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LA VOCE DI UN BAMBINO DI KOZARA

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A cura di God
Il 12 Febbraio 2007
280 Views
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A CURA DI: ETLEBORO ITALIA

Jasenovac è il segreto oscuro dell’Olocausto, è la prova inconfutabile di come il crimine invisibile può eliminare un popolo, distruggendo la memoria. Questa parte di storia è stata deliberatamente cancellata, ed è difficile da raccontare e da accettare.

Occorre coraggio ad affrontare la storia di Jasenovac, perché è pericolosa, esistono infatti entità economiche che hanno fondato su di essa un credo, una politica e un sistema economico. Il fatto che dietro al massacro di migliaia di persone vi fossero anche le alte istituzioni della Chiesa cattolica, ha fatto di Javenovac il più grande tabù da tenere nascosto. Le vicende di cui vi parliamo portano allo IOR, una della più potenti Banche del Mondo, contro la quale è stata sollevata, da qualche parte del mondo, una causa che con testimoni e documenti ha dimostrato la colpevolezza del Vaticano nei crimini del regime degli Ustasha. Da un tribunale sovrano lo Ior è stato condannato a restituire l’oro e le proprietà, e a pagare i risarcimenti per i terribili danni biologici causati, alle vittime del regime degli Ustasha.Le prove di questa tragedia sono state nel tempo lentamente trafugate e distrutte, sono state nascoste, mentre i media e le enciclopedie della storia hanno provveduto a scrivere un’altra storia: la memoria e il pensiero delle persone sono stati cambiati per costruire il presente in cui viviamo. Oggi vi portiamo invece la testimonianza di uno dei pochissimi sopravvissuti dello sterminio dei Bambini di Kozara, Knezevic Gojko, che con commozione e lucidità ha raccontato una tragedia vissuta con i propri occhi.

Knezevic Gojko
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Io sono stato preso a Kozara, dopo un’offensiva degli ustaša e tedeschi e sono stato deportato a Jasenovac; nella confusione dell’attacco ho perso i miei sette fratelli e mia sorella nata da 1 mese, e non sapevo dove fossero neanche mio padre e mia madre. Li ho incontrati tutti poi a Jasenovac, ma mio padre non c’era, perchè combatteva come partigiano.

Poichè mia piccola sorella era una neonata doveva essere allattata, ma gli ustasha hanno strappato i bambini dalle loro madri. Un giorno ho visto mia madre che lottava con un soldato perchè non voleva dividersi da sua figlia che aveva appena un mese di vita, e così è stata picchiata, nuda, davanti a tutti, per poter scovare nella folla gli altri componenti della famiglia. Non potevo neanche piangere, perché se lo avessi fatto sarei stato ucciso anche io: ho visto con i miei occhi tagliare i seni di mia madre con un coltello, picchiarla a morte e sgozzarla davanti a tutti. Voi non potete capire, non esistono le parole,ancora oggi io rivedo quelle immagini, sono qui davanti a me in questo momento, io tremavo mentre sentivo quelle urla vedevo migliaia di persone che guardavano impietrite. Un uomo mi ha tappato la bocca con le mani in maniera tale che non si sentisse il mio pianto, e mi nascose un po’ nella folla, mentre continuavo a sentire quelle urla fino a che non avesse più voce.

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Ad un certo punto hanno diviso adulti e bambini, e noi siamo stati trasportati con un treno a Zagabria, e lì vicino alla stazione principale, gli abitanti di Zagabria, ci hanno sentito che piangevamo, hanno chiamato la croce rossa. Quando ci hanno aperto hanno visto l’atrocità che era stata compiuta: il treno conteneva circa trecento bambini, ciascuno aveva al massimo 10 anni, i più piccoli, tra cui moltissimi appena nati e che potevano raggiungere al massimo 5 anni, sono quasi tutti morti. Ne siamo rimasti appena un centinaio,io gli ho visti con questi occhi, e nessuno oggi può venirmi a raccontare filosofie, il resto sono stati sepolti in una fossa comune fuori dal cimitero di Mirogoj. Oggi dopo anni il cimitero è stato allargato, e quella fossa comune si trova adesso al centro, la forza della natura ha voluto che quei morti avessero una degna sepoltura. Adesso c’è un monumento dove è scritto “I Bambini morti a Kozara“, è lì andate a vederlo, io ci sono stato.

