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DI PAOLO BARNARD

Di
chi è colpa?
Non è
colpa di Silvio Berlusconi, di Romano Prodi, di Cicchitto, di Casini,
di Caltagirone, e soci. Non è colpa della Casta, né di quella dei
giornali coi milioni di euro di prebende, e non è stata colpa di Ingrao,
Forlani o Craxi. Non è la Mafia, non sono le logge dei venerabili,
né l’Opus Dei, non è Confindustria o la lobby bancaria. La colpa
è nostra. Punto. L’informazione che abbiamo è quella che noi italiani
vogliamo.

Qui si potrebbe
concludere il mio saggio sullo stato dell’informazione in Italia.
Non ho altro da dire, in sostanza. Quello che posso aggiungere nelle
righe che seguono sono solo riflessioni a sostegno della mia tesi, per
chi avesse voglia di leggere un poco di più. E inizio di nuovo da noi
italiani.

Sono
le nostre ombre sul muro.

Ciò
che la gente vuole.

Lo scadimento dell’informazione in questo Paese riflette ciò che
noi siamo, in tv particolarmente. Nulla meglio si adatta al caso Italia
del sagace commento di Barnes Clive, nota firma del New York Post, che
sull’odierne tendenze dei palinsesti televisivi ebbe a dire: “La
televisione è la prima cultura genuinamente democratica, la prima cultura
disponibile a tutti e retta da ciò che la gente vuole. La cosa più
terribile è ciò che la gente vuole
”. E in effetti si rimane
perplessi, se non un tantino delusi, dal semplicismo delle analisi di
personaggi come Beppe Grillo e altri quando tuonano contro la legge
Gasparri come il costrutto infernale che strozza il nostro diritto a
essere decorosamente informati. Ci si chiede: c’è la Gasparri nei
salotti di milioni di italiani di varie età che ogni sera, pomeriggio
o mattina scelgono col loro telecomando le peggiori fregnacce televisive?
E’ la Gasparri che impedisce a noi italiani di portare La Storia
Siamo Noi
di Giovanni Minoli a uno share visibile ad occhio nudo
invece che al microscopio? O di portare Report al 25% invece
di condannarlo a un cronico annaspamento per non affogare sotto il 10?
Eppure il contenitore di Milena Gabanelli è in prima serata, mica occorre
perdere il sonno, basterebbe un click del telecomando. E state certi
che Report o C’era una Volta oltre il 20% di share avrebbero
prodotto una mischia degli inserzionisti per piazzare lì gli spot,
garantendoci di conseguenza una certa qualità in più nelle nostre
case tutto l’anno. Potete immaginare quanto ci metterebbero a sparire
i prodotti-spazzatura come Porta a Porta o Amici, oppure
le ragliate di Sgarbi o altra robaccia del genere, se agonizzassero
nella pigrizia dei nostri telecomandi? Meno di un minuto, Gasparri o
non Gasparri.

Illuminante
fu un episodio da me vissuto in Gran Bretagna nel corso di un reportage
sull’Auditel inglese che svolgevo a fine anni ’90 per conto proprio
di Report. Nel corso dell’intervista al responsabile dei palinsesti
della maggior Tv commerciale britannica, ITV, mi fu rivelato che la
prima serata di quel network era riservata in maggioranza a programmi
di alta qualità informativa. Com’era possibile? “Perché il
miglior consumatore di questo Paese
” spiegò il funzionario,
è l’inglese della classe media, e quel tipo di ascoltatore
premia immancabilmente con il telecomando la tv di qualità. Ed è lì
che ovviamente si fiondano i nostri inserzionisti
”. Semplice.
Sono inglesi, tutto qui. Non per nulla la sera della vigilia di Natale
del 1999 la BBC 2 trasmise in prime time e per un’ora e mezza
uno special dedicato al suo cameraman Mohamed Amin, l’uomo che nel
1984 ebbe lo straordinario merito di noleggiare un bimotore privato
a sue spese ( e nei tempi delle sue ferie) per volare in Etiopia a filmare
l’immane tragedia della devastante carestia che stava decimando quel
popolo, e che divenne grazie a quelle scioccanti immagini una causa
celebre con l’intervento di Bob Geldof e della sua Live Aid
l’anno successivo. Ve l’immaginate voi una prima serata natalizia
di quel tipo alla RAI? Che share farebbe?

Ma poi, perdonate,
c’è la legge Gasparri in edicola o su Internet? Lì l’informazione
c’è, ma al chiosco dei giornali Sorrisi e Canzoni TV o

CHI vendono cento volte Micromega o Limes. Su Youtube
le pregnanti interviste a Giancarlo Caselli catturano poche centinaia
di visitatori, mentre cinque minuti di bava alla bocca con Sgarbi e
Mike Bongiorno ne registrano quasi mezzo milione.

Mi direte:
tutto questo è proprio il frutto del bombardamento mediatico dell’uomo
di Arcore e dei suoi vent’anni e più di avvelenamento dei nostri
cervelli. E io rispondo: e se a partire dal 1979 cliccavate altro sul
vostro telecomando, come fanno gli inglesi, dove finivano il Biscione
e relativi scherani? Era semplice, perché non lo abbiamo fatto? Lo
si vuole capire che non è lui che ha fatto noi ma noi che abbiamo fatto
lui? Silvio Berlusconi non ci ha rimbecilliti, ci ha semplicemente rispecchiati.
E allo specchio ci siamo perduti in noi stessi.

(Ultima ora:
poco prima di divulgare questo articolo mi imbatto nel sito www.corriere.it e leggo sulla colonna di destra la
classifica dei servizi più letti del Corriere online: al primo posto
L’invasione dei ragni giganti”, al secondo “Basta
volgarità, non sono una pin up
”, al terzo “Che fine ha fatto
Boy George?Vende magliette in un mercato di Londra
”. Come volevasi
dimostrare…)

Rimanendo con
la vituperata figura dell’attuale presidente del Consiglio, è di
questi giorni l’intervento di Marco Travaglio in chiusura del V2-day
di Torino, dove il giornalista ha perentoriamente affermato che il Cavaliere
trionfa oggi alle urne poiché proprio le devianti leggi dell’assetto
radio-televisivo italiano gli hanno dato i mezzi per obnubilare la mente
degli elettori in quindici anni di strapotere mediatico: “Prima
non eravamo così
”, ha sentenziato poi il noto cronista. Forse
Travaglio è troppo giovane, e non ricorda, ma si vorrebbe chiedergli:
chi aveva lavato il cervello dei nostri connazionali quando in massa
premiavano alle urne ceffi ignobili della posta di Cossiga, Gava, Cirino
Pomicino, De Michelis, De Lorenzo, Andreotti, De Mita, e la loro accolita
di vassalli laidi o criminali? Berlusconi a quei tempi era ancora alle
prese con la sua Tv condominiale via cavo a Milano 2, non c’entra.
Era un’Italia migliore quella? Per caso il Corriere o la RAI
erano il Times e la BBC a quei tempi? L’Idra di Tangentopoli,
col suo ventre molle di corruzioni endemiche in ogni anfratto del Paese,
non fu il parto di “quindici anni berlusconiani”, ahimè
no, non risulta. Le stragi, la svendita dei sindacati, dei servizi pubblici,
della certezza del lavoro, e ancora l’Irpinia, l’IRI e le sue voragini,
le devianze del sistema giudiziario, l’omertà a vuoto pneumatico
di tutto il Sistema-potere pre e post P2 e cinquant’anni di cronica
evasione a tappeto, dimostrano che obnubilati nel cervello e nel senso
civico lo siamo sempre stati, prima di Berlusconi, durante, e lo saremo
dopo purtroppo. E anzi: la cosa più onesta che possiamo fare è di
affermare una volta per tutte che la famigerata Casta e le sue
grottesche comparse sono solo un’ombra sul muro di ciò che noi italiani
siamo e siamo sempre stati. Nulla di più.

I nuovi
‘paladini’ della controinformazione: poco utili, dannosi.

Ma purtroppo
professionisti stimati e un po’ troppo acriticamente seguiti come
appunto Marco Travaglio, Gianantonio Stella, Lorenzo Fazio o Gianni
Barbacetto e molti altri, e capipopolo come Grillo o Piero Ricca hanno
banalmente invertito l’ordine dei fattori, e sostengono che l’Italia
è oggi vittima della Casta, quando è la Casta a essere
il prodotto degli italiani.

Devo a questo
punto della narrazione precisare un passaggio fondamentale, e invito
il lettore a porvi attenzione. I nuovi ‘paladini’ della controinformazione
che vanta l’Italia, di cui ho citato alcuni nomi qui sopra, denunciano
cose sacrosante (quasi sempre): inciuci, corruttele, grottesche raccomandazioni,
sprechi osceni, mafiosità e collusioni, decadenze del sistema democratico
eccetra, perpetrate da parte soprattutto della cosiddetta Casta.
Loro lo fanno, ma il fatto straordinario è che oggi in questo Paese
il solo fatto di averlo fatto gli garantisce un plauso appassionato
e febbricitante da parte di masse crescenti di cittadini. Un plauso
cieco, ovvero un assegno in bianco di imperitura giustezza ed eroismo.
Divengono degli intoccabili, incriticabili, e infatti Beppe Grillo tuona
I giornalisti che ancora danno dignità a questo Paese con la
loro voce vanno protetti dagli sciaccalli di regime, dai killer della
parola.
Nessuno tocchi il soldato Travaglio…
(1), e Michele Santoro si scaglia contro
il Corriere e Repubblica per “aver aperto una campagna critica
contro Anno Zero e contro lo stesso Travaglio
” (2) – una campagna di critica, la più
democratica delle iniziative, eppure. Chiunque osi infilare mezza osservazione
nel loro agire viene immediatamente travolto dall’ira dei loro fans,
il cui ragionamento è immancabilmente questo: ma come si fa a rompere
le scatole a quei pochi ancora rimasti a dirci la verità in questo
regime
? E in effetti di fronte alla nauseabonda natura delle pratiche
del ‘regime’ verrebbe proprio da gettarsi ciecamente dietro ai sopraccitati
‘paladini’. Ma la vita richiede saggezza, e in questi tumulti ne
rimane ben poca. Infatti, la salute in democrazia impone che nessuno
divenga intoccabile, neppure per il più sacrosanto dei motivi, proprio
perché si corre il rischio che costui possa commettere malefatte o
errori di grosso calibro protetto dal suo scudo di venerabilità, e
che quelle malefatte o errori finiscano poi per far più danno del beneficio
che il medesimo individuo procura alla società. E’ il caso proprio
di Travaglio e compagni.

