DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea
Che sinistromedia del piffero ! (indovinare chi è il pifferaio) – Il collateralismo inconsapevole – e incosciente – delle dame de “il manifesto”
Io sono nato in un dolce paese – Sono lettore di un rosso giornale
Dove chi sbaglia non paga le spese
che un tempo nel brodo metteva del sale
Dove chi grida più forte ha ragione
ora arsenico e vecchi merletti
Tanto c’è il sole e il mare blù
spengono il rosso e il tempo che fu.
(Sergio Endrigo)
O, cara stampa di sinistra!
E pensare che quando, nel 1971, firmai per la prima volta sul “manifesto” le mie corrispondenze da una guerra allora ancora grandemente ignota, quella di liberazione dell’Eritrea e quella di secessione filovaticana e filoisraeliana del Sud Sudan (stessa zuppa oggi nel Darfur, con aggiunta di colonialisti francesi, tedeschi e statunitensi), scoppiavo di contentezza. Avevo alle spalle un giornale del PCI, “Paese Sera” che, coerentemente con quella Yalta che Togliatti incise a lettere indelebili nel DNA del partito, si era seccato delle mie cronache sul grande movimento che, scaturito dal ’68, andava mettendo in crisi le “compatibilità” sistemiche perseguite dal suo editore di riferimento. Quanto a me, mi era divenuta intollerabile la funzione, collaborazionista fino alla delazione con gli sgherri della controrivoluzione democristoamerikana, che quel partito si era dato in ideale continuità con l’amnistia, con la rassegnazione sui brogli del’48, il recupero dell’amministrazione statale fascista, con la mordacchia al popolo in occasione dell’attentato a Togliatti. Fallimenti che tuttora paghiamo, sempre più caro. Del resto dove quella generazione politica è finita e cosa abbia figliato ci viene rammentano giornalmente i Fassinodalemabersanipetruccioliferrarabondi e, con fastidiosa periodicità, gli ingraorossandaparlatosgrenafortilettera22. Dunque, mi ero buttato alle spalle quello che pur rimane nella storia uno dei migliori giornali italiani, a dispetto del vertice PCI, e, rimesso in spalla il vecchio fagotto, avevo detto addio alla testata (allora diretta da Giorgio Cingoli, poi craxista) e ripreso ad andar per guerre e rivoluzioni, sempre per le lande che mi avevano ospitato al battesimo del fuoco, la Guerra dei Sei Giorni. Lasciai “Paese Sera” e quelli si vendicarono. Una vendetta freddissima, addirittura preventiva: in sei anni di lavoro mi avevano pagato i contributi per appena otto settimane. Gli epigoni ancora in vita possono trarre soddisfazione dal fatto che quella gestione “comunista” del lavoratore mi ha lasciato al minimo della pensione. Ma che fa.
Però è vera quella cosa dei corsi e ricorsi. Non m’è capitato quasi lo stesso con “Liberazione”? Giornale che più comunista non si può, con un direttore, Sandro Curzi, che, più compagno di lui si muore. Direttore che, appeso al filo di Bertisconi, mi licenziò in tronco, senza neanche la letterina di prammatica “Grazie per il lavoro svolto, ma circostanze di ristrutturazione redazionale ci costringono, bla, bla, bla…”, senza gli otto giorni, senza l’art.18, figurarsi, senza buonuscita, solo per aver scritto che a Cuba i dissidenti condannati erano mercenari degli Usa con piani terroristici (cosa poi provata e da nessuno messa in dicusssione, ma in controtendenza con la marcia di avvicinamento del Bertisconi allo scranno d’oro. Qui fui io a gustarmi una vendetta, questa però calda calda, come si conviene ai giusti: una sonora condanna di “Liberazione” da un equo magistrato del Tribunale Civile di Roma. Quasi comico l’ulteriore corso e ricorso, quello della cacciata da Radio Città Aperta, l’emittente vernacolare di Roma, allorché questi post-autonomi, più rivoluzionari dei fedayin, si accorsero che costituivo una mela marcia nel paniere di pomi d’oro che si apprestavano ad offrire al più bello, bravo, efficiente, hollywoodiano, filopalestinese, antimperialista, antagonista, sindaco d’Italia, Veltroni, portandogli in dotazione elettorale (06%) le armate del “movimento”.
Spocchia fessa e spocchia intelligente
Potrebbe sembrare che me la tiri da vittima , ma dovreste vedere con che ghigno di allegra desolazione batto questi tasti in faccia al “manifesto”. Tutto sommato i ricordi che a volte risalgono dal pozzo mi confortano di una sola, semplice cosa: che non è detto che invecchiando si incitrullisce. Ed è altrettanto vero che chi se la tira ha il 100% di possibilità in più, se il tempo che passa si accompagna a tale atteggiamento, di invecchiare coglione. Di spocchia, saccenteria, arroganza, supponenza, alterigia, iattanza, superbia, protervia, altezzosità… (l’italiano, dato il carattere della sua razza padrona, ne ha a profusione di questi termini), ce ne sono essenzialmente due tipi: quello dei dotti e quello dei ciuci. Però entrambi conducono allo stesso esito: l’ottusità, con l’aggravante per la prima categoria dell’intelligenza offesa e dell’altrui fiducia tradita. Il burino incolto, il piccolo borghese imbozzolato nei suoi affanni di ascesa sociale, sotto copertura di ossimoriche mescolanze tra verbosità antagonistiche e pratiche “realiste” (vedi il salto della quaglia dei rivoluzionari vernacolari in appoggio al sindaco romano della restaurazione), per quanto blateri supponenti sinistrismi, resta inesorabilmente intrappolato nel proprio opportunismo di classe. E più invecchia, più si esercita in lifting e apparizioni sul balconcino, e più ne traspare la trama solipsista e autoreferenziale. La vicenda politica in atto non viene da lui minimamente modificata. Succede il contrario. E l’esito è da parrocchietta di paese, con quelle armate di beghine, polli e marpioni.
