LA TRISTE FINE DEL BIOLOGICO (*)

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blankNon è inquietante e deprimente che la Kellogg’s e Wal-Mart stiano smerciando cibi “biologici”?

DI MARK MORFORD
San Francisco Gate

Sono stato colto in contropiede. È cominciato lo spot e ho sentito l’arpeggio familiare dell’ukulele nella famosa e famosamente splendida versione di “Over the Rainbow” fatta dallo scomparso cantante hawaiano Israel Kamakawiwòole, e la mia prima reazione è stata un conato di vomito al pensiero che l’ennesima deliziosa, malinconica canzone, l’ennesima tra mille e mille, venisse imputtanata a beneficio dei demoni della pubblicità.

Ma ecco che arriva una raffica di immagini: l’immancabile sequenza con la Mamma Ideale che fa mangiare al suo Figlio Ideale il Cibo Ideale, il tutto immerso nella luce carezzevole del pasto mattutino, con alberelli giulivi che fanno capolino alle finestre della Cucina Ideale, in uno scorcio utopico di un’America Ideale. Una scena davvero surreale, che non è di questo mondo, visto che mancavano almeno tre bottiglie di vino vuote, un pò di biancheria sporca, una bella pila di piatti incrostati, un tubetto pieno di ansiolitici e un giornale che strilla a caratteri cubitali di omicidi, testate nucleari e schiave sessuali coreane.E poi, ecco. Il logo. L’immagine del prodotto. La suadente voce fuori campo. Era lo spot per un articolo nuovo di zecca: Kellogg’s Organic Rice Krispies [i Rice Krispies Biologici Kellogg’s]. Oh, e le braccia ti capitombolano.

Se le pronunci ad alta voce, le parole ti si raggrumano nella strozza, ti imbavagliano. I Rice Krispies Biologici Kellogg’s, con in cima alla scatola la scritta BIOLOGICI a caratteri cubitali, rampanti di una felicità serena e posticcia, portatori di immagini fittizie di salute e natura, e della protezione del vostro Bimbo Ideale contro i milioni di veleni appiccicaticci e la nefasta monnezza rigurgitata da quelle ipertrofiche megacorporation del tipo… Bè, del tipo Kellogg’s.

I Rice Krispies Biologici Kellogg’s. Come dire “Barrette Dietetiche Loockheed Martin” oppure “Acqua Oligominerale Exxon”. Auto-mortificazione, ma non certo in senso buono.

È stato in quel momento che l’ho udito. L’uggiolio lamentoso, il singulto e il gemito e il piagnucolio, come di un albero che si spara alla chioma. La campana a morto che accompagna l’estremo respiro del “vero” biologico.

Perché è così, non c’è più. Il biologico è morto. Le corporation se ne sono apertamente impossessate, il Ministero dell’Agricoltura ne ha indebolito la definizione fino alla consunzione, la Whole Foods [grande catena di negozi di cibo organico, 3,87 miliardi di dollari di profitti nel 2004, ndt] lo ha reso chic e popolare e redditizio, e ne ha anche leso l’integrità come nessun altro, spingendo per forza di cose nell’ombra le piccole produzioni locali e ogni idea di sostenibilità, a favore di un’assurda crescita commerciale. E infine questo.

La conoscete? La conoscete la definizione, quella vera? Perché è questo che “biologico” avrebbe dovuto significare, una volta: produzione locale, sostenibile, etica, senza intermediari, priva di ormoni e pesticidi. Ma la stragrande maggioranza dei prodotti biologici che hanno invaso il mercato si è appropriata solo di quest’ultimo aspetto (a volte a malapena), giusto quello che basta a soddisfare le patetiche linee guida del Ministero. Ah, il governo. Non c’è niente che vi faccia venire un maggior desiderio di darvi una mattonata sul cranio.

Un esempio: lo yogurt biologico di Stonyfield Farm. Comer fa notare BusinessWeek, questa roba non viene prodotta in una idilliaca fattoria come quella che si vede nell’etichetta, ma piuttosto in un gigantesco impianto industriale. I camion portano il latte da tutta una serie di fornitori, ed è possibile che ben presto comincino a importare alcuni degli ingredienti biologici – disidratati, in polvere – dalla Nuova Zelanda, per venire incontro alla domanda interna, distribuendoli per tutto il paese tramite compagnie di trasporto su gomma altamente inquinanti.

È questa la cruda realtà, il vero prezzo del biologico “mainstream”. È evidente che non ci sono abbastanza fattorie locali piccole ed ecologicamente sostenibili per produrre abbastanza materiale da rifornire tutta la nazione dei Wal-Mart. Si sono fatti enormi compromessi. E questi compromessi significano che ormai del biologico quel che rimane è un guscio vuoto.

