Di Jacopo Brogi
A quanto pare “la dignità è un concetto soggettivo”. E dura 27 secondi netti. Così la ventenne shinratensei98, model & content creator, su Instagram, Telegram e Pornhub da centinaia di migliaia di followers, con milioni e milioni di visualizzazioni video, spiega i perché del suo lavoro sulla piattaforma di contenuti per adulti tanto mediatizzata e tanto in voga fra i giovanissimi e non solo:
“Fare OnlyFans non è dignitoso: e sapete cosa? Avete ragione. Però effettivamente era più dignitoso quando prendevo 600 euro al mese per lavorare più di 8 ore al bar e a stento riuscire a pagarmi gli studi e la macchina e non potevo permettermi né di andare in vacanza, né di avere tempo libero, intanto arricchivo un altro uomo. Questo sì invece che era dignitoso. Adesso invece, che mi sono presa la mia rivincita e decido io come lavorare col mio corpo e sono gli uomini a pagare me, adesso non è più dignitoso, bella coerenza!”.
Era il 18 giugno 2024 ed il proclama ha avuto finora quasi 13.000 likes su Instagram (1) .
L’impressione è che a vincere sia sempre il banco: i 600 euro guadagnati da barista giusti giusti per sopravvivere e non poter mantenere il ritmo ed i costi dello “stile di vita” che ci professano essere il migliore che esista, sono dovuti allo spadroneggiare da decenni delle multinazionali nell’economia, nella politica e nella cultura di massa, un processo iniziato molto prima che le ragazze modelle fai da te su OnlyFans venissero al mondo. Ma poco importa, il tema che ci interessa è la dignità, soprattutto la dignità della donna, che come quella dell’uomo, è travolta e stravolta giorno dopo giorno, camuffata da libertà e venduta per opportunità. All’ultima festa del Partito Democratico di Pesaro è andato in scena il dibattito Sex Work e digital work: la rivoluzione parte da Onlyfans (2).
“Bisogna occuparsi dei nuovi lavori, per regolamentarli e per tutelare chi li svolge”, dicono i giovani democratici, organizzatori della serata. Protagonista Giulia Leopardi, modella fai da te su OnlyFans: “Attualmente la mattina lavoro in biblioteca, studio economia e poi nel pomeriggio creo dai 3 ai 5 video da mandare ai clienti”. Per Federica Oneda, associazione Certi diritti e Radicali italiani: “è stato un dibattito rivoluzionario rispetto ai tempi che viviamo. Non si sente quasi mai parlare di lavoro sessuale, è una delle prime volte che chi fa il sex worker è al centro del dibattito. C’è ancora molto da fare, lo scorso anno ci siamo occupati di riscrivere una proposta di legge per riformare quella che attualmente regolamenta il lavoro sessuale. Questa vuole riconoscere e decriminalizzare il lavoro sessuale: abbiamo preso esempio da Belgio, Olanda e Nuova Zelanda, che sono molto più tutelanti nei confronti di chi esercita. Parlare di sesso in Italia tira in ballo sempre la moralità, è un tabù perché lo si guarda non come tematica sociale e politica ma solo privata, però non è così. OnlyFans è stata rivoluzionaria, come piattaforma, perché ha fatto capire ai cittadini che il potere all’interno della dinamica può essere di chi esercita e non del cliente. Ciò dovrebbe essere esteso anche a chi continua a lavorare su strada, ridando il potere di decidere dei propri corpi e fornendo gli strumenti giuridici, politici e sociali per rivendicare il loro lavoro e la loro identità. Questa è una prospettiva di diritti verso cui dobbiamo andare. Le più grandi rivoluzioni che abbiamo avuto nel nostro paese ruotano attorno ai diritti sessuali e riproduttivi, ecco perché il sesso è politica”. (3)
Anna Valvo, docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, ci aiuta a mettere un po’ le cose in ordine:
“La mercificazione del corpo femminile in molti settori determina il perpetuarsi di stereotipi di genere e la riduzione delle donne a mero oggetto di desiderio e di ideale estetico. E questo processo di mercificazione, nonostante venga presentato sotto le spoglie di liberazione sessuale, di autodeterminazione, in realtà non fa altro che consolidare un sistema in cui le donne sono valutate principalmente se danno valore e quindi principalmente per il loro aspetto fisico. Quindi, non ci troviamo di fronte ad una emancipazione vera e propria ma ci troviamo di fronte ad una illusione di emancipazione.”