Sono
oggi inutili.
Hanno
fondato negli ultimi anni un’Industria della Denuncia e della Indignazione
che, come ho già avuto occasione di scrivere, “denuncia
i misfatti politici a mezzo stampa o editoria a un ritmo incessante,
nella incomprensibile convinzione che aggiungere la cinquecentesima
denuncia alla quattrocentonovantanove in un martellamento ossessivo
di libri fotocopia, blog e serate televisive serva a cambiare l’Italia.
Eppure, che la politica italiana fosse laida, ladra e corrotta, milioni
di italiani lo sapevano benissimo già prima che molti di questi industriali
dell’indignazione nascessero, e assai poco è cambiato
” (3).
Infatti. Il loro lavoro, per quanto efficiente nello svelare il
malaffare, è del tutto inutile se si spera che da esso derivi un miglioramento.
Le prove sono davanti agli occhi di tutti, e sono incontestabili: oggi
l’Italia non è un Paese più civile, né più onesto, né più libero
di quanto lo fosse sedici o trent’anni fa, in barba all’offensiva
della sopraccitata industria nel denunciare compulsivamente il
marcio. Gomez, Travaglio e Barbacetto lo hanno persino confermato nel
loro libro Mani Sporche, la cui tesi centrale è proprio il recidivo
peggioramento di ogni indicatore civico, politico e morale in Italia
da Tangentopoli ad oggi, cioè precisamente nel periodo della massima
attività della loro Industria
della Denuncia e della Indignazione
. Notate:
hanno scritto di loro pugno che ciò che fanno non serve quasi a nulla,
ma non se ne sono resi conto, meno che meno sono disposti a porsi qualche
domanda difficile ma vitale, del tipo: e se fosse altro quello che si
deve fare?

Le smentite che vengono
loro dalla realtà dei fatti sono clamorose, ma non li smuovono dalla
compulsività di ciò che fanno: hanno visto coi loro occhi Beppe Grillo
celebrare un suo autoproclamato “successo pazzesco” di consenso
l’8 settembre del 2007 per le 300.000 firme raccolte dal suo primo
Vday, e quindi proclamare roboante che questi politici “non esistono
più
”. Ma con gli stessi occhi hanno visto poche settimane dopo
3.517.370 italiani fioccare entusiati al parto dell’ennesimo carrozzone
della più rancida politica riciclata, il PD di Veltroni. Mettiamola
così: l’Italia della Casta batte Grillo 10 a 1, e questo avvenne
quando le sue ultime grida quasi ancora riecheggiavano in piazza Maggiore
a Bologna, e all’apice del successo di libri come La Casta
o Regime. Non suggerisce nulla questo?

E poi c’è il risultato
elettorale dell’aprile scorso, che li ha travolti come mai nella storia
republicana.

Possibile che a fronte
di questa desolate Caporetto dell’Industria
della Denuncia e della Indignazione

a nessuno sorga il dubbio che forse è ben altro quello che si deve
fare? Possibilissimo, infatti la reazione dei ‘paladini’ della controinformazione
proprio in questi giorni è di rincarare la dose della loro inutilissima
medicina. Questa recidività mi ricorda la vicenda della vegetariana
inglese e delle sue carote, un fatto realmente avvenuto a metà degli
anni ’90 a Londra e riportato dal quotidiano The Guardian: ella si
era convinta che per proteggersi dai tumori era necessario divorare
grandi quantità di carote, ma ne ingurgitò così tante da finire in
ospedale con serissimi guai al fegato. Messa di fronte all’evidenza
della sua patologia, la signora concluse quanto segue: se sto male
è perché evidentemente non ho mangiato abbastanza carote
. I dimise
e corse a rincarare la dose della sua verdura salvifica. Cosa fu di
lei non si sa, ma non si fatica a immaginarlo.

E sono
dannosi.
In realtà, e tristemente,
il modo di agire dei sopraccitati ‘paladini’ serve a giustificare
(oltre agli incassi degli autori e la loro ipertrofica fama) l’auto
assoluzione di masse enormi di italiani, noi italiani come sempre entusiasti
di incolpare qualcun altro, e mai noi stessi e la nostra becera inerzia,
per ciò che ci accade. Questo è il motivo per cui il nostro Paese
rimane perennemente al palo della civiltà. La colpa non è mai nostra,
ce lo confermano incessantemente quegli sventurati ‘paladini’ della
controinformazione coi loro martellanti scritti e interventi, e questo
è il danno tremendo che ci fanno. Assolti da ogni peccato, fervidamente
impegnati a fustigare le nostre ombre sui muri, finiamo per non crescere
mai, e le uniche speranze di ripulire questo Paese vanno perdute.

E allora, codesti ‘paladini’
piuttosto che celebrare processi in Tv, invece di fare i PR fanatizzanti
di alcuni magistrati violando così le più basilari regole dei checks
and balances
della nostra professione, e invece di ossessionarci
con i dettagli della mafiosità o corruttela del politico numero 847,
dopo averci raccontato quelli del numero 846 e dopo che per le precedenti
846 volte nulla è cambiato, dovrebbero aiutarci a processare noi stessi,
a metterci tutti davanti allo specchio per dirci: l’Italia siamo noi,
i ladri siamo noi, i moralmente decomposti siamo tutti noi, coi nostri
270 miliardi di euro di evasione di sola IVA, con l’omertà endemica
che ci tappa la bocca ovunque vediamo del marcio – al lavoro, per strada
o nei pubblici uffici, con la nostra adulazione del potere, e col nostro
amore per l’abuso del potere appena ne abbiamo un briciolo in pugno,
dagli insegnanti ai vigili urbani, dai medici agli ispettori delle pubbliche
amministrazioni. Noi italiani con il nostro individualismo ammalato
che al massimo si espande in parrocchialismo, ma mai in capacità di
fare gruppo civico aperto alla critica, e ciò neppure quando ci proclamiamo
antagonisti. Questa Italietta sudicia, ipocrita, fregona e anche violenta
siamo noi.

E allora cari ‘paladini’
è con noi che ve la dovete prendere per cambiare l’Italia, è su
di noi che dovete scrivere fiumi di libri o articoli, perché lo ripeto:
gli Schifani, Berlusconi o Ricucci sono le nostre ombre sul muro. E
a che serve prendersela ossessivamente con delle ombre?

Il giornalismo investigativo
in Italia deve esplodere, perché come ho appena dimostrato è un mito,
poco utile e dannoso. Esso è certamente utile altrove, in Paesi come
gli USA o la Francia o la Gran Bretagna, ma solo perché esso cade a
pioggia su una società civile del tutto diversa dalla nostra. E allora
di nuovo: la variabile determinante non è la denuncia, ma chi la recepisce.
Se prima non educhiamo gli italiani a essere civici, cioè a partecipare,
inutile denunciare compulsivamente.

Incomprensioni. Quando Beppe Grillo nel ricordarci le malefatte
della Casta grida dal palco del V2 day di Torino che i manigoldi saranno
annientati perché “noi li pigliamo per il culo”, io mi dispero.
Lo stesso faccio quando Piero Ricca si arma di coraggio e telecamera
e attende il momento buono per gridare a Silvio Berlusconi “buffone!”.
E mi dispero ancor più se possibile quando vedo così tanta gente esultare
sia nel primo che nel secondo caso. Perché entrambe quelle affermazioni
sono messaggi (cioè informazione) falsi e pericolosissimi.

Grillo ignora (o vuole
ignorare) cosa sia realmente il Sistema-potere, e cosa occorra per abbatterlo.
Se la prende con una classe politica nazionale che “avendo abdicato
tutti i suoi poteri ad organi sovranazionali come la Bce, la Commissione
Europea, il WTO, la Banca Mondiale
”, e io aggiungo alle lobby
come il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD), il Liberalization
of Trade in Services
(LOTIS), l’Investmente Network (IN)
o la International Chamber of Commerce (ICC), “non può
fare assolutamente niente se non l’ordinaria amministrazione

(4). Egli non comprende che i grandi mali che affliggono
l’Italia, dalla disoccupazione alla precarietà, dal rilancio finanziario
delle mafie all’informazione plastificata, e poi gli equilibri economici
in disfacimento, il degrado ambientale e la pessima qualità dei servizi
ecc., derivano ormai interamente da decisioni prese altrove. Da chi?
Dai sopraccitati poteri, che in soli 35 anni hanno saputo ribaltare
due secoli e mezzo di Storia, che hanno reso di nuovo plausibile l’inimmaginabile
nella vita quotidiana di 800 milioni di cittadini occidentali, che muovono
più di 1,5 trilioni di dollari di capitale al giorno, e che tengono
ben salde nelle loro mani tutte le leve della nostra Esistenza Commerciale

(inclusa quella di Grillo, moglie e figli). Costoro non stanno perdendo
neppure un singolo minuto di sonno per lui e per i suoi colleghi ‘paladini’
dell’Antisistema italiano. Ma ha un’idea Grillo di come lavorano
questi? Dovrebbe smettere di sbraitare e capire, proprio visualizzare,
il potere di chi è riuscito in un attimo della Storia a compattare
migliaia di destre economiche eterogenee sotto un’unica egida e sotto
un pugno di semplicissime ma ferree regole, per poi travolgere il pianeta
ribaltandolo da cima a fondo: il Potere è ed è stato coeso, annullando
ogni individualismo fra i potenti; è ed è stato disciplinato all’inverosimile,
ossessivamente preciso in ogni analisi, immensamente competente, sempre
silenzioso, al lavoro 24 ore su 24 senza mai un respiro di pausa, comunicatore
raffinato, con a disposizione i cervelli più abili del pianeta e mezzi
colossali. Crede Grillo che questa immensa macchina planetaria che regola
ogni sospiro della vita italiana si preoccupi delle sue sceneggiate
di piazza, o dell’incedere di un nugolo di personaggi e istrioni più
o meno credibili con al seguito una minoranza di adepti/fans persi nell’ingenua
buona fede? E allora: cosa mai risolveranno i referendum di Beppe Grillo
fanaticamente concentrato in una guerra contro una Casta
nostrana che nella stanza dei bottoni ha a malapena il controllo del
pulsante del citofono?

