La storia di Angelo Sbardellotto, giovane anarchico fucilato dai Fascisti per aver tentato di assassinare il Duce, che rinunciò all’impresa per non coinvolgere degli innocenti.
DI emmerre
Mel è un piacevole e antico paese immerso nel verde della Val Belluna, dove la storia ha lasciato importanti tracce quali una necropoli paleoveneta, il suggestivo castello di Zumelle che la leggenda vuole costruito dai Goti, e il bel palazzo rinascimentale dove ha sede il municipio; ma questi luoghi hanno visto anche la nascita e la giovinezza di un cittadino, anch’egli passato alla storia, di cui per troppo tempo era stata rimossa la memoria: Angelo Pellegrino Sbardellotto, l’anarchico fucilato nel 1932 per aver tentato di uccidere il duce del fascismo.
Una storia, la sua, tragica come quella di altri attentatori anarchici alla vita di Mussolini, quali Michele Schirru, anch’egli fucilato per la stessa intenzione; Gino Lucetti, sepolto vivo nel penitenziario borbonico di S. Stefano, tristemente noto come l’Isola del Diavolo, e il giovanissimo Anteo Zamboni, selvaggiamente assassinato per strada a Bologna, vittima designata di un mai chiarito complotto.
Lo spietato accanimento del regime e del suo capo è ulteriormente dimostrato dalla decisione di tenere per sempre nascosto, dopo l’esecuzione, il luogo della sepoltura del corpo di Sbardellotto: un gesto contrario ad ogni principio di umanità e ragionevolezza, spiegabile forse soltanto con quanto scritto da Camillo Berneri nel 1927: “Mussolini ha paura. Pena di morte, prigione, tribunali fascisti, domicilio coatto, ammonizione, diffide, arresti di massa, ‘se mi uccidono vendicatemi’, ostaggi. Tutta questa restaurazione di leggi, di istituzioni giudiziarie e poliziesche, tutto questo minacciare rappresaglie sta ad indicare la poca sicurezza del regime”.
Infatti, come ha osservato Leonardo Sciascia, “considerando che in Italia il fascismo per pochi è stato ideologia, sistema, dottrina e per i più, specie negli anni del quasi totale consenso, mussolinismo. Morto Mussolini, il fascismo sarebbe crollato”.
Per queste ragioni il regime fascista, dopo la pericolosa azione di Lucetti e il presunto attentato Zamboni, nel tentativo di mettere fine alla lunga serie di attentati, anarchici e non, che avevano messo a repentaglio la vita del duce, il 25 novembre 1926 dello stesso anno promulgò una “Legge per la difesa dello Stato” che introdusse la pena di morte per gli attentatori al capo del Governo e dello Stato e per i delitti contro lo Stato, istituendo anche il cosiddetto Tribunale Speciale, formato con giudici appartenenti alle Forze Armate o alla Milizia su designazione personale di Mussolini, incaricati di giudicare e punire i reati di antifascismo.
Le condanne a morte pronunciate da questo Tribunale erano state aperte il 18 ottobre 1928, con la fucilazione dell’operaio comunista lucchese Michele Della Maggiora, responsabile dell’uccisione di due fascisti che da tempo lo perseguitavano; seguirono quindi altre fucilazioni contro antifascisti slavi e le impiccagioni di insorti libici decise dal Tribunale Speciale coloniale.
In totale, il Tribunale Speciale avrebbe comminato 42 condanne a morte, delle quali 31 eseguite.
Esemplare, per capire la totale subordinazione e parzialità dei giudici, resta la sentenza di morte pronunciata contro Michele Schirru in cui si affermava: “Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell’Italia, attenta all’umanità, perché il Duce appartiene all’umanità”.
Angelo Sbardellotto era nato il 1° agosto 1907 da una numerosa e quindi povera famiglia originaria della frazione di Villa che per sopravvivere fu costretta in larga parte ad emigrare; tale sorte toccò anche ad Angelo che assieme al padre, nell’ottobre del ’24, partì per l’estero risiedendo in Francia, Lussemburgo e infine Belgio dove lavorò come minatore. Ancora giovanissimo, secondo la testimonianza del fratello, aveva nutrito simpatie per il socialismo ed era rimasto scosso dalla vile uccisione avvenuta in paese, per mano fascista, del socialista Edoardo Mattia il 1° maggio 1922. Nonostante l’educazione al cattolicesimo e al rispetto verso l’autorità ricevuta in famiglia, il giovane Sbardellotto si avvicinò assai presto all’anarchismo attraverso sia la conoscenza di altri lavoratori immigrati politicizzati sia la lettura di libri e giornali anarchici; nel ’29 entrò a far parte del comitato anarchico di Liegi, partecipando tra l’altro all’agitazione pro Sacco e Vanzetti. Dichiarato renitente alla leva, risultò iscritto dagli organi di polizia come ricercato nella “Rubrica di Frontiera”; schedato (inizialmente come comunista) e sorvegliato sin dal ’29 come attivista sovversivo, risultava abbonato ai giornali anarchici, di varia tendenza, quali Il Risveglio, Germinal, Aurora, L’Adunata dei Refrattari, Il Monito e La Lotta Umana.
