LA ZANZARA E IL MARTELLO: LA DISTRUZIONE DELL'ESERCITO USA IN IRAQ

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Intervista a James Carroll

DI TOM ENGELHARDT

Ci fermiamo al parcheggio nello stesso momento in auto diverse, entrambi leggermente scarmigliati dalle vacanze. Lui indossa un berretto in stile baseball e un impermeabile viola a mezzo busto in previsione dell’acquazzone che inizierà poco dopo esserci rannicchiati al sicuro in un caffè locale. Mentre armeggio con i miei due registratori, lui ha immediatamente delle obiezioni sull’intervista. Potrebbe non avere nulla da dire, mi assicura, e poi mi assolve, ora e per sempre, dalla necessità di fargli richiesta per qualunque uso di qualunque cosa produrremo durante la nostra conversazione.

Il figlio del tenente generale che è stato il direttore e fondatore dell’agenzia di intelligence difensiva del Pentagono, un ex sacerdote cattolico e un attivista contro la guerra durante l’era del Vietnam (il soggetto del suo libro, An American Requiem: God, My Father, and the War That Came Between Us – Un requiem americano: Dio, mio padre, e la guerra che venne tre noi), Carroll ha seguito a lungo il suo interesse verso i modi in cui fede e forza possono fondersi in intrugli fatali per la storia. Da questo interesse è nato, ad esempio, il suo best-seller Constantine’s Sword: The Church and the Jews.La spada di Costantino: La Chiesa e gli Ebrei.

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Entro qualche giorno dagli attacchi dell’11 settembre, è diventato forse il nostro più appassionato – e profetico – columnist nei media meinstream.Le sue column continuano ad apparire ogni lunedì nel Boston Globe. L’amministrazione Bush, con la sua base di fondamentalismo religioso, la sua visione manichea del mondo, la sua forte spinta verso uno scontro di civiltà contro l’Islam, la sua passione profonda ed il credo nei poteri onnicomprensivi della forza militare, in un certo senso, è fatta per lui. Ed egli ha compreso le conseguenze delle loro azioni con sorprendente accuratezza fin dai primi momenti dopo che il nostro presidente annunciò la sua “guerra al terrore”, pochi giorni dopo l’11 settembre. Una raccolta di sue notevoli column del Globe, che iniziano con la caduta delle torri del World Trade Center e la demagogia del Pentgono per finire al primo anniversario dell’invasione dell’Iraq, Crusade: Chronicles of an Unjust WarCrociata: cronache di una guerra ingiusta, si rivelerà senza dubbio una delle migliori fonti di documentazione sul periodo cruciale che stiamo vivendo.

Parla in modo quieto e schietto. Puoi quasi vederlo pensare mentre parla. Come rientra nel mondo, siamo passati lungo gli ultimi di questi anni, il suo discorso si velocizza e si presta ad una cadenza di empatia non indifferente. Puoi sentire nella sua voce la sua stessa imponente combinazione di passione ed intelligenza, impegno e pensierosità che è una caratteristica della sua rubrica settimanale. Accendo i registratori ed iniziamo a considerare il mondo a partire dall’11 settembre 2001.

Tom Engelhardt: Nel settembre del 2003, solo cinque mesi dopo l’invasione dell’Iraq, scrivesti in una column, “La guerra in Iraq è persa. Quanto ci vorrà per affrontare la verità questa volta?” Eccoci qui due anni dopo. Quanto ci è voluto, quanto ci vorrà, per affrontare il vero?

James Carroll: Per me è interessante che i tribuni della verità, proprio adesso, siano le persone che hanno sentito la sconfitta della guerra più intensamente, i genitori dei soldati americani uccisi. Trovo sorprendente che affrontare la verità nel mese di agosto sia stato affare quasi esclusivamente di questi genitori, pro e contro. Cindy Sheehan da una parte, che diceva chiaramente, qualunque siano i suoi valori immaginati (dai media neo-con, ndt), che questa guerra non vale quello che ci sta costando e deve finire immediatamente; dall’altra parte dei genitori nel disperato tentativo di dare un qualche senso alla perdita dei loro figli, che vogliono la guerra continui così che lui o lei non siano morti invano. Entrambi stanno affrontando la verità di base del dolore che prova un genitore. Direi anche, rispondendo allo stesso ampio fenomeno: la sconfitta in guerra. Non sono certo se abbiamo sentito da un qualche genitore se la guerra sia stata vinta. Data la grande tragedia di perdere il tuo figlio in una guerra in cui si è sconfitti, nessuno giunge alla domanda se sia giusta o meno.