Silvio Berlusconi sarà
tante cose spiacevoli, ma di sicuro una non lo è: un buffone. E’
invece uno dei più geniali interpreti del carattere nazionale che sia
mai esistito, e certamente il più geniale in epoca contemporanea. La
sua abilità sia come manager che come politico incute soggezione. Lasciate
perdere per un attimo che il suo percorso sia intriso di corruttele
e malaffare, lo è quello di ogni singolo magnate del pianeta; ciò
che ci interessa qui, è capire che questo uomo tiene saldamente le
leve di una macchina sofisticatissima e multimiliardaria di creazione
del consenso, che per essere combattuta va presa estremamente sul serio,
altro che buffone e prese per il sedere. E arrivo a dire che la cosa
più demenziale e infausta che l’opposizione intellettuale e movimentista
al Cavaliere potesse immaginare di fare in questi anni è quello che
ha invece sempre fatto: sbeffeggiarlo, insultarlo, ridicolizzarlo, chiamarlo
psiconano, e insistere compulsivamente nel denunciarne le malefatte
già ultranote a ogni singolo italiano attraverso la cronaca quotidiana
e il lavoro dei giudici, mentre lui intanto si mangiava il Paese col
consenso. Andava invece attentamente studiato, andavano comprese e individuate
le sinapsi della mentalità italiana su cui la sua comunicazione si
allacciava con spaventosa efficacia, ed esclusivamente su quelle sinapsi
bisognava lavorare, con una macchia comunicativa altrettanto fruibile
e martellante quanto la sua, anche se portatrice di valori opposti,
e che la sinistra intellettuale (snob) non ha saputo costruire. Altro
che buffone e pernacchie.

Mafie,
‘parrocchie’ e informazione.

Guardiamoci. Siamo un popolo che si divide inesorabilmente
in ‘parrocchie’ o ‘mafie’. Se non siamo mafiosi, siamo parrocchiali,
una delle due, non si fugge. Cioè, se non ci aggreghiamo per colludere
in affari criminosi di vario grado, col loro corredo di atrocità, truffe,
omertà, insensibilità per la sofferenza altrui, adulazione del potente,
piacere nell’abuso del potere (dall’associazione per delinquere
di stampo narcomafioso o bancario, alla cordata assicurazione-pretura-avvocati-grande
policlinico per tacitare un’operata di cancro nella mammella sbagliata;
dal patto trasversale ipermercati-grossisti per fare cartello sui prezzi
truffando i cittadini, al consapevole risucchio dei pensionati in difficoltà
nelle più ignobili spirali di indebitamento da parte di finanziarie
da galera ecc.), noi italiani ci raggruppiamo in parrocchiette di ‘compagni
di merende’, litigiose, esclusive proprio nel senso di escludenti,
solo formalmente aperte ma in realtà a strettissimo raggio, nemiche
giurate della libertà di pensiero, insomma consociative ma sempre travestite
da qualcos’altro (e questo dal Corriere della Sera al periodico
universitario, passando per le redazioni televisive, per i centri sociali,
ONG, blog più o meno noti, gruppi online, comitati civici, ONLUS
ecc.). Come si può facilmente immaginare, il pensare liberamente e
la facoltà di criticare a 360 gradi non sono compatibili con gli interessi
né delle mafie né delle ‘parrocchie’. Ma sono proprio il libero
pensiero e la critica senza barriere le componenti fondamentali della
libera informazione al sevizio dei cittadini. E allora?

In altre parole,
noi italiani la libertà di informare non la vogliamo, e quando si affaccia
sulla soglia della nostra ‘mafia’ o ‘parrocchia’ la odiamo e
la cacciamo con singolare ferocia.

E come fa un
popolo così ad avere una libera informazione?

Già posso
già udire la levata di scudi di quelli che “Io? Io proprio no!
Io compro il Manifesto… io leggo Libero… io sono Padano mica italiano…
io sono con Beppe, vaffa te Barnard… io sono stato in Afghanistan
con Gino, figuriamoci… io dico viva Travaglio, che c’entro io?…

. E invece c’entrate, c’entriamo tutti, e soprattutto proprio quelli
di noi che sono confluiti negli ultimi anni nel cortile dei nuovi antagonisti,
altra ‘parrocchia’ che sta ahimè replicando molti dei tratti più
meschini dei più trazionali conglomerati mediatici italiani.

In questo mio
scritto dedicato all’informazione mi concentro proprio su questo cortile
antagonista per una serissima ragione: perché esso dovrebbe essere
la fucina delle uniche speranze rimaste in Italia di ottenere un’informazione
libera, e se dunque al suo interno si replicano le meschinità del Sistema-potere,
se anch’esso è divenuto ‘parrocchia’, è veramente una tragedia
immane per tutti. Dell’altro cortile, quello del giornalismo regimentato,
non dico nulla qui, tutto è già stato scritto fino alla nausea.

Vi snocciolo
ora alcuni esempi a riprova di ciò che sostengo, fra i tantissimi possibili.
Sono tutti frutto della mia esperienza personale, e non per protagonismo
ma solo per la certezza di ciò che posso descrivere, avendoli vissuti
in prima persona.

Nella primavera
del 2007 inviavo agli amici di Peacereporter, sito portavoce
dell’ONG Emergency, una critica all’operato di Gino Strada,
che da settimane si scagliava con crescente acrimonia contro il governo
Karzai in Afghanistan, reo, secondo il chirurgo e un ampio stuolo di
intellettuali italiani, di violare tutte le più elementari regole del
garantismo giuridico con la detenzione di Ramatullah Hanefi, manager
dell’ospedale di Emergency a Lashkargah e mediatore per l’Italia
nel noto rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Un appello per la liberazione
di Hanefi venne scritto e divulgato, con firme della posta di Claudio
Magris, Enzo Biagi, Gherado Colombo e Maurizio Costanzo fra gli altri.
Il testo cominciava con le parole “La Costituzione afghana…”.
Ma quale Costituzione? Quella esportata laggiù a colpi di bombe cluster
e di migliaia di morti? Quella solennemente varata a Kabul nel 2003
da Hamid Karzai e dalla sua Lloya Jirga, e cioè da un pupazzo del Dipartimento
di Stato americano ex consulente del gigante pertrolifero USA UNOCAL,
tenuto sotto la mira dei B52 della US Airforce, e in combutta con la
peggior masnada di criminali di guerra e stupratori noti con l’appellativo
di Alleanza del Nord? Quella contemplata con stupore dagli afghani nella
speranza che qualunque cosa (anche un testo marziano venuto da chissà
dove) fermasse le stragi della NATO e le inaudite violenze dei ceffi
dell’Alleanza del Nord –responsabili di oltre 50.000 morti civili
dal 1993 al 1998 di cui 24.000 solo nel 1994, e poi stupri, mutilazioni,
spaccio di eroina? (5) Cioè la più classica “Constitution
at gunpoint
” per promuovere la “Democracy at gunpoint”?
Quella? Sì, proprio quella. E il testo degli intellettuali italiani
continuava così: “Il prolungarsi della detenzione di Rahmatullah
Hanefi, in spregio ai diritti universali e alla più elementare dignità
umana, avviene in palese violazione della Costituzione afgana… L’attuale
sistema giuridico afgano è stato costruito con la collaborazione e
l’importante sostegno finanziario per cinquanta
milioni di dollari dell’Italia
”.

Diritti universali,
dignità umana, e leggi eufemisticamente nate dalla collaborazione e
dal denaro italiano. Risulta a qualcuno che i pastori tagiki, che i
commercianti pashtun, o che le donne hazara se li siano mai scelti quei
diritti? Sappiamo almeno se li condividono? Ha un senso per loro la
nostra dignità? Si sono mai espressi su quella? Cosa hanno da spartire
le regole delle democrazie parlamentari europee con duemila anni di
relazioni tribali centroasiatiche? Con che diritto l’Italia, Gino
Strada e l’intellighenzia al suo seguito pretendono il rispetto di
regole e di diritti che con secoli di vita afghana c’entrano come
un intervento di laparoscopia robotica con le pratiche curative sciamaniche?
Importa qualcosa che a magistrati, medici e giornalisti cresciuti su
un altro pianeta certe regole afghane creino sgomento e riprovazione?
Sono afghane, sono le loro regole. E il mio ragionamento continuava:
se si sancisce il diritto di una potenza conquistatrice di imporre ad
un altro Paese le sue regole di “democrazia e giustizia occidentale
ora, subito!
” a suon di proteste (di insulti, di ricatti commerciali
e di missili), allora sanciamo fin da ora il diritto degli afghani,
dei talebani, o dei cinesi o di chiunque al mondo di gridare “tortura
e pena di morte ora, subito!
” se mai capiterà che un giorno siano
loro ad avere abbastanza bombe per offrirci la loro Costituzione.
E tornando dunque alla ferrea determinazione di Gino Strada e soci nell’avanzare
quelle perentorie richieste, quale differenza c’è fra il loro modo
di pretendere “democrazia e giustizia occidentale ora, subito!
in Afghanistan e quello tipico dell’imperialismo culturale dei neocons
americani capitanati da Samuel Huntington con il loro “democrazia
all’americana ora, subito!
” esportato in mezzo mondo? L’uso
delle bombe invece che una petizione scritta a Milano? I sordidi fini
di sfruttamento degli americani invece del sentimento di giustizia dei
nostri intellettuali? Davvero? Credete voi che la lettera di Strada,
Colombo e soci sarebbe mai giunta a Kabul senza quel dettaglio degli
8.000 morti civili di questa orribile invasione, della coventrizzazione
di interi villaggi, e della nova resa in schiavitù delle donne afghane
che oggi si danno fuoco con disperazione senza precedenti? (6) Credete che le consulenze giuridiche
discese da Roma su Kabul non servano proprio a spianare la strada agli
avvocati delle solite note corporazioni o agli infausti ‘cooperatori’
internazionali?

