DI ALCESTE
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Traini 1. Non so nulla della vita di Luca Traini né voglio conoscere nulla. Sull’uomo Traini, come individuo, maschera o personaggio della cronaca nera, ognuno dovrebbe tacere. Sulla profonda significazione che Traini, quale simbolo d’un epoca infernale, apporta alla discussione è utile, invece, discorrere.
Traini 2. Luca Traini non esiste. È solo un uomo perduto, senza identità, agito da procellose forze sovra individuali; le stesse che spazzano senza requie le terre desolate dell’Italia, dell’Europa e del mondo. Un italiano dilaniato da ciò che, nell’essenza vera, più non comprende: un geroglifico dei tempi a venire.
A scelta:
1. pavloviani (abboccano a parole chiave);
2. ignavi (si adagiano sul letto di Procuste del conformismo; illudendosi d’avere un pensiero proprio);
3. macchine da pettegolezzi (le stancanti minuzie da cronaca nera);
4. color che sanno, ma parlano in malafede;
5. color che sanno, ma preferiscono tacere.
Negro e finocchio. C’è qualcuno che ancora crede che il politicamente corretto serve a debellare l’uso della parola “negro” e “finocchio”?
Au contraire. Il politicamente corretto prima svuota di senso e forza perentoria lo Stato e la Costituzione, poi si riveste del loro carapace, l’apparato burocratico, e se ne serve per eliminare chi ancora è fedele al vecchio ordine. Non è una contraddizione: è il mondo al contrario.
Cinque. Ci sono poi color che sanno, e tacciono. Per paura della riprovazione. Sostenere un’accusa di razzismo, oggi, nel mondo, può recare alla pazzia o all’emarginazione totale. Autocensura, quindi. Anche molti controinformatori menano il can per l’aia. Girano attorno al problema. Si coagulano in pro e contro col rischio di slittare nelle prime categorie discusse: babbei e pettegoli. Temono la verità, si riducono a cianciare di Salvini.
Matteo Salvini. Matteo Salvini mi è simpatico, ma è grasso. Pasciuto. Di lui ho già parlato (Il grasso da tagliare). A Salvini di Luca Traini, al fondo delle cose, non gliene frega nulla. Non vorrei indurre nell’equivoco chi non ha voglia di leggere quelle altre mie righe. Non mi riferisco al peso forma. È che Salvini, la Lega, Meloni e tutta la compagnia che bercia da quel lato: sono grassi. Da loro non c’è da aspettarsi alcunché. Solo Cassio, lo smunto Cassio, è pericoloso. Traini è un legionario, uno dei meno importanti, di Cassio, il febbrile Cassio, Cassio dagli occhi ardenti, l’uomo che odia, il congiurato sconfitto, l’unico davvero temuto da Cesare.
William Shakespeare. Gettare via certi manualetti politico-economici e studiare William Shakespeare, questo conduce alla rivelazione. Shakespeare non discorre del Seicento inglese, ma dell’eternità. Riccardo III, Enrico IV e Falstaff, Macbeth e le streghe ammoniscono l’umanità di ogni tempo. Il fiato delle Weird Sisters si condensa in nebbia venefica: “Il bello è brutto e il brutto è bello“. Questo lo stato delle cose. In un rigo appena.
Il fascismo non esiste. Giova ripetere questo scandalo (Il fascismo non esiste). Esistono moti dell’animo che, in particolari tempi infernali, si solidificano in empiti sovraindividuali. Qual è la situazione, oggi, in un guscio di noce?
Da una parte abbiamo un potere dominante, completamente nuovo, fascinoso e aggressivo, che reca l’uomo alla dissoluzione.
Dall’altra alcune forze che gli resistono, abbarbicandosi, alla buona, a ciò che ricordano, alle tradizioni di famiglia, a un sentimento vago di sopravvivenza.
Ci si intende?
Da un lato una potenza universale, organizzata, infinitamente ricca, che ha capovolto le gerarchie morali e di valore del mondo e, con la complicità dei corrotti patriziati interni, si prepara a governare in nome dell’Usura e della Bontà Ecumenica.
