Dopo la nostra prima inchiesta sul tema del lavoro (1), ritorniamo con nuove interviste esclusive che, non senza sorprese, ci proiettano nella complessa dimensione giovanile per indagare il rapporto tra le nuove generazioni e l’ipertrofico mondo digitale, arrivato ora alla frontiera dell’intelligenza artificiale.
In quest’inchiesta, diamo voce a giovani uomini e giovani donne del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, grazie ad un lavoro condotto direttamente sul campo, in cui abbiamo fermato e interpellato in strada anche perfetti sconosciuti che, nonostante la sorpresa e gli impegni quotidiani, hanno accettato gentilmente di dedicarci un po’ del loro tempo.
Troverete curiose posizioni contrastanti (e alcune, per certi versi, sorprendenti), ma al tempo stesso potrete forse anche cogliere, con la dovuta attenzione, tratti comuni – e ricorrenti fili invisibili – che collegano le risposte dei nostri giovani.
Il quadro che emerge dalle testimonianze e dai pensieri qui raccolti, mai banali, non potrà che mettere in discussione certi pregiudizi e stereotipi sui ragazzi di oggi, fornendo interessanti spunti di riflessione.
Di Luca V., Federico Degg, Marika Martina, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org
“Troppe informazioni. Questo è sicuramente uno degli aspetti negativi di questo nostro vivere tecnologico. Siamo sommersi.”, dice Arianna, 24 anni. Si è appena laureata in scienze giuridiche, e per scrivere la tesi ha utilizzato molto di più internet che i classici libri. “Come per tutte le cose della vita”, osserva, “ci sono lati sia belli che brutti.” È una frase che è ritornata spesso, in questo secondo ciclo di interviste. Per compilare l’indice della sua tesi, Arianna si è affidata a ChatGPT.
L’oggetto che abbiamo scelto è già di per sé particolarmente eloquente: l’onnipresente, traboccante, egocentrico oceano digitale. Il nostro soggetto, invece, di questi tempi tende a scivolare via silenzioso, a farsi i fatti suoi, o a esprimersi per procura: i giovani, nelle loro immersioni quotidiane.
Spostando la nostra attenzione dall’oggetto al soggetto si potranno sì trovare alcune conferme dei propri sospetti, ma anche rivelazioni di alcune sottigliezze, alcuni lati nascosti (ed è questo il nostro obiettivo).
Noi abbiamo deposto le armi, e ci siamo fermati ad ascoltare e trascrivere. Quale migliore accoppiata di questa per le nostre interviste?
Sostituzione ed errore
La nostra precedente inchiesta si concentrava su condizioni, speranze e vita quotidiana del lavoratore italiano. In quell’occasione, avevamo già accennato al tema del rapporto tra lavoro e nuove tecnologie.
“Apporterà senz’altro molti benefici… ciò che però mi spaventa dell’intelligenza artificiale è il rischio di perdere posti di lavoro.” Arianna ripete più volte questa sua preoccupazione nel corso dell’intervista.
“Dicono che nasceranno altre professionalità, come i programmatori… sarà. Io, intanto, da qualche parte ho letto che l’Unione Europea sta investendo sull’automazione dei trasporti su gomma, insomma sulla sostituzione dei camionisti. E poi, non sarà pericoloso? Ci sono alcune occupazioni in cui non è bene che l’essere umano sia sostituito, al massimo affiancato.” Sull’affidabilità, però, è combattuta. “Certo, si suppone che una macchina, proprio in quanto tale, sia al sicuro dal commettere errori…”
Anche Eleonora, 27 anni, è allarmata. Il suo ambito è diverso: è presidente di un’associazione culturale, scrittrice, drammaturga. “Credo che l’umanità si stia avviando in maniera inevitabile in questa direzione. È una questione puramente storica: le macchine vanno sempre più a sostituire l’uomo nel lavoro, lasciandolo con le mani in mano. È un processo già cominciato con la rivoluzione industriale. Intanto, tutti quei lavori che non prevedono la presenza della macchina tendono a scomparire: lo scrittore, il pittore… tutto ciò mi preoccupa tantissimo.”
