L’Ue lentamente avanza verso gli Stati Uniti d’Europa

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«Minata l’indipendenza della magistratura». Cosa nasconde l’attacco europeo alla Polonia?

di Andrew Tettenborn, The Spectator

Quando nel 2005 fu discussa la proposta di una Costituzione per la UE, molti nel Regno Unito e altrove nell’Unione sentirono puzza di bruciato. Sembrava un tentativo di forzare i governi nazionali verso i nascenti Stati Uniti d’Europa. I francesi e gli olandesi la pensavano così: e essendo costituzionalmente garantito un referendum sulla questione, entrambi fecerto il passo che era più ovvio e votarono contro. Nessun problema. Come ora sappiamo, la proposta è stata ripresentata, quasi nella stessa forma, come versione consolidata dei trattati precedenti col nome di Trattato di Lisbona. Ora fa parte del sistema dei trattati dell’UE.

Le Cassandre, ovviamente, avevano assolutamente ragione. L’UE stava davvero giocando una partita federalista a lungo termine. Il punto è ben sottolineato da una decisione della Corte di giustizia europea di questa settimana. Riguarda l’argomento apparentemente noioso della modalità di elezione dei giudici della Corte suprema in Polonia, tema invece molto rilevante.

Secondo la Costituzione Polacca, i giudici della Corte suprema sono nominati dal Presidente su designazione del KRS (Consiglio giudiziario nazionale), un organo collegiale composto prevalentemente da giudici. Fino al 2019 i membri togati del KRS erano eletti dalla magistratura e i candidati non eletti avevano diritto di appello davanti a un tribunale amministrativo.

Nel 2019 il governo ha modificato questo sistema di elezione dei giudici a seguito di una sentenza di un altro tribunale, il Tribunale costituzionale, secondo cui esso era tecnicamente incostituzionale.

In base alle nuove disposizioni, i membri togati del KRS ora non devono essere eletti dalla magistratura, ma scelti dal parlamento. Inoltre, le sue decisioni sulle candidature alla Corte Suprema sono rese di fatto definitive e inappellabili. L’UE ha criticato queste riforme, affermando che esse presentano il “chiaro rischio di una grave violazione dello Stato di diritto“.

Cinque candidati esclusi dalla candidatura a giudice della Corte suprema da parte del KRS hanno sollevato il loro caso davanti alla Corte suprema polacca, che a sua volta ha richiesto alla Corte europea il suo parere sulla compatibilità delle nuove regole con il diritto dell’UE. All’inizio di questa settimana, la Corte europea ha espresso l’opinione che – qualsiasi siano le disposizioni di legge o anche della stessa Costituzione polacca – queste regole non sono compatibili col diritto europeo. E ha di fatto intimato al governo e ai tribunali polacchi di continuare ad applicare il vecchio sistema di nomine.

Il governo populista di Andrzej Duda, del partito Diritto e Giustizia, un’amministrazione cordialmente detestata dall’UE e da tutta la opinione pubblica progressista europea, com’era prevedibile è furioso per la decisione. La questione importante, tuttavia, è questa: in un’Unione europea che dovrebbe rispettare gli Stati membri e il loro diritto di mantenere i propri assetti costituzionali, come è stato deciso dal diritto europeo questo caso sulla legge polacca?

La risposta, ovviamente, sta nel Trattato di Lisbona. Tra i principi astratti introdotti da questo trattato ci sono i diritti al sistema democratico e allo stato di diritto all’interno degli Stati membri, e la loro tutela da parte dei tribunali statali. Così queste sono diventate materie regolate dalla fonte sovraordinata europea, che devono essere interpretate, se necessario, dalla Corte europea.

Ne consegue che il governo polacco non poteva rimuovere dai loro poteri i tribunali polacchi e rimanere coerente con il diritto dell’UE. Se necessario, sarà ora la Corte europea a pronunciarsi sulle nomine dei giudici, poiché le possibili minacce all’indipendenza della magistratura all’interno di uno stato ora sono una questione di interesse europeo, non solo nazionale.