Dall’altro ciò-che-non-è-questo, ciò che non ha nome, è innominabile, e si definisce solo per esclusione rispetto al patriziato e ai loro signori mondiali: plebe.
E tale plebe, che si vede perduta, cosa fa? Ha memoria d’un mondo diverso, in cui ogni cosa vantava un senso, un mondo più duro, spesso disperato, ma umano, sociale, vivibile. E chi garantiva tale architettura nostalgica, si chiede il plebeo? Il fascismo? Sì, forse il fascismo è la risposta, riflette il plebeo, magari confortato dagli amici, dalla tradizione familiare. E allora ecco il plebeo adornarsi di simboli vetusti: la croce celtica, la svastica, il Mein Kampf! Il plebeo vive l’ingiustizia tutti i maledetti giorni, da Equitalia al nodo scorsoio delle partite IVA, dal TAEG all’HACCP, dalle città ridotte a immondezzai alla televisione che gli tocca pagare quando accende la luce. L’ingiustizia genera odio. Egli odia. L’odio vuole solidificarsi in qualcosa di tangibile, iconico. Quale? Gengiz Khan, Tamerlano, Nabucodonosor? Vlad Tepes, Buffalo Bill? Cosa ricorda un italiano nel 2018? Forse Mussolini? Mussolini? L’ordine, la gerarchia, la giustizia, la solare romanità. Sì, egli ha in mente tutto questo, e diviene fascista contro il fascismo PolCor. Che tale sentimento sia vero o no, giusto o no, fondato o meno, qui non interessa. A interessare è lo sviluppo psicologico delle anime plebee. Anche chi votava a sinistra sente d’essere perduto, un plebeo perduto, e s’interroga. Non era meglio quando c’era Lui? Non era meglio l’olio di ricino invece della legge Gozzini? Non era preferibile un writer con le braccia rotte invece di una stazione ridotta a pattumiera? Vi ricordate le risposte dei vecchi comunisti all’esterrefatto inviato di Formigli, indistinguibili da quelle di un Di Stefano? Il fascismo c’entra poco. Qui è in atto una ribellione degli italiani, stranieri in patria, contro chi li vorrebbe morti. Tale rivolta si abbiglia come può. Con un gagliardetto fascista, in qualche caso. I babbei, se non fossero tali, dovrebbero interrogarsi non sui gagliardetti che adornano i petti, bensì sulla terribile miscela di risentimento che si agita in essi.
Il Mein Kampf. Hanno trovato il Mein Kampf a casa Traini! Tombola! Anche a casa mia, a frugare bene, lo si trova. Nell’edizione curata da Giorgio Galli. Tale volume riposa accanto all’Ebreo internazionale, di Henry Ford, a I sette colori di Robert Brasillach e a una biografia di Ernst von Solomon. Ernst von Solomon, “condannato da Weimar, incarcerato da Hitler, processato dagli americani“. Ho anche un reparto dedicato al comunismo, ma quello alla Digos poco interessa.
Ressentiment. Il ressentiment del plebeo italiano, outsider nel nuovo mondo mirabile, in cosa si concreta? In nulla. La frustrazione viene deglutita, come bile nera, a formare, nello stomaco inacidito, cancri mostruosi. Guardate i volti dei plebei sulla metropolitana. Lividi, permalosi, pronti a esplodere per un nonnulla, cattivi; oppure indifferenti, sconfitti, plumbei, depressi. D’altra parte come potrebbero agire? Non sanno fare nulla. Aspettano. E poi hanno paura. Della condanna sociale. Le parole terribili, i gesti più violenti sono trattenuti in seno. Altra bile, altra malattia. Paura della morale dominante, dell’accusa. Ciò che pensano lo bisbigliano. Sono frasi orribili, sanguinose. E tali rimangono. La disperazione, solo la disperazione taglierà i lacci? Lo vedremo.
