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La Redazione

 

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L’effetto Goldman Sachs (Come una Banca ha conquistato Washington)

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A cura di Davide
Il 27 Febbraio 2017
527 Views

DI NOMI PRINS

unz.com

Il paradosso non è un concetto con il quale il Presidente Donald J. Trump ha familiarità. Nel suo discorso inaugurale, dopo aver nominato il gabinetto più danaroso nella storia americana, ha proclamato, “Per troppo tempo, un piccolo gruppo nella capitale della nostra nazione ha raccolto i compensi governativi, mentre la gente ne ha sostenuto le spese. Washington ha prosperato, tuttavia il popolo non ha condiviso la sua ricchezza”. Durante la presidenza Trump un gruppo ancora più piccolo prospererà, in modo particolare un contingente di ex dirigenti di Goldman Sachs. Senza giri di parole è possibile che due di loro (insieme alla Federal Reserve) si occupino del controllo della nostra economia e del sistema finanziario per gli anni a venire.

L’infiltrazione di ex membri di Goldman a Washington non è proprio un’idea originale. Tre degli ultimi quattro Presidenti, tra cui The Donald, hanno consegnato il timone dell’economia degli Stati Uniti a ex funzionari di Goldman. Ma Trump, nel suo stile autentico, dopo aver attaccato Hillary Clinton per i suoi legami con Goldman, non era completamente soddisfatto. Doveva farlo in grande stile. Non era sufficiente per lui, a differenza di Bill Clinton e George W. Bush, solo un’unica figura di Goldman che dominasse la politica economica. Almeno due avrebbero fatto il caso suo.

Il Ritorno del Grande Calamaro Vampiro

Se avete votato a favore o contro Donald Trump, se vi state preparando per la rivoluzione o siete in attesa della consegna del suo prossimo tweet, siate certi che, negli anni a venire, l’ideologia che conta di più non sarà quella degli Americani “dimenticati” del suo Discorso Inaugurale. Sarà quella di Goldman Sachs che dominerà l’economia nazionale e, per estensione, quella globale.

All’alba del XX secolo, quando il presidente Teddy Roosevelt governava il Paese su principi programmatici che puntavano a colpire il credito, mirando alla riduzione del potere delle società, perfino lui non riusciva a smantellare il sistema bancario. È stato un errore originato dalla sua collaborazione con il finanziere JP Morgan per mitigare gli effetti del Panico Bancario del 1907. Roosevelt temeva che se non si fosse procurato l’influenza di un banchiere eminente a livello nazionale, la crisi sarebbe stata ancora più lunga e disastrosa. È un errore che forse non avrebbe commesso, avesse lui previsto l’effetto che una banca d’investimento, in particolare, avrebbe avuto sull’economia americana e sul sistema politico.

Centinaia di articoli sono stati scritti in merito alla “banca d’investimento più potente al mondo” o, come il giornalista Matt Taibbi l’ha definita nel 2010, il “grande calamaro vampiro”. Quel calamaro è ora in procinto di avvolgere i suoi tentacoli su tutto il mondo, in un modo mai concepito in precedenza né da Bill Clinton né da George W. Bush.

Non meno di sei nomine dell’amministrazione Trump provengono già da quella singola società bancaria. Tra queste, due avranno un impatto sulla vostra vita in maniera sconvolgente: Steven Mnuchin, ex partner di Goldman e futuro Segretario al Tesoro, e Gary Cohn, il nuovo consulente economico di alto livello e Presidente del National Economic Council, ex Presidente e “numero due” di Goldman. (Il Consiglio che dirigerà ha avuto responsabilità nel “prendere decisioni politiche per le questioni economiche nazionali e internazionali”).

Facciamo ora un passo nella storia per comprendere pienamente il motivo per cui ciò è più importante di quanto si possa immaginare. A New York, all’incirca nel 1932, l’allora governatore Franklin Delano Roosevelt annunciava di voler competere per la presidenza. La nostra nazione era, in quel momento, nel bel mezzo della Grande Depressione. Goldman Sachs era stata, in realtà, una delle banche al centro del famigerato crollo del 1929 che ha paralizzato il sistema finanziario e che ha quasi distrutto l’economia. È stata poi diretta da una figura dinamica, Sidney Weinberg, soprannominato “the Politician” da Roosevelt, per la sua parlantina, e “Mr. Wall Street” dal New York Times, per la sua gamma di connessioni che aveva in quella sede. Weinberg ha rapidamente capito che, per avere la possibilità di riscattare la reputazione della sua azienda dalle ceneri dell’opinione pubblica, avrebbe davvero avuto bisogno di puntare in alto. Così si è reso indispensabile per la campagna per la presidenza di Roosevelt, entrando ben presto a far parte del Democratic National Campaign Executive Committee.