La realtà,
per chi vuole vederla, è che Gino Strada, proprio lui, si era accodato
al più classico imperialismo culturale, e questo era sbagliato. Terribilmente
sbagliato.

Scrissi tutto
ciò a Peacereporter, li invitai a una riflessione fondamentale,
che va al cuore dell’intercultura, che è oggi di drammatica attualità.
Sostenevo che non è in quel modo che si ottiene un avanzamento dei
valori fondamentali dei popoli (ciascuno i suoi). Lo pubblicarono? Macché.
Concessero ai loro lettori il beneficio del dissenso? Macché. La ‘parrocchia’
si chiuse a riccio, e fine del libero dibattito. Infatti su Peacereporter
un libero dibattito su Emergency e sulle sue tante controversie
è impossibile.

Se questa parrocchialità
accade fra i ‘nuovi’, fra quelli che non hanno Confindustria o il
Vaticano che gli soffia sul collo, immaginate al Corriere o al
TG1 di Gianni Riotta.

E di seguito:
si chiuse a riccio la ‘parrocchia’ del Manifesto quando,
dopo vent’anni di collaborazione, mi negarono la pubblicazione di
un editoriale dove gli chiedevo: “Se Calipari fosse morto nelle
stesse identiche circostanze, ma per salvare Agliana, Quattrocchi, o
Cupertino, voi cosa avreste scritto di lui? Avreste celebrato la morte
di un eroe, o avreste scritto di uno
‘sbirro’ al servizio sciagurato dei contractors imperialisti?
”.
In altre parole, l’onestà intellettuale non andrebbe posta in cima
al lavoro della storica testata senza padroni? Se non si fa chiarezza
su questo punto in via Bargoni, come si procede? Si può procedere?
Silenzio.

Spettacolare
la parrocchialità di un gruppo No Tav della Val di Susa, e sto sempre
nell’ambito dei cosiddetti ‘liberi battitori’, per gli essenziali
motivi citati in precedenza. Il 14 febbraio 2008 ricevo da una loro
attivista un invito a tenere un dibattito in valle: “Sia come associazione
che come comitati No Tav saremmo felici di averti ospite a qualcuna
delle serate informative che organizziamo, oppure di organizzarti alcune
serate (nei vari paesi della Val di Susa e Sangone) sul tema della censura
sull’informazione in Italia.
” Notate che il fulcro della cosa
è la censura. Rispondo il 27 dello stesso mese e fra le altre cose
scrivo: “Possiamo parlare di informazione, società civile organizzata,
cosa fare e come. Sappi che dico cose molto impopolari per i fans di
Grillo, Travaglio ecc
.”. La solerte signora cinque giorni dopo
specifica: “Nella riunione di comitato di giovedì scorso ho portato
il nostro scambio di mail e ci siamo chiesti cosa intendi con
‘cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio ecc’…
vorremmo capire meglio, anche per non creare confusione fra la gente
a cui ci rivolgiamo, visto che martedì avremo, per l’appunto, Marco
Travaglio che presenterà il suo libro Mani sporche…
Se riesci a mandarci uno spunto per fargli magari qualche domanda specifica
che ci faccia capire te ne saremmo grati.
”. La indirizzo alla
lettura del mio Considerazioni sul V-day (7) e allego una precisa serie di domande
critiche per Travaglio, poi attendo. Attendo, attendo. Dopo divesi giorni
sollecito, e a metà marzo mi arriva una mail di centosette righe fitte,
dove l’attivista No Tav si dilunga eternamente sulle sue lotte sociali,
sul coraggio, sugli alti ideali. Poi, in fondo: “… Devo dirti
in tutta onestà che non abbiamo sfidato Travaglio… gli siamo riconoscenti
per essere venuto… grazie a questo fatto sono arrivati tantissimi
cittadadini
(uno stadio zeppo come da foto allegata, nda)”. Ed
ecco la stoccata finale: “Tu sei un grande e coraggioso giornalista…
all’interno del nostro comitato il dibattito è al punto che ci piacerebbe
avere prima un incontro-confronto con te, per capire…
”.

Ah sì?, rispondo.
Lo avete fatto “l’incontro-confronto per capire
con Travaglio? Con Imposimato? Con Diego Novelli? Cioè con tutti gli
altri ospiti delle vostre serate? E vi siete preoccupati anche con loro
di “non creare confusione fra la gente a cui ci rivolgiamo”?
Da quando si fanno i pre-esami agli intellettuali che si invitano a
parlare alle serate? Risulta a qualcuno che questa sia la prassi? Non
commento oltre, non credo ce ne sia bisogno. Censura, altro che libero
dibattito in quel No Tav. La ‘parrocchia’ è chiusa in Val di Susa,
e perdonate la rima.

La medesima
cosa mi accade in un centro sociale di Bologna, l’XM24, forse ancora
peggio. Questi sono gli antagonisti arrabbiati, i giovanissimi irriducibili,
gli sfasciaSistema per eccellenza. Bene. L’invito che ricevo è a
parlare di informazione, e tutti sanno che sono nel mezzo di un’aspra
polemica con Report di Milena Gabanelli, che accuso di essere
collusa con la RAI in Censura Legale
(8) e impegnata in un’opera di censura
a tappeto del dissenso nel forum della sua trasmissione (9). Tre giorni prima dell’incontro,
un rappresentante del collettivo si presenta a casa mia: ha parlato
con Bernardo Iovene, collaboratore stretto di Gabanelli ma soprattutto
amico intimo del leader di XM24. Iovene sostiene che io vado raccontanto
balle e diffamazioni sia su Censura Legale che sulla censura
nel forum di Report, è vero? In via del tutto eccezionale, data la
giovanissima età del ragazzo, gli perdono quello che non ho perdonato
ai No Tav, e mi sottopongo a verifica preventiva. Mostro al giovane
tutti i documenti processuali, le prove nero su bianco, rispondo a ogni
domanda. Lui è soddisfatto. L’incontro si fa. Dopo 48 ore mi arriva
una chiamata: Iovene è stato di nuovo al collettivo, c’è stata discussione,
e allora “Barnard lei può venire, può parlare di informazione,
ma non può parlare di Report
(sic)”. Avete letto giusto: i giovani
antagonisti, gli antiSistema duri e puri, vietano preventivamente all’ospite
di parlare, gli mettono un guinzaglio affinché più in là di qualche
metro non vada. Non credo sia mai capitato a Porta a Porta, non così
spudoratamente. ‘Parrocchia’ anche qui.

E poi i
meet up
di Beppe Grillo, e Grillo in persona. Qui la ‘parrocchia’
ha veramente funzionato, soffocando un pezzo di informazione con la
stessa efficienza di un Tg di Emilio Fede. Spiego i fatti. La eco della
mia pubblica denuncia della collusione di Milena Gabanelli con RAI in
Censura Legale
ha toccato gli angoli più disparati della Rete,
e naturalmente è approdata ai meet up. Alcuni membri di quei
gruppi hanno d’istinto portato la vicenda nella pagine del blog
di Grillo, visto che si parlava di censura e a pochi giorni dal V2 day
sull’informazione. Ma a quel punto un fatto curioso ha iniziato ad
accadere: i loro messaggi indirizzati al comico genovese sparivano.
Strano. Vi lascio alla spettacolare sequenza di eventi così come sono
accaduti al meet up di Napoli, per comprendere di cosa sto parlando:

“Posted
mar 27, 2008 at 11:32 AM

Qualche
giorno fa mi hanno passato questi due link:
http://www.arcoiris.t… e http://www.arcoiris.t… Questi video non sono altro
che l’intervista a Paolo Barnard: uno dei migliori giornalisti…scusatemi…
EX giornalista di Report, la famosa trasmissione televisiva di rai tre
condotta da Milena Gabanelli. Dovete – per favore – vedere i video perchè
DOVETE aprire gli occhi. Milena Gabanelli come Pozio Pilanto se ne è
lavata le mani, sul forum di Report sono stati bannati (censurati) tutti
gli interventi su questo argomento (CESURA LEGALE).

Sul sito
di Beppe Grillo è stata fatta la stessa cosa… Apriamo gli occhi.

Vittorio
Emanuele”

“Posted
mar 28, 2008 at 3:38 PM

Io scrivo
sul forum di annozero e qualche volta su quello di report. Ho partecipato
solo all’inizio alla lunghissima discussione che c’è stata e che poi
è sparita. Conosco le persone bannate, sono persone civili, educate,
acute, con un senso civico altissimo. Non hanno mai sforato nell’offesa
o nella volgarità, ma hanno dato fastidio chiedendo, pretendendo chiarimenti.

Tutto questo
può diventare improvvisamente non interessante perchè barnard ha fatto
il nome di grillo?

Grillo sta
organizzando un V-day sulla informazione, perchè non affrontare anche
questa questione? E’ importante o no per la democrazia, per il sistema
informazione in italia….la gabanelli non ne parla.

Maria Gabriella”

“Posted
mar 28, 2008 at 9:51 PM

Ho bisogno
di una risposta a questo quesito: io e altri abbiamo ripetutamente postato
la lettera aperta
(su Censura Legale di Barnard, nda) sul blog
di Grillo. Non è mai stata postata. Come mai? Qualcuno sa darmi una
spiegazione? Grazie.

