LO STRANO SUICIDIO DI PRIMO LEVI

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DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!

Traduco qui di seguito una parte di un articolo di Diego Gambetta, scritto nel 1999, relativo al “suicidio” dello scrittore Primo Levi. L’articolo completo si può leggere sul sito del Boston Review, a questa pagina.

Purtroppo l’articolo è enorme e non ho il tempo di tradurlo tutto. Se qualcuno fosse così gentile da fornirne o reperirne una versione in italiano (ad esempio i ragazzi di ComeDonChisciotte, che riprendono ogni tanto i miei pezzi e mi hanno chiesto di segnalargli gli articoli in inglese meritevoli di traduzione) gliene sarei molto grato. Per correttezza devo precisare che nell’articolo in questione, Gambetta, pur mettendo seriamente in dubbio l’idea che Primo Levi abbia inteso togliersi la vita, mostra di credere all’ipotesi di un incidente più che a quella di un omicidio. Tuttavia alcuni passi del suo articolo (come il paragrafo V, di cui riporto la traduzione) lasciano veramente sbigottiti.

GLI ULTIMI ISTANTI DI PRIMO LEVI
di Diego Gambetta

V.

Il mistero che circonda la morte di Levi non finisce qui. Due anni fa, nel decimo anniversario della morte, Elio Toaff, rabbino capo di Roma, fece una straordinaria rivelazione. Ad un convegno commemorativo in un’università romana, rivelò che Levi lo aveva chiamato al telefono “dieci minuti prima” di morire. Levi sembrava depresso. Non disse al rabbino che aveva intenzione di uccidersi, e il rabbino, come ricorda con dispiacere, non immaginò quel che stava per accadere. Il rabbino ricorda ciò che Levi gli disse: “Non ce la faccio più ad andare avanti con questa vita. Mia madre è malata di cancro e ogni volta che guardo il suo viso mi vengono in mente le facce di quegli uomini in fila dietro i reticolati di Auschwitz”. Quando intervistai Toaff a Roma nel giugno 1998, egli confermò la versione degli eventi come riportata dalla stampa italiana, compreso il momento della telefonata. Mi disse anche che per discrezione non aveva mai parlato di questo episodio in precedenza, neanche privatamente. Disse di aver deciso di rivelarlo in occasione del raduno in modo impulsivo e per amore della verità: “Si continuavano a dire troppe cose assurde”. La rivelazione fu fatta in risposta a una domanda posta da un partecipante al convegno, relativa ai dubbi sollevati da Levi Montalcini e Mendel circa il motivo per cui Levi avrebbe dovuto ricorrere ad un suicidio così scomposto pur avendo alternative migliori. “La mente di un suicida può trovarsi in uno stato che renda impossibile analizzarla con criteri razionali”, mi disse Toaff. Questa potrebbe essere la prima, decisiva prova circostanziale che la morte di Levi, dopo tutto, potrebbe davvero essere imputata a suicidio. Le parole di Levi citate dal rabbino, inoltre, mostrano che i ricordi di Auschwitz lo avevano davvero perseguitato fino alla fine.

Ma quanto è attendibile questa prova? Ormai nei suoi ottant’anni, Toaff appare lucido ed attivo. Eppure le circostanze relative a quella telefonata non sono molto chiare. Levi non era religioso. E’ strano che abbia deciso di rivolgersi al rabbino. Rita Levi Montalcini, che insiste ad avanzare dubbi riguardo al suicidio, afferma di aver parlato con Levi la sera prima del suicidio e di averlo trovato di buon umore. Giovanni Tesio, che pure aveva parlato con Levi il giorno prima, mi confermò di aver avuto la stessa impressione. Inoltre, Toaff mi disse che non conosceva Levi e che non lo aveva mai incontrato né gli aveva mai parlato prima di quel giorno.

