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La Redazione

 

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La trasparenza dei dati personali (patrimoniali) e il tracciamento individuale in nome dell’interesse pubblico

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A cura di Redazione CDC
Il 10 Agosto 2022
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La trasparenza dei dati personali (patrimoniali) e il tracciamento individuale in nome dell’interesse pubblico

Di Maurizio Lucca per ComeDonChisciotte.org

1. In punto di diritto. 2. La trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione. 3. Fatti (in parte noti). 4. La decisione della Corte Cost. e del Consiglio di Stato. 5. Gli effetti e il vuoto normativo. 6. Un bilanciamento tra diritto e trasparenza, tra riservatezza e pubblicità. 7. Qualche perplessità sulla raccolta (uso) di dati personali. 8. Trasparenza e riservatezza. 9. Gli specchi ciechi del diritto. 10. Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo dei dati personali.

1. In punto di diritto

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022, interviene sull’obbligatorietà per i dirigenti – posti ai vertici della macchina amministrativa – della pubblicazione dei redditi, ai sensi del comma 1, lettera f), dell’art. 14, Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali, del d.lgs. n. 33/2013, da includere coloro che ricoprono «cariche di amministrazione, di direzione o di governo», obbligo privo di sanzione per l’inerzia del legislatore nell’integrare la norma, a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale di una parte [1].

2. La trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione

È noto che l’art. 1, Principio generale di trasparenza, del citato d.lgs. n. 33/2013 (ai più noto come modello FOIA) affida alla trasparenza:

  • l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni;
  • promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa;
  • favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
  • concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione;
  • condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione;
  • concorre alla realizzazione di una Amministrazione aperta, al servizio del cittadino.

Segue, tra i molti articoli, l’art. 7 bis, Riutilizzo dei dati pubblicati, dove al comma secondo, del cit. d.lgs. 33/2013, tiene a chiarire che la “trasparenza pubblica” avviene mediante la pubblicazione nei siti istituzionali (nelle home page) «di dati relativi a titolari di organi di indirizzo politico e di uffici o incarichi di diretta collaborazione, nonché a dirigenti titolari degli organi amministrativi», integrando «una finalità di rilevante interesse pubblico» (ossia, collettivo) che non può prescindere dall’avvenire – la pubblicazione dei dati, documenti e informazione «nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali».

Pare giusto rammentare che per “dato personale” si intende, secondo le indicazioni del Garante privacy «le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc..» [2].

Secondo il Piano Nazionale Anticorruzione 2022 (in consultazione), predisposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la “trasparenza” viene identificata come dimensione del “valore pubblico”, come misura di prevenzione della corruzione, riducendo gli sprechi e orientando correttamente l’azione amministrativa, per il miglior funzionamento dell’Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese.

La lotta alla corruzione, mediante il modello FOIA, comporta l’acquisizione di una moltitudine di dati personali, molto spesso fine a sé stessi e privi di effettivo valore se finalizzati agli scopi (c.d. ratio) della norma, alterando il rapporto con la tutela della riservatezza personale: un’esposizione abnorme.

3. Fatti (in parte noti)

La questione affrontata dal Consiglio di Stato nella sua essenzialità ruota attorno ad una richiesta, sulla base delle Linee guida ANAC non vincolanti n. 241/2017, rivolta ai componenti del Consiglio di Amministrazione di una Università, di acquisire i dati patrimoniali (dichiarazione dei redditi, mentre i compensi percepiti, quelli erogati dalla PA sono già oggetto di pubblicazione in varie parti della disciplina FOIA), equiparando i componenti dei CdA agli «organi di indirizzo politico», ossia quelli deputati a governare le istituzioni, in generale (e in parte, non è qui il caso di indugiare oltre) a volte eletti, come nei Comuni, a volte nominati, come nello Stato.

La richiesta veniva considerata da un componente del CdA illegittima per violazione del diritto alla vita privata ed alla protezione dei dati personali, nonché, dei principi sanciti in materia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dal Trattato UE, dalla Convenzione EDU, dalla direttiva n. 95/46/CE e dal Regolamento del Parlamento e del Consiglio europei n. 2016/679, donde il ricorso al giudice.

Si deduceva l’illegittimità derivata, facendo riferimento al pronunciamento della Corte Costituzionale, con sentenza n. 20 del 23 febbraio 2019, che dichiarava «l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)»: il riferimento è agli «incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente» e agli «incarichi di funzione dirigenziale di livello generale» [3].

