DI TRUMAN BURBANK
Comedonchisciotte
Alcune note a margine del convegno del 25-5, a Roma, sull’euro e sulla crisi, organizzato dal Comitato NO DEBITO.
Una premessa dal romanzo di Irvin D. Yalom Le lacrime di Nietzsche:
«Il problema», replicò Freud, «è che nessuna delle diagnosi spiega tutti i sintomi».
«Sig[mund]», ribatté Breuer, alzandosi e parlando in tono confidenziale, «ti svelerò un segreto del mestiere. Un segreto che un giorno, in qualità di medico consulente, sarà il tuo pane. L’ho appreso da Oppolzer, che una volta mi ha detto: “I cani possono avere le pulci e anche i pidocchi”».
«Intendendo dire che il paziente può…»
«Proprio così», concluse Breuer, mettendogli un braccio sulle spalle. Dopo di che i due uomini si avviarono per il lungo corridoio.
«Il paziente può avere due disturbi. In effetti, di norma è così …»
Un tema più volte trattato nel convegno “Unione Europea, crisi democratica e crisi economica”, è quello ben illustrato da Alberto Bagnai sulle aree valutarie ottimali e sull’euro che non funziona e non poteva funzionare (o almeno non funziona per gli scopi dichiarati, aggiungerei). E il discorso di Bagnai appare decisamente ragionevole.
Ma Moreno Pasquinelli approfondisce e dice che la crisi è più generale ed è di tutto il capitalismo.
Il discorso di Pasquinelli è ben dettagliato sul blog Sollevazione.
Cito:
nella copiosa produzione di Bagnai, a cominciare da “Il tramonto dell’euro”, per quanto possa sembrarvi paradossale non troverete mai il concetto di “crisi del sistema capitalistico”. Il fatto che ciò lo accomuni allo schieramento bipolare degli economisti mainstream divisi, così si dice, tra ortodossi ed eterodossi, non rende meno grave questa spaventosa deficienza. Una prova lampante che tutti costoro, liberisti e pseudo-keynesiani, pur accapigliandosi, si basano sul medesimo paradigma, la cui genetica caratteristica è quella di dare per scontato che quello capitalistico non è un sistema storicamente determinato, con contraddizioni sue proprie, bensì destinato ad essere eterno. Tutt’al più esso conoscerebbe solo “squilibri”, quindi essi si dividono solo sulle terapie: su come detti squilibri necessariamente momentanei debbano essere superati.
senza una teoria generale non si va lontano, e senza questa non possiamo spiegarci la malattia congenita che affligge il sistema capitalistico, quindi non avremo alcuna terapia degna di questo nome.
Anche il discorso di Pasquinelli appare ragionevole, anzi appare decisamente più ampio.
Interviene infine Giulietto Chiesa e chiarisce che il problema è ben più serio, non è semplicemente una crisi del capitalismo, ma esso segnala il raggiungimento dei limiti dello sviluppo. Il riferimento è al rapporto “I limiti dello sviluppo” commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato per la prima volta nel 1972 (in seguito è stato pubblicato un aggiornamento del rapporto).
Bisogna imparare a convivere con il concetto di limite, dice Giulietto. Lo sviluppo non è più possibile. Se non vogliamo la guerra serve la decrescita.
Quello di Chiesa appare il discorso più coerente e profondo di tutti, ne vediamo quotidianamente delle evidenze (per esempio con le alterazioni climatiche).
La decrescita è ormai obbligata.
Eppure la decrescita sembra giustificare le politiche di austerity che Bagnai giustamente critica, perché derivano da scelte concettualmente errate. Strano, a me sembra che il ragionamento di Bagnai spieghi bene perché si deve rifiutare l’austerity.
Ritorniamo alla citazione iniziale: “Il cane può avere le pulci e anche i pidocchi”.
Significato: molto spesso nei malati non si trovano i sintomi di un’unica malattia, ma di più malattie combinate. Questo ai medici principianti crea problemi seri, perché si intestardiscono nel voler ricondurre tutto ad una sola malattia.
Ma se per il prurito di un cane può essere conveniente considerare insieme due diverse cause, figuriamoci se può bastare un solo fattore causale per spiegare l’attuale crisi economico-politica, che sembra avere caratteristiche epocali. Sarebbe addirittura ingenuo pensare ad una sola spiegazione.
In pratica, mi appare perfettamente possibile che il capitalismo reale sia in una delle sue crisi, come pure mi appare possibile, in contemporanea, che l’euro sia un errore colossale nei termini descritti da Bagnai. Ed è pure possibile che almeno alcuni limiti dello sviluppo siano stati raggiunti.
Può darsi che la malattia dell’euro sia opportunista, che sfrutti una situazione difficile dell’organismo aggredito, creata da una crisi del capitalismo. E la crisi del capitalismo si potrebbe innestare su una generale crisi di civiltà.
La mia proposta è levare le pulci e i pidocchi, cominciando dal più facile.
Parlando fuori metafora, servono azioni puntuali, valori di riferimento, obiettivi strategici e pressione continua sul sistema politico.
Se lo sviluppo infinito non c’è più bisogna puntare a una visione ecologica della politica, dove contino i rapporti umani e l’uso del proprio tempo più che il denaro. Una visione che sia anche etica.
Una volta impostata una visione della politica orientata all’equilibrio con l’ambiente circostante, si potrà proporre un’alternativa al capitalismo dove non si lavori per il solo denaro, ma soprattutto per dare un senso alla propria vita. Qui si potrebbe riscoprire anche il valore dell’ozio.
Secondo me nella decrescita ci sono ampi spazi per la felicità.
Vale la pena di fare almeno un esempio: una volta in una famiglia bastava che lavorasse il capofamiglia per sostenere moglie e molti figli. Oggi si deve lavorare tutti e due, per orari sempre più lunghi, per guadagnare il denaro necessario. E spesso serve un secondo lavoro.
Perché il denaro non basta mai in una società basata sul denaro.
E invece bisogna tornare al valore del tempo al posto del valore del denaro. Stare più tempo con la famiglia, o con gli amici, invece che a lavorare. E lavorare con lentezza, per produrre bene qualcosa di utile e duraturo, non per fare cassa.
Insomma, il denaro non dà la felicità, si sa, e in una società dove il denaro conta di meno si può essere più felici.
La decrescita triste degli economisti deve diventare una decrescita felice alla Pallante (ricordo che l’economia era definita “la scienza triste”, sarebbe ora di pensare a qualcosa di più divertente).
E nel frattempo ci si coalizza per uscire dall’euro, come primo passo del progetto politico. Anche perché se restiamo stritolati dall’austerity non avremo un futuro in cui fare altro.
Ricordando poi che un eventuale “euro del sud” (o euro dei PIIGS) mantiene tutte le tare che hanno portato al fallimento dell’euro attuale. Servono valute nazionali.
Non sarà facile, ma non abbiamo molte scelte. L’unica cosa che abbiamo da perdere è una sofferenza infinita.
E comunque l’esempio delle pulci e dei pidocchi come paradigma della crisi attuale, mi fa tornare in mente una vecchia frase: “L’imperialismo è una tigre di carta”. Si può sconfiggere.
Truman
Fonte: www.comedonchisciotte.org
26.05.2013