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La Redazione

 

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LA RINCORSA DEI RONZINI

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A cura di God
Il 11 Novembre 2007
82 Views

DI CARLO BERTANI

C’era una vorta un Re
cche ddar palazzo

Mannò ffora a li popoli
st’editto:

«Iö sò io, e vvoi
nun zete un cazzo,

Sori vassalli bbuggiaroni,
e zzitto.

Io fo ddritto lo storto
e storto er dritto:

Pòzzo vénneve a ttutti
a un tant’er mazzo:

Io, si vve fo impiccà,
nun ve strapazzo,

Ché la vita e la robba
io ve l’affitto.

Chi abbita a sto monno
senza er titolo

O dde Papa, o dde Re,
o dd’Imperatore,

Quello nun pò avé
mmai vosce in capitolo.»

(Giuseppe Gioacchino Belli, Li soprani der monno vecchio)

E’oramai chiaro a tutti
che le prossime settimane saranno decisive per la sopravvivenza di questo
governo, e tutto dipenderà dalla riforma del welfare: i giochi stanno
per terminare e qualcuno finirà per farsi male, perché – se l’accordo
del 23 Luglio passerà così com’è – la sinistra dello schieramento
sarà definitivamente sconfitta. Al contrario, perderanno i centristi:
non ci sono più margini di mediazione.

Vogliamo provare ad affrontare
l’argomento con serietà, senza sparare a raffica montagne di numeri
senza senso?Rammento un lungometraggio
che vinse un concorso a livello mondiale, fra il 1978 ed il 1982 –
ricordo a braccio, se qualcuno lo trova sul Web me lo segnali – girato
in una fattoria britannica.

Un agricoltore aveva
optato per continuare ad usare i cavalli Shire per gli usi agricoli:
arava, seminava, raccoglieva e trasportava con i cavalli.

Li accoppiava sempre
agli strumenti, in tiri da 2 o da 4, operando un “mix” fra puledri
e cavalli maturi, mentre i vecchi – i ronzini – erano adoperati
saltuariamente in lavori meno pesanti.

Il problema – narrava
– è che il puledro ha molta forza, mentre il cavallo maturo ne ha
di meno, ma la sa usare meglio. I vecchi ronzini, infine, se lasciati
soli nella stalla, intristiscono: a turno, facciamo trainare loro carretti,
li attacchiamo ad un calesse o li utilizziamo per usi secondari, e la
loro salute ne trae giovamento.

Se la nostra a azienda
prospera – affermava – è proprio per l’attenzione che poniamo
nell’addestramento e nella cura dei cavalli: senza il loro apporto,
non avremmo potenza di trazione, tutto si fermerebbe e dovremmo “tornare”
al trattore.

Ecco, quelle parole hanno
un profondo significato, e dimostrano che – nella querelle

delle pensioni e del welfare – i nostri governi sbagliano tutto.

Perché, per prima cosa,
hanno ceduto in modo degenere ad una vecchia abitudine del massimalismo
marxista: gli uomini sono tutti uguali, sono massa, e come tali si può
considerarli come degli universali omogenei. Se il nostro agricoltore
britannico avesse ragionato in quel modo, sarebbe andato a gambe all’aria
in pochi mesi, scambiando i puledri per i ronzini.

In realtà, le persone
sono aggregati biologici e, come tutti gli esseri viventi, camminano
lentamente sulla via del tempo; il quale, regala e toglie a ciascuno
di loro in modo diverso, seguendo più le albe ed i tramonti che le
burocrazie europee. La nota teoria del mezzo pollo, non ha mai nutrito
chi il pollo non lo può acquistare.

Chiederci dove inizia
questo percorso è difficile, ma possiamo partire da un documento qualsiasi,
tanto imboccarono una sola strada e non ne seppero individuare altre:
questo è del 2000, di fonte UE, steso da una certa Anna Diamantopoulou1,
Commissario Europeo dell’epoca per l’occupazione e gli affari sociali.
E’ bene ricordare che questa persona non era stata in nessun modo
eletta democraticamente dai cittadini europei, ma solo dalle burocrazie
di palazzo.