Più gravida di conseguenze nefaste è l’intossicazione di presunzione e alterigia che affetta i dotti, specie quando il loro invecchiamento sinapsico corre in parallelo con l’attuale senescenza dei tempi. Tempi che tanto più decadono e si corrompono quanto più dall’arco anticostituzionale Bertinotti-Berlusconi si proclamano nuovismi e innovazioni. Già, perché questi sapienti appartengono alla schiera di coloro che hanno fatto e continuano a fare opinione sul serio, opinione di massa. In tal modo assumono la responsabilità di interpretare e portare avanti le nostre istanze e di rispondere alle nostre domande. Se invecchiano male, nel senso che sempre meno ci offrono rappresentazioni veritiere e alternative e sempre più si accodano agli stereotipi del famigerato “senso comune” e, peggio, delle imposture del nemico di classe, difesi dallo scudo mistificante della propria reputazione intellettuale, allora il danno è grosso, il tradimento è pesante, lo smarrimento indotto è rovinoso. Il fenomeno, ahinoi, è di antica tradizione cattolica italica, in parte ha anche a che fare con la sostituzione, che si vorrebbe fisiologica, delle pantofole agli scarponi, ma nel presente di una vera e propria nemesi euripidea a precipizio verso la catastrofe, diventa collusione con i cavalieri dell’apocalisse.
Dal battistrada Ingrao, agli emuli del “manifesto”
Non so se il paradigma del brutto invecchiamento si debba applicare al guru della sinistra collateralista di Bertinotti, Pietro Ingrao, se è vero che l’incoerenza politico-morale e l’opportunismo, pur allignandovi più spesso che tra i giovani, non sono esclusiva dei suoi anni davanti al caminetto, o dell’ultima zoppicante rincorsa a qualche piedistallo o poltrona. L’illustre uomo non ha fiatato davanti ai, del resto opinabili, fatti di Ungheria, poi, con giuliva disinvoltura, li ha reinterpretati in perfetta sintonia con la vulgata Cia di ieri e sinistramente “innovativa” di oggi. Non ha mosso un dito quando la sua squadra di “eretici”, contaminata dall’ultimo afflato rivoluzionario del Grande Secolo, fu cacciata a calcioni dal Partito, preferendo, in virtù del pragmatismo di quel partito e del suo, assidersi sul terzo scranno di una repubblica agli ordini di mafia, massoneria e colonialisti Usa. Come ha percepito, dal buon ritiro ciociaro dagli inutilissimi versi, la tromba bertinottiana della nonviolenza con i gradi della Nato e del revisionismo sotto dettatura confindustriale, si è precipitato ad accogliere nella propria aura di “comunista” compatibile le arlecchinate del vippaiolo in cachmere. Male invecchiato? Ma no, il personaggio vanta una coerenza di ferro dai tempi delle ciliegie a quelli delle castagne. Lasciamolo fuori. Lui, con la sua feluca e la sua fusciacca di padre della patria.
Una “ragazza del Novecento” invecchiata male
Sotto il titoletto “Siamo tutti del manifesto”, quel giornale, che già nella presentazione grafica si presenta ostico e perciò ostile, pare invocare uno spirito di corpo da vecio alpin, mentre, elencando nomi e sottoscrizioni, non fa che manifestare ed esercitare il sottile, speriamo inconsapevole, ricatto del “non c’è di meglio”. Come attestano le poche delle tante critiche ed invettive di lettori esasperati da forma e contenuto, che Parlato pubblica, a volte con benevola accondiscendenza, a volte, quando il discorso non sa proprio di “spirito di corpo”, con arcigno fastidio. Ma quale spirito di corpo, che non sia di angosciosa “riduzione del danno”, può mai invocare tra coloro la cui verità, fede e speranza “comunista” è da anni appesa a quelle colonne di piombo, chi, come Rossana Rossanda, dalla cattedra di maestra del pensiero antagonista scivola nei bassifondi della truffaldina speculazione capitalista? Marciando trionfante su cinque colonne a cinque stelle del giornale, con l’aureola di chi la sa sempre più lunga di qualsiasi vermicello umano, la “maestra di pensiero” ha fatto rizzare i capelli a proprio tutti i consapevoli della devastazione capitalista del pianeta. Ha affondato la sua affilatissima lama nella schiena di chi, con ogni, comprovata, ragione tecnico-scientifico-cultural-politica, si oppone alla scellerata, miliardaria idiozia del Mose, contribuendo così a tappare la bocca alla laguna, al mare, ai veneziani, alla schiera dei migliori ingegneri marini del nostro e di altri paesi. Ragazzi, ce ne vuole di protervia per dare a questa meraviglia di mondo e di ecosistema tali apodittiche mazzate di incompetenza. Cos’è, un rigurgito dello sviluppiamo cresciaiolo tuttora rampante tra i sopravvissuti dello “sviluppo delle forze produttive”? Nel quale si intravede la trama nascosta che afratella certi comunisti al capitalismo, ammirato come transizione “ineluttabile” al socialismo. La bulimia confindustriale del Consorzio Venezia Nuova, già sull’orlo della disfatta grazie alle virtù valsusiane dei veneziani, ne ha cavato conforto, brindisi e prospettive auree. E pensare che fra vent’anni quel carcassone di ferraglia immanutenibile, ma dalle uova d’oro, grazie allo scioglimento dei ghiacci sarà superato da “acque alte” che quelle attuali, da stivaloni, parranno dune libiche. C’è poi stata, dopo una caterva di critiche, riprovazioni, dimostrazioni, da spiaccicare al muro il più petulante dei grilli parlanti, la replica dell’augusta madre di tutti i comunismi. Basterebbe l’incipit per sottolinearne disponibilità, modestia tecnologica e apertura al dubbio: Con gli interventi pubblicati ieri si chiude, per quanto mi riguarda, la discussione aperta da un mio articolo su Venezia… Chiuso, finito, chi ha avuto ha avuto, si buttassero pure in acqua centomila veneti a bloccare il mostro: populismi plebei. E indi giù cinque colonnone di vaniloquio burocratico-apodittico senza un cencio di argomentazione che potesse incrinare la granitica solidità degli esperti perbene.