Dignità, libertà, parità. Concetti e valori universali quanto mai oggi sulla bocca di governanti e media. Ma è tutto come sembra? Siamo a Roma nel bel mezzo del Convegno “Italia ed Iran: la questione femminile tra culture, dialogo e cooperazione” del 12 settembre scorso, organizzato dall’Associazione Indipendenza e condotto dal presidente Francesco Labonia (4). Un dialogo fra mondi diversi, ma mai come oggi desiderosi di incontro. Al centro del dibattito la questione femminile fra Occidente e Medio Oriente.
Secondo la Prof.ssa Valvo, “soprattutto i social network hanno imposto una sorta di dittatura dell’immagine. Dove la perfezione fisica viene interpretata come sinonimo di successo, di felicità, come se tutti dovessimo essere bellissimi, felici, vincenti. La realtà è un’altra: se facciamo un attimo una riflessione, vediamo che le donne fin dalla giovane età vengono bombardate da immagini che promuovono un’estetica standardizzata, come se tutte dovessimo essere conformate a questa immagine, dovremmo insegnare questo ideale che spesso è però irraggiungibile. Quindi c’è una sorta di ossessione per l’apparenza che si traduce in una forma di oppressione psicologica e sociale”.
Per la docente di studi islamici, l’italo-iraniana Hanieh Tarkian, la questione è più ampia e si può dipanare soltanto cercando di capire il ruolo dell’uomo e della donna, che sono diversi e non in competizione fra loro come l’Occidente ci sta imponendo:
“Alcuni di quei movimenti che hanno tentato di concedere diritti e dignità alla donna, molto spesso hanno purtroppo avuto quello che possiamo definire il più paradossale dei fini, ossia hanno chiesto alla donna di diventare come l’uomo. Cioè, il diventare uomo è divenuto una specie di scopo per la donna, come se la donna non fosse già di per sé qualcosa di valore, come se quello che già faceva ed il ruolo che già deteneva nella società, non avessero nessuna importanza.”
Secondo la Prof.ssa Valvo, “le donne occidentali pur vivendo in una società apparentemente libera e avanzata, sono spesso prigioniere di standard estetici e culturali che limitano la libertà e la comunità e che trasformano queste donne, queste donne occidentali, in schiave delle apparenze, soprattutto in ragione dell’influenza dei media”.
Hanieh Tarkian non sminuisce il ruolo delle lotte femminili occidentali del recente passato, ma le colloca in una dimensione diversa dal mito odierno: “Sicuramente la considerazione della donna che si aveva in passato, soprattutto in alcune società andava rivista, certamente c’era la necessità di ottenere più diritti, su questo non c’è assolutamente dubbio. Ma non è facendo della donna un uomo che si raggiunge questo scopo. Anzi, questa può essere, in qualche modo, considerata una vera e propria offesa per la donna: sentirsi realizzata solo quando può fare esattamente tutto quello possono fare gli uomini.”
E continua: “L’individuo è composto anche di una dimensione spirituale e non prendere in considerazione questa dimensione può portare a risultati negativi.”
Secondo la Prof.ssa Valvo, “l’ imposizione di standard di bellezza ha conseguenze profondissime sul benessere psicologico delle donne che arrivano a soffrire di una mancanza di autostima verso sé stesse e quindi cercano di corrispondere a quegli standard, a quei canoni di eterna giovinezza, di bellezza, che vengono imposti dall’alto, da istanze che provengono dall’esterno, non da loro stesse. E quindi si arriva a quella che possiamo chiamare “schiavitù mentale”, un qualcosa che limita la libertà delle donne e le influenza nelle loro scelte di vita, nelle loro relazioni personali, nella carriera. E quindi si arriva ad una riduzione del valore della donna che diventa semplice oggetto estetico e che trascura le sue capacità, che trascura il suo talento, le sue qualità (…). Le donne vivono questa sorta di illusione di emancipazione: la società occidentale spesso si presenta come un modello di progresso, di libertà, dei diritti, di pari opportunità, di uguaglianza di genere, ma dietro questa apparente emancipazione, esiste una realtà più complessa dove le donne spesso continuano ad essere vittime di dinamiche di controllo, di pressione sociale, che però invece vengono mascherate da libertà di scelta. Sicuramente le donne occidentali hanno fatto delle conquiste sotto il profilo politico, lavorativo, sociale, ma al di là di questo, rimane sempre un problema che è relativo all’aspetto fisico, per cui quella che noi consideriamo come emancipazione è in realtà un concetto ambiguo dove la libertà è condizionata da nuove forme di costrizione che io ritengo non meno evidenti e non meno oppressive.”