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Mi spezza il cuore che, nel dibattito politico americano, non ci siano domande umane e politiche su questi genitori straziati. Dove sono i Democratici? Dove sono, per quel che contano, i Repubblicani? Sul suolo del Congresso, c’è forse stata una discussione su questa guerra? Voglio dire, negli anni del Vietnam avevi le sbalorditive udienze Fulbright. [Il senatore democratico William] Fulbright era sprezzante del [presidente democratico] Lyndon Johnson quando quelle udienze iniziarono, questo è certo. Dove si tengono le udienze oggi? Abbiamo un sistema politico che si suppone tratti le grandi domande, che ovviamente non sono trattate. Quanto ci metteremo ad affrontare la verità? E’ semplicemente terribile che la verità debba essere affrontata da genitori straziati, perché anche se sono contrari alla guerra – come lo sono io – non sono coloro ai quali dovremmo guardare per la saggezza politica o per come risolvere il terribile dilemma che ci affigge.

TD: Nel marzo del 2003, nel primo anniversario dell’invasione – e questo era il pezzo con il quale hai concluso il tuo libro, Crusadescrivesti di nuovo, “Qualunque cosa accada da questa settimana in Iraq, il principale risultato della guerra per gli Stati Uniti è chiaro, ci siamo sconfitti da soli”.

Carroll: Sono già stato istruito dalla storia del ventesimo secolo, sintetizzata assai bene da Jonathan Schell nel suo libro The Unconquerable World. Cita numerosi casi in cui i movimenti di resistenza nazionale con una base molto ampia non poterono essere sconfitti nemmeno da un potere militare decisamente superiore. Era sua idea che l’ultimo secolo fosse colmo di esempi – il più ovvio per gli Americani è il Vietnam – in cui un’enorme superiorità nella potenza di fuoco era irrilevante contro un movimento di resistenza anche minore di una popolazione indigena; ed è chiaro che questa cosiddetta insorgenza in Iraq è un movimento di resistenza minoritario, ampiamente sunnita, e che non importa se è una minoranza. C’è una popolazione indigena entro la quale risiede e da cui si alimenta. E tutto questo era abbastanza evidente. Infatti, penso fosse evidente a George H.W. Bush nel 1991. Non era dal Vietnam che dovevamo imparare fin da subito, in questo caso; era davvero la prima guerra del Golfo e la decisione di fermarla, improntata alla realpolitik, che prese Bush, era basata sulla consapevolezza certa che non c’era modo di sconfiggere una movimento indigeno popolare e religioso preparato a combattere fino alla morte.

Presiedendo alla distruzione dell’esercito Usa

TD: Dunque a che punto siamo, per come la vedi?

Carroll: E’ già divenuto chiaro alla gente che non possiamo vincere. Chi sa cosa significa essere sconfitti? Ho detto che dovemmo perdere perché non c’è modo di imporre la nostra volontà al popolo iracheno. E’ ciò che dimostra questo imbroglio costituzionale. Un mese fa, Donald Rumsfeld stava insistendo che ci doveva essere un accordo tra le tre parti. Ad agosto, è diventato chiaro che non c’è ne sarebbe stato alcuno. Così adesso c’è un accordo tra due parti e i Sunniti ne sono esclusi. In pratica, questo sviluppo politico ha appoggiato il movimento di resistenza sunnita, perché sono stati tagliati fuori dal futuro dell’Iraq. Non hanno il petrolio. Non hanno accesso al vero potere politico a Baghdad. Non hanno nulla da perdere e questa è una formula per una guerra infinita.

TD: Sono stato colpito dalle recenti dichiarazioni di alti generali americani in Iraq su riduzioni e ritiri, tutte quante chiaramente non autorizzate da Washington. Alla base, abbiamo famiglie arrabbiate di soldati, un morale che scende, e le difficoltà di far arruolare la gente in un esercito fatto solo di volontari; alla cima, abbiamo generali che non volevano essere in Iraq fin dal primo momento e non vogliono esserci ora.