Sono stato portato all’ospedale con altri 100 bambini, e io sono uno degli otto che sono sopravissuti a quei cento ricoverati in ospedale.Dopo due mesi sono stato riportato a Jastrebarsko, a 60 kilometri da Zagabria, ed è lì che ho visto per la prima volte le suore, veramente ho visto tutta la loro cattiveria, perchè loro picchiavano tutti i bambini con i rami di un salice piangente, i rami erano bagnati con dell’acido oppure con acqua salata. Tanti bambini sono morti per aver preso delle infezioni a quelle ferite aperte.

Tutti dovevamo pregare nella chiesa cattolica, e dovevamo essere convertiti, mentre ai più grandi sono stati date le divise degli ustaša. Ogni mattina si andava a messa, e per ogni piccola cosa venivamo picchiati, puniti e messi in isolamento, ma il più delle volte venivamo picchiati duramente.

Dormivamo sulle tavole, senza nient’altro, anche se eravamo malati o deboli, e se i bambini più piccoli facevano la pipì a letto durante di notte, li picchiavano.

Ogni mattina veniva un prete per celebrare la messa in una Chiesa improvvisata in un hangar, e dato che eravamo deboli o malati, spesso durante di messa ci addormentavamo, così le suore ci picchiavano. Il sistema per sopravvivere era nascondersi dalle suore, e così i più forti si nascondevano e proteggevano i bambini piccoli e malati. Siamo stati uniti tra di noi per la paura, eravamo davvero tanto uniti, e non riuscivamo a chiudere gli occhi perchè era il solo nostro gesto per combattere.

In quell’orribile posto sono rimasto per un anno, fino a quando non mi sono ammalato, ero molto malato e dovevo nascondermi per non farmi vedere. Un giorno è venuto un camion cisterna, la porta si è aperta, e uno degli ustaša ha gridato che i bambini che entravano nel camion sarebbero tornati dalla madre e dal padre. Io che avevo visto mia madre morire con i miei occhi, e mio padre partire come partigiano, non sono entrato, ma gli altri invece si, correndo, e sono stati rinchiusi in una cisterna in cui veniva iniettato del gas, dopodichè molti dei loro piccoli corpi sono stati buttati vicino al fiume Korana.

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Non so neanche come sia successo, ma mi sono ritrovato nel campo centrale, a Zagabria, e lì molte famiglie adottavano i bambini, con la condizione di cambiare nome e religione.

Un giorno mi sentivo quasi morire, ero allo stremo delle forze, ero seduto e una donna mi si è avvicinata. Ho pensato subito fosse mia madre, e le ho chiesto di portarmi a casa, poi mi sono accorto che non era mia madre, e così ho cercato di andare via perchè non volevo lasciare il mio amico Boško che sino a quel momento mi aveva protetto, si era preso cura di me e mi teneva nascosto. Quella signora allora decise di prendere con sé entrambi.

Io sono stato con quella signora e Boško invece dalla sua vicina.

Sono stato fortunato perché ho incontrato una famiglia che mi ha curato, mi ha dato un altro nome, mi hanno permesso di andare a scuola, e infine, con la fine della guerra, mio padre mi ha ritrovato dopo tanta fatica, seguendo le tracce percorse dei bambini. Ho visto mio padre che non aveva da mangiare e non poteva tenermi.

Io non posso spiegarvi, io non ho parole, io non posso descrivere il dolore che ho qui nel petto ma io sono una testimonianza vivente del terribile crimine che è stato commesso.

Questa è la realtà dei fatti, questa è una parte della storia, questa è la mia storia, ma è anche la storia di migliaia di Serbi, è la storia del mio popolo.

Etleboro Italia
Fonte: http://www.etleboro.com/
Link: http://www.etleboro.com/view_news.php?lan=ita&id=2548
12.02.07

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