Si annotava, altresì, il vuoto normativo, venutosi a creare per effetto della pronunzia, che determinava un intervento del legislatore, il quale nelle more della sua definizione mediante apposito decreto, da adottarsi «entro il 30 aprile 2021» (non ancora avvenuta), sospendeva l’efficacia della sanzione per la mancata pubblicazione.

Ciò posto, in primo grado (al TAR), con sentenza n. 6033 del 24 maggio 2021, si accoglieva il ricorso sul duplice presupposto che la sentenza della Corte Cost. avrebbe «ritenuto non applicabile la disciplina contestata a chi non fosse titolare di un incarico dirigenziale pubblico ai sensi dell’art. 19 D. Lgs. 165/2001 e quindi anche al ricorrente che è stato semplicemente designato nel consiglio di amministrazione dell’Università senza assumere alcun incarico dirigenziale» e che la designazione nel Consiglio di Amministrazione dell’Università non potesse essere assimilata ad «alcun incarico dirigenziale».

Seguiva appello dell’Università, dell’ANAC e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove si eccepiva (questione dirimente) che «il perimetro della decisione della Corte ha riguardato cioè i soli titolari di incarichi dirigenziali» e non i componenti del CdA, assimilabile agli organi di indirizzo politico.

4. La decisione della Corte Cost. e del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, rilevava che la questione posta alla Corte Cost. era in parte similare ma non sovrapponibile, stabilendo che la disciplina era stata ritenuta incostituzionale poiché l’obbligo di pubblicazione dei redditi era esteso indistintamente a tutti i dirigenti, e non solo a quelli apicali (ex art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001) come (invece) ritenuto dalla Corte, in violazione dell’art. 3 Cost.: vi è una distinzione di funzioni e competenze che non giustifica una così penetrante misura nella vita individuale e familiare (ossia, la pubblicazione dei redditi indistintamente di tutti): non veniva tenuto conto del diverso «grado di esposizione dell’incarico pubblico al rischio di corruzione e all’ambito di esercizio delle relative funzioni, prevedendo coerentemente livelli differenziati di pervasività e completezza delle informazioni reddituali e patrimoniali da pubblicare».

Da queste premesse, i giudici di Palazzo Spada, stabiliscono che la sentenza della Corte Cost., esplica i propri effetti unicamente in ordine alla posizione di “titolari di incarichi dirigenziali” e non anche su quelle dei “titolari di incarichi di indirizzo politico”, come possono essere assimilate le posizioni dei componenti del CdA dell’Università, sia in relazione al sistema di nomina che dei poteri esercitati.

In termini diversi, i componenti del CdA vengono attratti nell’ambito di applicazione dell’originario testo dell’art. 14 che, al comma 1, già imponeva obblighi di pubblicazione ai «titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico» per evidenti ragioni di sostanziale omogeneità: di funzioni e competenze.

5. Gli effetti e il vuoto normativo

Ne consegue che viene acclarato il vuoto (adeguamento) normativo a seguito del pronunciamento della Corte Cost. (sentenza n. 20/2018), peraltro, collegato all’esigenza di definire le distinzioni all’interno delle figure dirigenziali, non, dunque, con riferimento alle definizioni di incarichi di «titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo», indicati al comma 1 bis dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 che restano quelli previsti dall’art. 14, comma 1 (con le successive precisazioni).

A rafforzare la motivazione, viene tracciato il flusso normativo dal quale si può pervenire alla conclusione che la presenza di un vuoto normativo (manca il regolamento applicativo) impedisce l’applicazione delle sanzioni (sospese) in caso di violazione del precetto (pubblicazioni dei dati reddituali) che sussiste.

In termini più espressivi: manca di effetti la norma dispositiva dell’obbligo di pubblicazione dei redditi non avendo ancora il legislatore legiferato sulla violazione (“affare”, alquanto suggestivo, visto il ciclone di decreti – legge succedutesi con voti di fiducia, tranne l’ultimo): è noto che in assenza di sanzione la norma rimane pura astrazione.

Si determina così un effetto loop: l’assenza della norma secondaria (quella sanzionatoria) della violazione della norma primaria (di condotta): un’imperfezione del sistema FOIA.

L’approdo formale e del diritto positivo ammette la permanenza dell’obbligo «di pubblicazione dei dati ma che, per effetto della disposizione appena richiamata (la cui dichiarata transitorietà consiglierebbe che il legislatore procedesse con sollecitudine al riordino della materia, adeguandosi puntualmente alla decisione della Corte costituzionale), tale obbligo non è attualmente provvisto di sanzione in caso di sua violazione».