Maria Gabriella”

“Posted
mar 28, 2008 at 10:03 PM

Prova a
spezzettarla, il blog accetta 2000 caratteri per volta.

Mariano.”

“Posted
mar 28, 2008 at 10:37 PM

…cmq è
vero è da piu di mezzora che cerco di postare su blog di Grillo la
lettera aperta su Censura Legale

(di Barnard, nda), non riuscendoci… Non mi postano neanche le mie
proteste in merito………

non capisco………..

Mariano.”

“Posted
mar 29, 2008 at 1:17 AM

non potevo,
non volevo crederci… mi chiedo che senso abbia il v2day sull’ INFORMAZIONE
se Grillo sul suo blog applica la censura nei cfr. di determinati argomenti….
sono confuso….deluso…

pretendo
chiarimenti…chiedo a Roberto Fico, Marco Savarese e Vittorio, e a
tutti gli amici del meetup di napoli di pretendere altrettanto…. di
chiedere chiarimenti a Grillo…. che questa discussione venga puntinata.”

La notizia
che anche Grillo stia censurando sul suo blog rimbalza allarmante a
diversi altri snodi italiani dove si raggruppano i seguaci del comico,
come Milano, Roma, Bologna, Ladispoli, Carbonia, o Messina:

“Posted
apr 13, 2008 at 5:07 PM

Sul BLOG
di Grillo i post che contengono il nome di BARNARD vengono censurati.
Provate voi stessi e vedrete. Io ho fatto alcune prove, anche camuffando
il nome. Niente. Mi pare una questione molto seria. Ne vogliamo discutere?”

“Posted
apr 9, 2008 at 9:09 PM

Se ci tappiamo
gli occhi di fronte a questa vicenda; se non siamo in grado di rompere
quelle che assomigliano alle vecchie regole di omertà e fedeltà alla
linea di partito; se non facciamo questo, ora e subito, credo dobbiamo
rinunciare ad ogni speranza di cambiamento e di battaglia per la verità.
Voglio poter andare al prossimo V-Day con l’animo in pace e con la coscienza
pulita

Stefano.”

“Fabio
bergonzoni (cipputi) Commentatore certificato 01.04.08 11:09 |

quando mi
capita di scrivere un commento non troppo “consono” al blog
viene censurato… dio mio c’è del marcio anche qui? ho visto che non
capita solo a me. è triste. è sconfortante. non si sa più dove girarsi…
non c’è piu niente di pulito.”

Io stesso ricevo
diverse mail che confermano puntualmente la censura sul blog di Grillo
e di cui offro solo alcuni esempi:

Date: Mon,
07 Apr 2008 15:32:29 +0200

From: Stefano

To: [email protected]

Subject:
Di nuovo su censura legale

“Ho provato
a spedire un messaggio nel blog di Beppe Grillo, le cui uniche parole
riconducibili al tuo caso erano RAI, Gabanelli, Report e Barnard: niente,
il messaggio non è arrivato.

Ultimo tentativo,
questa volta con le parole camuffate… Ne ho spediti un paio e sono
rimasti là almeno una mezz’ora/un’ora (probabilmente erano un po’ distratti).
Stamattina i miei post erano spariti. Questa vicenda mi disgusta…”

Date: Tue,
11 Mar 2008 12:17:03 +0100

From: mariapiapil@****

To: [email protected]

Subject:
Re: Report e Anno Zero

“Ho scritto
quanto segue nel blog di Grillo. Non ne ho trovato traccia… Mp.

‘Vorrei
esprimere il più totale rifiuto e indignazione verso la Censura Legale
di cui è oggetto Paolo Barnard e tutte le persone che in diversi blog
e forum….’”

Date: Fri,
21 Mar 2008 18:21:08 +0100

From: sapesci@****

To: [email protected]

Subject:
Grillo censura…

“Avevo
già segnalato il tuo caso sul sito di Beppe Grillo. Una delle due segnalazioni
che ho inviato, quella nel commento più votato, è stata bannata!….
La Gabanelli anche lì evidentemente non si tocca! ma tu resisti…
non sei solo!”

Tutto questo
accade a meno di un mese dal V2 day di Torino. In sostanza: Beppe Grillo,
che sta lanciando la più imponente crociata popolare contro l’informazione
di regime” della storia contemporanea, usa la censura nel
suo stesso blog, da lui sventolato ai quattro venti come il futuro della
libertà di espressione, come il salvagente della libertà di parola
in Italia. Lo fa, aggiungo, perché notoriamente amico intimo di Milena
Gabanelli, e fra compagni di ‘parrocchia’… Ma ciò che sarà ancor
peggio, è come l’ondata di indignazione di tanti membri dei meet
up
si spegnerà docilmente al sopraggiungere dell’adrenalinica
giornata del 25 aprile, con la sua cornucopia di emozioni, protagonismo
per un giorno e trascinamento acritico di tanti da parte dell’istrionico
genovese. Eppure non sarebbe stato difficile capire che in gioco vi
era un fatto gravissimo, e cioè la scoperta che il grande inquisitore
aveva replicato lo stesso odioso comportamento che si accingeva a castigare
con feroce intransigenza in tanti altri. E se una frazione di rigore
intellettuale e morale fosse riuscita a sopravvivere a quella festa
di piazza, i seguaci di Beppe Grillo avrebbero dovuto imporre una riflessione
all’intero evento: quella replica ipocrita lo aveva già corrotto
fin nelle fondamenta prima ancora di iniziare, inaccettabile continuarlo
così.

Ahimè rimane
un fatto che da quella data è calato il silenzio su questo caso. Di
nuovo, la ‘parrocchia’ dei meet up ha chiuso i portoni, e
un libero dibattito sulla gravità del comportamento di Beppe Grillo
è rimasto fuori.

Il
caso Gabanelli. Il ‘litmus test’.

Quando
il parroco chiama a raccolta.

E sempre in tema, mi soffermo sulla reazione di alcuni dei più noti
rapppresentanti dell’Antisistema italiano a quella parte della mia
denuncia su Censura Legale che inevitabilmente ha gettato ombre
sulla conduttrice di Report Milena Gabanelli. Essa si è rivelata
un litmus test, per dirla all’inglese, e cioè un vero banco
di prova. Infatti, nella ‘parrocchia’ che si è chiusa a riccio
a protezione della nota giornalista si sono infilati alcuni dei nomi
più celebri della compagine dell’informazione antagonista italiana.
Non è loro bastata la schiacciante mole di prove documentali che inchiodavano
Gabanelli e la RAI; non gli sono bastate le proteste per iscritto con
nomi e cognomi dei tanti cittadini censurati brutalmente dalla Gabanelli
per aver osato dissentire e chiedere spiegazioni; non è stato sufficiente
spiegargli accoratamente che la replica al loro interno dei metodi del
Sistema-potere è una bomba a orologeria moralmente inaccettabile e
che finirà per delegittimarli danneggiando irreparabilmente tutti gli
attivisti italiani. Nulla di tutto questo è servito, e così Marco
Travaglio, Aldo Grasso, Lorenzo Fazio, Sabina Guzzanti, Beppe Grillo
e persino Piero Ricca si sono schierati in difesa della propria ‘parrocchia’,
ciascuno a modo suo.

Prima di continuare
preciso e sottolineo: il fatto che il caso Gabanelli sia ricorrente
lungo diverse parti di questa narrazione non è segno di un mio accanimento
rancoroso, di una malcelata velleità vendicativa, di squilibrio professionale.
Le ragioni sono quelle appena citate, e solo quelle: si è trattato
di un punto di svolta clamoroso, un episodio che ha per la prima volta
squarciato il velo su una dibattito soffocato anche se di fondamentale
interesse pubblico: sono veramente diversi dal Sistema-potere
i nuovi ‘paladini’ italiani della libertà di parola? Come reagiscono
quando sono loro a essere colti in fallo? Possono centinaia di migliaia
di italiani fidarsi ciecamente di loro? E in ogni caso, è giusto affidarsi?

Ecco perché
quell’affaire ricorre così spesso qui. Mi ha scritto una lettrice:
Gent.le Dr. Barnard, sono rimasta colpita sia dalla vicenda
in sé, sia dalle relative implicazioni sociali. Ritengo che quanto
è avvenuto sia gravissimo: anche i programmi e le rubriche che (apparentemente)
prendono posizione a favore di una cultura della legalità e dei diritti
sono, dunque, “sepolcri imbiancati” (per usare un’espressione
molto forte ma, credo, non fuori luogo)
”.

Marco
Travaglio.

La prima volta
che portai all’attenzione del giovane cronista di giudiziaria le crepe
che si stavano aprendo nel gruppo dei ‘paladini’ fu il 14 dicembre
del 2006. Le risposte che mi arrivarono furono dei monosillabi inespressivi
e seccati. Mai alcunché sui punti specifici. Fu uno dei primi a ricevere
la mia denuncia su Censura Legale, di cui lui stesso è vittima
fra l’altro, ma nulla. L’ho sollecitato di recente con una lettera
aperta, nella quale gli chiedevo di esprimersi sia sul critico rapporto
fra fama/potere e libertà d’espressione (Travaglio è un’idolo
nazionale e corre seri rischi in questo), sia sul comportamento della
collega Gabanelli. Nessuna replica. Poi ricevo da un lettore quello
che Travaglio aveva a lui dichiarato in merito a ciò che gli avevo
scritto: “Sono tutte balle (vicenda Gabanelli)” e “Non
ho tempo da perdere dietro ai delirii di uno squinternato che mi diffama
su internet con processi alle intenzioni
(le mie considerazioni
su fama/potere e libertà)”. Replico a questo livello di tracotanza
offensiva e di ignoranza dei fatti (Travaglio, che è un cronista, evidentemente
non sa nulla delle prove documentali che ho fornito in Censura Legale)
e fra le altre cose scrivo: “Nessun processo alle intenzioni.
Travaglio si è già corrotto. Come fa lui, il censore morale, a stare
fisso nel salotto Tv di uno che per prima cosa è un arcinoto raccomandato
di lunga data della lottizzazione Tv dell’asse PCI-Sandro Curzi, ma
che ha poi fatto scempio del mandato elettorale di tanti italiani
per scendere da Strasburgo (dove ha soggiornato a spese dei cittadini)
a riprendersi il suo ‘giocattolo’ preferito? Cos’è un mandato
elettorale? Un parcheggio temporaneo? Una cura ricostituente? E costui,
cioè Santoro, oggi sta in televisione a bacchettare il malcostume della
politica
(sic). Può Marco dire quanto sopra in faccia a Santoro
in diretta ad Anno Zero? Eppure sono fatti conclamati. Può? Lo ha fatto?