Una stampella agli stragisti delle Torri Gemelle, carezze a Sofri
Stessa sicumera, del resto, su fatti di ancora maggiore portata planetaria, quando il giornale offre praterie di (brutta) carta al contrasto contro la crescente fiumana di negatori o disputatori, anche di altissimo livello intellettuale e tecnico, della grottesca versione ufficiale dell’11 settembre e seguenti. Costoro sono sistemati a forza di “psicopatici”, “paranoici”, “dietrologi”, “complottisti”. L’anonima stragi di Washington merita il premio di quel cretino di Striscia la notizia che va in giro assegnando “gongoli”. Il “manifesto”, invece. merita la croce di ferro con diamanti e allori dei militanti al servizio dell’impostura del millennio.
Lasciamo perdere l’indecoroso abbaiare del “manifesto”, in coro con tutti i cani del razzismo occidentocentrico, su Saddam e sul suo assassinio. L’unico a ringhiare contro, non ripetendo il mantra Usraeliano del “dittatore sanguinario” dai crimini peggio di Gengis Khan e Hitler, è Stefano Chiarini. E non si sa come ancora sopravviva in questo bollettino degli stereotipi imperialisti tinti di rosa e di pietas cristiana, vedi l’appalto di buona parte degli Esteri ai melliflui e caritatevoli cattolici di “Lettera 22”, di “Misna”, di “Terres des hommes” e di trucidissimi onganisti vari, tutti missionari in vorace appetito di guerre da deplorare per poi farne greppia (grazie viceministro alla cooperazione del “governo amico”, Patrizia Sentinelli!).
Ma non lasciamo perdere il superpezzo scritto sotto il titolo, al solito di elegante modestia, “Consuntivo”. E già, chi se non la “ragazza del novecento” poteva redigere un irrevocabile e implicitamente inconfutabile “consuntivo”? I consuntivi li fanno i monarchi, i maitre a pensee, presidenti e duci, segretari nazionali, capibastone e capi officina, sindaci e certificatori di bilanci
Nonostante le perplessità che sulle valutazioni di Rossanda a molti erano venuti fin dall’accanita e irrevocabile difesa fatta, senza il benché minimo accenno alle nefandezze politico-letterarie, del rinnegato sharonista e bombarolo virtuale di Jugoslavia e di tutto il resto, Adriano Sofri (per antica consorteria, per dabbenaggine, per astuzia giudaico-cristiana?). O dell’analoga apodittica perentorietà sull’integrità delle Brigate Rosse di seconda generazione – parlo dei capi, tutti fuori; non dei seguaci ignari, rispettabilissimi, perciò tutti dentro – attribuiti al famigerato “album di famiglia” (i ministri degli interni Dc ancora si commuovono), anziché al manuale Cia degli anni ’50 in cui si pianificavano dettagliatamente virgulti di questo tipo per intralciare il cammino delle sinistre di massa e d’avanguardia verso un potere antiatlantico. Un sospetto piccolo piccolo non le poteva venire dalle capriole di gonfalobieri rivoluzionari come Brandirali, Liguori, lo stesso Sofri, Pietrostefani, Lerner, Riotta, Ferrara, Panella, Capuozzo, Boato e tutta l’armata di guardie bianche transitata dalle barricate e dai Vietcong, ai Consigli d’amministrazione, a Vespa e ai marines? Un po’ di Stay behind per le bombe di destra, e un po’ di sparatori di “sinistra” per gli attentati a esponenti progressisti e a governanti filoarabi.
La protervia è la madre di tutte le cantonate e però diventa oggettivo collateralismo quando va a puntellare i muri maestri della costruzione del nuovo ordine mondiale.
