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La Redazione

 

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La soluzione politica “inside out” del più grande showman (geopolitico)

Putin ha lasciato intendere che il conflitto in Ucraina potrebbe terminare entro poche settimane, quindi Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.
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A cura di Markus
Il 8 Febbraio 2025
10677 Views

Alastair Crooke
strategic-culture.su

Come fare l’impossibile? L’America è istintivamente una potenza espansionistica, che ha bisogno di nuovi campi da conquistare, di nuovi orizzonti finanziari da dominare e sfruttare. Gli Stati Uniti sono fatti così. Da sempre.

Ma, se sei Trump, vuoi ritirarti dalle guerre alla periferia dell’impero, ma vuoi anche dare un’immagine scintillante di un’America muscolare che si espande e guida la politica e la finanza globale, come fare?

Beh, il Presidente Trump, da sempre uomo di spettacolo, ha una soluzione. Disdegnare l’ideologia intellettuale, ormai screditata, dell’egemonia muscolare americana a livello globale; suggerire piuttosto che queste “guerre per sempre” non sarebbero mai dovute essere “le nostre guerre” e, come ha avanzato e suggerito Alon Mizrahi, iniziare a ricolonizzare ciò che era già stato colonizzato: Canada, Groenlandia, Panama e, naturalmente, anche l’Europa.

L’America sarà quindi più grande, Trump agirà con decisa muscolarità (come in Colombia), farà un grande “show”, ma, allo stesso tempo, riporterà l’interesse principale degli Stati Uniti per la sicurezza al centro dell’emisfero occidentale. Come continua a osservare Trump, gli americani vivono nell'”emisfero occidentale”, non in Medio Oriente o altrove.

Trump tenta così di staccarsi dalla periferia bellica espansionistica americana – “l’esterno” – per proclamare che l'”interno” (cioè la sfera dell’emisfero occidentale) è diventato più grande ed è indiscutibilmente americano. Ed è questo che importa.

È un cambiamento importante, ma ha il pregio di iniziare a essere riconosciuto da molti americani come un riflesso più accurato della realtà. L’istinto americano rimane espansionistico (e questo non cambia), ma molti americani sostengono la necessità di concentrarsi sulle esigenze interne americane e sul “vicinato”.

Mizrahi chiama questo aggiustamento esterno-interno “auto-cannibalizzazione”: in effetti, anche se l'”Europa” si considera la progenitrice [dell’America], la squadra di Trump si è impegnata a ricolonizzarla, in chiave trumpiana ovviamente.

Robert Cooper, un diplomatico britannico di alto livello inviato a Bruxelles, nel 2002 aveva definito l'”imperialismo liberale” come il nuovo scopo dell’Europa. Si trattava di un imperialismo del soft-power. Tuttavia, Cooper non era ancora riuscito a liberarsi dell'”orientalismo europeo da vecchio impero”, visto che scriveva:

“La sfida per il mondo postmoderno è abituarsi all’idea di due pesi e due misure. Tra di noi, operiamo sulla base di leggi e di una sicurezza cooperativa aperta. Ma, quando abbiamo a che fare con Stati più antiquati al di fuori del continente europeo postmoderno, dobbiamo tornare ai metodi più rudi di un’epoca precedente: forza, attacco preventivo, inganno, tutto ciò che è necessario per affrontare coloro che vivono ancora nel mondo ottocentesco di ogni Stato per sé. Tra di noi, tuttavia, rispettiamo la legge: ma quando operiamo nella giungla, dobbiamo anche usare le leggi della giungla”.

La visione del mondo di Cooper aveva influenzato il pensiero di Tony Blair e lo sviluppo della politica europea di sicurezza e di difesa.

L’élite dell’UE, tuttavia, aveva ottimisticamente iniziato a pensare di avere uno status di “impero” (potere globale) di primo piano, basato sul controllo normativo di un mercato di 400 milioni di consumatori. Non aveva funzionato. L’UE aveva adottato lo stratagemma di Obama che prometteva un sistema di “controllo mentale”, in cui la realtà poteva essere “creata” attraverso una narrazione gestita.