Carroll: Ssono stati costretti a presidiare sulla distruzione dell’esercito degli Stati Uniti, incluso il sistema civile di sostegno per l’esercito – la Guardia Nazionale e le Riserve attive. Questo è il risultato più importante della guerra e, come con il Vietnam, pagheremo il prezzo per una generazione.

TD: Poiché conosci bene il Pentagono, che tipo di prezzo pensi sarà?

Carroll: Direi, ahimè, che una delle cose che stiamo per riprendere è una dipendenza smodata sul potere aereo e gli attacchi da lontano. E’ chiaro, per esempio, che gli Stati Uniti sotto l’amministrazione attuale non abbiano intenzione di permettere all’Iran di ottenere qualunque cosa simile ad un arma nucleare. L’unico modo in cui potrebbero cercare di impedirlo è con il potere aereo. Non hanno un esercito rimanente per esercitare la loro influenza. Se la distruzione dell’esercito degli Stati Uniti è spaventosa, così lo è l’immunità dal presente disastro della Marina e dell’Aviazione, che sono entrambe forze di attacco a distanza. Questo è il motivo per cui esistono e sono intatte. I loro missili Tomahawk e Cruise praticamente sono stati messi da parte. Abbiamo questa potenza di fuoco massiccia che è seduta off-shore e certamente abbiamo intenzione di riprendere il nostro uso di un tale potere da distanza.

Una delle cose che gli Stati Uniti d’America dichiarano aver imparato dagli anni ’90 è che non abbiamo intenzione di lasciar scoppiare dei movimenti genocidi come quello in Rwanda. Ebbene, abbiamo praticamente distrutto l’unico strumento militare che avevamo per rispondere ai movimenti genocidi, che sono le forze di terra. Non puoi usare il potere aereo contro un movimento che brandisce i machete. E se pensi che quel tipo di conflitto non avrà luogo laddove la povertà è schiacciante e il disastro ecologico è incombente in modo ancora più terrificante, allora pensaci di nuovo. Che tipo di risposta a tale catastrofe saranno in grado di offrire degli Stati Uniti privi di un esercito funzionale?

Sai, in questo modo, ora siamo come l’Unione Sovietica quando collassò nella Russia. Quando non poteva più pagare i salari ai propri soldati, la Russia ricorse al suo arsenale nucleare come la sua unica fonte di potere. In un modo che l’Unione Sovietica non fu mai, ora la Russia è una potenza militare radicalmente dipendente dal nucleare. L’Armata Rossa non conta più molto, a dire il vero. E ci siamo fatti la stessa cosa in Iraq. Questo è quel che significa aver già perso la guerra. Non avevamo bisogno di un nemico per farcelo da soli. Eppure ce lo siamo fatti da soli.

TD: “Noi” intesi come l’amministrazione Bush?

Carroll: Sì, l’amministrazione Bush, ma “noi” intesi anche come John Kerry e i Democratici che si sono rifiutati di fare della guerra una questione nella campagna per le elezioni presidenziali lo scorso anno. Li biasimo esattamente come biasimo i Repubblicani. Almeno Bush è stato coerente e guidato ideologicamente dalla sua incredibilmente inesperta visione del mondo. I Democratici sono stati dei cinici radicali su questo. Non hanno bevuto la dottrina della guerra preventiva. Non hanno bevuto le armi di distruzione di massa come giustificazione per questa guerra. Non hanno bevuto nulla di tutto questo e ancora non si sono opposti! Il cinismo dei Democratici è uno dei più sorprendenti esiti di questa guerra. E persino adesso, mentre inizia il dibattito politico per le elezioni del Congresso del prossimo anno, dove sono le discussioni dei Democratici su questo, la seconda catastrofe militare auto-inflitta dalla II guerra mondiale. Almeno la prima volta, i Democratici erano lì. Nell’elezione del 1972, quando persero di brutto, George McGovern e company considerarono davvero questo problema.

Abbiamo un bisogno disperato di un Eugene McCarthy, qualcuno che dica la verità in modo veramente chiaro e potente, in un contesto politico tale che potremo rispondere in quanto popolo. Eugene McCarthy è un esempio positivo. Direi, quello che potremmo usare negativamente è Newt Gingrich, qualcuno che potrebbe organizzare una resistenza politica che si diriga al prossimo periodo elettorale in un modo che renderebbe la guerra un tema sensibile in ogni singola elezione del senato o del congresso. Abbiamo davvero bisogno di qualcuno. In America, il nostro sistema richiede qualcuno della cultura politica per invocare questo dibattito.