Può Travaglio
dire che la sua casa editrice Chiarelettere è diventata il fans club
di un magistrato e di una fetta di magistratura con tanto di striscione
e motto sul sito (caso unico in occidente), facendo così a pezzi il
più sacro dei principi dei checks and balances nel giornalismo? Può?
Lo ha fatto?.

Può Travaglio
spiegarci cosa ci stanno facendo lui e Milena Gabanelli in prima serata
Tv dopo che lui stesso ha perentoriamente dichiarato nel 2006 quanto
segue:

‘In televisione
è vietato tutto ciò che è libero, indipendente e autonomo. Perché?
Perché non si sa mai cosa può dire uno libero, che non risponde, non
si sa mai cosa potrebbe fare, non si sa mai cosa potrebbe raccontare…
Se uno è asservito è controllabile, si conoscono le dimensioni del
suo guinzaglio, e si sa anche chi lo tiene in mano il guinzaglio. Chi
non ha il guinzaglio in televisione in questo momento non lavora e chi
ci lavora in un modo o nell’altro un suo guinzaglio ce l’ha.

Si tratta
a volte di scoprirlo, per quelli più furbi, che lo nascondono meglio,
per altri si tratta di capire quanto è lungo, ma non c’è dubbio
che chiunque lavori in televisione nei posti chiave, che si occupano
di informazione, di attualità, o che si occupano disettori limitrofi,
il guinzaglio c’è e lo tiene in mano qualcuno. Poi ci può essere
qualcuno che ha il guinzaglio e pure è bravo (sic, nda), non è mica
escluso, è difficile, ma non è escluso; la regola è comunque che
ciascuno deve essere controllabile e ciascuno deve essere prevedibile
, ciascuno deve avere qualcuno che garantisce per lui altrimenti sulla
base delle proprie forze e delle proprie gambe lì dentro non ci si
entra’?

E ora aggiungo:
può Travaglio farci capire come è possibile che il direttore di RAI
3 Ruffini sia, secondo le sue lapidarie parole, un censuratore di professione
perché ha cancellato Raiot di Sabina Guzzanti”, quando
lo stesso Ruffini lascia Report in prima serata da più di 4
anni? Lo è o non lo è un censuratore? Oppure è la Gabanelli che ha
le spalle coperte? O è Travaglio che diffama a casaccio? Può chiarire?

Può questo
giornalista dare conto della sua partigianeria manifesta per un partito
politico con tanto di indicazione di voto pre elettorale (IDV e Di Pietro)
e di come questo suo comportamento deturpi l’abc della nostra deontologia,
che pretende una netta separazione del giornalista dalle fonti del potere
che dovrebbe severamente monitorare?

Può infine
avere la decenza di leggersi le carte processuali che così chiaramente
espongono Milena Gabanelli come collusa con la RAI in uno dei più gravi
casi di Cesura Legale, e le testimonianze dei cittadini censurati
dalla condutrice di Report? E avrà la coerenza di prendere posizione
contro quel malaffare nato nel cuore dell’informazione ‘pulita’,
così come lo condannerebbe se praticato da chi non è suo amico personale?
Insomma, avrà la forza di non finire a erigere muri attorno all’ennesima
‘parrocchia’?

La risposta
a ciascuno di questi quesiti è no. Perché fra ‘parrocchiani’ non
ci si tocca, e al diavolo la libertà di pensiero, la libertà d’espressione
e l’onestà personale.

Lorenzo
Fazio e Aldo Grasso.

Editore di
provenienza Rizzoli e patròn della casa editrice Chiarelettere –
che pubblica Travaglio, Gomez, Corrias, Barbacetto, Beha ecc. – Lorenzo
Fazio ha avuto fra le sue firme sia il sottoscritto che Milena Gabanelli.
Da notare che questo editore ospita nel suo sito un blog dal titolo
Tiro Libero
, spazio dedicato al monitoraggio del giornalismo italiano.
Sono ancora in attesa che quel ‘monitoraggio’ dedichi a Censura
Legale
qualcosa di meglio di tre righe vaghe e fuori tema. La

Censura Legale non è cosa da poco, è a tutti gli effetti una minaccia
serissima alla libertà di stampa italiana, come conferma mirabilmente
un saggio di una delle nostre più rispettate giuriste, Giovanna Corrias
Lucente, e che così riassume la serietà della questione: “Sulla
testa di ogni giornalista pende oggi la spada di Damocle di una querela
per diffamazione. Lui – e il suo giornale
– rischia la bancarotta, chi querela assolutamente niente. Anche se
la denuncia si rivela infondata, infatti, è quasi impossibile ottenere
un risarcimento. Risultato: i giornalisti scrivono sempre di meno e
sempre più politically correct, le querele per diffamazione non si
contano e i danni morali liquidati raggiungono cifre sbalorditive. Con
buona pace del pluralismo e della libertà di stampa.
”. (10) Ma Lorenzo Fazio è della ‘parrocchia’,
ha la conduttrice di Report in prima fila fra le firme Vip dei
sostenitori della sua impresa editoriale, e dunque zitto, “con
buona pace del pluralismo e della libertà di stampa
”.

Aldo Grasso,
il critico televisivo più caustico d’Italia, uno spirito libero,
così dicono. Lo chiamo in febbraio, gli espongo la questione Censura
Legale
, e lui: “E’ grave, è capitato anche a me, un editore
mi ha lasciato solo in tribunale a sorbirmi tutte le grane di ciò che
mi aveva pubblicato…
”. Bene, replico, allora sai di cosa parlo,
ci scrivi due righe sul Corriere? Grasso: “Ma… sai… io sono
amico della Gabanelli, e prima di attaccare un’amica dovrei vedere
meglio…

Notate bene
che non ha detto ‘prima di attaccare un cittadino’, che sarebbe
stato solo giusto. Ha detto “un’amica”, cioè il critico
televisivo è ‘compagno di merende’ di chi dovrebbe scrutinare.
Non demordo, gli mando ogni prova documentale, ogni riscontro nero su
bianco, tutto. Lo richiamo dopo quasi un mese, e la solfa è la stessa:
Ma sai… io sono amico della Gabanelli, e prima di attaccare
un’amica
…”.

Piero
Ricca.

Il 2 aprile
2008 mi scrive: “Caro Barnard, vorrei capire meglio la vicenda
che la riguarda. Vorrei farle un’intervista, magari video, ma non necessariamente,
da far girare on line, a partire dal mio blog. Un cordiale saluto, Piero
Ricca
”. Ne sono felice, accetto. Lui ribadisce: “M’interessa
anche il tuo punto di vista su leadership e responsabilità individuale
nel campo della società civile ‘progressista’ o
‘antagonista’…
”. Perfetto, ancora meglio. E ancora lui:
Confido in video-intervista sugli sviluppi e il signficato del
caso non appena possibile per antrambi
”.

Nel frattempo
lo rendo edotto di ciò che penso dell’Industria della Denuncia
e dell’Indignazione
, e glielo dico chiaro, lui c’è dentro fino
al collo. Parliamone. Inoltre gli manifesto il mio disagio di fronte
a certi suoi, chiamiamoli, eccessi di provocatorietà nel corso dei
suoi arrembaggi a Vip politici o finanziari. Il rischio, suggerisco,
è proprio quello di replicare metodi violenti nel nome di una autoreferenziale
giustezza civica. Piero si risente un poco, me lo comunica. Il tempo
però passa, e dell’intervista che mi voleva fare si sono perse le
tracce.

Sabina
Guzzanti.

Stessa trafila
di Ricca, anche lei mi contatta per una intervista, l’11 di febbraio:
Caro Paolo Barnard, dato che sto lavorando a un film documentario
sull’informazione vorrei intervistarti e raccogliere la tua testimonianza
(sperando che la parola non ti ricordi troppo i tribunali)
”. Scottato
come sono dall’effetto ‘parrocchia’, decido di mettere le mani
avanti: cara Sabina, leggi prima quello che ho scritto di voi Vip alternativi
e di ciò che state facendo, poi se ancora vorrai sentirmi… Lei replica:
Caro Paolo, grazie della risposta. Ho letto il tuo articolo e
non mi è passata la voglia di intervistarti. Ti chiamerò un giorno
di questi per prendere un appuntamento
”. Sono ammirato, forse
qui si respira aria nuova. Nelle settimane seguenti le mando via mail
i dettagli della vicenda Censura Legale, e con essi una sintetica
cronaca in diretta della censura che sta calando implacabile su molti
utenti del forum di Report man mano che la cosa monta. Le segnalo
anche quella del blog di Grillo. Sabina inizia a mandarmi messaggi interlocutori:
Su Grillo mi sono arrivate voci che sul blog ci sia censura, mi
pare che la voce si stia spargendo, d’altra parte è pure una sua
scelta parlare di quello che vuole
…” Le rispondo: “No,
scusa, ma hai preso un granchio. Non si tratta del suo diritto di postare
ciò che lui vuole. Qui parliamo dei cittadini, i cui contributi lui
non deve filtrare, se non in casi di palesi volgarità o illegalità.
I post dei cittadini sul suo blog sono liberi, e lo sono sempre stati.
Lui cancella quelli scomodi, li censura
”.