Dopo la vittoria, non è stato dimenticato. Franklin Delano Roosevelt lo ha nominato per il Business Advisory Council del Dipartimento del Commercio, anche se continuava a dirigere Goldman Sachs. Avrebbe, in realtà, continuato a prestare servizio come consulente per altri cinque presidenti, mentre Goldman sarebbe stata trasformata, passando per un’operazione di boutique investment bank, in un leviatano globale con una linea telefonica diretta a chiunque ne ricoprisse l’incarico di Presidente e un posto permanente al tavolo nella Washington politica e finanziaria.
Facciamo ora un salto in avanti al 1990, quando Robert Rubin, co-presidente di Goldman Sachs, ha seguito l’esempio delle strategie di Weinberg. Egli ha riconosciuto il potenziale di un giovane carismatico governatore dell’Arkansas, il quale mostrava atteggiamento favorevole verso le banche. Dal momento che Bill Clinton era di gran lunga meno noto, rispetto a quanto lo fosse stato Franklin Delano Roosevelt, in realtà Rubin non ha cercato di ingraziarselo sin dall’inizio. È stato un altro dirigente di Goldman Sachs, Ken Brody, che li ha fatti conoscere, ma infine Rubin avrebbe aiutato Clinton a guadagnarsi la credibilità di Wall Street e il tipo di finanziamento che avrebbe reso possibile il suo successo nella competizione del 1992 per la presidenza. Quelli erano favori che il nuovo Presidente non avrebbe dimenticato. Come ricompensa, e perché si sentiva a suo agio con la filosofia economica di Rubin, Clinton ha creato una carica speciale solo per lui: il primo Presidente del nuovo National Economic Council.

Era quindi solo una questione di tempo fino al momento in cui è stato innalzato alla carica di Segretario al Tesoro. Avrebbe compiuto, in quella posizione, qualcosa alla Ronald Reagan – il primo presidente a nominare un Segretario al Tesoro, proveniente direttamente da Wall Street (Donald Regan, l’ex Amministratore Delegato di Merrill Lynch), mentre George H.W. Bush non è riuscito a farlo. Avrebbe ottenuto l’abrogazione del Glass-Steagall Act del 1933, facendo pressione sul Presidente Clinton, affinché sostenesse tale mossa. Franklin Delano Roosevelt aveva firmato l’atto al fine di separare le banche di investimento da quelle commerciali, assicurando che le pratiche bancarie rischiose e speculative non sarebbero state finanziate con i depositi degli Americani operosi. L’atto ha fatto ciò per il quale era inteso. Ha vaccinato la nazione contro il comportamento, in precedenza sconsiderato, delle sue banche più grandi.

Rubin, che aveva lasciato la carica governativa sei mesi prima, non era nemmeno a Washington quando, il 12 novembre del 1999, Clinton ha firmato la legge Gramm-Leach-Bliley, che ha abrogato il Glass-Steagall. Era comunque diventato, circa due settimane prima, membro del consiglio di Citigroup, uno dei principali beneficiari di tale abrogazione.

Rubin ha anche contribuito, come Segretario al Tesoro, a ideare il North American Free Trade Agreement (NAFTA). Ha convinto successivamente sia il presidente Clinton, sia il Congresso degli Stati Uniti a razziare le casse dei contribuenti per “aiutare” il Messico, quando il suo sistema bancario e ed economico del peso è crollato a opera del NAFTA. Stava, in realtà, con tutta certezza dando una mano alle banche americane con contatti in Messico. Il salvataggio conseguente di 25 miliardi di dollari avrebbe protetto Goldman Sachs, così come altre grandi banche di Wall Street, dalla perdita di denaro a palate. Consideratelo come una prova per il grande piano di salvataggio del 2008.