Concentrandosi su aspetti diversi, Arianna riesce a essere più diplomatica nel suo rapporto con la tecnologia, Eleonora invece è lapidaria. “Mi viene in mente la poetica di Salgari: la nostra è una scienza che uccide tanto la natura quanto l’uomo. L’intelligenza artificiale è un modo dell’essere umano per distruggere sé stesso.”
In effetti, tra i giovani intervistati c’è largo consenso su quale debba essere la caratteristica umana che una macchina non potrà mai integrare: la risposta ha generalmente a che fare con l’emotività. Gioele ha 20 anni e studia farmacologia. “Nel gioco degli scacchi, hanno sviluppato macchine che sono teoricamente imbattibili anche dai massimi campioni. Nonostante ciò, esse sono state battute da alcuni che, facendo appositamente degli errori, sono riusciti ad eludere questa perfezione e ad avere la meglio.
L’uomo è scaltro e, cosa ancor più importante, tende per sua natura a sbagliare, fattore che a mio avviso può produrre risultati anche più originali e positivi. Quindi io vedo nell’errore una differenza insuperabile tra la macchina e l’uomo.”
Realtà e spettacolo
Ai timori di Arianna sembra rispondere Elisa, vent’anni, che all’università studia proprio Intelligenza artificiale e data analytics. “Ho scelto il mio percorso di studi perché sono profondamente affascinata dal mondo dell’intelligenza artificiale. Credo che questo campo sia in pieno sviluppo e offra opportunità lavorative in crescita esponenziale. L’I.A. non rappresenta solo il futuro della tecnologia, ma anche della società, influenzando sempre più aspetti della nostra vita quotidiana, dal lavoro alla salute, fino all’intrattenimento.”
Non tutti sono altrettanto entusiasti dell’espansione della tecnologia nella vita quotidiana.
“Credo che tutto si fondi su interessi meramente capitalistici”, ragiona Sara, studentessa ventenne di psicologia.
“Provo a fare un esempio, che magari è anche stupido. L’altro giorno ho visto che ad un festival scientifico esponevano un cagnolino robot… io in questo non vedo alcuno scopo, se non quello di creare stupore e l’illusione che stiamo andando verso un futuro brillante, in cui tutto quanto è perfetto. Ma di questo non c’è nessun bisogno reale, è solo un grande affare.”
Anche Eleonora è sulla stessa linea d’onda: “non c’è il tempo di abituarsi a qualcosa che già arriva una novità. Questi ritmi cercano di far leva su rapidità ed effetto sorpresa, modificando il senso della noia: come sopraggiunge la noia, la gente reagisce cercando qualcosa che dia loro adrenalina, come fosse in astinenza.”
I social network, secondo lei, sfruttano lo stesso meccanismo. “Fanno leva sul senso di solitudine delle persone e sulla loro voglia di fuggire dalla realtà.” E aggiunge: “Per il lavoro con l’associazione, cerco di avere il più possibile rapporti umani e di toccare i social il meno possibile, però è vero che per farsi promozione ormai bisogna adeguarsi e utilizzarli. È diventata una forma mentis.”
Sofia, 20 anni, e Nicole, 23 anni, sono meno pessimiste. Sorelle lavoratrici, aspirano a fare dei social network il loro lavoro principale: “Al momento sono a 12mila follower su Instagram e 13mila su TikTok.”
Spiega Nicole. “Ad attirarmi è stata l’idea di poter intrattenere e condividere le mie cose. Creo video quando mi cimento in nuove esperienze, quando mi succede qualcosa di nuovo, così da vedere anche le mie reazioni nell’affrontarle.” Basta un cellulare per le riprese e un programma sul PC per l’editing, anche se i nuovi aggiornamenti stanno introducendo funzioni che permettono di confezionare i video direttamente sulle piattaforme.
“Il lato positivo è che puoi entrare a contatto con diverse esperienze altrui ed eventualmente integrarle nella tua vita.”
Tra i lati negativi, la sovraesposizione al giudizio degli altri: “La pressione e l’ansia da confronto sono amplificate. Ovviamente dipende da com’è il tuo carattere, da quanta fiducia hai già in te stesso e da quanto sei sensibile.”