Occorre compiere dunque un difficile salto d’immaginazione. Dobbiamo immaginare che Levi, poco dopo aver compiuto la passeggiata nel corso della quale aveva spedito la lettera a Camon e pressappoco nel momento in cui ritirava la posta dalla portinaia, sia riuscito a trovare non solo la motivazione e l’energia per chiamare il rabbino, ma anche il suo numero di telefono. Il numero di telefono del rabbino non è presente nell’elenco telefonico di Roma. Non è comunque impossibile che Levi possedesse già il numero di Toaff per qualche motivo, o che lo avesse avuto alla sinagoga. Ma anche così occorre fare uno sforzo d’immaginazione. Dobbiamo immaginare che Levi si sia deciso a confidare per telefono al rabbino le sue pene più segrete, in un lasso di tempo relativamente breve, benché non lo avesse mai incontrato né gli avesse mai parlato prima.

Comunque, la cosa che lascia davvero perplessi è il giorno della telefonata. Levi morì di sabato, il giorno del Sabato Ebraico, in cui agli ebrei osservanti è proibito usare qualunque strumento tecnologico. E’ proibito cucinare e accendere la luce elettrica, figuriamoci ricevere chiamate per telefono.

Questa evidente incongruenza non mi era venuta in mente prima di intervistare Toaff (se ne accorse David Mendel, rimettendo insieme i fatti). Scrissi perciò al rabbino chiedendo un chiarimento. Il rabbino non mi rispose. Allora contattai tre fonti italiane esperte sulla materia, domandando se era concepibile che un rabbino rispondesse al telefono di sabato. Tutte e tre le fonti, due delle quali vicine alla famiglia del rabbino, esclusero categoricamente questa possibilità.

Forse il rabbino ricorda male il momento della telefonata. Forse Levi lo chiamò il venerdì, prima del tramonto, o magari la settimana prima. E’ insolito, comunque, che la memoria faccia errori di questo tipo. E’ facile che si ricordino male gli aspetti irrilevanti di un evento memorabile. Io ricordo bene che caddi per un quarto di miglio lungo un pendio ghiacciato mentre andavo sugli sci, e per poco restavo ucciso, ma non ricordo il giorno in cui questo accade e neanche l’anno. Ma supponiamo che questo incidente fosse avvenuto il giorno prima del mio matrimonio. In questo caso i ricordi sarebbero chiari, perché i due eventi sarebbero stati temporalmente associati e vicini. I ricordi del rabbino appartengono a quest’ultima categoria: una categoria molto precisa, che stabilisce un’associazione tra due eventi memorabili, l’inattesa telefonata di un uomo famoso e la morte di quello stesso uomo pochi minuti dopo. Perciò la rivelazione del rabbino rimane un mistero. Quale che sia la soluzione, la prova fornita dal rabbino Toaff non è certo decisiva come inizialmente avrebbe potuto sembrare.

* * * *

Nota di Gianluca: per completezza riporto ciò che Ferdinando Camon ha scritto (in un articolo pubblicato su “Avvenire” del 01.04.2006) riguardo all’ultima lettera di Primo Levi, quella che lo scrittore gli aveva spedito la mattina stessa del suo “suicidio”:

“Primo Levi è morto di sabato, il martedì dopo m’è arrivata una sua lettera. Mi viene addosso una tristezza infinita e mi dico: «Ecco, adesso mi spiega perché ha deciso di uccidersi». Mi aspetto la confessione che vivere gli è impossibile, che dopo Auschwitz lui non viveva ma sopravviveva, che vivere ancora per lui è una colpa, che sulla Terra non c’è spazio per le vittime dello Sterminio e per chi lo nega, che lui si uccide adesso ma doveva farlo quarant’anni prima, e che dunque le spiegazioni non vanno cercate in quel che succede adesso, ma in quel che era successo 45-40 anni prima. Questo m’aspetto, aprendo la lettera, che dev’essere stata l’ultima che ha scritto e imbucato. Se m’è arrivata al martedì, doveva averla imbucata il sabato: dunque durante la passeggiata che faceva ogni mattina.

La apro: un inno alla vita, un vortice di programmi, speranze, attese, da riempire settimane, mesi e anni.”
[…]

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
Link
31.07.2007

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