Dunque, la lotta alla corruzione, che esige la pubblicazione dei dati reddituali, quasi a voler significare che la loro pubblicazione sui portali della PA rende trasparente anche quelli di illecita provenienza (sarebbe troppo semplice se non banale il principio) in mancanza di pena si proietta a creare un vulnus al sistema, consentendo di violare il precetto senza subire le conseguenze (sempre ammesso che vengano pubblicati anche i redditi da fonte incerta, quelli frutto del mercimonio della parzialità di chi svolge funzioni pubbliche, ex comma 2, dell’art. 54 Cost. in coordinamento con l’art. 97 e 98 Cost.): «i quattrini rubati non fanno mai frutto. Addio, mascherine!» [4].

Invero, pretendere di esporre in chiaro, i dati presenti nelle dichiarazioni dei redditi (con una forte esposizione on line della vita privata e familiare dell’interessato rispetto alle esigenze di protezione dei dati personali) e pensare, allo stesso tempo, che possa costituire un deterrente alla maladministration (cattiva amministrazione in linguaggio corrente) [5] è una questione ancora dibattuta e non sempre comprensibile (pur utilizzando il metodo baconiano), con effetti che si avrà modo di approfondire (ma non troppo, ex art. 21 Cost.).

6. Un bilanciamento tra diritto e trasparenza, tra riservatezza e pubblicità

La sentenza apre un panorama che va ben oltre, dando spazio ad una serie di considerazioni che alimentano i disagi e le contraddizioni del momento, consente, inoltre, valutazioni metagiuridiche su fenomeni che, pur avendo affondi nel diritto positivo, traggono il loro impulso al di fuori delle norme.

Un bilanciamento tra riservatezza e trasparenza dovrebbe trovare altri parametri di riferimento, se lo scopo è prevenire la corruzione, d’altronde in epoca di fragrante pandemia ed emergenza bellica l’abuso del trattamento dei dati personali, e la loro dispersione (rectius diffusione), non ha trovato confine, con risultati non edificanti e a costi elevati (anche sociali), soprattutto in termini di rapporti spezzati e di vite perse.

I fenomeni legati alla produzione di dati personali (specie sanitari) hanno alimentato molto di più di quello che sarebbe stato concedibile ma è stato concesso (pur senza un apparato minino di dati confrontabili), oltre ad alimentare la paura, hanno alimentato divieti ed espulsioni, senza alcuna base statistica, di confronto (senza studi), di dati personali (scientifici ed epidemiologici), senza contare l’infranto quadro normativo e costituzionale con obblighi, confinamenti, sospensioni, licenziamenti [6].

7. Qualche perplessità sulla raccolta (uso) di dati personali

Se tutte queste misure – fondate sulla sistematica raccolta di dati personali – non hanno giovato alla diminuzione dei contagi, la c.d. immunità di gregge, con persone vaccinate che continuano, nuovamente, ad ammalarsi nonostante più booster (segnando il fallimento dell’obiettivo della vaccinazione di massa), allora quale potrebbe essere il significato della “sorveglianza” sanitaria, ovvero di questa esigenza di somministrare e richiedere dati e di pubblicare l’andamento dei contagi quotidiani: vi è (invero) qualche attinenza che possa coinvolgere anche la riservatezza del dato, oppure la questione è del tutto ininfluente, neutra (?).

In dipendenza di ciò, anche l’impossibilità di esprimere liberamente il “consenso informato” (c.d. diritto all’autodeterminazione), ai sensi della legge n. 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, a fronte dell’obbligatorietà vaccinale può avvallare (rendere legittimo) l’acquisizione dei dati personali o spiegarne l’utilizzo, se l’interessato non può sottrarsi, pena una sanzione posta dall’ordinamento, senza considerare le connotazioni etiche dell’imposizione di un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) con sieri sperimentali che potenzialmente possono causare danni irreversibili, anche a lungo termine (come è stato dimostrato) [7].

Per questo ultimo aspetto, onde evitare il rallentamento delle vaccinazioni e i rischi di responsabilità risarcitorie (non solo civili) è stato riconosciuto (ammettendo, in modo non indiretto, la possibilità di effetti avversi gravi) lo “scudo penale” per gli operatori sanitari (salvo i casi di colpa grave), con l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 3, Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, del D.L. n. 44/2021, Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, convertito con modificazioni in legge n. 76/2021, «Per i fatti di cui agli articoli 589 (Omicidio colposo) e 590 (Lesioni personali colpose) del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione» (dando una equiparazione di legge anche agli atti amministrativi, quali le circolari, fatto alquanto insolito se non unico).