Una guerra di civiltà contro l’Islam

TD: Nella prima column che hai scritto dopo l’11 settembre 2001, dici, “Il modo in cui risponderemo a questa catastrofe definirà il nostro patriottismo, determinerà il secolo, e commemorerà i nostri amati morti. Quattro anni dopo, come valuti la nostra risposta?

Carroll: Il patriottismo è diventato una nozione vuota e partigiana nel nostro paese. E’ stato nel nome del patriottismo che abbiamo reso i nostri giovani soldati dei capri espiatori e della carne da macello. Il tradimento della gioventù nel nome del patriottismo è un fatto sconcertante della nostra risposta post 11 settembre. Gli anziani hanno portato i giovani in cime alla montagna e li hanno stesi sull’altare. E’ la storia di Abramo ed Isacco che si ripete. E’ la più antica delle storie, un tipo di sacrificio umano, e questo ha reso le lacrime di quei genitori così intense, questo agosto. Ma quelle lacrime devono essere anche per un elemento di auto-accusazione, perché i genitori hanno fatto questo ai loro figli. Noi lo abbiamo fatto ai nostri figli. Questo è quel che significa distruggere l’esercito degli Stati Uniti. Notte dopo notte, vediamo che le attuali vittime di quella distruzione sono giovani, con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni. E questo nel nome del patriottismo.

In secondo luogo, c’è la forma del mondo per il secolo che sta venendo, e guarda quello che gli Stati Uniti d’America ci hanno lasciato – una guerra di civiltà contro l’Islam! Osama bin Laden sperava di innescare una guerra tra l’Islam radicalmente fondamentalista e l’Occidentale secolare. E ci è riuscito. Siamo caduti nel suo gioco. Ora, vediamo che la guerra si sviluppa non solo in Iraq e nel mondo arabo in generale, ma abbastanza drammaticamente in Europa.

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[Fotomontaggio – Persona dell’anno – Lo sgherro americano]

TD: Questo lo hai considerato nei primi giorni dopo l’11 settembre, quando cogliesti Bush in un piccolo lapsus. Parlava di noi come se ci stessimo avviando ad una “crociata”…

Carroll: …”Questa guerra al terrorismo, questa crociata”.

TD: Sì, che, dicesti, “gli viene naturale come un’allusione al baseball”. Ora, con le famiglie dell’esercito che protestano, stiamo forse vedendo un ritiro da questo modo di sacralizzare la violenza?

Carroll: No! Penso che i segnali di allarme siano tutto attorno a noi, per vai di quello che è successo – la politicizzazione della cristianità fondamentalista. Voglio dire, lo abbiamo sperimentato fin dai primi giorni della Guerra Fredda quando Billy Graham divenne un tribuno dell’anti-comunismo. Ma la novità è il modo in cui questa cristianità fondamentalista marginale è entrata nel mainstream politico e si è propagata a Capitol Hill. Dozzine e dozzine di deputati al Congresso sono ora dichiarati fondamentalisti cristiani che applicano la loro ideologia – incluse le categorie religiose come l’Armageddon e la la fine del mondo come giustificazioni per la violenza – alle loro decisione politiche. Adesso il modello di pensiero politico apocalittico su cui ha scritto Robert Jay Lifton è diventato così mainstream che lo vediamo persino nell’esercito degli Stati Uniti. Per la prima volta, almeno nella mia vita, la religiosità manifesta è emersa come una virtù militare. Non sto solo parlando del [Generale] William Boykin, il wacko che ha deliberatamente ed esplicitamente insultato la religione islamica…

TD: …e che è stato promosso.

Carroll: E che è ancora al potere. Non solo lui ma questo fenomeno allarmante ed insufficientemente notato dell’aumento della cristianità fondamentalista all’Accademia dell’Aviazione, convenientemente vicina a due delle più politicizzate congregazioni religiose fondamentaliste del paese, Focus on the Family (Attenzione alla famiglia, ndt) e The New Life Ministries (I ministri della nuova vita, ndt). Una proporzione significativa della popolazione di cadetti è correttamente considerata come composta da cristiani rinati dichiarati e il comandante è stato esplico nel suo sostegno alla conformità religiosa nei corpi dei cadetti. Queste sono. le persone che stanno acquisendo potere con la custodia delle nostre più potenti armi in una guerra sempre più definita in termini religiosi dal Presidente degli Stati Uniti. Tutto questo è il nostro lato di una guerra religiosa contro un Islam jihadista sempre più mobilitato.