“Il rapporto tra
pensionati e persone in età lavorativa raddoppierà tra il 2000 e 2040.
Le pressioni aggiuntive sulle finanze pubbliche sono evidenti. La sfida
per i responsabili politici è garantire che in futuro il finanziamento
delle pensioni non destabilizzi i bilanci pubblici, pur mantenendo un’adeguata
protezione per i pensionati.”

Questo piccolo brano
contiene già, in sé, l’errore primigenio, quando afferma un legame
fra il rapporto pensionati/popolazione attiva, la ricchezza prodotta
(non considerata) e le finanze pubbliche. In altre parole, presume che
gli occupati producano sempre la stessa quantità di ricchezza nello
stesso tempo.

Il nostro agricoltore
britannico, mostrava un nuovo tipo d’aratro – che un fabbro gli
aveva costruito – il quale dimezzava di circa la metà la potenza
di traino necessaria per arare lo stesso terreno. Per Anna, l’innovazione
tecnologica e la maggior produttività non esistono.

L’errore di base, conduce
quindi alla sua logica (ed errata) conclusione: se la ricchezza prodotta
è la stessa – e gli occupati sono la metà – dovranno essere dimezzate
le pensioni, oppure i lavoratori dovranno lavorare il doppio. Metteteci
tutti i fiorellini che desiderate, ma la conclusione è questa.

“Rimuovere le barriere
che impediscono alle persone anziane e alle donne di partecipare al
mondo del lavoro sarà indispensabile per liberare tutte le risorse
umane ed economiche della società.”

Questa frase, lei sola,
vince il premio Pulitzer per il miglior eufemismo. Cosa significa “rimuovere
le barriere”? Forse aprire le porte della stalla e tornare ad attaccare
i ronzini (che non ce la fanno più) all’aratro?

Anche l’invecchiamento
della popolazione, non è così importante: l’età media di vita tende
ad aumentare, ma molto lentamente. Siccome, però, non vogliamo seguire
Anna nel suo soliloquio del mezzo pollo, riconosciamo che il problema
non è l’età media, bensì un numero più alto di persone d’età
elevata, spesso bisognose di cure.

Il problema, allora,
coinvolge di più la struttura sociale perché – senza solidi legami
familiari od affettivi (dove sono finiti i PACS?) – nessuno può farcela
a gestire per lunghi periodi un anziano non-autosufficiente. Si finisce
per aspettare che muoia come una liberazione. Diverso è se l’anziano
può rimanere nel suo domicilio e se altre persone (meno anziane, ma
ancora attive, e/o giovani che svolgono un breve periodo di servizio
sociale) possono prendersi cura di loro. Si tratta di gestire meglio
e con saggezza le risorse interne delle famiglie o delle comunità,
sorreggendole con interventi di sostegno. L’unica soluzione da non
praticare – finché è possibile – è il ricovero nelle strutture
para-ospedaliere, perché un paio di giorni di degenza finiscono per
“mangiarsi” l’assegno d’accompagnamento di un mese.

L’errore è quindi
di metodo, nel voler mettere in rapporto l’invecchiamento della popolazione
– che richiede precisi interventi – con l’aumento dell’età
pensionabile, senza rendersi conto che un ronzino non è più in grado
di svolgere le stesse mansioni di un cavallo.

Se, invece, con quella
frase Anna voleva indicare che – chi se la sente – deve essere incentivato
a lavorare ancora, bisogna riconoscere che, a parte qualche slavato
palliativo, l’età della pensione in Italia è rigida come una lastra
di roccia. Senza considerare l’ansia che i lavoratori accumulano,
sottoposti a continue possibilità di nuove riforme, che finiscono per
farli pensare “me ne vado, mi diano quel che vogliono, ma non ne voglio
più sapere”. Questo è quel che succede nel mondo reale, lontano
dalle elucubrazioni della greca.