Sofia vorrebbe portare contenuti non sciocchi o leggeri, ma che possano essere d’aiuto per le persone. Come per molti altri intervistati, l’accesso gratuito ad un altissimo numero di informazioni è per lei un grande punto di forza di internet e social. E aggiunge una cosa importante: “Secondo me nei social c’è la tendenza a postare solo i momenti belli della propria vita. Pochi condividono anche i momenti meno belli, a dimostrazione che non è tutto rose e fiori. Utilizzarli in modo da mostrare sia gli alti che i bassi della vita, a mio parere, potrebbe aiutare altre persone che stanno vivendo momenti difficili a non sentirsi sole, a sapere che c’è anche qualcun altro che ha vissuto e affrontato quel problema…”
Ignoranza e conoscenza
Elisa approfondisce la sua idea di progresso. “Conoscere e capire il funzionamento di queste tecnologie ci permette di mantenere il controllo, di essere consapevoli di come le utilizziamo, e di evitare il rischio di essere schiavi delle macchine. Attualmente, manca un’educazione efficace sull’uso consapevole della tecnologia. Senza una comprensione profonda dei suoi rischi e delle sue potenzialità, l’utente medio rischia di diventare dipendente dalla tecnologia, affidandosi ad essa senza riflettere criticamente.
Una macchina non potrà mai toglierci la nostra umanità, ma esiste il pericolo che siamo noi stessi a privarcene.”
Abbiamo chiesto ai nostri intervistati di darci una definizione di intelligenza artificiale. “So che non è veramente una macchina intelligente e autonoma” azzarda Gioele, “penso sfrutti calcoli probabilistici… ma io non so praticamente nulla di questo aspetto. Penso comunque di fidarmi: alla fine è solo uno strumento, come un qualsiasi programma per computer.” Quando gli chiediamo se è a conoscenza degli utilizzi militari di questa tecnologia, si mantiene stoico. “Non lo sapevo. Penso che questo sia un po’ il naturale corso dell’evoluzione tecnologica. Se questi sistemi garantiscono maggiore efficienza allora è inevitabile che vengano impiegati anche in questi settori.”
Carlo, 21 anni, collega di farmacologia, dice di essere ignorante in questo ambito, ma è particolarmente impressionato dal fatto che l’intelligenza artificiale dà sempre una risposta alla domanda che le viene posta. “Non si è mai visto qualcosa che possa rispondere a qualsiasi domanda o richiesta con tanta accuratezza e precisione. Però direi che in fondo è solo una delle tante innovazioni. Non penso possa rappresentare una grande e assoluta svolta per l’uomo.”
Giada, 25 anni, studentessa di giurisprudenza, sorride. “Quando si parla di questo io mi immagino i robot e gli automi! Se provo a informarmi sulla questione mi imbatto sempre in spiegazioni per me troppo complicate, che non capisco e che mi portano a rinunciare ad approfondire.”
Rispondendo a un’altra domanda, Giada aggiunge: “Internet e social? I contenuti sono tutti un po’ giostrati, secondo me, anche sfruttando i famosi algoritmi. Poi non posso sapere, ma non credo che siano spazi veramente aperti e democratici…”
Renso (alias Lorenzo), giovane lavoratore trentenne orgogliosamente veneto, fa eco a Elisa: anche secondo lui domare il progresso significa essere informati, ricordando che la cibernetica non è solo una branca della tecnologia, ma anche della filosofia.
“Considero gli umani animali in grado di scegliere se restare animali: spingersi verso una sfera divina o restare ignoranti di questa condizione. Probabilmente, a breve ci saranno le prime vittime: ci sarà chi non saprà usare lo strumento e chi sarà in grado di usarlo. Non è molto diverso dalla selezione naturale, che è un fenomeno dell’esistenza.”
Soggetto e oggetto
Renso sta lavorando all’implementazione della lingua veneta moderna nell’intelligenza artificiale, il tutto con l’ausilio di un professore universitario di Zagabria. L’obiettivo è ottenere una chatbot con cui conversare in veneto, ma sono previste anche altre applicazioni: un traduttore automatico ed un servizio TextToSpeech&SpeechToText. Per Renso l’intelligenza artificiale rappresenta quindi anche un’opportunità, “In molti campi può servire per aiutare lingue considerate minori ad emergere, può favorire i creatori di videoludica con idee ma con poco capitale; in altri casi la IA generativa può creare persino musica, attualmente gli output musicali ci fanno capire quanto poco originali siano molti artisti”, l’importante è avere le opportune conoscenze: “Per domare il progresso tecnologico è necessaria una conoscenza del funzionamento della cibernetica e della storia di questo settore, che è parte sia della tecnologia che della filosofia”.