Sabina di nuovo:
Mi sembra che il senso della tua battaglia debba essere protezione
legale da parte degli editori per i giornalisti che si espongono, più
che una guerra contro la Gabanelli
”. Comprendo subito il pericolo
del fraintendimento che talvolta mi accompagna, e cioè la convinzione
di alcuni che io mi stia accanendo per un rancore personale contro una
giornalista, piuttosto che sui principi di una battaglia per la libera
informazione. Replico con fermezza: “Il senso della battaglia è
sia contro gli editori che ci abbandonano sia contro chiunque censuri,
se mi permetti. Gabanelli sta censurando a man bassa e partecipa a Censura
Legale. Cosa devo fare? Il solito ‘compagno di merende’ alla Aldo
Grasso o Grillo che con la censura di Mimun sbraitano furibondi ma con
la loro amica no? Fammi capire Sabina, la censura puzza di meno se la
fa una amica tua o mia? Dimmi come ti posizioni tu, perché qui veramente
si fa fatica a capire. La guerra la si fa contro chiunque
censuri e se si chiama Gabanelli chissenefrega. O sbaglio?
”.

La Guzzanti
non si convince, lo scoglio Gabanelli rimane nel mezzo. Poi, quando
scrivo di Marco Travaglio ciò che avete letto sopra, Sabina cambia
tono, ahimè. Mi premuro di ricapitolarle tutti i punti spinosi, le
gravi contraddizioni e i rischi che accompagnano la celeberrima figura
del cronista, e concludo: “Sabina, quando si diventa Star non si
è più liberi. Perché la fama dà potere, e il potere diventa prioritario
rispetto alla libertà. Rileggi i nomi che ho citato

(Ivan Illich, Noam Chomsky, Howard Zinn, John Pilger, Rachel Corrie…
Giovanni Ruggeri, Giorgio Ambrosoli, Corrado Staiano, Ilaria Alpi, Peppino
Impastato, nda), quelli non furono e non saranno mai in prima serata
Tv. Va fatto altro, e l’ho scritto e credo che tu l’abbia letto
”.
Lei: “Caro Paolo, condivido la battaglia perché i giornalisti
siano protetti legalmente dalle testate per cui lavorano, non condivido
la battaglia anti Gabanelli. Non condivido la battaglia anti Travaglio
di cui ho stima.
” E di seguito, a proposito dell’impianto generale
delle mie critiche ai ‘paladini’ antisistema, la Guzzanti sentenzia:
Francamente mi sembra un’analisi che nasconde frustrazione e
rivalsa mal indirizzate
”. Dunque, sarei in fondo proprio un rancoroso
frustrato che fa battaglie anti qualcuno per rivalsa personale e invidia.
Ci risiamo. La mia ultima replica alla Guzzanti sarà dura, le scrivo
che in fondo anche lei, messa di fronte all’evidenza scritta nero
su bianco della replica fra i suoi colleghi antagonisti della censura
e dell’arroganza tipiche del Sistema-potere, sceglie di non prendere
posizione, di non vedere. E’ facile, le dico, e soprattutto fruttuoso
scendere in campo quando c’è da difendere i censurati Vip, dà visibilità
mediatica; ma non vedo in lei lo stesso fervore di giustizia di fronte
alla censura degli anonimi Marisetta, Salvo, Silvia, Francesco…, o
di fronte alla palese violazione della coerenza morale da parte dei
suoi amici Marco, Beppe, Milena, con il pericolo per tanti che ne consegue.
Così, amica mia, si sceglie la propria appartenenza alla ‘parrocchia’,
non l’interesse comune.

(Non mi ha
più risposto. Anche l’intervista con la Guzzanti credo si andata
a farsi benedire, ma tant’è)

Beppe
Grillo.

Del suo essere
‘’compagno di merende’ della Gabanelli (ma anche di molti altri),
e della censura che questa condizione ha generato nel suo blog ho già
detto. Vi rivelo solo un ulteriore aneddoto assai significativo: una
sua cara amica, di nome Valentina, ex studentessa dell’amico Carlo
Belli dell’università di Perugia e attiva nel meet up di Losanna,
si interessò a Censura Legale, di cui postò il testo integralmente.
Ne seguì uno scambio di mail col sottoscritto e la sua iniziativa di
sensibilizzare Grillo con una interpellanza personale. Il comico le
rispose: “Dì a Barnard che faremo il V2 day anche per lui”.
Di questa risposta faccio notare una sola parola: per piuttosto
che con. Non con i temi che Barnard porta allo scoperto.
In altre parole: se ne stiano a distanza Barnard e ciò che denuncia,
che noi lavoriamo anche per lui (sic).

In conclusione,
quanto sopra dovrebbe in un pubblico sano destare una profondissima
preoccupazione e molte domande. Ma tornando al punto di partenza, ne
rimane una fondamentale: come fa un Paese così intriso nel Sistema
e anche nell’Antisistema dalla perenne tendenza alla parrocchialità
a difendere la libera espressione e ad esprimere una libera informazione
?*

Inutile proporre
riforme, leggi, invocare esempi esteri di trasparenza. Fra questi ultimi,
per citarne uno, la britannica BBC è perennemente menzionata. E allora
diamo una breve occhiata a come è gestita la BBC e da chi. Il suo CDA
si chiama BBC Trust; la sua dirigenza è la Executive Board.
Il BBC Trust è nominato dalla Regina su consiglio dei ministri
del governo. La Executive Board (16 direttori e direttore generale)
è interamente nominata o approvata dal BBC Trust. Riflettiamo:
tutta l’emittente pubblica britannica, esempio mondiale di indipendenza
e qualità, è gestita a cascata da un monarca e dai suoi ministri,
attraverso lo strumento del BBC Trust che di fatto controlla
tutto quanto è sotto di lui. Un monarca, e dei politici oltre tutto
neppure di maggioranza e opposizione, ma solo di maggioranza. E dov’è
dunque il tanto celebrato sbarramento alla potenziale lottizzazione
e manipolazione della Tv pubblica inglese? Non c’è, o meglio, c’è
e si chiama ‘sono inglesi’, tutto qui. Infatti, basta immaginare
il trasferimento di un simile sistema di controllo nel sottobosco corrotto
e bizantino della nostra Italia e capite benissimo perché in queste
righe io insisto sul punto imprescindibile: non va cambiata l’informazione,
vanno cambiati gli italiani.

* (e cosa sarà
di Canale Zero di Giulietto Chiesa se prima non affronteranno il pericolo
‘parrocchia’?)

Cos’è
informare. Cosa fa un giornalista.

Ve
lo diciamo noi.
Ogni
pomeriggio dell’anno i direttori di testata, i caporedattori e giornalisti
assortiti si riuniscono e decidono cosa raccontarci il giorno seguente
(quotidiani), la settimana entrante (periodici), la sera stessa (Tg).
Sul tavolo delle redazioni giacciono pile di notizie, principlamente
sotto forma delle cosiddette ‘agenzie’ (dispacci delle agenzie di
stampa), ma anche fatti raccolti in ogni modo immaginabile, gossip,
segnalazioni, e di rado qualche inchiesta. Dopo alcune ore l’80% di
tutta quella roba viene scartato, e il rimanente 20% viene eticchettato
in ordine di importanza: titolo d’apertura per questo… questo in
evidenza… quello meno… quell’altro solo un accenno, e così via.
I criteri di questa selezione e attribuzione di visibilità li sapete
bene, sono spessissimo vergognosi, inutile qui ricordarli o ricordare
chi li detta (dall’esterno delle redazioni). Ma ciò che è assurdo
in tutto questo non è tanto la vergogna dei criteri sopraccitati, quanto
il fatto che si dia per scontato nel giornalismo attuale che informare
significhi selezionare notizie e offrirle ai cittadini. Questo non è
informare. Informare correttamente è invece solo questo: pubblicare,
nei limiti degli spazi fisici delle testate, tutte le notizie possibili,
il maggior numero possibile. Punto. La selezione di ciò che è importante,
e dunque a cosa dare il titolo in evidenza, la farà il cittadino nella
sua testa leggendo o guardando le notizie. Ciascuna persona, nella sua
libertà di pensiero e facoltà di discernimento, cioè protagonista
dell’informazione, farà i propri titoli a caratteri cubitali sul
giornale o i propri titoli di apertura del Tg, che di conseguenza nei
quotidiani e nei telegiornali dovrebbero scomparire. Ma per potere fare
ciò, le persone devono poter avere tutte le notizie che è possibile
dare nei limiti delle 24 ore, e non una striminzita cernita precotta
e opportunamente enfatizzata rifilatagli ogni santo giorno come l’omogeinizzato
al bambino.

I direttori
e le redazioni dovrebbero solo verificare l’attendibilità delle fonti
delle notizie, e scartare solo ciò che palesemente incita alla violenza,
palesemente diffama o palesemente falsifica la realtà. E sottolineo
palesemente
. Lo spazio per le idee del direttore, delle firme di
prestigio, o dell’editore (e dei loro refrerenti inevitabili) dovrebbe
essere quello della pagina delle opinioni, o degli editoriali Tv. Parimenti,
uno spazio va riservato alle inchieste, saggi ecc. Ma oltre a ciò,
la discrezionalità dei giornalisti non dovrebbe esistere. Questi dovrebbero
essere i limiti del mestiere di chi pubblica notizie.

Utopia? Mi
interessa poco. Di fatto informare dovrebbe essere questo, cioè raccontare
al cittadino quello che lui/lei non può conoscere, tutto quello
che lui/lei non può conoscere. Non vedo l’alternativa.

Compagni
di merende.
Il mestiere
del giornalista, in Italia più che altrove, è anch’esso male interpretato.
La più bella definizione di cosa significhi fare il nostro mestiere
l’ho sentita anni fa da una giornalista straordinaria, l’israeliana
ebrea Amira Hass. Disse: “Il nostro compito principale è di monitorare
le fonti del potere
”. Semplice e cristallino.