Nel frattempo, in Europa, la Gran Bretagna è stata, fino a tempi recenti, una cultura molto più tollerante rispetto agli Stati Uniti (come indicato dal benvenuto britannico ad ampie popolazioni di immigrati musulmani lungo la scorsa generazione). Ora, tutto questo è stato ripudiato fermamente ed esplicitamente dai legislatori britannici. Lo vedi ovunque nelle grandi città d’Europa. Quando le persone nei Paesi Bassi e in Francia hanno votato contro la costituzione europea, in una certa misura perché rappresenta un’apertura alla Turchia e al mondo dell’Islam, è iniziato ad accadere qualcosa di piuttosto grosso.

Accendere il fiammifero secco della storia

TD: Questo non ci porta forse indietro ad un periodo che hai studiato in profondità — le età di mezzo?

Carroll: E? vero. Non apprezziamo a sufficienza come il paradigma delle crociate non sia mai finito per l’Europa. L’Europa è divenuta in essere per risposta alla minaccia dell’Islam. La struttura europea del governo, le famiglie reali d’Europa. discendono tutte da Carlo Magno, nipote dell’uomo che sconfisse le armate islamiche a Tours. Più di mille anni fa, si è diffuso in Europa un sistema di identità che si definì contro l’Islam. Questo è il manicheismo politico finale nel pensiero europeo.

Noi siamo i figli di questo. Ovviamente, l’Islam è stato dimenticato nella nostra era. Non importa che ci fossero più di un miliardo di musulmani nel mondo. Nel corso della Guerra Fredda, pensammo che l’altro, lo straniero, il nemico, fosse il comunista. Ma il mondo musulmano non si è mai dimenticato di noi. Per loro le crociate sono state ieri. Hanno capito meglio di noi che l’Occidente si è in qualche modo definito contro di loro.

E’ in questo contesto che dobbiamo capire il conflitto israelo-palestinese. Mille anni fa, come ora, il destino politico di Gerusalemme era la scintilla militare per l’organizzazione di una guerra santa. I crociati, dopo tutto, stavano andando a Gerusalemme per salvare la Terra Santa dall’infidele, e l’infedele era definito come un twin set: musulmani ed ebrei. L’attacco ai musulmani è accaduto simultaneamente con i primi veri attacchi contro gli ebrei in Europa. La facilità con cui, in Medio Oriente, il conflitto in Israele è venuto in essere, è parte di questo fenomeno, il conflitto in corso con l’Occidente.

A Colonia [Germania], la settimana scorsa, ho incontrato il presidente della congregazione ebraica ed anche l’imam che è a capo della comunità musulmana, ed entrambi hanno riportato le stesse esperienze. Si sentono sul tavolo — il tavolo del sacrificio — in Europa. Si sentono entrambi vulnerabili ad un attacco e fanno bene a sentirsi in quel modo. E’ un periodo molto curioso.

Comunque, gli Stati Uniti d’America non hanno visto la scintilla che si stava accendendo con George Bush, nei suoi riferimenti ingenui alle crociate, dimostrando la sua profonda ignoranza di quanto questi conflitti siano profondi nella cultura della nostra storia. Osama bin Laden lo ha capito molto meglio di Bush. Non è accidentale che i due epiteti in codice che i jihadisti usano per il nemico americano siano “crociati” ed “Ebrei”, e stanno diffondendo gli epiteti tra un vasto numero di arabi musulmani.

TD: Pensi che, nel danzare con Osama bin Laden, Bush si sia trasformato in qualche modo in qualcosa come una superpotenza? Sai, una parola che hai usato prima ha attirato la mia attenzione. Hai detto, “L’arrogante politica estera di Bush è stata ufficialmente esposta come basata su niente più che allucinazioni”. Per quanto bin Laden sia stato intelligente, non c’è qualcosa di allucinatorio in tutto questo?

Carroll: E’ vero che se inizi a trattare un nemico immaginato come trascendente, ad un certo punto diventa trascendente.