Intanto, l’utilizzo della tecnologia da parte di Gioele si limita ad un tablet per gli appunti all’università, poca tv, qualche videogioco, pochissimi social (molto meno dei suoi coetanei). Anche Carlo dice di non essere molto tecnologico: un po’ di Whatsapp e Instagram, ma a lezione, a differenza dei colleghi, preferisce usare il quaderno, per non perdere gli stimoli mentali della scrittura manuale su carta. “Vedo ragazzi”, racconta, “che per la scuola o l’università, addirittura per le tesi, si rivolgono all’intelligenza artificiale perché “tanto”, così dicono, fa tutto benissimo e meglio di noi.”
Sara, la studentessa di psicologia, ammette che “abituandoci ad appoggiarci ad aiuti digitali, per delle attività che prima facevamo autonomamente, stiamo perdendo molte capacità. Se ho difficoltà a formulare un testo o un messaggio vado su ChatGPT, ma mi rendo conto che è sbagliato. Dovrei allenarmi e sforzarmi a farlo da sola: so che sto perdendo un’abilità di scrittura che prima avevo tranquillamente.”
L’apprensione per l’abbandono delle facoltà intellettive sembra essere comune. “So che tra le generazioni più giovani c’è un problema con lo span di attenzione, ossia il tempo nel quale una persona riesce a rimanere concentrata, che va sempre più riducendosi a causa dei video brevi e dei contenuti scadenti proposti sui social, oltreché per l’eccessivo uso di queste piattaforme” spiega Gioele, che pure in linea di massima non è contrario al loro utilizzo.
Carlo, è più estremo: “Probabilmente le cose, sul fronte tecnologico, ci stanno sfuggendo di mano, a discapito del nostro cervello. Questa è un’idea un po’ controcorrente. I lati positivi si limitano ad aspetti in fondo non poi molto importanti.”
Anche l’influencer Sofia si accoda. “Penso che internet e social network ci rendano molto pigri. Le nuove piattaforme, come TikTok, puntano su video brevissimi. Ad alcune persone risulta ormai difficile guardare anche un semplice film. Io stessa, col tempo, ho notato un calare della mia soglia dell’attenzione: ma forse, essendo cresciuta fin dall’adolescenza senza social, ciò non rappresenta un cambiamento così drastico. Mi spaventa più che altro, il fatto che ai bambini di oggi venga dato libero accesso alle più disparate piattaforme: come si ridurranno in futuro?”
In genere, forse perché ormai di comune utilizzo, i social sembrano suscitare più allarme rispetto al resto. Eleonora insiste perentoria: “Se non ci sarà la guerra, nel futuro l’intelligenza artificiale prenderà molto piede e l’essere umano rischierà di diventare peggio di un automa.”
Natura e artificio
“Nessun social. Per me la vita sociale è vivere i rapporti personali: respirare le persone con i loro pregi ed i loro difetti, i loro profumi e le loro puzze!”
Abbiamo colto Kristian al confine del nostro range di età: ha 35 anni ed è un professionista dell’informatica, tecnico di sistemi industriali. “Il mio lavoro è anche passione, l’utilizzo della tecnologia mi gratifica, ma ultimamente vedo che le cose vanno sempre più a favore dei grandi produttori e contro i fruitori.” Vale lo stesso per le piattaforme social: “Lo fanno a scopo di lucro, e quasi nessuno lo capisce. La tipica risposta degli utenti: è gratuito, perché dovrei farmi domande? Guadagnarci sopra è un attimo, guadagnarci sopra tanto, poco più in là…”
Chiara, studentessa di storia e filosofia, 22 anni, è ancora più intransigente, e ha rinunciato in un colpo solo a tutte le comodità. Non solo non è iscritta ai social, ma da sei mesi ha scelto di non avere più uno smartphone: per chiamate e sms, si porta in giro un vecchio Nokia. Resta soltanto Whatsapp, sul computer di casa: “Da quando non ho più uno smartphone a portata di mano, non mi capita più di perdere tempo prezioso. Leggo molti più libri, riesco ad essere molto più produttiva e dormo meglio. Viviamo in una società che ci richiede una continua reperibilità e trasparenza: ciò, a mio parere, non è per nulla salutare, e ci può portare a stati d’ansia ed alla creazione di un’immagine di sé inautentica, che diventa faticoso sostenere quotidianamente. Senza smartphone, mi sento molto più leggera e libera. Non potendoli cercare sul telefono, si prova una gran soddisfazione a ricordare a memoria gli orari del treno, o a imparare ad orientarsi e a usare i cartelli stradali, non avendo Maps.”