Traini 3. Nel frattempo un estraneo, uno dei tanti, umiliato, deriso, emarginato, sopravvive nell’Italia profonda. Cerca di uscire dalla foresta dei proscritti. Cosa fa? Si appoggia a tutto, come un naufrago, a qualsiasi relitto, o legnaccio, magari marcio: la Lega, il fascismo. Non ha modo o tempo o concetti per riflettere. Sente di militare in partibus infidelium. Gli hanno rubato il futuro, le parole, la patria. Ciò che per lui si costituiva in senso ora è considerato un’accozzaglia di detriti inservibili. Si aggira ai margini, come un aborigeno ubriacone, indesiderabile. Altri uomini, altre idee vengono santificate. Outsider. A pelle avverte una condanna epocale. Cosa fare, cosa fare? Vorrebbe un Cassio, un essere ultraterreno, fanatico, chiuso, coriaceo, che non defletta mai, un duce, un comandante che gli offra un cielo più mite. Per un tal uomo sacrificherebbe la propria vita! Fedeltà, ordine, chiarezza, definizione. E un senso, un senso all’avvenire. Pur misero! A un uomo simile vorrebbe abbeverarsi, ma trova solo dei simulacri. La speranza, però, lo anima. Ricorda il passato, o altri ricordano per lui: la vita era diversa e non doveva passare per giullare. E allora ecco la Lega, il fascismo, il Mein Kampf. Rottami, trucchi apotropaici, reliquie senza vita. Per un poco tale balsamo lenisce le ferite. Non ha nulla da perdere e, soprattutto, ha un’arma. Aspetta la scintilla dell’acciarino. Pamela, la dolce Pamela, una sorella minore. Tre millenni di storia gli ribollono dentro, incomprensibili, tirannici. Un artiglio risale lo stomaco e gli stringe il cuore. Diviene un automa. Agisce in piena possessione. Non un uomo, ma un Golem: spara, vuota due caricatori. Si fascia della bandiera, tende il braccio destro: altri vestimenti nostalgici. Lo prendono come un bambino. Subirà la condanna dei buoni. Forse, in galera, un giorno rinsavirà chiedendosi: “Perché l’ho fatto?“. In quel momento, infatti, non lui, ma un groviglio di budella ancestrali decidevano in sua vece. Il ricordo del nome, come è giusto, si perderà. Traini, infatti, non è nulla, solo l’affioramento carsico di una ribellione oggi senza soldati.
Paralleli. Il Nuovo Ordine ha un andatura principesca, affabile, delicata, gentile. Lo ammantano le spoglie di un paese defunto, l’Italia. Egli appare come Ercole, paludato con la carcassa dello sconfitto Leone di Nemea. Traini, inconsapevolmente, ripete le gesta del nemico: il Tricolore sulle spalle, l’omaggio ai caduti per la Patria. Ma ciò che lui vorrebbe onorare, purtroppo, è già morto. Non ha fascino, non muove. Le spoglie incartapecorite dell’Italia non spaventano certo il Nemico. Il Nemico, di tutto questo, ridacchia. A ragione. Nella vicenda si avverte un senso funebre di dissoluzione, la sterile celebrazione di una sconfitta annunciata.
Traini 4. Solo il sentimento che ha mosso questo gesto può tornare utile al ribelle. Isolarlo nella purezza e concedergli nuovi vestimenti. Dire no, soprattutto. Rifiutare sistematicamente ciò che oggi è considerato lodevole e volgerlo nel suo contrario, ovvero nel contrario del contrario: una disciplina etica assai semplice nella concezione quanto dura da vivere; l’unica che possa permetterci di riavere indietro le giuste coordinate dell’azione.
In tal modo si sarà dannati e ci si priverà della nefasta speranza. Vivere nell’inattualità e nel disprezzo degli altri. Ogni epoca ha i propri campi di rieducazione.
Una disciplina, la rilettura, mutuata dal Menard di Borges. Un’etica anche questa.
E così ho riletto L’estraneo, di Howard Phillips Lovecraft:”… so sempre di essere un estraneo, uno straniero in questo secolo e tra coloro che sono ancora uomini … nella solitudine piena di ombre il mio desiderio di luce divenne così febbrile che non potevo più attendere, e alzai le mani imploranti all’unica nera torre in rovina che si ergeva oltre la foresta nell’incognito cielo esteriore. E alla fine decisi di scalare la torre, anche se fossi caduto; dato che era meglio intravedere il cielo e perire che vivere senza aver mai visto il giorno“.