Un mondo fatto da e per Goldman Sachs

Passando alla storia più recente, si consideri il momento in cui l’ennesimo funzionario di Goldman era al timone dell’economia. Dal 1970 al 1973 Henry (“Hank”) Paulson aveva rivestito vari incarichi nell’amministrazione Nixon. È entrato a far parte, nel 1974, di Goldman Sachs, divenendone Presidente e Amministratore Delegato nel 1999. Ero a Goldman a quel tempo. (Me ne sono andata nel 2002). Ricordo le costanti chiacchiere interne sul fatto che una banca d’investimento come Goldman potesse continuare a competere contro le super banche, create dall’abrogazione del Glass-Steagall. Il brusio consisteva nel fatto che, se Goldman e le banche di investimento simili fossero state autorizzate a concedere più prestiti in rapporto ai loro beni (“fare leva finanziaria su sé stesse” nel gergo del settore bancario), non vi sarebbe stata per loro la necessità di utilizzare i depositi individuali come garanzia per i loro affari più rischiosi.

Paulson ha contribuito, nel 2004, a convincere la Securities and Exchange Commission (SEC) a cambiare le sue regole, in modo che le banche di investimento potessero operare come se avessero il tipo di garanzia o sostegno per i loro affari, che i giganti come Citigroup e JPMorgan Chase già avevano. Goldman Sachs, Lehman Brothers e Bear Stearns, per citarne tre che sarebbero diventate famose nel tracollo economico solo quattro anni più tardi (e tutte quelle per le quali ho lavorato in passato), di conseguenza, hanno fatto completamente leva finanziaria su sé stesse in modo tempestivo. Mentre si stavano comportando in questo modo, George W. Bush ha reso Paulson il suo terzo e ultimo Segretario al Tesoro. Con tale competenza, Paulson, è riuscito a ignorare completamente la macchinazione della crisi come diretta conseguenza dell’abrogazione del Glass-Steagall, quella che prevedevo stesse sopraggiungendo in Other People’s Money, il libro che ho scritto quando me ne sono andata da Goldman.

Paulson è stato interrogato, nel 2006, in relazione ai suoi evidenti conflitti di interesse e ha risposto: “I conflitti sono un dato di fatto in molte, se non in quasi tutte, le istituzioni che spaziano dalla scena politica e governativa, ai media e all’industria. La chiave è il modo in cui vengono gestiti”. Ho scritto a quel tempo: “La questione non è il modo in cui ciò si configura come conflitto di interessi per Paulson, il quale presiede l’economia del nostro Paese, ma il modo in cui ciò viene negato?” Per uomini come Paulson, dopo tutto, tali conflitti non si limitano a coinvolgere le loro partecipazioni aziendali. Essi comportano anche l’ideologia associata a tali partecipazioni, che per lui in quel momento si riducevano a una profonda convinzione nel perseguimento della liberalizzazione del sistema bancario su larga scala.

Paulson era, naturalmente, Segretario al Tesoro per il periodo in cui la crisi finanziaria del 2008 era in ebollizione ed è poi esplosa. Quando è successo, egli è stato colui che ha avuto modo di decidere quali banche dovessero sopravvivere e quali estinguersi. Lehman Brothers si è estinta durante il suo servizio; Bear Stearns è stata consegnata a JPMorgan Chase (con abbondanza di sostegno finanziario del governo); e non sarete sorpresi di apprendere che Goldman Sachs ha prosperato. Progettando il risultato che ha avuto origine dalla pressione del momento, Paulson ha supplicato Nancy Pelosi a spingere i Democratici alla Camera dei Rappresentanti a sostenere un piano sconcertante di salvataggio di 700 miliardi di dollari. Tutti quei dollari dei contribuenti sono stati spesi per l’Emergency Financial Stability Act del 2008, che avrebbe salvato il sistema bancario (sotto gli auspici di salvare l’economia, lasciandolo trionfante in modo glorioso, bonus compresi), anche se i pignoramenti, l’anno successivo, sono aumentati del 21%.

Ancora una volta, era un mondo fatto da e per Goldman Sachs.

Il ritorno di Goldman alla Casa (Bianca)

Essere in corsa per una carica come outsider è una cosa. Invitare nell’immediato Wall Street ad assumerne la funzione, una volta arrivati, è tutt’altra cosa. Sembra ora che Donald Trump ci stia dando il contributo di un nuovo capitolo della lunga saga Casa Bianca – Goldman Sachs. E che si faccia affidamento su Steven Mnuchin e Gary Cohn per organizzare qualche nuova trovata, nell’ambito di quella vecchia alleanza.