Chiara esprime il suo concetto di progresso. “Se qualcuno può guadagnarci, sembra proprio inevitabile la continua scoperta di nuove possibilità tecnologiche, che vengono subito diffuse, o messe sul mercato. Tuttavia, il progresso si può intendere anche in un altro modo. Per questo, secondo significato preferisco usare la parola crescita, e con essa intendo il percorso di analisi e scoperta di sé, che ciascun essere umano può fare nel suo piccolo, influenzando di conseguenza l’intero genere umano. Questa forma di progresso non ha niente di tecnologico. Anzi, a volte mi sembra favorito dalle cose più semplici… che appartengono a un mondo senza tecnologia. Una camminata in montagna, la lettura di un libro, il dialogo con un amico.
Per le domande veramente importanti per l’essere umano, come il senso della vita e la ricerca della felicità, il progresso tecnologico non è di nessun aiuto.”
Anche Kristian ha individuato delle criticità nella comune idea di sviluppo:
“L’elettronica, l’informatica, ora l’intelligenza artificiale, hanno un tasso di sviluppo che risulta incompatibile con quello della filosofia, dell’educazione, della cultura, dell’umanità. È troppo veloce.”
“Nell’informatica sussiste uno strano gioco: più sono le risorse disponibili, e più vengono sprecate. Io generalmente cerco di prendere e utilizzare soltanto quello che mi interessa. Il rischio è rimanere sopraffatti.” E conclude: “I miei colleghi prima realizzano i loro progetti, poi li riformulano. Non hanno una visione nel lungo termine. I produttori ormai scaricano le fasi di collaudo sugli utilizzatori, sui consumatori… Le cose andrebbero pensate, prima di essere realizzate.”
“Lo sviluppo tecnologico ed il transumanesimo”, riflette Elisa, “possono sicuramente portare a grandi miglioramenti nelle condizioni di vita, potenziando le nostre capacità fisiche e mentali, e offrendo nuove opportunità in ambiti come la medicina e l’istruzione.”
“La tecnologia non si limita al digitale: anche lo sviluppo di tecniche agricole o nuove formule chimiche sono stati progressi fondamentali, perché hanno permesso all’uomo di migliorare il proprio lavoro e la propria vita. Il progresso è sempre stato parte della storia umana, anche se oggi lo associamo soprattutto alle tecnologie avanzate come l’I.A. o le biotecnologie. Tuttavia, credo che per essere davvero significativo, il progresso tecnologico debba portare benefici concreti alla società, migliorando la qualità della vita in modo sostenibile e responsabile.”
Una visione agli antipodi, insomma, rispetto a quella di Chiara – colei che ha deciso di rinunciare alle comodità digitali – e la cosa che più sorprende è che Elisa e Chiara sono sorelle.
Chiediamo a Giada di pensare per un momento al passato: “In realtà, non ne so molto. So che i miei nonni si sono conosciuti giovanissimi, a 16 anni, e all’epoca si scrivevano lettere d’amore. Lui andava a trovare la nonna sotto casa. E tutto questo l’hanno vissuto molto bene, da quello che mi raccontano!” – Sorride. “Ancora adesso mia nonna non usa nessun nuovo dispositivo elettronico. Mio nonno invece ci prova, ma non ci riesce molto… So che loro preferivano quel tempo.”