E per i giovani puledri?

Anche per loro, Anna
aveva pronta una ricetta:

“Quanto alla riforma
del mercato del lavoro, non è il momento di riposare sugli allori.”

Gli aulici allori, evocati
dalla greca, esistevano soltanto nella sua mente di ex giovane ginnasiale:
il mercato del lavoro europeo – per giovani ed anziani – era plasmato
sui ritmi di sempre; ossia, dopo un breve periodo di prova, eri assunto
in pianta stabile.

Intorno al 2000 (Commissione
Prodi), non era ancora tempo per affrontare decisamente l’altro “segmento”
del problema: c’era ancora da far “digerire” la riforma Dini delle
pensioni, l’economia in calo, il prezzo del petrolio, la Cina, le
dissennate guerre di Clinton e di Bush…

Ci pensa Berlusconi,
che va a ripescare i lavori d’alcuni studiosi – D’Antona e Biagi,
entrambi poi uccisi dalle “nuove” BR – in seguito definito (il
secondo) un “rompicoglioni” dal Ministro dell’Interno dell’epoca
– Scajola (FI) – perché aveva ricevuto minacce e chiedeva una scorta.

Scajola, in ogni modo,
dopo una breve parentesi di “Purgatorio”, rientrò nei ranghi del
governo come Ministro per le Attività Produttive, a significare che
il “palazzo” stava dalla sua parte e non da quella del professore
emiliano.

Per cui, si arguisce
che un martire è meglio di un rompicoglioni.

La riforma immaginata
da Biagi era qualcosa di un po’ diverso dal pateracchio iperliberista
varato da Berlusconi: prevedeva sì forme di flessibilità d’ingresso
nel mondo del lavoro, ma assicurava “contrappesi” per i periodi
di disoccupazione.

In altre parole, si passava
da un sistema rigido – dall’assunzione alla pensione – ad uno
più flessibile, nel quale ci sarebbero stati periodi di disoccupazione
e di aggiornamento, che sarebbero però stati coperti da appositi sostegni
economici. Come? Semplicemente, perché il lavoratore “atipico”
sarebbe costato di più del lavoratore “normale”, e questo è caratteristico
delle economie europee più avanzate, quelle che producono beni appetiti
ed alta tecnologia.

Sei un imprenditore sicuro
dei tuoi mezzi e della tua analisi del mercato? Assumi a tempo pieno
con oneri minori. Sei incerto, il mercato che ti appresti ad affrontare
è più sfaccettato? Assumi pochi lavoratori, ad un prezzo maggiorato,
e prova. Altrimenti, non dire che sei un imprenditore: cambia mestiere.

Invece, la scelta è
stata proprio opposta: sei incerto? Va bene…ti consegniamo della forza
lavoro che potrai usare come più ti aggrada, a costi minori, e che
potrai licenziare quando vorrai. Accomodati, fai pure i comodacci tuoi.

Sarebbe come se il nostro
agricoltore, dopo aver eseguito l’aratura di nuovi fondi, avesse lasciato
liberi i puledri di pascolare sui fondi altrui, oppure li avesse condannati
a brucare la poca erba della brughiera, con il risultato di minare loro
il fisico. E dopo? Quando ti servono nuovamente?

E non finisce qui: i
giovani puledri – continuando in questo modo – non lavorano abbastanza
con cavalli maturi per imparare ad usare meglio le loro forze. Non maturano,
non figliano, non evolvono: in definitiva, il naturale svolgersi delle
generazioni s’inceppa.

Vorrei sapere che cosa
c’è d’innovativo nella riforma della riforma della riforma (Treu,
Legge 30, Damiano) rispetto al passato. 36 mesi da trascorrere in una
sorta d’apprendistato, ai quali se ne aggiungono altri 15: in tutto,
4 anni e 3 mesi per decidere se una persona sa svolgere un lavoro. E
dopo?