Agli europei non era mai stato detto correttamente che un impero transnazionale dell’UE implicava (e richiedeva) la rinuncia al loro processo decisionale parlamentare sovrano. Al contrario, immaginavano di entrare a far parte di un’area di libero scambio. Invece, sono stati portati in questa UE attraverso l’occultamento e l’attenta gestione di una “realtà” artificiale europea.

L’aspirazione dell’impero liberale europeo – sulla scia dell’assalto culturale di Trump a Davos – sembra ormai molto fuori moda. Le atmosfere suggeriscono piuttosto il passaggio da uno zeitgeist culturale a un altro.

Elon Musk sembra avere il compito di portare la Germania e la Gran Bretagna dalla vecchia visione del mondo a quella nuova. Questo è importante per l’agenda di Trump, poiché questi due Stati sono i principali sostenitori della guerra per la supremazia globale – piuttosto che dell’emisfero occidentale. I fallimenti decisionali dell’Europa negli ultimi anni, tuttavia, rendono l’Europa un obiettivo ovvio per un Presidente determinato a un cambiamento culturale radicale.

Ci sono precedenti per la manovra inside-out di Trump: anche l’antica Roma si era ritirata dalle sue province imperiali periferiche per concentrarsi sul suo nucleo centrale quando le guerre lontane avevano prosciugato troppe risorse al centro e il suo esercito era stato battuto sul campo. Roma non aveva mai ammesso apertamente la ritirata.

Il che ci riporta alla “soluzione radicale inside-out” di oggi: sembra consistere nell'”andare come un turbine impazzito” a livello nazionale – che è ciò che conta di più per la sua base – e, nella sfera internazionale, proiettare confusione e imprevedibilità. Continuare a ripetere vecchi slogan ideologici dell’antico regime e statistiche controfattuali, ma poi rinforzare il tutto con occasionali commenti contrari (come l’affermazione, in riferimento al cessate il fuoco di Gaza, che è “la loro [di Israele] guerra”, e che gli interessi di Israele possono non essere sempre quelli degli Stati Uniti), e, apparentemente a margine, che Putin potrebbe aver già deciso di “non fare un accordo” con l’Ucraina).

Considerare Putin come perdente in Ucraina era forse più indirizzato al Senato degli Stati Uniti e alle udienze di conferma in corso. Trump aveva fatto questi commenti pochi giorni prima che Tulsi Gabbard affrontasse le audizioni al Senato. La Gabbard è già stata criticata dai “falchi” statunitensi per i suoi presunti sentimenti “filo-Putin”, oltre ad essere stata sottoposta a una campagna mediatica di insulti da parte dello Stato profondo.

L’apparente mancanza di rispetto di Trump nei confronti di Putin e della Russia (che ha provocato rabbia in Russia) era diretta principalmente alle orecchie dei senatori statunitensi? (Il Senato ospita alcuni dei più accaniti “mai con Trump”).

E i commenti vergognosi di Trump sulla “pulizia etnica” dei palestinesi di Gaza, da traferire in Egitto o in Giordania (coordinati con Netanyahu, secondo un ministro israeliano) erano destinati principalmente alle orecchie della destra israeliana? Secondo quel ministro, la questione dell’incoraggiamento dell’immigrazione volontaria palestinese è ora tornata all’ordine del giorno, proprio come i partiti di destra desideravano da tempo – e molti nel Likud di Netanyahu speravano. Musica per le loro orecchie.

Si è trattato quindi di una mossa trumpiana preventiva, pensata per salvare il governo di Netanyahu dall’imminente collasso per la seconda fase del cessate il fuoco e dalla minaccia di un’uscita di scena dei suoi alleati di destra? Il pubblico a cui Trump si rivolgeva in questo caso era forse quello dei ministri Ben Gvir e Smotrich?

Trump ci confonde in modo mirato, non chiarendo mai a quale pubblico sta rivolgendo le sue continue riflessioni.