Monitorare
le fonti del potere significa scandagliarne quattro primariamente: le
tre della notissima suddivisione di Montesquieu – esecutivo, legislativo
e giudiziario – e l’ultimo arrivato, il quarto potere, cioè proprio
l’informazione. Per fare ciò, il giornalista necessita di una dote
sopra a tutte: saper essere un professionista solo. Significa
essere un libero battitore, capace di guardare e se necessario criticare
a 360 gradi tutto e chiunque, e cioè gli sconosciuti e i distanti,
ma anche i conosciuti e i compagni di strada. In particolare questi
ultimi, perché è proprio all’interno del proprio cortile di casa
(o ‘parrocchia’) che spesso si annidano i misfatti più difficili
da snidare. Ne consegue appunto che il giornalista non deve mai far
comunella con alcuno, con i politici, con i magistrati, con i colleghi
ecc., e deve tenersi da tutti a debita distanza.

Invece in questo
Paese la norma è che i giornalisti facciano ‘parrocchia’ con altri
‘compagni di merenda’, che siano visti a cena con legislatori, in
vacanza con industriali o con giudici, allo stadio con amministratori
pubblici, ai dibattiti a braccetto coi magistrati, ai convegni coi banchieri,
e che se ne vantino. Capita in Italia di vedere dilagare la banda
dei quattro
col comico, il politico, il cronista e il manager occulto
che fanno e disfano mischiando deplorevolmente giornalismo, politica,
attivismo, business, manipolazione di massa col codazzo di altri volenterosi
giornalisti; capita che un direttore di giornale si vanti dell’amicizia
personale con l’ex presidente del Senato grazie alla cui firma il
suo quotidiano esiste, in un incredibile conflitto d’interessi; capita
che la nota firma di prestigio saltelli con disinvoltura dentro e fuori
dai poteri che dovrebbe monitorare, parte PR man-manager-affarista,
parte diplomatico-lacché di potente famiglia, e poi di nuovo giornalista,
tutto in uno; capita che giornalisti e magistrati si abbraccino a tal
punto da sfondare nell’ambito del movimentismo, quasi ci si aspetta
di vederli fare picchetti e volantinaggio di fronte ai palazzi di Giustizia.
Alla faccia dei checks and balances che la tradizione anglosassone
ci ha così opportunamente tramandato. Essere ‘compagni di merenda’,
gemelli combattenti, amici degli amici, cordata di colleghi, commilitoni
addirittura, è la norma qui da noi nel giornlismo.

Insomma, tutto
ciò è grottesco. E nessuno lo nota più. E’ una mischia ormai fuori
controllo.

Ma così, chi
controlla più chi?

In
concreto.

Per dare una
pennellata di decenza all’informazione italiana occorre prima di ogni
altra cosa puntare il dito sull’informazione che ogni giorno i cittadini
di questo Paese si scelgono, e dire a gran voce che non vi è soluzione
di continuità fra ciò che noi italiani siamo e i media che abbiamo.

Il lavoro è
di ordine epocale, cioè dimenticarci per un attimo delle Caste
e metterci davanti allo specchio con vergogna. E avere il coraggio di
vedere nei contorni delle nostre fattezze quegli spicchi di Berlusconi,
Mieli, Riotta, Lerner, Del Noce, Petruccioli, Ricci, Costanzo, Chiambretti
e Sgarbi – e con essi anche tutte verruche
nascoste della compagine dell’Antisistema – che emergono dal
nostro derma.

Dobbiamo dunque
recuperare il senso della nostra importanza di persone, la nostra autostima,
e poiché importanti e dunque ciascuno di noi primo cittadino della
vita pubblica
, dobbiamo decretare inammissibile in noi stessi

l’essere meschini, omertosi, disonesti, pigri, accomodanti, egoisti,
qualunquisti, bugiardi, indifferenti. Inammisibile cioè che lasciamo
scorrere il peggio sotto i nostri occhi senza intervenire, senza pretendere
che ciò non accada. Intervenire e pretendere, tutti noi, indipendentemente
dallo status sociale o dalla cultura, e dunque cambiare il nostro mondo,
la politica e l’informazione.

Un percorso
lungo e difficilissimo, lo so bene. Ma in Italia da qualche anno si
era formata una Società Civile Organizzata che prometteva bene. Si
trattava di una miriade di organizzazioni con al seguito schiere di
cittadini attivi potenzialmente capaci di formare un esercito di creatori
di consenso in grado proprio di aiutare gli italiani a fare ciò che
ho appena descritto – aiutare, lo ripeto, chi non ha il tempo, il
denaro, l’autostima per informarsi, per capire, per intervenire; aiutarli
a fare quelle tre cose affiché un giorno si riescano a mettere al centro,
a sentirsi imprescindibili e infine a cambiare questo Paese. Se questo
esercito avesse lavorato diligentemente, pazientemente, capillarmente,
e soprattutto orizzontalmente, avremmo visto in Italia un inizio di
cambiamento verso una cittadinanza onesta, consapevole e capace di partecipare.
Capace infine di spazzar via ogni Casta politica o mediatica,
poiché le Caste sono solo il riflesso di una cittadinanza disonesta,
inconsapevole e incapace di partecipare. Sarebbe stato il primo passo
verso il goal di cui sopra. Era una promessa, l’unica rimasta.

Invece altro
è accaduto, purtroppo. La Società Civile Organizzata si è voluta
munire di Guru, Personaggi, Star, in tutto e per tutto replicando le
strutture verticali e vippistiche del Sistema massmediatico commerciale.
L’ipertrofismo di questi nuovi Guru, come ho già scritto in passato,
ha finito per annullare ancor più la capacità di azione dei singoli
cittadini attivi, rendendoli dipendenti dal carisma, dalle proposte,
e dalla presenza di quelle Star. Infatti oggi in assenza del carisma,
della presenza e delle indicazioni di quei Guru pochissimi cittadini
agiscono, e all’indomani della feste di piazza, delle serate col personaggio
o delle manifestazioni, poco o nulla accade.

Per cambiare
questo stato di cose, per cioè riportare i cittadini attivi all’essenziale
ruolo di formatori di consapevolezza nei milioni di cittadini passivi,
dovrebbe idealmente accadere che i primi si scuotessero dal torpore
e dall’adorazione acritica dei loro Guru. Lo auspico.

Nel frattempo
però codesti divi dell’Antisistema potrebbero dare una mano compiendo
un atto di responsabilità che sarebbe storico, in particolare nell’ambito
proprio dell’informazione e di come essa va ottenuta da parte del
cittadino. Lo sintetizzo in una battuta: devono sgonfiare se stessi
e aiutare le persone a ingrandirsi.

La prima cosa
che questi ipertrofici personaggi dovrebbero fare è di restituire alla
gente il potere di informarsi. Lo si fa innanzi tutto incoraggiandoli
a coltivare l’abitudine al dubbio, ovvero il dubbio che ciò
che gli stessi Guru scrivono o proclamano possa essere parziale, miope,
sbagliato, addirittura manipolatorio. Il messaggio di apertura nel rapporto
col loro pubblico dovrebbe sempre essere: siamo solo fonti
di notizie, non oracoli, ascoltateci, ma a debita distanza, fra le tante
altre fonti che ascolterete
. Così facendo restituirebbero al pubblico
il suo ruolo di protagonista che deve farsi la verità da solo,
e non apprenderla pedissequamente da un Personaggio visto come un Vate.
Si comincia così. Poi ci si rifiuta di fare i Vday, di avere i megablog,
di essere fissi in prima serata Tv come Guest Stars, di fare
il club esclusivo dei divi antagonisti, di pavoneggiarsi nelle pagine
delle opinioni di riviste patinate, e si dismette interamente quell’abito
da eroi della nuova resistenza che così tanti vestono oggi con orgasmo. Gli
odierni divi della controinformazione dovrebbero lavorare proprio per
ottenere che il pubblico non si relazioni più col giornalista Personaggio/divo/esperto,
ma che lo veda sempre come un suo piccolo consulente di informazioni
fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale dovrebbe essere l’atteggiamento
esteriore e interiore di una cittadinanza sana nei confronti di chi
li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare come il top
management di un gigante industriale – per es. la Microsoft Corporation
– si relazionerebbe con un loro consulente. Lo convocherebbe, gli
direbbe senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”,
lo ascolterebbe e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto.
E il consulente saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per
lasciare ai manager l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico
di cittadini sani dovrebbe sentirsi come il management, cioè al
centro del potere e delle decisioni
, e gli odierni giornalisti/divi/esperti
si dovrebbero ridurre al ruolo del consulente. Questo dovrebbero
fare i Travaglio, Guzzanti, Grillo, Barbacetto o Gomez ecc.

Oggi purtroppo
accade l’esatto contrario: il giornalista/divo/esperto troneggia,
sentenzia e lancia il diktat, e il pubblico piccolo piccolo lo adora,
lo ammira, e peggio, si raggruppa in fans club e ‘parrocchie’ dal
seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico che l’immaginario
colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente
il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo,
viene invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola:
Prego si faccia avanti, ci dica”, e poi “Bene, grazie,
si accomodi
”, cioè torni piccolo piccolo.

In questo modo
la gente è solo sospinta a rimanere secondaria, cioè si annulla e
non crescerà mai. Così l’Italia non cambierà mai. L’informazione
italiana meno che meno.

Paolo Barnard

1) http://www.beppegrillo.it/2008/05/in_memoria_del_giornalista_beppe_alfano.html)

2) Corriere
della Sera, venerdì 16/5/2008

3) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm

4) Ripartire
dal basso (subito). Centrofondi.it – L’economia per tutti. 21 sett.
2007

5) http://www.hrw.org/backgrounder/asia/afghan-bck1005.htm Military Assistance to the Afghan
Opposition, Human Rights Watch, Ott. 2001

6) http://www.greenleft.org.au/2003/556/29437 John Pilger: Bush’s `war on terror’
is a cruel hoax, 1 Ott. 2003, Green Left Online

7) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm

8) http://www.disinformazione.it/censura_legale.htm

9) http://polinux.altervista.org/index.php

10) Il business
della diffamazione. Giovanna Corrias Lucente, Micromega,

29-06-2007

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