La zanzara e il martello

TD: Hai detto che abbiamo “dimenticato” l’Islam. Un tema dei tuoi scritti e forse della tua vita — mi scuserai se dico così — è la smemorataggine voluta in stile americano. Due tue preoccupazioni chiave che sembrano “dimenticate” nella vita americana sono la militarizzazione della nostra società e le armi nucleari. Tuo padre era un generale. Il tuo prossimo libro è sul Pentagono. Qual’é il ruolo invisibile del Pentagono nella nostra vita?

Carroll: Quando George W. Bush ha risposto alla crisi dell’11 settembre, due fattori sono entrati in gioco: il suo temperamento personale — i suoi impulsi ideologici che sono ingenui, inesperti, pericolosi, manichei, trionfalisti– e la struttura del governo americano, che ha ormai 60 anni. Quel che non è sufficientemente considerato è che Bush aveva poche scelte nel modo in cui avrebbe potuto rispondere all’11 settembre.

Quel che si richiedeva era una vigorosa attività diplomatica centrata sul cooperativo rafforzamento del diritto internazionale, ma il nostro governo ha investito poche delle sue risorse in un tale internazionalismo diplomatico durante le due precedenti generazioni. Quel su cui abbiamo investito fin dalla II Guerra Mondiale è stato un potere militare massiccio, così era naturale per Bush ricorrere anzitutto ad una risposta militare. Il connubio tra il temperamento di Bush ed una risposta istituzionale americana preparata a lungo è stato infausto. Come ha detto qualcuno, quando ha guardato nella sua borsa degli attrezzi per rispondere alla zanzara di Osama bin Laden, l’unico strumento che aveva era un martello, così lo ha lanciato sull’Afghanistan distruggendolo; poi lo ha lanciato sull’Iraq e lo ha distrutto, mancando la zanzara, ovviamente.

E’ accaduto qualcosa nel nostro paese fin dai tempi di Franklin Roosevelt con cui non ci siamo confrontati direttamente. Il libro che ho appena scritto ha come sottotitolo, “The Pentagon and the Disastrous Rise of American Power” (“Il Pentagono e il disastroso aumento del potere americano”, ndt). Quell’espressione politica, “aumento disastroso”, viene dal famoso discorso di Eisenhower sul complesso militare-industriale dove mise in guardia esplicitamente contro il “disastroso aumento del potere malposto” in America — il preciso modello che, da allora, è venuto in essere.

TD:E infatti uno degli aspetti allucinatori di questo, non pensi, è che, quando abbiamo risposto all’11 settembre…

Carroll: …il potere era vuoto. Questa è l’ironia, ovviamente. Ci siamo creati il disastro che un nemico avrebbe forse gradito creare per noi. Quella era l’essenza dell’avvertimento di Eisenhower. Abbiamo sacrificato i valori democratici. Quali giustificazioni ci sono per Abu Ghraib e Guantanamo? Quali giustificazioni per l’abbandono dei principi basilari americani su come si trattano le persone accusate? Abbiamo abbandonato questo principio fondamentale della democrazia americana da soli! Non avevamo bisogno di una forza di invasione per smantellare questo pilastro della costituzione. Lo abbiamo abbattuto da soli.

Ed abbiamo appena iniziato a fare i conti con la macchina da guerra da noi creata per sconfiggere l’Unione Sovietica, rimasta intatta quando l’Unione Sovietica è scomparsa. Di certo, questa era la rivelazione alla fine della Guerra Fredda quando il pericolo non c’era più e la nostra risposta non cambiò. Questa non è un’argomentazione di parte, perché la persona che ha presieduto al cosiddetto dividendo di pace che non è mai avvenuto è Bill Clinton; la persona che ha temporeggiato quando avremmo potuto smantellare il nostro arsenale militare, o almeno ridurlo a livelli ragionevoli (anche dei teorici conservatori dell’esercito vorrebbero che l’avessimo fatto) è Bill Clinton. Bill Clinton è la persona che per prima ha minato le idee della Corte Penale Internazionale, il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, e il trattato sui missili anti-balistici. Quando George Bush divenne presidente, si avviò in uno spazio creato per lui da Bill Clinton. Questo non significa demonizzare Clinton. E’ solo per mostrare che il nostro sistema politico era già stato corrotto da qualcuno con cui non avevamo fatto i conti — e l’eufemismo per quel qualcosa era “il Pentagono”.

TD: La bomba ha appena compiuto 60 anni e tu scrivi spesso di essa come della più dimenticata tra le cose.