La studiosa Hanieh Tarkian fa riferimento al modello religioso dell’Iran sciita, dove – contrariamente alla vulgata diffusa a piene mani dalla propaganda occidentale, uomini e donne hanno pari diritti e opportunità sia per Costituzione, sia di fatto:
“Una visione religiosa corretta deve essere in grado di garantire il massimo benessere sia nella vita materiale, che in quella spirituale. Quest’ultima è più importante, ma non è che si debba cedere la vita materiale per quella spirituale. Il modello religioso non impedisce, e in particolare quello islamico, non impedisce alla donna di essere impegnata socialmente o di essere presente nella vita pubblica, anzi il contributo che possono dare le donne alla società è insostituibile, è unico. Per questo motivo, in Iran il ruolo della donna nella società è stato determinante, fin da prima della rivoluzione islamica del 1979”.
L’imprenditrice iraniana Meshkat Asadi si chiede perchè pur avendo un’alta percentuale di donne laureate nelle discipline legate alla information and communications technology (TCI), tante donne non riescano ad avere un impiego. Nel mondo, soltanto il 35% (nell’UE ed in Iran sono rispettivamente 32,8% e 31,2%) delle donne è impiegato nei settori legati a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica: “In Iran c’è un sentimento diffuso tra la popolazione che vede l’uomo come il principale sostenitore economico della famiglia e quindi le risorse della famiglia vengono maggiormente destinate ai figli maschi per aiutarli ad avviare una loro attività dopo che si sono laureati. Poi, altre funzioni femminili come la procreazione, accudire i bambini e prendersi cura della casa oltre a quanto già detto, sono i protagonisti principali del motivo della percentuale bassa delle donne nel mercato del lavoro. Questo accade nella maggior parte dei paesi al mondo. Poi c’è la questione delle sanzioni economiche occidentali che continuano: gli effetti negativi che queste hanno sull’economia del TCI iraniano sono innegabili, e di conseguenza sono le donne che ne risentono maggiormente perchè sono la parte più fragile di queste economie. In generale, se i paesi decidessero di aumentare la quota del commercio digitale e quindi dell’economia digitale nel loro PIL, sarebbero costretti a concentrarsi sulle potenzialità delle donne attive, giovani e specializzate della società in modo che il loro impegno possa aiutare ad aumentare le quote del digitale. Sono lieta che, come imprenditrice in Iran, ho questa opportunità di condividere con le donne italiane le mie esperienze lavorative”.
L’analista Hanieh Tarkian puntualizza come le percentuali di giovani donne fra gli studenti iraniani sia passata da circa il 25%, negli anni antecedenti alla rivoluzione, a più del 50%: “più del 50% degli studenti universitari oggi in Iran sono donne. Prima della rivoluzione il tasso di analfabetismo si aggirava intorno al 50/60% e ora è sceso a meno del 10%. Per esempio, nel campo della medicina, il numero delle donne medico specialiste è aumentato di ben 12 volte dalla rivoluzione islamica, mentre invece la percentuale degli uomini è aumentato di 3 volte”.
E continua: “il modello religioso sottolinea l’importanza della famiglia che è comunque il nucleo della società, quindi è necessario salvaguardarla- questo non significa assolutamente che tutti gli uomini e tutte le donne debbano per forza sposarsi, nella tradizione islamica abbiamo molti esempi di individui che hanno raggiunto elevati stadi spirituali senza essersi necessariamente sposati – però è chiaro che la famiglia sia un elemento fondamentale della società e quindi debba essere preservato. E qui, sia il ruolo della donna che dell’uomo è complementare e importante. La società iraniana non è certo perfetta – sottolinea Tarkian -, non è un paradiso, ci sono sicuramente aspetti che si possono migliorare che devono essere migliorati. Il fatto però che vengano presi in grande considerazione gli aspetti religiosi o quantomeno morali, questo favorisce anche la crescita e la possibilità della donna di essere attiva nella società, perchè devono esserci dei valori alla base che possano permettere ad entrambi di partecipare, di contribuire alla crescita sociale in modo equilibrato e prendendo in considerazione quelli che sono tutti gli aspetti della vita di un individuo. Non solo gli aspetti materiali, non solo la dimensione materiale ma anche quella spirituale.”