Non si può non ammettere che la sistematica ed endemica (oltre che abusiva) richiesta di dati personali incide sulle libertà individuali e collettive, senza considerare il rischio effettivo di sostituzione e furti d’identità, mancando un sistema adeguato di sicurezza informatica (cybersecurity), mascherando fenomeni che non si collegano con la lotta alla corruzione e (aggiungiamo) alla salute.

La “trasparenza”, diranno in molti, non ammette intralci, divenendo un valore ex se, disancorato da ogni valutazione tra costi e benefici, tra diritti individuali ed esigenze collettive, tra consenso informato e consenso imposto.

8. Trasparenza e riservatezza

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in parola, interviene sul rapporto – “riservatezza” e “trasparenza” – esprimendo una tendenza secondo la quale «l’adempimento agli obblighi di cui si discute» (ossia la pubblicazione dei redditi, che è il tema centrale di questo dibattito) «interferisce sia con il diritto alla riservatezza dei dati personali, quanto con quello della collettività al libero accesso alle informazioni detenute dalle amministrazioni, deve rilevarsi che i diritti invocati dall’appellato non sono incomprimibili essendo le loro limitazioni pacificamente ammesse in vista del conseguimento di obiettivi di trasparenza e pubblicità, sia pur nel rispetto dei principi proporzionalità, pertinenza, e non eccedenza rispetto alle finalità perseguite».

In queste parole, viene legittimato una limitazione della propria sfera individuale in virtù di un interesse generale, nel rispetto di una serie di principi che dovrebbero essere soppesati tra loro per non andare oltre ai limiti funzionali allo scopo: in concreto si dovrebbe agire nel “giusto”, di chi opera e giudica secondo giustizia.

Questo bilanciamento viene confermato, si annota nella sentenza, dallo stesso Regolamento UE 679/2016 (c.d. General Data Protection Regulation – GDPR) che al quarto considerato, precisa che «il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità», in aderenza con il pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 20/2019) che «pur censurando l’obbligo di pubblicazione dei dati di cui alla lett. f) del comma 1 dell’art. 14, riconduceva il profilo di illegittimità rilevato, come ampiamente esposto, alla sola operata estensione indiscriminata degli obblighi di trasparenza a tutti i Dirigenti senza distinzioni di sorta, senza, tuttavia, rilevare profili di eccedenza degli obblighi di cui all’art. 14, comma 1, rispetto alle sottese ragione di interesse pubblico alla pubblicità dei dati».

In definitiva, la «compressione del proprio diritto alla riservatezza deve, quindi, ritenersi giustificata in ragione della delicatezza dell’incarico attribuito e della natura pubblica dello stesso, e quindi della possibilità di assicurare un controllo diffuso quanto all’esercizio delle funzioni attribuite, nel quadro di un’Amministrazione democratica»: l’acquisizione dei dati personali e la pubblicazione dei dati reddituali come misura per contrastare la corruzione.

Il cono visuale direbbe che la pubblicazione dei dati personali reddituali non comprime la vita privata ma combatte la corruzione.

È proprio possibile che sia sufficiente una pubblicazione del dato personale per sconfiggere una male secolare? O forse è troppo riduttivo, o che altro? Questo dovrebbe essere il disputare.

9. Gli specchi ciechi del diritto

Ed in effetti, in epoca della Covid-19 anche la “trasparenza” dei “dati sanitari” (contagi, vaccinazioni, effetti avversi/collaterali, ad esempio) ha subito una diversa “misura del rischio”: la loro pubblicazione (il termine più recente, si esprime in accountability) è divenuta questione di “sicurezza nazionale”, quasi un segreto di stato, inaccessibile, mentre di fatto è un segreto industriale e militare: la trasparenza FOIA, nata proprio con lo scopo di far conoscere ai cittadini le informazioni detenute dal Governo o, in generale, dalle Autorità pubbliche (l’AIFA, ad esempio è un ente pubblico, posto sotto la direzione del Ministero della Salute e la vigilanza del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia) ha subito un inatteso, quanto spiegabile, arresto.

Proprio nel momento del massimo bisogno il FOIA perde di effettività, di efficacia, quasi come le vaccinazioni che richiedono un costante richiamo, se bastasse (puntini di sospensione).