“Biologico”, secondo un Ministero dell’Agricoltura pappa e ciccia coi lobbisti, non indica un cibo prodotto con attività sostenibili (cioè non distruttive per l’ambiente). Non indica la produzione locale. Non indica un trattamento etico degli animali. Non indica nemmeno che le ditte che lo producono debbano essere appena un pò più eque, o degne di fiducia, o socialmente responsabili. Ora significa soltanto niente pesticidi, niente fertilizzanti di sintesi, niente OGM.

È sufficiente tutto questo? In fondo, il fatto che grandi industrie come la Kellog’s e la General Mills, per non parlare dei terrificanti mega-discount tipo Wal-Mart, si siano buttati sul biologico, si tradurrà certamente in un’enorme diminuzione di additivi chimici nella dieta degli Statunitensi, centinaia o addirittura (alla lunga) migliaia di quintali di pesticidi e ormoni e fertilizzanti tolti dall’intera catena alimentare. Benefici del genere non possono essere sottostimati: è una gran cosa davvero.
Ma c’è un intoppo, e bello grosso. Ormai migliaia di prodotti si proclamano biologici, ma molti di essi si limitano a sostituire gli additivi chimici e i pesticidi con una pletora di processi industriali altrettanto inquinanti e deleteri che neutralizzano qualsiasi eventuale beneficio per la salute, prima di tutto l’incremento di trasporti e consegne a livello globale che il “biologico industriale” richiede, che introduce nell’ambiente tante di quelle sostanze chimiche da controbilanciare quelle inutilizzate a livello di coltivazione.

(A proposito di questo, se volete leggere un bel libro sulla questione delle aziende agricole, i prodotti biologici, i fast food e soprattutto sulla dieta degli americani, leggetevi “The Omnivorès Dilemma” di Michael Pollan. Tratta la faccenda meglio di quanto potrei mai farlo io. È un must per le letture estive, anche se adesso è autunno).

Che dire della Whole Foods? Forse il massimo dell’ambivalenza, una straordinaria società che, singolarmente, ha dato il maggiore contributo alla larga diffusione del biologico, della conoscenza di una sana alimentazione, e del miglioramento degli standard di coltivazione e allevamento in tutto il settore, per non parlare del fare una spesa più piacevole. Ma, nello stesso tempo, anche solo grazie al suo successo e alla sua espansione, la Whole Foods è quella che ha più contribuito ad annacquare il vero significato della parola “biologico”.

Mettiamola così. A meno che non facciate la spesa direttamente dal contadino o presso una cooperativa di quasi-hippy, o vi diate davvero da fare e troviate un’azienda agricola a conduzione davvero familiare entro il raggio di cento miglia da casa vostra, e stabiliate un rapporto con loro, cominciando a comprare DAVVERO prodotti locali, la possibilità che il vostro prossimo acquisto “biologico” corrisponda al suo significato originale equivale alla probabilità di imbattersi in un seno naturale su Playboy. E magari è così che dev’essere, per ora.

Il che ci riporta ai Rice Krispies biologici della kellogg’s. Industriali fino al midollo, manco per il cavolo coltivati localmente, manco per il cavolo sostenibili, e prodotti dalla stessa ditta che vi intossica i figli coi Pop-Tarts e i Froot Loops e gli Scooby-Doo Berry Bones, una ditta che si preoccupa della salute del pianeta tanto quanto Dick Cheney se ne frega di quella dei fagiani. Ed è ovvio, distribuiscono quella monnezza per tutto il paese, con aerei e camion che bruciano tanto carburante da far gongolare Bush e sogghignare i baroni del petrolio, perché ci dev’essere tanto da ridere, no? Di voi, naturalmente.

Vabbè, ma almeno contribuiscono ad eliminare migliaia di tonnellate di monnezza chimica dalla catena alimentare, no? Quantomeno FANNO FINTA di essere responsabili.

Il problema è che hanno semplicemente sostituito quelle sostanze chimiche con un additivo ancora più tossico: l’ipocrisia.

Bè, voi riuscite a digerirla?

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Mark Morford
Fonte: http://sfgate.com
Link: http://sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?file=/gate/archive/2006/10/13/notes101306.DTL
13.10.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D’AMICO

Nota del traduttore:

Nell’originale “organic”; malgrado in italiano ci sia il corrispettivo “organico”, sempre per indicare cibo coltivato senza l’uso di additivi di sintesi, ho preferito tradurre con “biologico”, termine maggiormente consueto.

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