Se un imprenditore sa
fare il suo mestiere, ha bisogno di 51 mesi per capire se un lavoratore
è in grado di svolgere una mansione? Ma che imprenditore è?

Immaginiamo il nostro
agricoltore che – operando un parallelo fra la vita media degli umani
e dei cavalli – non sia in grado di capire, dopo 15 mesi, se un cavallo
può essere attaccato ad un aratro. Attenzione: non stiamo parlando
di vincere un Palio, ma di saper solo trainare un attrezzo!

Se l’imprenditoria
italiana non è in grado – dopo 51 mesi – di capire se un lavoratore
è in grado di svolgere una mansione, smettiamo di credere che esista
una classe d’imprenditori. D’altro canto, nomi come Gardini, De
Benedetti, Tanzi (solo i maggiori, che hanno affossato chimica, elettronica
ed hanno tentato con l’alimentare) cosa sono? C’è poi la pletora
di parvenu di regime che s’atteggiano a finanzieri ed imprenditori,
mentre sono in realtà solo lacché di regime: sarebbe un finanziere
Ricucci?

Allora, chiamiamo le
cose con il loro nome: una classe d’imprenditori debole ed abituata
a sopravvivere sotto l’ombrello dello Stato, non se la sa cavare nel
mercato globale e cerca in ogni modo di “spremere” più che può
i lavoratori per mascherare le proprie incapacità.

Non starò a tediare
il lettore con le cronistorie di queste assurdità: ciascuno di noi
ha sotto gli occhi esempi d’aziende “bollite” nel calderone della
deindustrializzazione.

Cosa fa l’imprenditore
italiano? Cura l’addestramento dei cavalli? No: sempre di più, utilizza
i capitali per acquistare beni all’estero e li rivende, accontentandosi
di un minimo margine, oppure investe solo dove sa d’essere “coperto”
dallo Stato in mille, diversi modi. Siccome decenni di connivenza fra
il potere politico e l’imprenditoria hanno creato un solido legame
simbiotico (quanto hanno “preso” dal taglio del cuneo fiscale? Oppure
lo strapotere, per decenni, di Mediobanca?), si sono create ricchezze
stratosferiche, che generano consistenti redditi senza troppi rischi.
In Italia, non esistono vere banche d’affari, bensì solo forzieri
per gestire capitali.

Se parliamo di ricchezze,
allora dobbiamo chiamare in causa il sistema finanziario. I banchieri
s’interessano dell’addestramento dei puledri, della salute dei cavalli
e dei ronzini?

No, a loro, della cosa
non frega un emerito fico secco: d’altro canto, Anna li rassicura
quando afferma che “il finanziamento delle pensioni non destabilizzi
i bilanci pubblici”
. Per il mondo della finanza, non ha particolare
importanza dove e come si produce un bene: nel mondo del “mezzo pollo”,
non ha nessuna rilevanza sapere chi e come ha generato ricchezza, e
i banchieri non hanno mai visto né sanno distinguere un puledro da
un ronzino.

Un po’ d’import/export,
qualche “colpo” sul mercato immobiliare e, quando non basta, le
combine truffaldine sui finanziamenti europei. Se un De Magistris lo
scopre, si caccia il giudice.

Per le attività residuali
– siccome siamo fuori da tutti i settori tecnologici di qualità –
bisogna avere a disposizione mano d’opera a basso costo e saltuaria:
se potessero affermarlo a chiare lettere, eleggerebbero il lavoro nero
ed il caporalato a contratto nazionale di lavoro. Non lo affermò forse
lo stesso ex Presidente del Consiglio, Berlusconi, che gli italiani
si “devono arrangiare”? E i sindacati conniventi, che non hanno
più niente da dire? Che spacciano come Verbo Divino il risultato di
un referendum, il quale non ha nessun crisma di credibilità, che vale
come un televoto di Bonolis2?