Anche l’influencer Nicole, incalzata, ci pensa: “In fin dei conti, non sarebbe neanche male un mondo senza tutte queste nuove tecnologie. Un mondo come è sempre stato…”
Perdersi e trovarsi
Siccome il vero argomento dell’indagine era il soggetto, e non l’oggetto, abbiamo lasciato le voci dei nostri giovani libere di avvicendarsi, come un nastro irrisolvibile di canti e controcanti.
Quello che abbiamo percepito da questo ascolto, è che la realtà è tutt’altro che semplice, lineare e chiara.
C’è chi prova ad allontanarsi dalle sponde dell’oceano digitale, percepito come minaccioso e asfissiante, chi invece vi si vuole immergere, convinto che con la giusta preparazione e consapevolezza si possano affrontare e superare nuove Colonne d’Ercole a vantaggio dell’Uomo e della società.
Infine, troviamo la maggioranza che vive la propria quotidianità sempre più digitalizzata senza farsi troppe domande ma, comunque, con una latente consapevolezza che non tutto torna, che forse qualcosa ci sta sfuggendo di mano, che forse di tecnologia ce n’è anche troppa, a nostro discapito.
Questa consapevolezza può riemergere staccandosi dal frenetico flusso quotidiano, come è accaduto a qualche nostro intervistato che, da noi interrogato, ha lasciato in sospeso la “normalità” per riflettere e rispondere alle nostre domande, forse inaspettate ed inusuali.
Se questa consapevolezza latente, ma piuttosto diffusa, sia abbastanza o insufficiente, se sia corretta o scorretta, se debbano essere biasimati i fautori delle nuove tecnologie piuttosto che i renitenti al digitale, lo lasciamo decidere a voi, cari lettori.
Quello che possiamo dire è che nessun giovane incontrato per questo reportage, si è dimostrato ingenuo o banale, nessuno che corrispondesse allo stereotipo, fin troppo diffuso, del ragazzo costantemente incollato ad uno schermo (tant’è che abbiamo trovato giovani senza social o, addirittura, senza smartphone) e totalmente privo di pensiero critico.
Ognuno dei nostri intervistati è riuscito, a suo modo, a sorprenderci. Anche dalle risposte più semplici e frequenti, pensiamo possano scaturire molte riflessioni interessanti, capaci di aiutarci a comprendere, almeno un poco, la complessità della realtà che ci circonda e che ci influenza.
Anche noi ci siamo confrontati e abbiamo affrontato le domande poste. Che cosa renderà sempre l’essere umano vittorioso sulla macchina? Cosa va bene, cosa invece non va bene? Non è facile trovare una risposta, ma sicuramente questi nostri compagni d’età e di esperienze, ci hanno dato degli ottimi spunti su cui riflettere e su cui dialogare insieme.
Un grazie sincero a tutte le persone che hanno accettato di rispondere alle nostre domande.
Di Luca V., Federico Degg, Marika Martina, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org
10.11.2024
Luca V.
Federico Degg. Studente e lavoratore di 23 anni. Si occupa di comunicazione, cultura ed arte in tutte le sue forme (musica, immagini, scrittura, teatro). Attivista e membro di associazioni ed iniziative locali. Giovane collaboratore di Come Don Chisciotte
Marika Martina. Mi chiamo Marika Martina e faccio l’insegnante di lettere. Mi interesso di storia e letteratura cercando di guardare il mondo come eroi e poeti l’hanno fatto in passato per provare a districare la complessa matassa dell’oggi; mi diletto con i libri illustrati per bambini per ricordarmi di guardare la realtà con gli occhi semplici di chi ha ancora tanta speranza nel domani.
Konrad Nobile. Konrad Nobile è un giovane studente lavoratore. Attivista e militante su diversi fronti, collabora con ComeDonChisciotte.org.
Adam Bark. Giovane militante e attivista.
NOTE
(1) Qui i link del nostro precedente reportage, pubblicato in due parti:
ALLA RICERCA DELLO SPIRITO DEL TEMPO: UN’INCHIESTA SUL LAVORO NELL’ITALIA DI OGGI
ALLA RICERCA DELLO SPIRITO DEL TEMPO: UN’INCHIESTA SUL LAVORO NELL’ITALIA DI OGGI (PARTE II)