Ci sono almeno tre ragioni per cui coloro che sono ancora soggetti al diritto dell’UE dovrebbero essere preoccupati. E va notato che nessuna di queste preoccupazioni riguarda il fatto se le riforme polacche siano da considerarsi buone o addirittura legittime. Le preoccupazioni riguardano invece la questione di dove risiede in ultima analisi il potere.

Possiamo iniziare dalla preoccupazione più ovvia. È ormai chiaro che le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona erano davvero una bomba dotata di spoletta a scoppio ritardato e puntata direttamente contro l’indipendenza nazionale. Esse avevano il potenziale, e l‘obiettivo, di innescare il processo di costruzione dell’UE come superstato federale, con la sua Corte di giustizia come arbitro della lealtà costituzionale. Questo è esattamente quello che è successo. L’UE può anche dar fiato alle trombe del suo impegno per la sussidiarietà, il principio secondo cui, ove possibile, sarebbero le istituzioni nazionali a dover prendere le decisioni. Ma in realtà l’ordinamento giuridico dell’UE si sta silenziosamente annettendo poteri quanto meno analoghi a quelli della Corte Suprema degli Stati Uniti, di intervenire in quelli che erano considerati gli affari interni degli Stati membri, al fine di promuovere quelli che sono descritti come valori europei, ma che sono di fatto gli obiettivi politici di una piccola élite dei paesi membri occidentali più grandi.

La seconda ragione di preoccupazione è che è probabile che si avanzerà in questa direzione. Nel caso della Prorogation del Parlamento del 2019, molti si sono sentiti giustamente inquieti per l’abuso del potere, da parte della Corte Suprema del Regno Unito, di decidere su questioni di materia costituzionale astratta. Il punto era in primo luogo se tale tribunale avesse il diritto di pronunciarsi sui tempi delle sessioni parlamentari. Ma questo non è niente in confronto al caso dell’UE. Si consideri che le vaghe espressioni del Trattato di Lisbona fanno ora parte del diritto immutabile dell’UE, come l’affermazione che l’UE è “fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani». La licenza concessa alla Corte europea di decidere su questioni di correttezza costituzionale nazionale in base alla sua interpretazione di termini vaghi come questi dovrebbe preoccupare chiunque. Dopotutto, non solo quel tribunale è di gran lunga più politicamente astuto della nostra stessa Corte Suprema, ma inoltre non c’è alcuna possibilità di neutralizzare le sue sentenze attraverso lo svolgimento di elezioni politiche.

La terza preoccupazione è ancora più semplice: l’autodeterminazione. Molti sono profondamente diffidenti nei confronti del governo polacco e pensano – forse giustamente – che in realtà si stia impegnando in un cinico esercizio di neutralizzazione della corte, per mettere in ginocchio una magistratura che considera ostruzionistica. Ma uno dei valori dello stato nazionale democratico è la capacità degli stati di risolvere da soli i propri problemi politici. Nel prendere la sua decisione, senza dubbio con l’approvazione dei responsabili a Bruxelles, il tribunale ha dimostrato ancora una volta la ferma convinzione della gerarchia dell’UE che non è così, che non dovrebbe essere lasciato allo Stato nazionale il compito di risolvere da sé i propri problemi politici. Solo per questo dovremmo essere felici di essere fuori dall’organizzazione. Nel Regno Unito noi affidiamo alla nostra democrazia le decisioni politiche che contano. L’UE, francamente, non lo fa.

di Andrew Tettenborn, The Spectator

Fonte originale: https://www.spectator.co.uk/article/the-eu-is-sliding-into-a-united-states-of-europe

Traduzione in lingua italiana: https://vocidallestero.blogspot.com/2021/03/lue-lentamente-avanza-verso-gli-stati.html?spref=tw

04.03.2021

Pubblicazione di Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

 

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