La raccolta dei dati personali per la profilazione/tracciamento (il c.d. monitoraggio) dell’intera popolazione (è stato nominato, anche, un gruppo di 74 esperti in diverse discipline, il c.d. Gruppo di lavoro data driven, finalizzato a trovare le migliori soluzioni ITC per mappare i contagi), con un’inversione di scopo: dall’apertura all’isolamento (del green pass, documento di “libertà” contenente una serie di dati personali).

Il tutto (osservano, i più accreditati) per giustificare una forma di “Governo Digitale”, non anteposto all’“Uomo Digitale” [8], un avvenire dove il patrimonio di dati personali incamerati (o pubblicati) non è del tutto incerto, non mancando punti di riferimento sullo scenario globale, ossia in quei ordinamenti che con le armi portano la pace e la democrazia, dove il dato biometrico è un diritto di libertà (per poter circolare e vivere nella società): in occidente, questo sistema democratico, viene chiamato “regime”.

Il PNRR dedica la Componente 1, della Missione 1, relativa a Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella PA per favorire l’interoperabilità tra le banche dati pubbliche (il c.d. incrocio dei dati personali) con la digitalizzazione di ogni processo, operazione e movimento, creando un’espansione dell’identità digitale per la piena trasparenza (e controllo) della popolazione nei rapporti con le istituzioni (e altro).

Una nuova dimensione della tutela del dato personale, recessiva delle tutele (protezioni) personali e della riservatezza, in nome di una sorveglianza sanitaria (il diritto alla salute) o esattoriale, dove il “consenso informato” è stato dilapidato e frustrato nella sua essenza di protezione e autodeterminazione della persona (umana): l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari erga omnes ha tradito il diritto naturale prima, quello vivente dopo.

Andando oltre (e siamo sempre sul tema) i sacerdoti della trasparenza hanno dimenticato la trasparenza, come visivamente pensata dal primo comma, dell’art. 1, del d.lgs. n. 33/2013: «allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini», pubblicando (e acquisendo) dati personali non coerenti con lo scopo della citata cangiante fonte del diritto.

Ed allora, come sia possibile lottare contro la corruzione (o la pandemia), con tale compressione/compromissione di riservatezza (libertà privata) a favore della pubblicità, dell’interesse generale alla conoscenza, quasi che la “cattiva amministrazione” sia più importante del “bene della vita”, quell’aspirazione del privato ad avere il riconoscimento dei propri diritti, “ad essere lasciato solo” (to be let alone).

Siamo di fronte (al fronte) ad un massiccio reperimento di dati personali, riproducendo e aggiungendo adempimenti e pubblicazioni FOIA, in un crescendo di dati (privati e pubblici) da inserire nelle migliaia di sez. di “Amministrazione Trasparente” delle pagine internet della PA, con il rischio di essere sanzionati per un eccesso o eccedenza di dati personali in rete [9], in vista dell’integrità del sistema pubblico, perdendo di vista lo scopo primo della trasparenza (la conoscenza utile) con un’eccessiva pubblicazione (e richieste) di dati.

Non è (forse) un caso che leggendo (ancora) il PNRR si incontrino dei periodi ove si annota «occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti», citando «il caso delle disposizioni sulla trasparenza che prevedono … obblighi di pubblicazione di numerosi atti, obblighi non sempre giustificati da effettive esigenze di conoscibilità dei cittadini e assai onerosi per gli uffici, soprattutto degli enti minori», segno di un bisogno di cambiare approccio, in una prospettiva di semplificazione e razionalizzazione delle fonti (“c’è lo chiede l’Europa”).

Ridurre all’essenziale la richiesta dei dati, valutare i c.d. open data e i c.d. big data prima di assistere al tramonto della sfera personale, oggi in nome della prevenzione della corruzione, già ieri in nome dell’emergenza pandemica, domani per assicurare la sicurezza dai domini stranieri o perché lo esige la transizione ecologica, perdendo pezzi di libertà e diritti acquisiti in nome della nostra (e collettiva) tutela: «ma l’autorità … presenta anche un’altra faccia, nel senso che non sembra voler rafforzare la nostra volontà, ma talvolta sembra anzi volerla mortificare e opprimere» [10].

10. Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo dei dati personali

In questa endiadi di valori, da una parte, un modello di accesso civico – generalizzato finalizzato ad una conoscenza dell’attività della PA, in chiave di controllo della spesa pubblica e dell’organizzazione (ex art. 1, del d.lgs. n. 33/2013), dall’altra parte, un’ingerenza sistematica nella vita privata del singolo impiegato in nome di questa trasparenza che si disperde (per il singolo cittadino) in una moltitudine di dati incomprensibili, oltre che di difficile lettura, rispetto ad altri (i decisori e venditori, non solo pubblici o nazionali), capaci di selezionare e di profilare, grazie ai sistemi IA (intelligenza artificiale), il singolo o la massa, rispetto ai bisogni del momento, in spregio alle regole decantate della c.d. privacy, la disciplina comunitaria del Regolamento UE 679/2016 (Regolamento generale sulla protezione dei dati) e del d.lgs. n. 196/2013 (Codice della protezione dei dati), ovvero, della privazione della propria riservatezza.

Una nuova concezione dell’“interesse pubblico” che motivato dal beneficio ricavabile per la comunità, in uno spirito di indubbia solidarietà sociale, un arcano esoterico per la moltitudine degli influencer pubblicitari, si è asservito al metodo democratico utilizzato, con parsimonia, per togliere quella democrazia (governo del popolo) che le élite dei benpensanti, dalle fredde vene blu e dai danari ricolmi (le lobby o logge), concedono per sottrarre alla moltitudine dei lavoratori, assicurando un salario minimo (o reddito di cittadinanza) ai bisognosi e aiutini/bonus economici alle imprese e alle famiglie (le c.d. mance), piuttosto che incidere sui fattori produttivi e sull’occupazione (a basso costo) per il trionfo della finanza, quelle celebrate scommesse, con derivati o future, sui fallimenti di un mercato o di un paese, con estrema ed omogenea indifferenza.

Ed in effetti, questa formula del “pubblico interesse” è la chiave per il “trattamento” dei dati personali senza il consenso dell’interessato, un passepartout lecito “alla bisogna”, senza interferenze esterne, senza alcuna informazione all’interessato, in piena discrezionalità, come previsto dall’art. 9, Disposizioni in materia di protezione dei dati personali, comma 1, lettera a), punto 2) del D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, Disposizioni urgenti per l’accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l’organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali, convertito con sostituzione dalla legge n. 205/2021, che postula la possibilità per la PA, da includere una serie di soggetti che esercitano funzioni pubbliche, di trattare dati personali «se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri ad esse attribuiti».

Così facendo, è stata rispettata la norma comunitaria, quella GDPR (Regolamento UE 679/2016), dando “base giuridica” al trattamento dei dati personali, secondo il principio di tassatività normativa, ai sensi dell’art. 2 ter, Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, del d.lgs. n. 196/2003: ma tutto questo (forse) non è un eccesso in controtendenza con i principi di tutela della vita privata, frutto di anni di lavoro e di rivendicazioni sui diritti primari?

Non è innegabile che la trasparenza è un valore, consentendo di estrarre – documenti, dati e informazioni – importanti per conoscere i segreti intenti di chi governa una Nazione, un’Istituzione pubblica, un’Amministrazione periferica, un’Azienda di servizi partecipata, in sua assenza anche questa visione (minima possibilità di partecipazione) sarebbe tolta, ma assurgere la trasparenza a sistema, caso per caso, per imporre selvagge privazioni, per sostenere un controllo capillare delle persone, alias correlate opinioni (i social sono un esempio di censura senza contraddittorio), giungendo (quasi) a comprendere l’orientamento al voto, in funzione della permanenza ai posti di comando, è un fatto che dovrebbe indurre più di qualche riflessione sulla sistematicità e pervasività di acquisizione di dati personali.

Sorprende che l’intellighènzia nostrana, i baroni del sapere (di generazione in generazione, da padri a figli), i fautori del liberismo, i liberatori della patria, i sepolcri imbiancati dell’informazione, rispondano agli impulsi di questa impresa, di questa manipolazione delle coscienze, di questo virtuosismo della resilienza.

A ben vedere si tratta (invece) di un’attività svolta motu proprio, non imposta coattivamente da norme o precetti, ma da un’adesione spontanea, una loro persuasione spirituale, consacrata – in un giuramento visivo – senza riserva, un inginocchiarsi alla dea (ieri) ragione, poi scienza, oggi “interesse generale” che tale non copre né quello collettivo, né quello individuale, in una trasfigurazione di negazione dei valori primari: il rispetto della vita e della pietas (in lirica pagana, quella concessa nei miti, da Achille ad Enea).

Assistiamo, in nome di tante tutele (termine indifferente al contenuto) ed emergenze (nelle loro infinite catalogazioni), alla perdita di sovranità, alla cessione di diritti senza controprestazione alcuna: le motivazioni di questa deriva sono imputabili sempre a qualcosa di indefinito, a qualcosa di incontrovertibile, a qualche pericolo imminente.