C’è qualcosa di serio nel commento di Trump secondo cui qualsiasi Stato palestinese dovrà essere realizzato “in qualche altro modo” rispetto alla formula dei due Stati? Forse. Non dobbiamo ignorare la forte inclinazione di Trump verso Israele.

Netanyahu deve affrontare aspre critiche per aver gestito male sia il cessate il fuoco a Gaza che quello in Libano. Ha la colpa di aver promesso una cosa a una parte e il contrario all’altra (un vecchio vizio): aveva promesso alla destra un ritorno alla guerra a Gaza, ma si è impegnato in modo inequivocabile a porre fine al conflitto con l’attuale accordo di cessate il fuoco. In Libano, Israele si era impegnato a ritirarsi entro il 26 gennaio, eppure i suoi soldati sono ancora lì, cosa che ha spinto una folla di libanesi a tornare a sud, nella speranza di poter rientrare nelle proprie case.

Di conseguenza, Netanyahu in questo momento dipende totalmente da Trump. Le astuzie del premier non saranno sufficienti a toglierlo dai guai: Trump lo tiene in pugno. Trump otterrà il cessate il fuoco e dirà a Netanyahu di non attaccare l’Iran (almeno fino a quando Trump non avrà esplorato la possibilità di un accordo con Teheran).

Con Putin e con la Russia accade il contrario. Trump non ha alcuna leva (la parola preferita a Washington). Non ha alcuna influenza per quattro motivi.

In primo luogo, perché la Russia rifiuta fermamente l’idea di qualsiasi compromesso che “si riduca al congelamento del conflitto lungo la linea di contatto, che darebbe tempo agli Stati Uniti e alla NATO di riarmare i resti dell’esercito ucraino – per poi iniziare un nuovo ciclo di ostilità”.

In secondo luogo, perché le condizioni di Mosca per porre fine alla guerra si riveleranno inaccettabili per Washington, in quanto non sarebbero suscettibili di essere presentate come una “vittoria” americana.

In terzo luogo, perché la Russia detiene il chiaro vantaggio militare: l’Ucraina sta per perdere questa guerra. Le principali roccaforti ucraine stanno venendo conquistate dalle forze russe senza opporre resistenza. Questo porterà ad un effetto a cascata. L’Ucraina potrebbe cessare di esistere, se non si svolgeranno negoziati seri, prima dell’estate, ha recentemente avvertito il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov.

Ma, in quarto luogo, perché la storia non si riflette affatto nella parola “leva”. Quando i popoli che occupano la stessa geografia hanno versioni diverse e spesso inconciliabili della storia, il sistema occidentale di “dividere lo spettro del potere” semplicemente non funziona. Le parti contrapposte non si sposteranno, a meno che una soluzione non riconosca e tenga conto della loro storia.

Gli Stati Uniti hanno bisogno di “vincere” sempre. Quindi Trump capisce che le dinamiche ineluttabili di questa guerra impediscono di presentare qualsiasi risultato transazionale come una chiara “vittoria” per gli Stati Uniti? Certo che lo capisce (o lo capirà, quando sarà informato in modo professionale dal suo team).

La logica della situazione ucraina, per essere schietti, suggerisce che il Presidente Putin dovrebbe tranquillamente consigliare al Presidente Trump di uscire dal conflitto ucraino, per evitare far sua una disfatta dell’Occidente.

Questa settimana Putin ha lasciato intendere che il conflitto in Ucraina potrebbe terminare entro poche settimane, quindi Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.

Se Trump volesse una “vittoria” (altamente probabile), allora dovrebbe farsi guidare dai numerosi suggerimenti di Putin: il dispiegamento di missili intermedi da parte di entrambe le parti sta creando un rischio maggiore e “chiede a gran voce” un nuovo accordo di limitazione. Trump potrebbe dire di averci salvato tutti dalla terza guerra mondiale – e potrebbe esserci più di un fondo di verità.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2025/02/06/the-greatest-geo-political-showmans-inside-out-political-solution/
06.02.2025
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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