Se, invece, c’è un’azienda
che opera bene, che è in attivo, che fa ricerca, allora le banche drizzano
le orecchie e – come i lupi – aspettano il momento giusto per l’assalto.
Un esempio? Fincantieri, azienda leader nel mercato della cantieristica
di qualità: produce navi da crociera modernissime, stipula joint venture
con la Germania per produrre sottomarini, cerca addirittura d’espandersi
nel Mar Nero (acquistando cantieri in loco) per la produzione di minor
pregio. Insomma, pianifica, progetta e lavora come un’azienda moderna
che punta sulla qualità. Ovviamente, in quel caso, il mix di puledri
e cavalli è mantenuto in equilibrio e i ronzini vanno in pensione:
se produci beni appetibili, c’è abbastanza biada per tutti.

Un solo neo. E’ statale.
Mio Dio – contessa – sapesse quale obbrobrio: nel paradiso iper-liberista
del terzo millennio, c’è un dinosauro statale che marcia come una
locomotiva e macina miglia su miglia. Oh no – Presidente – non possiamo
tollerare un simile affronto: non è forse vero che il nostro Vangelo
recita “non avrai altro credo che il privato”?

Così, s’iniziano ad
avvertire sinistri scricchiolii: privatizzare…liberalizzare…aprire
al mercato…

Insomma, c’è una “gallina
dalle uova d’oro” e non si può lasciarla alla collettività: dobbiamo
impadronircene, ad ogni costo. Aspettiamo la prossima luna piena, poi
usciremo allo scoperto e daremo l’assalto al gregge.

Se qualcuno ha la memoria
corta, è meglio ricordare che lo Stato aveva un’altra “gallina
dalle uova d’oro” – la Società Autostrade – che aveva creato
con i soldi pubblici (ossia i nostri). Rendeva, era in attivo, e fu
privatizzata, ossia svenduta per quattro soldi. La Società Autostrade
regge perché è una vera e propria slot machine: dove vai, in Italia,
se non prendi l’autostrada?

Allora, s’infarciscono
i consigli d’amministrazione di politici – veri, presunti o trombati
– tanto per mantenere il legame con la classe politica: non sia mai
che a qualcuno salti in testa di detrarre dal pedaggio i tratti dove
si marcia ad una sola corsia. Se pago un servizio per 100 Km – e poi
ne percorro 30 a passo d’uomo in coda su una sola corsia – perché
devo pagare per 100?

Ovviamente, nessuno si
fa avanti per le Ferrovie o per Alitalia: mica sono scemi.

A tutto le critiche contrappongono
l’Europa: eh sì, maledetti fannulloni italiani, vi lamentate, ma
non sapete come lavorano in Europa! Certo che in Germania e in Francia
ci sono stipendi più alti, ma lassù lavorano di più!

Il che, è tragicamente
falso: la media delle ore annue lavorate, in Francia e Germania, è
di circa 1400 ore/anno, in Italia è di 17003. Possono permetterselo
perché producono tecnologia d’avanguardia, mica hanno chiuso o svenduto
– come è capitato in Italia – le aziende che lavoravano per il
futuro!

Già, ma vanno in pensione
più tardi.

Vediamo allora come si
comportano nella “rigidissima” Europa, dove ci fanno credere che
tutti lavorino fino ai 65 anni, allegri e contenti. La fonte? Un documento
ufficiale della CGIL4.

Francia

Età pensionabile legale:
60 anni.

Pensionamento anticipato:
56 anni.

La Francia, inoltre,
ha numerosi trattamenti pensionistici più vantaggiosi: macchinisti
delle Ferrovie, 50 anni; autotrasportatori, 25 anni di contribuzione;
insegnanti, dai 55 ai 60 anni. Vive la République.

Germania

Età pensionabile: 65
anni.

Pensionamento anticipato:
63 anni con 35 anni di contribuzione (e riduzione della prestazione).