Adriano Sofri
Su Saddam ignoranza e vergogna
Per esempio quando ci si occupa di Saddam, o del Darfur, puntato dal colonialismo, o della Cecenia greggioconducente da strappare alla Russia, ove si fornisce gratuito avallo, tanto più grave perché da “sinistra”, alle fandonie che una strategia, fondata su guerra, genocidio, impoverimento e fascistizzazione universale, deve necessariamente diffondere per ottenere, se non il consenso, la passività dei sudditi. Veniamo dunque al maestoso consuntivo rossandiano. Stigmatizzate, come di prammatica da Bush a Re Abdallah, le modalità del linciaggio del legittimo presidente iracheno (manco una parola sulla dignità e sul coraggio con cui l’uomo ha affrontato i carnefici), è assestatasi così sul politically correct, ecco che l’astuta analista si mette a ripetere in la minore le fregnacce strumentali del comander in chief: Saddam era bell’e liquidato dopo la cattura e la spiata che lo aveva fatto tirare fuori dal buco ed esaminare come una vacca al mercato, esordisce con trasparente disprezzo per il soggetto e malcelata soddisfazione per la “liquidazione”. Rossanda avrebbe il dovere professionale di nutrire le sue aporie con qualcosa di più serio della “Repubblica”, del TG1, o del “New York Times”. Se lo avesse assolto, avrebbe saputo delle smentite documentate da testimoni e dagli stessi comunicati interni Usa, che il presidente iracheno nel buco c’era stato messo dagli scagnozzi statunitensi un paio di mesi dopo essere stato catturato con una sparatoria nella casa del parente che lo ha tradito. Sentenzia poi la nostra storica e qui la spocchia si nutre di ignoranza mescolata a impudicizia: Né l’Iraq né il mondo sono stati molto turbati dalla sua seconda fine… Saddam era finito (e dagli!). Forse la prestigiosa madre di tutte le arroganze è stata lei a essere poco turbata dall’obbrobrio degli uni e dal valore dell’altro. Forse non considera – parossismo di incancrenito eurocentrismo – i popoli arabi parte del mondo. Che nelle settimane dopo l’assassinio, decine di migliaia di iracheni si siano mossi verso la tomba del loro presidente, da tutti i pizzi del paese, sfidando quel che ben si può immaginare sarebbero state le conseguenze nel mattatoio degli squadroni della morte Usa – iraniani di Moqtada al Sadr; che in tutti i paesi arabi, dallo Yemen alla Giordania, dall’Egitto all’Algeria, dal Qatar al Sudan e alla Siria (prossime vittime dei tagliatori di teste euro-israelo-americani, agevolati dagli anatemi umanitari di Rossanda e Co.) continuino a svolgersi manifestazioni di odio agli assassini e di onore a Saddam; che anche nella nostra parte di mondo “non turbato” milioni di coscienze non avvizzite abbiano espresso, almeno in rete, orrore per l’impiccagione e per lo tsunami trentennale di calunnie che l’hanno agevolata; che già soltanto la mia personale afflizione – esecrazione era tale da colmare le voragini di insensibilità di questa maestra del pensiero “antagonista”, tutto questo nelle ammuffite stanze della torre d’avorio capalbiese non è potuto penetrare.
L’autrice paga poi pegno alla propria reputazione di fine letterata vagolando nel più e nel meno: Siamo alla riproducibilità dell’opera d’arte nell’età della tecnica che permette a chiunque di ripetersi l’esecuzione in casa quando gli gira… questa è la modernità o postmodernità (?), per tornare con foga all’oggetto sociale preferito dal giornale in sintonia con gli indirizzi propagandistici dei planeticidi. Per accreditare la validità delle varie pere tossiche fatte all’opinione occidentale dagli uffici di intossicazione della Cia e del Mossad, ci sono due modi: ingigantire il fatto, o sminuirlo. La seconda opzione è la più scaltra: si dà l’impressione di non essere cascati nella psicosi terroristica alimentata dai cani di guerra e di tirannia, si prende una qualche elegante distanza da Rice, Rumsfeld, Cheney, D’Alema e Olmert. Molto chic. L’effetto rimane lo stesso: si accredita quello che, dopo la favola di Cristo, è il raggiro dell’umanità dalle conseguenze più tragiche.