Carroll: Marc Trachtenberg, il politologo, usava quest’espressione: “amnesia atomica”. Sembravamo esserci dimenticati di qualunque cosa avente a che fare con le armi atomiche, e questo è il motivo per cui gli Stati Uniti d’America hanno avuto un tale guaio nel fare i conti con i fatti autentici di quel che accadde nel 1945, i negoziati sul desiderio di capitolazione dei Giapponesi, l’invasione del Giappone, e tutto il resto. La prima settimana di agosto ogni anno vediamo questo diluvio di insistenza americana sulla necessità della bomba (quasi tutta minuziosamente passata ad un processo di debunking da storici professionisti lungo lo spettro ideologico). All’altra estremità dello spettro, non abbiamo iniziato a confrontarci con il non-sense delle politiche americane verso le armi nucleari oggi — il fatto che stiamo riprendendo la loro produzione persino adesso, che continuiamo a minacciare di usarne persino adesso. Come si può non fare i conti con queste domande? Ebbene, la risposta è che loro sono parte di questo più ampio fenomeno, l’elefante nel centro del soggiorno americano a cui camminiamo attorno e di cui nessuno parla.

L’impero romano – e il nostro

TD: Stavo pensando a quel momento relativamente breve proprio dopo l’11 settembre e prima dell’Iraq, quando gli esperti parlavano di noi come del nuovo Impero Romano; quando c’era questa sensazione, molto connessa al Pentagono, che noi dovessimo dominare il mondo, in terra, nello spazio, ovunque. Hai nulla da dire al riguardo, ora?

Carroll: Non siamo sufficientemente accordati al fatto che noi dell’Occidente siamo discendenti dall’Impero Romano. Esiste ancora in noi. Le buone cose dell’Impero Romano sono quelle di cui ci ricordiamo – le strade, la lingua, le leggi, le costruzioni, i classici. Siamo i figli del mondo classico. Ma prestiamo ben poca attenzione a quello che l’Impero Romano aveva alla base – gli schiavi che costruirono le strade; i molti, molti schiavi per ogni cittadino; le genti oppresse ed occupate che venivano ammesse all’impero se si sottomettevano, ma radicalmente e completamente annientate se resistevano.

Noi cristiani ricordiamo a malapena la guerra romana contro gli ebrei. Ora gli storici suggeriscono che centinaia di migliaia di ebrei furono uccisi dai Romani tra il 70 e il 135 ac. Perché gli ebrei furono uccisi? Non perché i Romani fossero anti-semiti. Furono uccisi perché resistettero a quello che per loro era la blasfema occupazione della Terra Santa di Israele da un esercito senza Dio. Resterà uno dei più brutali esempi di potenza militare nella storia fino al ventesimo secolo. Quella è la storia romana.

Noi Americani siamo pieni del senso per cui abbiamo avuto degli impulsi imperiali benigni. Quello è il motivo per cui l’Impero Americano era celebrato come un fenomeno benigno. Stavamo per portare ordine al mondo. Ebbene, sì… finché non ci resisti. Ed è lì che abbiamo davvero qualcosa di terribile in comune con l’Impero Romano. Se ci resisti, faremo del nostro meglio per distruggerti, ed è quel che sta accadendo in Iraq proprio adesso, ma non solo in Iraq. Quello è il fattore più triste, perché il modo in cui distruggiamo le persone non è solo con un potere militare schiacciante, ma escludendoti dal mondo economico e dal sistema politico che controlliamo. E se eri una di quelle arretrate persone del Bangladesh, o del Ghana, o del Sudan, o possibilmente di Detroit, allora quello è il modo in cui ti risponderemo. Faremo meglio, in altre parole, ad avere una nozione più complesse di quello che era l’Impero Romano. Dobbiamo trattare con il potere imperiale per quello che è in base alla percezione delle persone alla base. Il potere di Roma. Il potere dell’America.

Tom Engelhardt [mandagli una mail] è l’autore di TomDispatch.com, un progetto del Nation Institute. E’ autore di molti libri, inclusi The Last Days of Publishing: A Novel (Gli ultimi giorni della stampa: un racconto, ndt) e The End of Victory Culture (La fine della cultura della vittoria, ndt).

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Fonte:www.lewrockwell.com
Link:http://www.lewrockwell.com/engelhardt/engelhardt113.html
12.09.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO MARTINI

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