Pensionamento anticipato
per chi ha avuto periodi di disoccupazione : 60 anni, con 15 anni di
contribuzione (e riduzione della prestazione).

Come si può notare,
il sistema tedesco non è assolutamente rigido come si potrebbe pensare:
a 63 anni si va in pensione con soli 35 anni di contribuzione (Italia:
375) e per coloro che hanno avuto interruzioni nella vita
lavorativa, addirittura 60 anni e 15 anni di contribuzione! (Italia:
niente del genere, t’arrangi).

La riduzione delle prestazioni,
poi, dobbiamo confrontarla con le loro retribuzioni, ben diverse
dalle nostre, anche tenendo conto del differente costo della vita.

Regno Unito

Età pensionabile: 62,5
anni (Uomini), 60 anni (donne).

Il sistema inglese è
molto diverso dal nostro (più improntato al “privato”, un po’
come negli USA) e si presta poco alle comparazioni. Basti pensare che
la spesa pensionistica sul PIL è del solo 5%, raffrontato ai 12-15%
delle altre nazioni. Ovviamente, se il tuo fondo pensione fallisce,
sei perduto e ti rimane solo il misero fondo statale.

Tanti auguri agli italiani
che hanno consegnato il loro TFR alla previdenza “integrativa”.

Spagna

Età pensionabile: 65
anni.

Pensionamento anticipato:
60 anni (persone assicurate prima del 1967); 61 anni (30 anni di contributi).

La “povera” Spagna
si permette di mandarti in pensione a 61 anni con soli 30 anni di contributi
(Italia: 37 a 62 anni). Olè.

Svezia

Età pensionabile garantita:
65 anni

Pensione anticipata/posticipata:
da 61 a 67 anni

Il sistema svedese si
basa più sugli anni di residenza che su quelli di contribuzione,
trattandosi di un sistema molto diverso dal nostro, con forti connotazioni
di sicurezza sociale. Molto difficile fare una comparazione.

Italia

Età pensionabile garantita:
65 anni (uomini), 60 (donne).

Pensione anticipata:
62 anni d’età e 37 anni di contribuzione (dal 2012).

Pensioni anticipate per
le categorie “usuranti”: 57 anni, ma solo 5.0006 “usurati”
l’anno, purché abbiano svolto tale attività a regime per almeno
la metà del periodo di lavoro complessivo o (nel periodo transitorio)

almeno 7 anni negli
ultimi 10 di attività lavorativa
7. E quelli
che si sono “usurati” prima (mettiamo chi ha lavorato 15 anni agli
altiforni, ma non negli ultimi anni), che fanno? Continuano ad usurarsi.

E quelli che non rientrano
nei 5.000? Continuano ad usurarsi.

Pensioni per chi non
riesce a completare i fatidici 37 anni? NIENTE. Aspetta i 65.

Vediamo la situazione
al 1° gennaio 20138: non è un abisso, sono solo poco più
di 5 anni da oggi.

Riforma Maroni: 61 anni
d’età e 35 anni di contribuzione.

Riforma Damiano: 62 anni
d’età e 35 anni di contribuzione, oppure 61 anni d’età e 36 anni
di contribuzione.

Come si potrà notare,
paragonando le due riforme, i partiti “amici” dei lavoratori ed
i sindacati “difensori” dei lavoratori chiedono esattamente un anno
in più di lavoro rispetto all’odiato “nemico del popolo” Maroni.

Personaggi come Diliberto,
invece di cavillare sull’eventuale traslazione della salma di Lenin
– cosa, peraltro, non all’ordine del giorno in Russia – farebbero
meglio ad osservare cosa sta per approvare il governo, con il voto dei
partiti definiti “amici” dei lavoratori. Lo stesso vale per il caporal
maggiore Giordano.

Pensate un po’ di meno
a Castro, Chavez, Lenin ed altri “capataz” e provate a confrontarvi
con la tragedia che avete sotto gli occhi: il vostro voto sarà usato
proprio per colpire i lavoratori, per salvare gli interessi della Casta
e di una pletora d’imprenditori incapaci.