Così Rossanda ci istruisce che non è mica stato l’attacco alle Torri Gemelle a segnare lo spartiacque del secolo, lo spettro di un terrorismo che si ergeva inaspettato e possente contro la nostra ricca e calcolatrice civiltà. Questa tesi… è andata spegnendosi con Al Qaida, congegno nascosto e poco attivo, a conti fatti evento minore (sic!). Poco conta infatti Osama bin Laden… e, quanto all’uccisione di Al Zarkawi in Iraq, non ha segnato discontinuità alcuna. Né è Al Qaida ad agitare l’Afghanistan. A distanza di neanche dieci anni , l’attacco alle due Torri appare un feroce fuoco d’artificio, dall’effetto ampliato dalla tecnica di costruzione (sic!) dei due edifici, che ha ferito l’invulnerabilità degli Stati Uniti e dato corpo all’organizzazione di un’enorme vendetta…. I conti sono stati saldati sulla pelle di un paese come l’Iraq… Ragazzi, viene a mancare il respiro davanti a un’Al Qaida “congegno nascosto e poco attivo, a conti fatti evento minore”! Qui non si sa se ci si deve inchinare a un cinismo da salotto di Talleyrand, o se si deve correre a strappare le vesti alla veneranda signora per vedere che cosa cazzo c’è sotto a tanta improntitudine. Per quell’evento minore, poco attivo, a cui si sono attribuite carneficine di migliaia di innocenti in grattacieli, metropolitane, treni, alberghi, discoteche e, con l’ologramma Zarkawi (ma non hai mai letto gli annunci funebri angloamericani per uno Zarkawi, rozzo tagliagole al servizio degli Usa in Afghanistan, disintegrato alle bombe in Curdistan nel 2003? Perché non lo chiedi a sua moglie?), una buona fetta dei 650.000 sterminati in Iraq dal 2003, siamo finiti in guerra dopo guerra, in bagni di sangue che nessun Hitler avrebbe mai sognato di eguagliare. Grazie a quell'”evento minore”, un’America in crisi strutturale e sull’orlo della bancarotta da debito e sovrapproduzione, ha potuto riattivare la locomotiva del complesso militar-industriale e trascinarsi dietro mezza umanità. E’ quell’evento che sta alla base del fascismo dilagante in tutto l’Occidente, della demolizione della democrazia pur formale, della liquidazione di ogni norma di diritto internazionale, della legittimizzazione e a volte legalizzazione del sequestro e della tortura, della detenzione senza processo e sul sospetto, del genocidio strisciante, anzi galoppante, condotto, tra i sorrisi dei cicisbei atlantici e nel consenso di una popolazione intossicata di razzismo bellicista, fino alla colonizzazione di una città veneta a fini di sterminio di genti consentita dal “governo amico” di centrosinistra, lestissimo ad affrontare problemi “urbanistici”. La pericolosa stolidità di una simile minimizzazione – che vorrebbe apparire alternativa al pompaggio dell’11 settembre, di Al Qaida, del “terrorismo islamico”, fatto dai pianificatori della paura e della conseguente sottomissione – è aggravata dall’esplicita conferma di tutti i paradigmi inventati dall’imperialismo nazisionista e utili alla sua affermazione.
Con questa capifila dei fanciulli invecchiati nel buio del pifferaio con stella di Davide e stelle e striscie, non ci si cessa di stupire. A due giorni dall’exploit di oggettivo fiancheggiamento al mito del terrorismo islamico, Rossanda si produce, dopo anni dal disvelamento dell’operazione Vaticano-Cia chiamata “Solidarnosc”, nell’ennesimo tributo al genio di Adriano Sofri, definito “il più saggio e informato” commentatore degli eventi polacchi attorno alla cacciata di un vescovo che, poveretto, aveva sfiorato per motivi di lavoro il servizio segreto comunista. Quel Sofri che torna a esaltare la vicenda del sindacato destabilizzatore filosionista e filoUsa, dopo aver negli anni fornito benzina e bombe ai cacciabombardieri Nato con la menzogna delle “stragi del pane” di Sarajevo. E tutti e due giù a commemorare con tenera nostalgia arnesi della controrivoluzione come Kuron, Michnik e Modzwelewski che, facendosi scudo della giusta rabbia operaia di Danzica, hanno spianato la strada agli orridi gemelli fascisti oggi al potere a Varsavia.
Saddam Hussein, Presidente dell’Iraq, assassinato
Sgrena, ostaggio degli islamici o dell’islamofobia?
Se l’islamofobia, intrecciata a temi come il terrorismo e il fondamentalismo islamico, di programmata derivazione dall’autofagia dell’11 settembre, rappresenta la cornice culturale e politica per la guerra globale preventiva e permanente di sfoltimento dell’umanità e di garanzia di potere per le elite occidentali, alla scuola di Rossanda si sono formate, fino a superare la maestra, altre protagoniste. Sorvoliamo sul Marina Forti, interlocutrice della borghesia chic di Tehran, con il suo Iran da stigmatizzare in termini olmertiani, non già perché d’intesa con gli occidentali sbrana il popolo iracheno e punta a farne un’estensione del proprio espansionismo subimperialista, ma perché, tra veli e difesa della sovranità, insiste a percorrere una strada che non conduce ai Wall Mart e alle tette e natiche carlucciane. Soffermiamoci, invece, su un’autentica protagonista dell’involuzione del “manifesto”: Giuliana Sgrena. L’abbiamo trovata insopportabile già ai tempi di quel bigottismo democraticista e occidentocentrico con cui affrontava, decontestualizzandole come meglio non potrebbe una qualsiasi Giovanna Botteri (moglie di quel Lanfranco Pace, ex-Potop, oggi reggicoda di Giuliano Ferrara e corifeo di qualsivoglia delinquenza politica imperialista), realtà complesse, lacerate tra autodeterminazione e voracità colonialiste, come l’Algeria o l’Iraq. Ma le avevamo perdonate molte cose alla luce del sequestro subito a Baghdad. E’ vero che ci eravamo chiesti come mai, al ritorno, ristabilita e onorata, non avesse mai scritto una parola di quello che le profughe intervistate nell’ospedale le avevano raccontato (verosimilmente il massacro al fosforo di Falluja, appena successo) durante le due ore trascorse con loro prima del rapimento. Dovemmo aspettare l’ottimo Sigfrido Ranucci, di RaiNews24, per scoprire quei crimini. E’vero anche che ci siamo stupiti del suo silenzio, tuttora rigoroso, sul quarto uomo presente nella vettura di Calipari secondo le dichiarazioni sia del suo direttore, sia dell’unità di crisi a Palazzo Chigi (verosimilmente il capo dei rapitori che, dal servizio agli Usa, era passato, per congruo compenso e promessa di espatrio, a quello del Sismi). Ma abbiamo capito e compatito. Sono cose che possono comportare rischi pesanti. Ma che ora Sgrena debba addirittura eccedere nei favori a coloro che, con ogni probabilità hanno inflitto afflizioni tremende a lei come ai tanti altri rapiti non in sintonia con un potere che punisce i non embedded, beh, questo ci risulta proprio inaccettabile.
