Di Guido Cappelli per ComeDonChisciotte.org
Addormentata nelle case, assopita davanti all’ennesimo talk show o sonnolenta nei centri sociali e nelle associazioni, la Politica – quella con la maiuscola della deliberazione collettiva e della partecipazione popolare – era scomparsa dagli orizzonti e dalle menti degli uomini. Squalificata, vilipesa. Come lo Stato, del resto. Al suo posto, la governance: negazione tecnocratica della Politica, sostenuta sull’idea che ogni scelta è obbligata, ogni decisione non può che essere presa da “esperti”. La possibilità del dissenso, o anche solo del dubbio, è intrinsecamente negata da una prospettiva di questo genere, che implica, a ben guardare, una profonda sfiducia nell’uomo e nelle sue capacità razionali e relazionali.
Per questo abbiamo parlato sovente di crisi di civiltà: non periodo di turbolenze congiunturali, ma il momento storico in cui vengono al pettine i nodi sinistri dell’autoritarismo e della tecnocrazia, incarnati in oligarchie apolidi e senza scrupoli. La cosiddetta emergenza “pandemica” ha funzionato da catalizzatore di questa deriva – con il suo isterismo decisionista, con quel sottofondo di “si salvi chi può” che ammorbidisce fino all’obbedienza cieca le menti più preparate (o presunte tali).
Ma l’emergenza ha avuto anche un altro, opposto, effetto, senza dubbio indesiderato per i poteri extra-statali, sovranazionali e semiprivati che stanno conducendo il gioco al massacro delle democrazie e della sovranità popolare: la gente – questa entità così vituperata dalle oligarchie e dai loro improvvidi e servili sostenitori – ha cominciato a ribellarsi. Non tutti, certo: si tratta ancora di minoranze. Ma minoranze sempre più corpose – e del resto, storicamente, sono le avanguardie che hanno acceso la miccia del cambiamento radicale. Ecco, di fronte a quella che molti di noi percepivano come una catena di abusi da parte di un potere politico, nazionale e internazionale, mai così poco affidabile, le reazione (imprevedibile e minacciosa per quel potere) è stata il ritorno della Politica e alla Politica, all’auto-organizzazione, alla legittimazione dal basso, al dibattito pubblico e alla circolazione delle idee. Negare ai partiti di sistema la legittimità della rappresentanza, e ricostruire, con immensa fatica, con contraddizioni e ripensamenti, ma con una direzione complessiva chiara e definita, spazi di partecipazione, dibattito, organizzazione. Spazi alternativi dove nulla si dà per scontato, perché in qualche modo si tratta di ricostruire la politica da zero, articolando un vero dissenso inteso come forma di acquisizione di una antica-nuova identità collettiva basata su un’idea forte di umanesimo e disposta a sperimentare, a creare, a proporre.
E così, in questi pochi, intensissimi anni, sono sorte miriadi, galassie, sciami, di gruppi, comitati, coordinamenti, fronti, di entità così variabile che potevano andare da un piccolo partito a un individuo isolato. Ma questo, che in sé è segno di effervescenza, di ricchezza sociale, è diventato sempre più il limite di questo tipo di dissenso, come si è visto nella partecipazione frammentata alle elezioni politiche del settembre 2022. Poi è stata una corsa, un po’ isterica, a “fare il Partito”. Ma le proposte mirabolanti, le soluzioni decisive, le lenzuolate di buoni propositi e di azioni rutilanti e onnicomprensive non hanno compensato la mancanza di apertura e di flessibilità, il settarismo latente, la litigiosità strisciante, la parzialità, l’ottusità di tanti autoproclamati leader. Il tentativo di rimediare a questo caos tutt’altro che creativo è stato forse peggiore del male, riproducendo strutture più o meno piramidali e logiche vecchie e asfittiche che finiscono con l’oscurare i buoni propositi, gli slanci e persino le ottime idee.
Nel frattempo, altri gruppi del dissenso, come si usa dire tra noi “non mollano”. Con pazienza, passo dopo passo, continuano le azioni, si intensifica la presenza territoriale e, d’altra parte, si affina un’elaborazione politica che non solo sia capace di rendere conto della complessa fase storica contemporanea, ma ripensi anche i modi della partecipazione, puntando con decisione alla formazione di una classe dirigente nuova, nata dal basso, dai saldi princìpi etici e attenta a non perdersi dietro schemi stantii, parole d’ordine ammuffite, logiche invecchiate, rapporti inautentici. Passo dopo passo: festina lente (“affrettati con calma”). Nessuna “ricetta miracolosa”, ma pensiero e azione, mente e cuore. Voglia di cedere qualcosa di sé per assorbire qualcosa dall’altro. Azioni di disobbedienza, di resistenza, di testimonianza, di diffusione, di varia entità e impatto, percorrono da tempo il territorio nazionale nel tentativo di plasmare, restituire coscienza a un popolo attivo e vigile, interessato in ugual misura a opporsi ai poteri antipopolari che tormentano l’Italia (e non solo) ma anche a controllare, come si dice, “dal basso” l’operato politico interno all’area del dissenso, senza sconti a nessuno, neanche in nome dell’affinità ideologica e ideale.
In passato, ho parlato diverse volte di un dissenso articolato su tre pilastri: attivismo/partecipazione collettiva; elaborazione politica; azione sindacale. Al di là delle sigle e dei tentativi più o meno realistici di organizzazione partitica, si palpa un bisogno diffuso di confronto reale, in grado di dare indirizzo e sostanza teorica all’azione pratica sul territorio; confronto che non può prescindere dal discorso sindacale, come elemento centrale di articolazione del mondo del lavoro, che in ultima istanza è la principale vittima di questa svolta tecnocratica e transumanista, ma al tempo stesso può essere il motore principale del riscatto.
In definitiva, il sommovimento, il brulicare, il tumulto che si è scatenato nella pancia e nella testa del Paese negli ultimi anni, non ha ancora preso una forma definitiva, ma, al di là delle apparenze a volte poco incoraggianti, si va articolando in più movimenti di popolo paralleli sui territori, nella difficile, faticosa creazione di una politica diversa, non determinata da agende sovranazionali e antipopolari, ma realmente rispondente alla voce diffusa popolare, prefigurando una politica di ispirazione rivoluzionaria, nella misura in cui si propone un cambiamento radicale estraneo alle logiche di potere del “palazzo” ma deciso a disputargli l’egemonia culturale e politica. Nonostante incomprensioni e difficoltà, sia endogene che esogene, sotto l’intreccio di sigle e progetti, c’è vitalità: tornano le persone, in carne e ossa, a calcare, calpestare le proprie strade, le proprie piazze, i propri ritrovi, e va prendendo corpo, di nuovo, ricostruita poco a poco col sudore di tanti, l’arte di convivere nella polis, la Politica – quella con maiuscola, quella che cerca il bene comune e non gli interessi di bottega, fosse pure la “nostra bottega”.
Di Guido Cappelli per ComeDonChisciotte.org
Guido Cappelli è docente di Letteratura italiana presso l’ Università degli Studi di Napoli L’Orientale.
10.06.2023