Se desiderate estinguervi,
votate questa riforma.

L’assurdità di questa
riforma – per l’Italia – nasce dal voler “calare” per editto
i 37 anni di contribuzione.

Non affannarti – Epifanio
– a dire che bisogna mantenere i 58 anni perché “c’è gente che
non ce la fa più”, perché non si capisce proprio per quale ragione
– se oggi non ce la fanno più a 58 anni – fra pochi anni, nel 2012,
dovranno farcela a 62.

Mettere insieme 37 anni
di contribuzione, in Italia, non è proprio uno scherzetto: nel settore
privato bisogna vedersela con la “flessibilità” in entrata (leggi:
nessun contributo valido grazie al precariato) e con i periodi di disoccupazione,
mentre anche nel settore pubblico c’è l’inganno. Fai 12 anni da
precario (nella scuola): in sede di ricostruzione di carriera, te ne
conteggeranno solo 9, perché sei stato licenziato a Giugno e riassunto
a Settembre. Corri, cavallo, corri dietro alla carota che non raggiungerai
mai!

E non finisce qui: ci
sono dei contributi previdenziali (ENASARCO, ad esempio) che non sono
cumulabili con altri servizi; se hai lavorato qualche anno come agente
di commercio, l’ENASARCO ti dice grazie, si tiene i tuoi contributi
e non ti dà niente. Manca la legge per ricongiungerli: peccato…

E i soldi dove sono finiti?

In un immenso patrimonio
immobiliare9, che non rende quasi nulla. E perché non rende
quasi nulla? Poiché si tratta dei famosi appartamenti dati in locazione
– a prezzi irrisori – ai politici ed ai loro lacché, dei quali
hanno approfittato tutti, dalle bandiere nere a quelle rosse, passando
per scudi crociati, rose, garofani, ulivi, querce e quant’altro. A
noi, sono rimasti solo i crisantemi.

Su tutto, poi, regna
sua maestà “lavoro nero”, che è definito una “piaga”: sarà
pure una piaga, ma se gli italiani lavorano in nero è perché non c’è
altro, mica ci godono.

Se poi aggiungiamo che
tutti i lavoratori (precari e non) versano più di quello che ricevono
– mentre i dirigenti (pubblici e privati) hanno pensioni da favola
e versano meno di quello che ricevono – la frittata è fatta.

Sarebbe come se i prodotti
dell’azienda fossero utilizzati per nutrire una schiera di cavalli
da corsa, che si sollazzano d’orzo e d’avena senza mai produrre
nulla.

Come si può notare,
ci stanno facendo un bel “pacco”, niente da dire.

Ronzini che tirano l’aratro
e puledri che vengono utilizzati per qualche mese, ora qui, ora là,
senza cibo nei periodi di non lavoro. Così, devono dividersi la biada
che sono obbligati a risparmiare i cavalli e i ronzini. Quanti genitori,
pensionati, continuano a “foraggiare” i figli perché, da soli,
non possono farcela?

Proiettando nel futuro
la situazione, sempre più cavalli che raggiungeranno la maturità senza
esperienza, puledri sempre più “vecchi” ed inesperti e ronzini
che creperanno perché non ce la faranno più.

Il nostro povero agricoltore,
piange e vorrebbe a comprare un trattore, ma non ha i soldi per acquistarlo.

E qui torniamo da capo,
da Anna che traccia un legame fra l’accantonamento pensionistico ed
il bilancio statale, e si preoccupa che le pensioni mandino a fondo
lo Stato.

La greca non considera
che il bilancio statale è un universo composito, nel quale rientrano
migliaia di voci – i costi della politica, ad esempio – no, quello
ad Anna non interessa.

Anna non s’è accorta
che la vera ragione della mancanza di ricchezza (la biada) è un’altra:
sono arrivati i topi, che stanno dilagando nel magazzino e si mangiano
tutto.