Sgrena di Somalia
Il 12 gennaio 07, l’autorevole “commento” a firma Giuliana Sgrena, una giornalista zeppa di pregiudizi da “Piccole Ancelle di Maria”, si apre con il titolo L’incubo somalo di Bush. E già siamo a un rovesciamento: i somali – ed è inteso che si tratta delle Corti Islamiche – sarebbero un incubo per la vittima Bush, e non Bush, con i suoi fantocci del governo da provetta e degli ascari etiopici del tiranno fantoccio Meles Zenawi, sarebbe l’incubo dei somali. Sappiamo tutti come stanno le cose. Non Sgrena, che naviga nelle tempeste sfiorando appena le increspature di schiuma, bastonatrice che è di musulmani – a meno che non soffrano e piangano – ovunque le capitino a tiro e corifea, al pari della collega Forti, delle borghesie compratore del terzo mondo, quelle “emancipate” e occidentalizzate, sulle quali fa grande affidamento il colonialismo di ritorno (vedi la sua esaltazione di una “primavera berbera” in Algeria, fomentata dalla Francia in funzione secessionista). Anche se sono quelli che in Palestina raccolgono l’ansia di resistenza, democrazia (non formale e truffaldina come la nostra) e onestà della stragrande maggioranza della popolazione. Anche se in Libano sono laici e pluralisti che il meno cattolico dei cristiani può andare a nascondersi (tanto che su costoro Sgrena ha voluto sorvolare, preferendo riempire un paginone di confusi discorsi sulla nostra benevolente “cooperazione” in Libano). Anche se in Somalia, dopo 15 anni di caos dei predoni della guerra, fomentati e foraggiati dagli Usa e anche da noi, hanno saputo dare, almeno per sette mesi, un momento di tregua, ordine, ricostruzione, dignità, vita, alla gente. Magari bandendo qualche film, di quelli che insozzano l’intelletto e il buongusto e, orrore! apendo qualche moschea. Mai sentito Sgrena deplorare le chiese cristiane che butterano la terra di altre credenze. Cito alcune delle mininukes USraeliane che, tralasciando addirittura quel poco di piagnucolio che riversava sulle vittime irachene, mentre ne stigmatizzava compunta la resistenza, anzi, la “violenza”, la superdecorata del “manifesto” ha saputo immettere nel colonnino di “il commento”. Non so se la giornalista in Somalia ci sia mai stata. Certo non ci ha messo il naso da quando lì il vento aveva cominciato a cambiare grazie alle Corti. Sull’invasione degli etiopi, nemici storici dei somali e sostenitori di un governo-burletta nominato dalla Cia e da notabili fuorusciti e stranieri in Kenya, ha da dire: Inizia anche in Somalia la caccia ai terroristi, che sarebbero appoggiati dalle Corti islamiche. Se i terroristi sono arrivati in Somalia, e non è da escludere (neretto mio)…
Embè, quando ci sono i terroristi islamici…
Sul termine “terroristi”, caro a coloro che li innescano dappertutto perché lubrificante del motore delle invasioni e occupazioni, Sgrena non mette le virgolette manco glie lo avesse chiesto il povero Calipari. Naturalmente che questi ci siano non è da escludere, come detta la criminalità organizzata occidentale, sennò come si fa a sfoltire popolazioni di pastori, pescatori e agricoltori che si erano illusi di poter riprendere in pace una propria strada nazionale? E se Hamas e Hezbollah e i partigiani iracheni e gli indipendentisti sardi e i venditori di kebab londinesi e gli imam di Milano e gli attivisti dei circoli bolivariani sono terroristi, vuoi che non lo siano quei selvaggi di somali? Il maresciallo stragista Graziani, che fin nel sepolcro esibisce il bacio del grande baciatore di mafia (sentenza di Palermo), si sente del tutto riabilitato. Al pari di questi, erano ovviamente terroristi anche i resistenti abissini. La cara ai missionari Sgrena scrive poi del “precipitoso ritiro Usa… dopo l’assassinio di 18 soldati americani. “Assassinio”, capite, non uccisione, o, che so, la morte, l’eliminazione. Assassinio ha un sapore preciso. Per Saddam hanno parlato di esecuzione, hanno scritto che è stato “giustiziato”… Poi dagli ai sauditi che esportavano il loro orrido wahabismo (il nostro cristianesimo, per i cui fogli la Sgrena scrive anche, ha portato solo rose e libero arbitrio) travestito da aiuti umanitari e business (campi profughi, orfanotrofi, scuole, dove le bambine –orrore- fin dalla più tenera età erano velate e studiavano arabo). Poi, che bruti opportunisti questi islamisti: se portavi il chador ottenevi 100 dollari al mese. Categoricamente escluso che abbia mai potuto essere la libera scelta della ragazza, quei gonzi di somali si facevano infilare il corano anche nel naso. E ancora: integralisti che tagliano mani e piedi ai ladri (le fonti, prego, Sgrena! L’Office of Strategic Information del Pentagono forse?), che sostengono i taleban – schiuma della Terra – con quell’integralista di Jama Ali Jama che guidava (secondo gli USA, ma Sgrena non obietta) il braccio somalo di Al Qaida, nientemeno. Viene in mento quell’Al Qaida che Israele ha tentato di seminare a Gaza tra i palestinesi e che quelli hanno subito saputo smascherare e denunciare come operazione sharoniana. Di passaggio, si sputtana l’Eritrea quale alleata di Israele, che però sopravvive al boicottaggio occidentale e all’aggressività Usa-etiopica grazie agli aiuti arabi. Conclude in bellezza l’ex-rapita: spernacchiati coloro che difendono le Corti in nome della pace e della sicurezza, ecco una strombazzata finale tra le cui righe risuona la marcia dei marines: Quella delle Corti era una sicurezza che, come nell’Afghanistan dei Taleban , si basava sul terrore (sic!), chiusura del cinema, proibizione della musica e dei matrimoni tradizionali. Quel che è certo è che tra intervento (intervento!) etiope-americano e il terrore (terrore!) dei taliban (taliban!) somali, ogni soluzione negoziata è pregiudicata. Così, ore che la Somalia è stata restituita al settore imperialista delle mattanze di sfoltimento, almeno il 50% della colpa è di quei terroristi delle Corti (sotto le quali la mattanza era diventata ricostruzione). Tutto questo non è firmato dalla sorella soft di Magdi Allam. C’è scritto Giuliana Sgrena, del “quotidiano comunista”.
