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La Redazione

 

“RIVOLUZIONE” – Il film documentario

MAGDI ALLAM O IL GOLPE MORBIDO

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A cura di God
Il 26 Giugno 2007
51 Views

blankDI GIANLUCA BIFOLCHI
Uruknet

Il fatto che l’Occidente abbia scelto senza riserve di fare di Mahamoud Abbas il simbolo delle speranze della giovane democrazia palestinese, benché sia agli ordini di Ehud Olmert e Condoleeza Rice, e benché i Palestinesi abbiano dimostrato in libere elezioni di preferirgli gli arcirivali di Hamas, potrebbe indurre a ritenere che la nozione di democrazia ha un significato diverso a seconda che si tratti del modo di decidere le cose a casa nostra o a casa degli Arabi.

Ma sarebbe una conclusione affrettata. Il vero criterio è la conformità di una democrazia e dei contenuti che esprime alle mire e agli interessi del sistema imperiale degli Stati Uniti. Il Presidente del Venezuela Hugo Chávez Frías è trattato dalla “comunità internazionale” (espressione che quando è contenuta tra virgolette indica gli USA e l’Unione Europea) come un appestato, benché goda di un immenso favore popolare, debba la sua autorità ad un processo democratico impeccabile, e, a differenza dei gestori di Guantanamo ed Abu Ghraib, non ha conti aperti sul terreno dei diritti umani.Occorrerebbe semmai chiedersi cosa accadrebbe in Italia se, grazie ad un’inedita combinazione di fattori, si innescasse un processo analogo a quello della Rivoluzione Bolivariana, e a cui potremmo dare il nome di Rivoluzione Mazziniana, dato che il pensiero politico di Simon Bolívar non era poi molto diverso da quello dell’apostolo del nostro Risorgimento. Per quanto numerose siano vie e scuole elementari che continuiamo ad intitolare a Giuseppe Mazzini, quello in suo nome sarebbe di certo un processo politico dai contenuti eversivi rispetto all’angusto spettro delle opzioni considerate legittime dalla nostra “democrazia”, e in men che non si dica ci ritroveremmo retrocessi al rango di un Venezuela qualunque. Un paria nel novero delle nazioni per bene in cui è lecito promuovere ogni tentativo di sovversione dall’interno.

Ovviamente vi sono fattori identitari che continuano a fare la differenza. L’America Latina, a differenza del Medio Oriente, è cristiana, ed un rinculo di ideologia creola ci induce tutt’ora a percepire la sua demografia come “bianca”, nonostante la consistente presenza di Indios ed Afro-Americani. I piani di “regime change” impongono pertanto di attuare tattiche da “golpe morbido”, con assedio da parte della dittatura mediatica globale, isolamento internazionale, sostegno finanziario a minoranze conservatrici e reazionarie, e ricorso incospicuo (cioè mediaticamente invisibile) alla violenza e all’omicidio politico per non mettere in imbarazzo cultori dei diritti umani del calibro di Marco Pannella, Emma Bonino e Daniele Capezzone.

Con Palestinesi, Libanesi e Iracheni (e Afgani, e Somali,…) si può evitare di andare per il sottile, e il raggiungimento degli obiettivi può giovarsi di fosforo bianco, cluster bomb, volumi di fuoco da Armageddon e presa per fame. Anzi, tra le colpe dell’invasione del 2003 dell’Iraq, va ricordato come la sua brutalità ha fatto trascorrere nell’ombra i precedenti dodici anni di sanzioni criminali, attuate con determinazione genocida dal simpatico Bill Clinton, il presidente sassofonista, con l’entusiastico appoggio dell’Ulivo mondiale che ancora rimpiange i vecchi tempi.

