “Saturday Night Live” che “molti dei predatori sono ebrei”, la Anti-Defamation League lo ha castigato per esser stato “insensibile” ed “offensivo”.

Brenner ha sostenuto che ci sono legittime domande da porre su cosa significhi il #MeToo quando si tratta di uomini ebrei-americani e sesso. Avere un predominio sulle donne è talvolta teorizzato come modo per “respingere la personalità eccessivamente cerebrale” del maschio ebreo, e che il “dominio sessuale” può essere usato “come modo per affrontare il proprio dolore emotivo”. Ha anche chiesto una migliore educazione dei giovani uomini ebrei.

Elana Sztokman, studiosa femminista, autrice di un libro sugli uomini ebrei ortodossi e che ora sta portando avanti un progetto di ricerca sulle molestie e gli abusi sessuali nel mondo ebraico, ha affermato che vale la pena affrontare l’argomento, per cercare di porre fine a tale comportamento. “Non abbiamo ancora veramente esplorato la questione di come insegniamo ai nostri ragazzi cosa significhi “essere un uomo”, dice. “Non sto dicendo che tutti i maschi ebrei siano potenziali molestatori. Penso però che dobbiamo, come comunità, porci la domanda: “Come stiamo educando gli uomini ad essere uomini?”. Perché, per quanto odi dare àdito agli antisemiti, in realtà penso che ci possa essere qualche problema nella mascolinità ebraica”.

Vale la pena notare che, sebbene casi molto più rari, neanche le donne ebree sono rimaste immuni da tale scandalo. Esempi recenti includono accuse contro l’accademica Avital Ronell ed il caso in corso di abusi sessuali che coinvolge Malka Leifer, una ex preside in una scuola di Melbourne.

Sia in Israele che negli Stati Uniti, la comunità ortodossa – ed in particolare quella ultraortodossa – è rimasta indietro sulla questione #MeToo.

Gratitudine e sollievo

“Il mondo ortodosso impiega sempre molto tempo per mettersi alla pari con quel che accade nel mondo secolare”, afferma Malky Wigder, ex membro della (ultraortodossa) comunità Satmar di New York, che ha pubblicato sui social media le proprie esperienze in tema di molestie sessuali ed aggressioni. “Le cose non cambieranno dall’oggi al domani. Penso però che il processo sia cominciato”, aggiunge.

Nell’ultimo anno, la Wigder ha cominciato a pubblicare su Facebook le proprie esperienze, chiamando per nome alcuni dei molestatori: uomini che, a suo dire, hanno approfittato della sua vulnerabilità di donna divorziata in lotta per la custodia dei figli.

In privato, ha ricevuto messaggi da donne ancora nella sua ex comunità: “C’è molta gratitudine e sollievo da parte delle passate vittime. Alcune di loro mi hanno detto di aver aspettato per anni che qualcuno ‘denunciasse’ queste persone”, afferma la Wigder.

Non è ancora soddisfatta, tuttavia, in quanto “all’atto pratico non è cambiato alcunché”, con molti dei presunti autori di reati che continuano a fungere da medici e consulenti per le donne. “L’ho fatto perché volevo avvertire la gente. È stato uno shock per me constatare che tutti già lo sapessero. Non stavano facendo niente”.

La Wigder afferma che le donne ortodosse vittime, che vivono in un mondo in cui sono educate a sottomettersi agli uomini e che incolpano sé stesse per la trasgressione maschile, provano paura, profonda vergogna e senso di colpa quando vengono aggredite.

“Sono certe che ci sia qualcosa che non vada in loro, [che] se lo sono attirato, anche se sono state drogate ed immobilizzate”, dice.

In molti casi, continua, “le donne non hanno nemmeno il linguaggio per iniziare a parlarne”. Le organizzazioni dominate dagli uomini, inoltre, fanno del proprio meglio per spazzar via qualsiasi accusa che emerga da sotto il tappeto, accusando quelle che si lamentano pubblicamente di infangare l’immagine dell’istituzione in cui ha avuto luogo il presunto abuso.

Al contrario, ispirato a #MeToo, il mondo ebraico non ortodosso è stato un alveare di attività, con la creazione di nuovi gruppi e maggiori sforzi per monitorare ed agire più da vicino contro la cattiva condotta sessuale all’interno delle organizzazioni esistenti.

In una nuova importante iniziativa, il Good People Fund e la Jewish Women’s Foundation di New York hanno lanciato ad agosto B’kavod, con l’obiettivo di fondere “valori ebraici ed un comportamento organizzativo ebraico”. Sperano di creare “spazi di lavoro sicuri e rispettosi”, al fine di “sradicare questa tensione tra lo spirito sacro dell’individuo e la santa missione dell’istituzione”.

Lo sforzo prevede una formazione professionale per le organizzazioni ebraiche, l’istituzione di linee telefoniche per la segnalazione anonima, assistenza e consulenza e supporto per chiunque desideri rendere pubblica la situazione.

Il movimento conservatore, nel mentre, ha creato una linea telefonica confidenziale interna ed un indirizzo mail apposito per la segnalazione di molestie sessuali. Ed il Center for Jewish Ethics ha avviato un crowdsourcing per creare “un crescente e flessibile archivio di fonti da Internet, che vediamo come risposta alle domande etiche ebraiche nell’era #MeToo”.

Il Jewish Women’s Archive sta catturando il momento per i posteri, attraverso un deposito speciale per storie #MeToo.

L’archivio mira a documentare le storie di aggressioni e molestie subìte da donne ebree – e le risposte ad esse – al fine di “illustrare i sistemi e le strutture che modellano le esperienze delle donne, nonché il loro potere collettivo di apportare cambiamenti”.

La Foundation for Jewish Camp ha creato l’iniziativa Shmira (ebraico per “dovere di guardia”), al fine di “cambiare la cultura del campeggio a tutti i livelli, implementando un cambiamento nella programmazione del personale, nella formazione, nella politica e nell’applicazione delle questioni relative a genere, sesso e potere”, e promuovendo “la responsabilità sociale ed individuale di ogni membro della comunità per garantire un ambiente sicuro” nei campi estivi ebraici.

Miriam Isserow, amministratrice del gruppo Facebook #GamAni ed ex coordinatrice presso l’Israel Women’s Network, afferma che, mentre è stato “straziante vedere quanti uomini ebrei” siano coinvolti negli scandali #MeToo, è incoraggiata dal vedere come molte azioni siano state intraprese per combattere la cosa.

“Dopo aver lavorato in Israele su questi temi per molti anni [come raccoglitrice di fondi sia per le donne che per le organizzazioni ebraiche], è davvero incoraggiante vedere la comunità riunirsi e rispondere”, afferma. “La trasparenza è cosa buona, agire altrettanto e, è evidente, nella nostra comunità ci sono molte persone disposte ad agire”.

 

Allison Kaplan Sommer 

Fonte: https://www.haaretz.com/

Link: https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-not-just-weinstein-the-year-metoo-rocked-and-shocked-the-jewish-world-1.6480994

18 Set 2018

 

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da HMG

 

 

 

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