Grimaldi di Somalia nel post-craxismo
Sono stato anch’io in Somalia, primo giornalista italiano dopo l’abbattimento del burattino sovietico e poi statunitense Siad Barre, intimo di festini e porcate finanziarie dell’oggi ampiamente rivalutato (anche dal PRC) ladrone Craxi. Era il marzo del 1991 e a Mogadiscio si fronteggiavano il generale Mohammed Farah Aidid e un capoclan di nome Ali Mahdi. Aidid era l’eroe della rivoluzione, avendo mobilitato il paese per la cacciata del corrotto figuro bushian-craxista, Ali Mahdi era un rotondetto signorotto della guerra, oggi di nuovo nelle foto-ricordo dei fantocci, che stava simpatico agli italiani e all’Occidente in genere perché garantiva sottomissione coloniale. Siccome le bande di Mahdi non ce la facevano contro un Aidid sostenuto dalla maggioranza della popolazione e da tutta la nobilissima intellighenzia somala, come si sa intervennero, nel paese “fratello”, torturatori italiani, Black Hawk statunitensi e salmerie varie. Aidid sconfisse anche questi invasori e Sgrena non ricorda che dall’altra parte dei 18 marines “assassinati”, ci furono 3000 somali massacrati dagli occupanti. Ali Mahdi era l’uomo di Mario Raffaelli, sottosegretario per l’Africa del regime Craxi e delle sue malversazioni. Oggi è l’uomo di Prodi nella stessa colonia da recuperare. Aidid morì, il figlio tralignò ed è oggi uno spione degli Usa (pensate al figlio di Maurizio Ferrara, dirigente del PCI). Dopo di me, in Somalia la Rai mandò varie Giovanne Botteri, per dire emissarie mediatiche della mistificazione e rimozione colonialista. Faceva eccezione la mia collega del TG3 Ilaria Alpi che, pur aderendo all’invenzione degli “estremisti islamici”, si distinse per le bucce che fece alla cooperazione italiana di Craxi-Raffaelli, mettendo il naso nella fogna dello scambio rifiuti tossici-armi tra La Spezia e Trapani, tra una cosca massonico-pcista e la Comunità trapanese Saman del brigante Mimmo Cardella (riparato in Nicaragua) e del capoccia lottacontinuista Giorgio Pietrostefani, che ne curava la copertura francese (riparato in Francia). E ci rimise le penne e qualcuno dei suoi assassini fa il generale, qualcun altro il sindaco, qualcuno il faccendiere. Sgrena, perché non dai un‘occhiata a questa vicenda? Un minimo di solidarietà tra colleghi, anzi, tra donne, no? Non interessa, non ci sono “terroristi islamici” da satanizzare in coro con i nazisionisti di Washington, Tel Aviv e circondari?
Perché si perdono lettori, una domanda che la spocchia non si pone
Attraversare “il manifesto” è come frugare nella fangazza dei cercatori d’oro brasiliani. Ci vuole una vita per trovare qualche pepita, Chiarini, Dinucci, Matteuzzi, Robecchi, Vauro, gli sportivi, i contributi di Cavallari, Manisco, Petrella… Ma è un percorso in cui ci si imbratta tutti. Superati infine anche i roveti delle pagine culturali, perlopiù tanto astruse e dal linguaggio così intorcinato e autocompiaciuto da far pensare a una lucida intenzione di far sentire idiota chi legge e non ha tre lauree, o un Umberto Eco sottomano, tocca andare a risciacquarsi i panni in rete. Non è questo, comunque, il problema maggiore. Il problema maggiore, una vera tragedia per chi è appeso a questa travicella di carta nel liquame dell’imperial-capitalismo di fine impero, è che dalla travicella ci trafiggono gli spuntoni delle menzogne dei terroristi bianchi, cristiani, indoeuropei. Quegli aculei velenosi che costituiscono lo scheletro che regge l’intero organismo della ricolonizzazione, dell’abominio fascista, della criminalità al potere in quasi tutto quel mondo che se la tira da Civiltà Occidentale. E ancora peggio è che questo giornale, guadagnatosi una certa fiducia negli anni delle nostre consonanze con le carinerie politicamente corrette cucite su questi stereotipi finalizzati alla lobotomizzazione universale – la condanna delle guerre, le denuncia delle atrocità relate, saggi sul Terzo Mondo… – e addirittura di alcune valide battaglie – Valsusa, ambiente, pensioni, precari… – alla fin fine ci dà a bere il cianuro coperto di zucchero. E sono pochi quelli che non se lo succhiano.