Cohn era uno dei partner nella gestione del distaccamento Fixed Income, Currency and Commodity (FICC) di Goldman. È stato colui che ha beneficiato di più della leva finanziaria, degli affari, e della complessità delle macchinazioni finanziarie di Wall Street come le CDO (n.d.T. Collateralized debt obligations – Obbligazioni che hanno come garanzia collaterale un debito) piene zeppe di derivati, collegati ai mutui subprime. Si potrebbe dire che ciò sia stata la leva che ha contribuito a spingere Cohn in alto nella catena alimentare di Goldman.

Steven Mnuchin si è dimostrato particolarmente esperto nell’interpretare queste macchinazioni. Se ne è andato da Goldman nel 2002. Ha formato nel 2004, con altri due ex partner a Goldman, l’hedge fund Dune Capital Management. Sulla scia della crisi finanziaria del 2008, Dune ha fatto acquisti, così come piace fare a Wall Street, comprando a buon mercato, in modo tale da poterli trasformare in grandi profitti. Mnuchin e compagni hanno trovato la preda perfetta in una banca di Pasadena, IndyMac, che era fallita nel luglio 2008, prima che la crisi ingranasse una marcia in più, e fosse stata agguantata dalla Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC). Ne avrebbero raccattato gli asset in economia.

Mnuchin ha minimizzato, in occasione delle udienze di ratifica, il ruolo che ha avuto nel cacciare i proprietari di abitazione (compresi i membri delle forze armate) dalle loro case, ipotecate in modo esagerato in conseguenza all’acquisto. Si è precipitato invece come autentico eroe, il tizio che ha convocato un gruppo di squali dell’economia per aiutare, e non danneggiare, la clientela della banca che, senza il loro atto benevolo, se la sarebbero passata decisamente male. Sembrava estremamente serio mentre parlava del suo ruolo come salvatore del cittadino comune o forse, nell’era di Trump, l’uomo e la donna “dimenticati”. Forse ci ha anche creduto.

Ma la filosofia di vita del volare in picchiata è stata una costante della sua carriera, attaccando un obiettivo come IndyMac e trasformandolo in un’opportunità di capitale per sé (e problemi per tutti gli altri). Il trasferimento di tale versione del sovraccarico d’opportunismo dell’1% alle sale del potere politico è certamente una nuova definizione, in termini trumpiani, della restituzione del governo al “popolo”. Forse ciò a cui il nostro nuovo presidente faceva riferimento era “il popolo di Goldman Sachs”. Pensate a ciò, comunque, come il caso di una mentalità rapace su di giri, agghindata in abito firmato, l’atteggiamento puro e semplice che ha alimentato in passato l’ascesa al potere di Goldman Sachs.

Mnuchin ha ripetutamente accusato l’FDIC e le altre agenzie governative di non avergli dato sostegno nel prestare aiuto ai proprietari d’abitazione. “Sulla stampa è stato detto che dirigevo una ‘macchina per i pignoramenti‘”, ha riferito, “Mi sono impegnato, al contrario, a modifiche del prestito previste per fermare i pignoramenti. Dirigevo una ‘macchina per la modifica del prestito’. Tutte le volte che potevamo fare le modifiche del prestito, le abbiamo concesse, ma molte volte la FDIC (n.d.T. Federal Deposit Insurance Corporation), l’FNMA (n.d.T. Federal National Mortgage Association), l’FHLMC (n.d.T. Federal Home Loan Mortgage Corporation) e i fiduciari delle banche imponevano regole severe a disciplinare il trattamento di questi prestiti”. Cioè niente è mai stata o è mancanza da parte sua – il che riflette la sua incapacità di assumersi la benché minima responsabilità per il suo ruolo innegabile di aver cacciato le persone dalle loro case, quando invece avrebbero potuto rimanere. È senza dubbio la caratteristica perfetta per un Segretario al Tesoro di un governo del 1% del 1%.

Mnuchin ha accusato anche la Federal Reserve per aver ipotizzato che la Volcker Rule – una parte del Dodd-Frank Act del 2010, ideata per limitare le attività commerciali che potevano rivelarsi rischiose – stesse danneggiando la liquidità bancaria e che ciò potesse essere un problema. Il modo in cui lo ha fatto, come di consuetudine, era astuto. Egli ha affermato di sostenere la Volcker Rule, anche se ha sottolineato la preoccupazione della Fed (n.d.T. Federal Reserve) in merito a ciò. È riuscito, in questo modo, sia ad apparire immacolato, sia ad aprire pubblicamente la porta a una possibile “revisione” trumpiana di tale normativa, che mirerebbe a indebolirne l’intento e a liberalizzare di nuovo le attività di trading bancario.