Va da sé che l’annichilimento fisico dell’avversario (“Annichiliscilo”, dicevano i nostri bravi ragazzi a Nassiryah quando finalmente si poteva sparare un po’) è molto più pratico e sbrigativo delle lungaggini del “golpe morbido” che, come anche il caso dell’Ucraina dimostra, sono sempre di esito incerto, per la curiosa ritrosia di tanta gente a vendersi a una potenza straniera, fosse pure il paese di George Cluney, Halle Berry, Madonna e la Coca Cola.

Si capisce quindi il grande interesse degli USA e della provincia europea a salvaguardare l’efficacia di quegli fattori identitari che, giovandosi di elementi etnici e religiosi, definiscono aree geopolitiche in cui il ricorso alla violenza militare delle grandi potenze è non solo giustificato, ma anche degno di lode in quanto segno di responsabilità a farsi carico dei problemi della “sicurezza” comune. Ad esempio, un certo grado di islamofobia è necessario perché l’Occidente ricorra all’uso della violenza in Medio Oriente, in forma diretta in Iraq, o per procura in Libano e in Palestina fomentando guerre civili. Non importa se ciò avvenga nelle forme becere di Magdi Allam o in quelle davvero sofisticate (e altrettanto insidiose) di Khaled Fuad Allam.

Si ritiene comunemente che Magdi Allam sia l’esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera. Ma questo non è affatto vero. L’esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera è Guido Olimpio, un giornalista esperto ed informato, nonché un autentico veterano di quell’area. Quando Mieli ha bisogno di una vera analisi su quello che succede in Iraq o in Libano incarica Guido Olimpio, non certo Magdi Allam. Si può anzi ritenere che se a un certo numero di giornalisti come Guido Olimpio venisse chiesto di dire fuori dai denti cosa pensano di Magdi Allam verrebbero fuori caratterizzazioni molto diverse, ma tutte imperniate su parole chiave come “bugiardo”, “cialtrone”, “poco di buono”. Questo lo sanno loro, e lo sa anche Paolo Mieli.

La centralità mediatica di un personaggio equivoco come Magdi Allam dipende dall’importanza che ha assunto in anni recenti la percezione del contesto mediorientale, come area in cui gli obiettivi dell’Impero possono essere raggiunti col dispiegamento della violenza militare, evitando le incertezze e le lungaggini del “golpe morbido” che si sperimenta in Ucraina e Venezuela. In altre parole Magdi Allam opera nel senso della costruzione di un consenso all’uccisione dell’uomo arabo, e alla facilità di escogitare giustificazioni a una tale pratica.

La scelta e la presentazione delle notizie da parte dei grandi media, soprattutto negli affari internazionali, risponde sempre ad una dialettica tra due esigenze contrastanti. Da una parte occorre fornire quel tanto di buona informazione che permetta ad un ristretto nucleo della classe dirigente di rimanere in contatto con la realtà e prendere decisioni non troppo sballate; per tutti gli altri vi è una funzione di indottrinamento con la quale si crea consenso attorno agli interessi della proprietà e alle politiche dei governi (a loro volta determinate dai blocchi sociali privilegiati di cui le proprietà editoriali sono parte integrante e strategicamente fondamentale). Il Corriere della Sera risolve questa dialettica attraverso la scelta delle persone per i rispettivi ruoli. Nel primo caso ci si affida a Guido Olimpio, e lo si fa scrivere nelle pagine interne (dove ci sono le vere notizie, come tutti gli esperti di informazione sanno), nel secondo caso si chiama Magdi Allam, lo si fa scrivere in prima pagina e lo si manda ai talk show televisivi, cioè nei templi dell’indottrinamento goebbelsiano.

Il giorno in cui gli USA decideranno di usare le tattiche del “golpe morbido” anche in Medio Oriente e quindi di riporre in solaio, sia pure a malincuore, l’omicidio di massa, gli apologeti di quest’ultimo, come Magdi Allam, non serviranno più.

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://www.uruknet.info/
Link: http://www.uruknet.info/?p=s6739
24.06.2007

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