Fermato, forse casualmente, a Roma in piazza Venezia il 4 giugno 1932, venne arrestato in quanto scoperto armato e in possesso di un passaporto svizzero. Trovategli addosso due bombe rudimentali e una pistola, fu sottoposto a duri interrogatori e probabili torture in questura, dopo aver ammesso senza reticenze di essere venuto clandestinamente in Italia, eludendo per la terza volta la vigilanza poliziesca e le spie dell’OVRA, determinato a vendicare Michele Schirru con l’uccisione di Mussolini.
Più volte aveva cercato nei mesi precedenti l’occasione propizia ma, anche per non coinvolgere degli innocenti nell’attentato, aveva dovuto sempre rinunciare.
La sua volontà era stata peraltro espressa chiaramente da lui stesso in una lettera, datata 27 aprile 1932: “…Non v’è possibilità di scelta. Per essere liberi bisogna abbattere la tirannia. Per costruire domani un nuovo ordine in cui tutti possano godere i frutti del loro lavoro e liberamente esprimere il proprio pensiero, bisogna distruggere oggi tutte le ingiustizie che lo rendono impossibile”.
Subito dilagò un’infame campagna di stampa, premessa necessaria per la sua condanna a morte, che ebbe a definirlo con appellativi quali “ceffo criminale”, “assassino prezzolato”, “sciagurato sicario”, “uomo divenuto straniero in patria”. Durante il processo farsa, i cronisti riferiranno del suo “sguardo bieco e sinistro” e nel descriverlo secondo logica lombrosiana s’inventarono pure che aveva la fronte bassa.
Allo stesso tempo il suo gesto venne messo in correlazione con il fuoriuscitismo antifascista in Francia, ipotizzando cospirazioni e trame internazionali.
L’udienza davanti al Tribunale Speciale si dimostrò una macabra formalità: iniziò alle ore 9 del 16 giugno ’32 e si concluse con il previsto verdetto di condanna a morte dopo appena due ore: l’intenzione era già un delitto.
Sbardellotto rifiutò di presentare incoerenti quanto inutili domande di grazia e quindi l’indomani mattina veniva fucilato, alla schiena, da un plotone della Milizia presso il Forte Bravetta a Roma, luogo che durante la Resistenza sarebbe stato teatro di altre fucilazioni di anarchici e partigiani. Pochi istanti prima era toccato al repubblicano Domenico Bovone, anch’egli condannato a morte per aver compiuto alcuni attentati contro il regime.
Anni dopo, nel ’38, il biografo del duce Yvon De Begnac attribuirà a Mussolini il proposito di aver voluto graziare Schirru e Sbardellotto per il loro coraggio – ma non Bovone considerato un terrorista intenzionato a fare stragi – a patto che questi gli avessero chiesto clemenza.
Se ciò risponde a verità, la risposta oltre che nel fermo atteggiamento di Sbardellotto, la si può trovare in un articolo intitolato “Gloria ai martiri, morte al tiranno, L’abisso invoca l’abisso”, comparso il 25 giugno 1932 su Lotta Anarchica, il quindicinale dell’Unione Comunista-Anarchica dei Profughi Italiani: “gli anarchici, non per principio ma per necessità vitali e di giustizia, tra la violenza che invoca e la violenza invocata accettano la seconda e illegalmente la praticano rigettandone la responsabilità di qualsiasi conseguenza su chi la violenza esercita ‘legalmente’.”
Innumerevoli furono le spontanee espressioni di solidarietà umana e politica che la polizia politica fascista dovette registrare nel Regno a favore dell’anarchico di Mel; un bracciante padovano venne persino denunciato per aver predetto, in un’osteria, “A Sbardellotto faremo un monumento”.
Fonti utilizzate:
– Dizionario biografico degli anarchici italiani, BFS, Pisa 2004, Volume II, ad nomen;
– Giuseppe GALZERANO, Angelo Sbardellotto. Vita, processo e morte dell’emigrante anarchico fucilato per l’intenzione di uccidere Mussolini, Galzerano ed., Casalvelino 2003;
– AA.VV., L’anarchico di Mel e altre storie, Cierre ed., Sommacampagna 2003;
– AA.VV., La Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo, Zero in Condotta, Milano 2005;
– Leonardo SCIASCIA, Prefazione, in Vincenzo RIZZO, Attenti al duce, Vallecchi, Firenze 1981;
– Camillo BERNERI, Mussolini «normalizzatore» e Il delirio razzista, Archivio Fam. Berneri, Pistoia 1986.
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Fonte: http://www.ecn.org/uenne/
Link: http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2005/un32/art3917.html
Umanità Nova, numero 32 del 9 ottobre 2005, Anno 85
Aggiornamento
Poco dopo la pubblicazione di questo articolo, gli Anarchici hanno dedicato un monumento ad Angelo Sbardellotto:
http://www.nonluoghi.info/nonluoghi-new/modules/news/article.php?storyid=262