La Prof.ssa Anna Valvo cita un significativo episodio che ha a che fare col connubio televisione/rete internet: una conduttrice televisiva italiana su un social network si è sentita scrivere “tu conduci questa trasmissione, però sei invecchiata. Come mai hai pensato di non rifarti il viso?”.
“Ecco come l’invecchiamento non venga più accettato e quindi la necessità permanente di apparire giovani.
“Io penso – continua Valvo – che le donne occidentali dovrebbero liberarsi da questo burqa invisibile, da queste istanze esterne che continuano a regolare la nostra vita di tutti i giorni”.
Marjan Hoshyar ha una laurea in Gestione Aziendale, ventidue anni fa ha iniziato a lavorare nel settore delle costruzioni: “Le infrastrutture sono un campo che è principalmente dominato dagli uomini. Sono proprietaria di quattro aziende nei settori del commercio, della produzione, della consulenza finanziaria e dell’edilizia. Sono anche la fondatrice di un’organizzazione benefica che opera nel campo dell’istruzione per promuovere il ruolo delle donne e dei bambini, e ho fondato il primo sindacato femminile. Sono stata invitata come prima donna iraniana della storia alla partecipazione dell’Iran all’Organizzazione Internazionale del Lavoro e ho partecipato alla conferenza annuale dell’OIL a Ginevra.
Come in altre società, anche le donne in Iran hanno fatto progressi significativi nel campo della scienza, acquisendo maggiore conoscenza e abilità in questo ambito. Negli ultimi cinquant’anni, il numero di donne che hanno ottenuto lauree in vari campi e che hanno ricoperto ruoli manageriali e scientifici è aumentato notevolmente in tutto il mondo. Tuttavia, in Iran, contrariamente a quanto mostrato dai media, le donne non solo godono di diritti uguali agli uomini, ma ricevono anche il sostegno dei loro mariti, padri e fratelli.
In Iran, abbiamo un sindacato femminile e le lavoratrici godono degli stessi diritti degli uomini. Il governo e le istituzioni sostengono le donne impegnate nel commercio. Nel nuovo governo iraniano, le donne hanno ottenuto ruoli chiave come ministri e consiglieri del presidente e ricoprono posizioni manageriali. In alcuni ambiti accademici, il numero di studentesse e docenti universitarie supera quello degli uomini”.
Per un Occidente che – per dirlo con la Prof.ssa Valvo – mette il “burqa invisibile” alle proprie donne, quello dell’indifferenza e dell’omologazione culturale alla “dittatura dell’immagine”, all’”ossessione per l’apparenza che si traduce in una forma di oppressione psicologica e sociale”, un Medio Oriente che per propria cultura islamica indossa il velo per rispetto verso la persona e la sua femminilità.
Per la modella di OnlyFans shinratensei98, “la dignità è un concetto soggettivo” e l’ha spiegato in quel video iniziale di 27 secondi netti da migliaia e migliaia di followers: “Quando prendevo 600 euro al mese per lavorare più di 8 ore al bar e a stento riuscire a pagarmi gli studi e la macchina e non potevo permettermi né di andare in vacanza, né di avere tempo libero, intanto arricchivo un altro uomo. Questo sì invece che era dignitoso. Adesso invece, che mi sono presa la mia rivincita e decido io come lavorare col mio corpo e sono gli uomini a pagare me, adesso non è più dignitoso, bella coerenza!”.
Prima loro sfruttavano me, adesso sono io che sfrutto loro. Possiamo sintetizzare così la logica della digital creator shinratensei98, in fondo non è niente di nuovo che il liberal capitalismo al suo massimo, ove c’è solo materia e materialismo. Peccato che a vincere sia sempre il banco.
Se invece alla materia si unissero i sentimenti, una dimensione spirituale, etica e morale mai scomparsa ma insita in ognuno di noi, potrebbe vincere la vita, la dignità realizzata per tutti quanti, uomini e donne nella loro meravigliosa diversità e unicità.
Allora il banco potrebbe anche saltare.
Di Jacopo Brogi
Ha collaborato Alessandro Fanetti, studioso di geopolitica e relazioni internazionali.
22.09.2024
NOTE
- (1) = https://www.instagram.com/p/C8WxhrXMe_C/?locale=French
- (2) = https://www.pdmarche.it/images/Programma_FUM_2024_definitivo.pdf
- (3) = https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/sesso-festa-unita-onlyfans-t97ocug2?live
- (4) = https://associazioneindipendenza.wordpress.com/2024/09/12/12-settembre-iran-e-questione-femminile/