Fino ad oggi, il rischio dei contagi senza, tuttavia fornire dati attendibili se non spillare bollettini dei picchi (non andiamo oltre), domani per controllare il rischio climatico (o west nile o vaiolo delle scimmie) e i consumi energetici (i cui costi, solo con i numeri primi, sono graficamente esplosi), non tralasciando di investire in armi per aiutare la diplomazia della pace.

L’isolamento patito, l’abbandono dei nostri cari nel momento del trapasso, l’iperbolico consumo di dati personali, la cura dei sani con i virus, l’inganno fatto mestiere, non ci deve portare alla disperazione, serve invocare la “grazia” della parola: la grazia risiede nel dubbio: nel dubbio che tutto questo non sia per il nostro bene, per la nostra salute, per il nostro futuro.

Vi è il bisogno di vivere, di osare, di abbandonare le facili certezze del pensiero unico (quello servito e farcito dai network digitali delle grandi corporate governance), del positivismo insensibile all’umana debolezza, di credere ancora nella possibilità di avere un’opinione (anche critica), capace di pensare in proprio, di differenziarsi senza affidarsi ai campioni del “non si può”, del “non lo prevede il protocollo”, di coloro che predicano e non praticano.

Dobbiamo tenere sveglio il cuore, coltivare la speranza, la possibilità di cambiare: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto… non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» [11].

Alziamo il capo (!) [12].

Di Maurizio Lucca per ComeDonChisciotte.org

10.08.2022

Maurizio Lucca, avvocato e Segretario Generale presso Amministrazioni Locali. Ha svolto le funzioni di Direttore Generale in diversi Enti locali. Componente in Nuclei di Valutazione/OIV. Giornalista pubblicista. Formatore nelle tematiche della Pubblica Amministrazione. Docente in materia di diritto amministrativo e degli enti locali, trasparenza e prevenzione della corruzione. Scrive per diverse riviste giuridiche. Autore di oltre 1.100 pubblicazioni tra libri, formulari, saggi e articoli.