Cialtrone slavo
Tommaso di Francesco, che sarebbe innocuo e anche gradevole nelle sue geremiadi sulla Jugoslavia perduta, non resiste alla coazione a ripetere, con il suo contropulizia etnica in ogni articolo, quasi fosse un insopprimibile herpes, la bufala infame della “pulizia etnica” attribuita ai serbi a giustificazione dello squartamento dalemian-clintonian-woytiliano di quel che restava della Jugoslavia. In ciò si affianca ad altri combattenti della frode fintopacifista, alla Sofri, Alex Langer, quell’ “equilibrato” Remondino che non fa un pezzo senza menzionare il “despota” Milosevic, dove il termine “despota” pare il Viagra dei suoi exploit cerchiobottisti, e poi crociferi di Sarajevo vari. Ma consentire, lui che è responsabile esteri, di andare in una prima pagina che potrebbe essere di “Libero” a un gentiluomo che apre il suo pezzo con: Sulla morte di Saddam non c’è da versare una lacrima, vuol dire distruggere anche quei festoni umanitar-compassionevoli con cui il giornale già di Barenghi (“preferisco i marines ai tagliatori di teste”, oggi correttamente alla Stampa) suole coprire i peggiori luoghi comuni del nemico di classe. L’autore poi prosegue con la solfa corrotto, dittatore, autoritario, in lotta per il potere e guidato da brutali considerazioni pragmatiche che lo portarono a collaborare con gli Usa per tutti gli anni’80. E l’eterna fanfaluca del “Saddam uomo degli americani”, per quanto nazionalizzatore del petrolio angloamericano, nemico perenne di Israele e unico sostenitore dei palestinesi, organizzatore del Fronte del Rifiuto contro Camp David del ’79, polo nazionale arabo contro un Iran prima con lo Shah e poi con gli ayatollah legati da armi e quattrini a Israele e agli Usa, ora anche nella spartizione dell’Iraq. Il “giornalista” non si stanca di spappagallare l’eterna fola secondo cui il ministro dell’informazione di Saddam, Saeed al Sahaf, i cui precisi resoconti potei ascoltare di persona ogni giorno dell’assalto Usa, raccontava micidiali balle (le raccontavano i generali Usa a Doha) e “coi tank americani a Baghdad” ripeteva che la città sarebbe stata la tomba degli aggressori: quanto avesse ragione viene dimostrato dalla bella media di 5 occupanti liquidati ogni giorno. Alla fine, poi, rivela i suoi tratti più intimi: Il crimine più grande di Saddam: il suo tentativo di rovesciare il governo iraniano. Bel lavoro a copertura dell’attacco di Khomeini all’Iraq – ero sul posto –, di Khomeini finanziato per otto anni dal Congresso Usa (vedi gli atti) e armato da Israele (Iran-Contras). Grazie a un’intuizione folgorante, lo scrivano ha un’idea di assoluta rettitudine legale e morale: perché non consegnare Saddam all’Aja come Milosevic? E, dunque, massacrato da una farsa processuale ed elegantemente avvelenato, anziché volgarmente impiccato. Almeno Carla del Ponte non gli avrebbe preso a calci la testa, come ha fatto Moqtada al Sadr, il boia al guinzaglio Usa (quello che per il Campo Antimperialista è un leader della Resistenza). “Il manifesto” glielo fa dire, Tommaso Di Francesco glielo fa scrivere. Saddam mazziato, il lettore cornuto..
Questo “compagno di strada” si chiama Slavoj Zizek. Chi ha pianto sulla Jugoslavia e su Milosevic lo conosce. Zizek dovrebbe andare in Iraq. Gli saprebbero rispondere.
Intanto gli risponde Saddam Hussein, dal luogo a cui tutti gli arabi e gli oppressi ora guardano per ispirazione, coraggio, futuro: Combatto la tirannia Usa in nome degli iracheni, degli arabi, dei popoli di tutto il mondo. Quanto a me, ho operato per gli arabi e ho fatto il mio dovere. Sono convinto che il popolo iracheno combatterà fino all’ultimo. Non accetterà mai un dominio straniero. Non m’importa di morire, non è che sono molto attaccato a questa vita. Per ogni essere umano c’è un tempo per andare. La vita di ogni singolo iracheno vale la mia.
Il “manifesto” non pubblicherà mai queste parole. Forse perché i suoi caratteri non sarebbero all’altezza. Come “Liberazione” rifiutò di pubblicare la mia intervista a Milosevic. L’ultima, prima che lo ingoiasse il buco nero in cui rischiamo di finire, ballerini sul Titanic tenuti per mano da giornalisti “di sinistra”, tutti noi.
Il resto sarebbe silenzio.
Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
14.01.2007