Allo stesso modo, in occasione di quelle udienze di ratifica, ha riferito (lo stesso aveva fatto Trump in precedenza) che avevamo bisogno di aiutare le community bank a competere contro quelle più grandi per mezzo di regolamentazioni meno onerose. Anche se può apparire vero, è garantito che ciò passa per essere un’altra mossa di vendita di articoli civetta, con tutta probabilità ciò rischia di portare anche alla liberalizzazione delle grandi banche e, in ultima analisi, le renderà ancora più grandi e più pericolose, non solo nei confronti delle community bank, ma di tutti noi.

Qualsiasi proposta di riduzione delle dimensioni delle grandi banche è stata infatti elusa. Anche se Mnuchin ha proprio riferito che quattro giganti bancari non dovrebbero trovarsi alla direzione del Paese, non ha detto che essi dovrebbero essere smantellati. Non lo farà. Nemmeno Cohn. Ha aggiunto, in risposta a una domanda del senatore democratico Maria Cantwell, “No, io non do il mio sostegno a tornare al Glass-Steagall così com’è. Ciò di cui abbiamo parlato con il Presidente eletto è che forse abbiamo bisogno di un Glass-Steagall, in accordo con il ventunesimo secolo. Ma no, io non sono favorevole ad adottare una legge di gran lunga superata e ad affermare che dovremmo aderirvi così com’è”.

Così, anche se il ripristino del Glass-Steagall faceva parte del programma elettorale repubblicano del 2016, è probabile che ciò si riveli solo un’altra delle tante tattiche di Trump per guadagnare voti – provenienti, in questo caso, dai sostenitori di Bernie Sanders e dai libertari che considerano gli istituti finanziari secondo la logica “too-big-to-fail” (n.d.T. troppo grandi per fallire) e una politica di salvataggio delle grandi banche sbagliata e pericolosa. Siate certi, però, che Mnuchin e compagni a Goldman Sachs permetteranno ai personaggi più di spicco di Wall Street di permanere virulenti e parassiti come lo sono ora, se non di più.

La stessa Goldman ha appena annunciato che è stata la fusione per incorporazione più rilevante a livello mondiale e che ha avuto il ruolo di consulenza per le acquisizioni per il sesto anno di fila. Colui che ha fatto veramente un affare, in altre parole, non è l’ex padrone di The Celebrity Apprentice, ma Goldman Sachs. Il governo potrebbe cambiare, ma Goldman rimane la stessa. E il volume di affari accumulato da parte delle personalità legate a Goldman, le quali hanno fatto la loro fortuna nell’intrattenere affari nell’ambito della posizione dominante di Trump, in ogni caso non è del genere di cui il pubblico ha beneficiato.

Un ex collega a Goldman mi ha chiesto, recentemente, se era fondata la possibilità che Mnuchin fosse una brava persona. A ciò non sono in grado di rispondere. È sicuramente qualcosa che solo lui sa per certo. Ma non importa quanto sia serio e in sintonia con il tipino che ha cercato di apparire prima di tale comitato di ratifica del Senato, io sono proprio a conoscenza di un aspetto: è anche uno squalo. E gli squali fanno ciò in cui dimostrano di essere migliori e ciò che è meglio per loro. Fiutano l’odore del sangue in acqua e sono dediti a uccidere. Considerate ciò in riferimento all’effetto Goldman Sachs. Non dubitate nemmeno per un secondo, negli specchi d’acqua dell’era Trump-Goldman, che il sangue sarà proprio il nostro.

 

Nomi Prins, che pubblica regolarmente sul sito TomDispatch, è autrice di sei libri. Il più recente è All the Presidents’ Bankers: The Hidden Alliances That Drive American Power (Nation Books). È un’ex funzionaria di Wall Street. Un ringraziamento va, in particolare, al ricercatore Craig Wilson per il suo lavoro eccezionale su questo articolo.

Fonte: www.unz.com

Link: http://www.unz.com/article/the-goldman-sachs-effect/

29.01.2017

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di NICKAL88

 

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