NOTE

  • 1 – Elaborazione di Lotta alla corruzione con la pubblicazione dei dati reddituali. L’analisi affronta il rapporto tra la raccolta massiva di ogni tipologia di dato personale (specie se sanitario) e lo scopo dichiarato del “trattamento” rispetto al principio di minimizzazione e non eccedenza, in funzione della tutela della vita privata del singolo.
  • 2 – Nella pagina del Garante per la protezione dei dati personali (garanteprivacy.it/home/diritti/cosa-intendiamo-per-dati-personali) viene precisato che sono i dati «permettono l’identificazione diretta – come i dati anagrafici (ad esempio: nome e cognome), le immagini, ecc. – e i dati che permettono l’identificazione indiretta, come un numero di identificazione (ad esempio, il codice fiscale, l’indirizzo IP, il numero di targa)». L’art. 4, Definizioni, comma 1, punto 1), del Regolamento UE 679/2016, intende per ««dato personale»: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale».
  • 3 – Si rinvia, LUCCA, La pubblicazione dei redditi di tutti i dirigenti pubblici e l’incostituzionalità della previsione (nota a margine della sentenza della Corte Cost. n. 20 del 21 febbraio 2019), www.dirittodeiservizipubblici.it, 4 marzo 2019.
  • 4 – COLLODI, Le avventure di Pinocchio, ed. 1900.
  • 5 – Alimentata da una «sovrabbondanza di norme regolatrici, che paradossalmente, anziché contrastare la corruzione ne costituì la cornice indispensabile, lasciando spesso le amministrazioni libere di scegliere il diritto applicabile al caso», MELIS, Storia dell’Amministrazione italiana. 1861 – 1993, Milano, 1996, pag. 517.
  • 6 – Significativo, DE MARI, Covid, la resa dei conti. Arrivano verità e giustizia sui sieri, LaVerità, 26 luglio 2022, pag. 10, ove si riferisce di un’ordinanza del Tribunale di Firenze di reintegro dall’esercizio di una professionista sospesa dall’ordine di appartenenza per il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale: si legge «secondo i dati riportati nel rapporto periodico dell’Agenzia italiana del farmaco, è dimostrato che i vaccini immessi al commercio in via provvisoria hanno fallito il loro obiettivo di proteggere dal virus. I vaccinati trasmettono e sono infettati dal virus, allo stesso modo dei non vaccinati», rendendo inutile la sospensione, oltre che discriminatoria. Il Tribunale, sez. 2, sentenza n. 2020/7360, testualmente riporta che «la sospensione dall’esercizio della professione rischia di compromettere beni primari dell’individuo quale il diritto al proprio sostentamento e il diritto al lavoro… inteso come espressione della libertà della persona e della sua dignità, garantita appunto dalla libertà dal bisogno», per poi ricordare che «l’art. 32 cost. all’interno della carta costituzionale “personocentrica” dopo l’esperienza del nazi-fascismo non consente di sacrificare il singolo individuo per un interesse collettivo vero o supposto e tantomeno consente di sottoporlo a sperimentazioni mediche invasive della persona, senza il suo consenso libero e informato, considerato che un consenso informato non è ipotizzabile allorquando i componenti dei sieri e il meccanismo del loro funzionamento è, come in questo caso, coperto non solo da segreto industriale ma anche, incomprensibilmente, da segreto “militare”; considerato che quindi a tutt’oggi dopo due anni ancora non si conoscono i componenti dei sieri e gli effetti a medio e lungo termine come scritto dalle stesse case produttrici mentre si sa che nel breve termine hanno già causato migliaia di decessi ed eventi avversi gravi». Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. V, 20 luglio 2022, n. 10372, dove si afferma che la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione per il non vaccinato appaiono conseguenze sproporzionate e in contrasto con l’art. 3 Cost., oltre che ai principi desumibili dagli artt. 2, 32 comma 2, Cost., «nella misura in cui le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato, appaiono oggettivamente sbilanciate se ricondotte nell’alveo della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, avuto anche riguardo alla natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 giugno 2015, n. 2939; T.A.R. Lombardia. Milano, Sez. I 16 maggio 2002, n. 2070), generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari». Idem, TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, ord. 28 aprile 2022, n. 78.
  • 7 – Cfr. il comma 1, dell’art. 20, Disposizioni in materia di vaccini anti SARS-CoV-2 e misure per assicurare la continuità delle prestazioni connesse alla diagnostica molecolare, del D.L. n. 4/2022, come modificato dalla legge di conversione n. 25/2022, che ha inserito un nuovo comma (1 bis) all’art. 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, prevedendo espressamente «L’indennizzo di cui al comma 1 spetta, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti SARS-CoV-2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana». Viene riconosciuto l’indennizzo che dimostra, pertanto, la sussistenza del nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il verificarsi del danno alla salute, che deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica ispirato al principio del “più probabile che non”, da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica), Cass. civ., sez. lavoro, ord. 3 febbraio 2021, n. 2474.
  • 8 – Vedi, LUCCA, Gli obblighi abnormi di mascheramento e confinamento vaccinale: dal green pass all’uomo nuovo digitale, comedonchisciotte.org, 25 agosto 2021.
  • 9 – Il titolare del trattamento è tenuto, in ogni caso, a rispettare i principi in materia di protezione dei dati, fra i quali quello di “liceità, correttezza e trasparenza” nonché di “minimizzazione dei dati”, in base ai quali i dati personali devono essere “trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato” e devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (art. 5, par. 1, lett. a) e c), del Regolamento), sicché la pubblicazione del curriculum vitae, senza oscurare preventivamente i dati afferenti alla sfera personale dello stesso (quali, l’indirizzo di residenza, il numero di cellulare e gli indirizzi di posta elettronica personali), viene sanzionato, per l’illiceità del trattamento, Garante per la protezione dei dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Comune di … – 26 maggio 2022, Registro dei provvedimenti n. 198/2022, doc. web n. 9789899. Idem, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Comune di … – 7 aprile 2022, Registro dei provvedimenti, n. 119 del 7 aprile 2022, doc. web n. 9773950; Ordinanza ingiunzione nei confronti di Comune di … – 10 febbraio 2022, Registro dei provvedimenti, n. 45 del 10 febbraio 2022, doc. web n. 9751549.
  •  10 – MENEGHELLI, La magia del potere, Padova, pag. 10.
  • 11 – Matteo 10, 26 – 33.
  • 12 – Il richiamo potrebbe ricondursi, PAPA FRANCESCO, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Depressione o speranza?, 27 novembre 2014, L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n. 272, Mar. 28 novembre 2014, ove viene «lanciato un invito alla «speranza», a non farsi deprimere e spaventare da una realtà fatta di «guerre e sofferenza», concludendo con «la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione». Però «tutto questo cadrà». Ecco perché, ha affermato, dobbiamo chiedere «al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto».

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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