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L’addomesticamento

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A cura di Truman
Il 9 Maggio 2020
418 Views

di Paolo Becchi

wordpress.com e Libero

 

“Addomesticare” significa in generale trasformare l’ambiente, le piante e gli animali adattandoli ai bisogni umani. L’esempio più lontano nei tempi di addomesticamento di un animale è quello del cane, animale domestico per eccellenza. La specie umana, per come la conosciamo, potrebbe anche essere, sotto il profilo biologico, il risultato di un processo di auto-addomesticamento, nel senso che gli esseri umani hanno “selezionato” i loro simili soprattutto sulla base della loro capacità di socializzare. Meglio stare con chi mostra di avere un istinto di socialità che con chi è ostile e aggressivo. È comprensibile.

Filosoficamente questo è spiegato da Aristotele con la sua idea dell’uomo come “animale sociale”. L’uomo per vivere ha bisogno di altri, di essere a contatto con gli altri uomini. Beninteso, l’uomo non perde per questo la sua individualità, bensì la forma all’interno di una comunità di cui si sente parte. Le decisioni vengono prese in comune, le modalità possono essere diverse, ma l’idea di fondo è che tra gli umani non ci sia un superiore che “addomestica” altri a lui inferiori. L’uomo si lascia formare, educare, istruire, non addomesticare. È una costante antropologica.
È questo – se vogliamo – anche dal punto di vista politico l’essenza della democrazia, che è la negazione del potere paterno. In fondo è proprio questo il significato del celebre attacco di John Locke a Robert Filmer, che difendeva la monarchia assoluta, identificando il potere paterno con il potere politico. Per Locke nell’organizzazione politica di uno Stato nessuno può prendere il posto del padre, siamo tutti figli, figli del padre celeste. Contro il paternalismo politico di Filmer Locke, insomma, difende la libertà degli uomini. Kant la vedeva allo stesso modo di Locke.

Ci sono voluti secoli per realizzare nella storia questo pensiero, e solo di recente – se ci pensate bene – siamo riusciti a superare l’ultima forma di paternalismo: il paternalismo medico, secondo il quale nella relazione terapeutica era comunque il medico a decidere che cosa era bene per il suo paziente, che cosa si doveva fare per lui. E il paziente doveva semplicemente adattarsi. Da decenni per fortuna le cose sono cambiate.
Ma ora a causa dell’emergenza epidemiologica abbiamo messo in discussione tutto questo. Lo Stato di diritto si è trasformato in Stato terapeutico. E nello Stato terapeutico le decisioni le prendono coloro che di solito si occupano della nostra salute: i medici. Noi tutti – sani o malati poco importa, col virus siamo tutti potenzialmente malati – siamo diventati pazienti, che – come nelle superate concezioni del paternalismo medico – non hanno alcun diritto di autodeterminazione: la cura l’hanno stabilita loro, i medici, e noi, malati, non possiamo che accettarla, non esiste in questo caso alcuna possibilità di “rifiuto di cure”.

Il cittadino è diventato un paziente passivo, sottoposto alle terapie di Stato, il quale attraverso i suoi esperti si prende cura di lui. Una cura ben strana perché non si tratta di controllare la pressione del sangue, il fegato, il cuore, ma i nostri movimenti fuori di casa, le persone che siamo autorizzati, per “affetto stabile”, a incontrare, le cose che compriamo, i luoghi che frequentiamo, impedendo di andare a scuola i ragazzi, all’università i giovani e se uno lo desidera persino di andare a Messa.

Siamo tutti impotenti, ridotti a semplici oggetti di manipolazione, in un senso più profondo di quanto sinora si potesse immaginare. Ci stanno spogliando a poco a poco dei tratti della nostra umanità e della nostra libertà senza che questo – grazie all’anestetico della propaganda – susciti sinora particolari resistenze nella popolazione. E ora siamo nudi, animali da addomesticare. Accettiamo tutto questo passivamente perché i medici lo fanno per il nostro bene, per salvare la nostra vita. E per paura di perderla abbiamo accettato ciecamente tutte le terapie che ci sono state imposte, senza poterle neppure discutere pubblicamente.

Anche chi vorrebbe opporsi si sente intrappolato e immobilizzato e alla fine spesso si arrende. D’altro canto che senso ha lottare contro un virus? Meglio adattarsi a lui, come sostiene qualche virologo oggi alla moda. Non è lui, il virus, che deve adattarsi a noi, ma siamo noi che dobbiamo adattarsi a lui. L’addomesticamento, non del virus, ma di noi stessi è perfettamente riuscito.

Ciò che per certi versi sorprende, e sociologicamente preoccupa, non sono tanto le reazioni degli adulti – se guardi la televisione tutto il giorno è evidente che orami sei diventato uno “schiavo volontario” –, ma dei giovani che hanno accettato senza fiatare di non uscire di casa, come se fosse la cosa più normale del mondo, di evitare di baciare la propria ragazza, come se fosse la cosa più normale del mondo, di rinunciare alla “pizzata” o di andare in discoteca al sabato sera, come se fosse la cosa più normale del mondo. Nessuna protesta giovanile, neppure di fronte alle lezioni digitali sia a scuola sia all’università. Tutto accolto con passività, con rassegnazione. Non è un buon segno. Se sono riusciti senza difficoltà ad addomesticare persino i giovani ci sono poco speranze per tutti di uscire dalla gabbia.

Paolo Becchi

Fonte: paolobecchi.wordpress.com

Pubblicato su Libero, 03/05/2020

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