Se ogni incremento della
ricchezza (con l’emissione di valuta) viene pagato ai banchieri con
titoli del debito pubblico – ossia questi ci vendono carta in cambio
del nostro lavoro – i bilanci statali non faranno che peggiorare inesorabilmente.
Il fenomeno – il signoraggio – è europeo, ma in Italia viene avvertito
di più poiché siamo più indebitati, abbiamo la peggior classe politica
europea ed abbiamo un apparato produttivo fragile e fatiscente.

La nostra classe politica
racconta di voler correre ai ripari, ma proprio il recente Primo Novembre
– Festa d’Ognissanti – ha “stralciato” l’emendamento della
Finanziaria che prevedeva di risparmiare 249 milioni di euro sui costi
di Governo, Parlamento, ed altri organi istituzionali. Non c’era un
solo Santo, quel giorno, che stesse a guardare. “Stralciato”: fine.

Era una minuscola “limatina”
di unghie, una miseria: manco quella hanno accettato! E poi si lamentano
della cosiddetta “antipolitica”! Quei soldi, dovevano servire per
coprire l’abolizione dei ticket sulla diagnostica, ed ora – affermano
– “bisognerà trovare altre fonti di copertura”. Speriamo che
le trovino ad almeno quattro palmi dal nostro sedere.

Puerili, poi, le misure
di “risparmio” contenute in Finanziaria: i Governi dovranno essere
più “leggeri”. Sì, ma dal prossimo: noi, restiamo in 103. Il prossimo
governo, poi, potrà cambiare nuovamente la legge.

Anche le famose “sforbiciate”
alle consulenze od agli Enti Locali, sappiamo come andranno a finire:
in una miriade di ricorsi ed in mesi di “aggiustamenti” per vanificare
qualsiasi risparmio; sono forbici “spuntate” in partenza. Perché?
Riflettiamo che, quei “risparmi”, andrebbero a colpire il popolo
dei politici “trombati”, i quali siedono nelle amministrazioni secondarie
nell’attesa di rientrare in pista. Sono posti creati ad hoc per quello
scopo: cane dovrebbe mangiare cane?

Risparmi? Certo che risparmiano,
risparmiano sui trasferimenti agli Enti Locali, dando però agli stessi
la potestà d’imporre nuove gabelle. Nella mia busta paga (uno stipendio
medio) il contributo per gli Enti Locali ha superato i 50 euro: se ci
aggiungiamo i 10 euro (medi) che si prendono con la vergognosa bolletta
dell’ENEL (con quel che costa l’energia in Italia…) s’arriva
a 60 euro, 720 euro l’anno.

Se i lavoratori dipendenti
sono circa 17 milioni10, parliamo di circa 12 miliardi di
euro l’anno! Solo per gli Enti Locali! E quello che pagano i lavoratori
autonomi e le altre categorie? A quanto si arriva? Tralascio quello
che si prendono lo Stato e gli Enti Locali sui passaggi di proprietà
delle auto, bolli vari, autovelox, parcheggi “blu” a iosa…

A quanto ammontano i
costi per le “consulenze”? Quelli per i viaggi di “Stato”? Le
spese di rappresentanza delle Regioni? Gli astronomici costi del Parlamento,
del Governo, della Presidenza della Repubblica?

E poi ci raccontano che
la riforma del welfare costerebbe l’iperbolica cifra di un miliardo
di euro l’anno?

Ecco dove il rapporto
fra bilancio dello Stato e welfare, tracciato da Anna, non quadra più:
nessuna nazione al mondo ha una struttura come la nostra: Stato, Regioni,
Province, Comuni, Circoscrizioni e Comunità Montane. Costa troppo!
L’errore di Anna (sposato da Maroni e Damiano), è di metodo e di
merito: non esiste un legame univoco fra la previdenza ed il bilancio
statale, poiché è una sola voce fra tante. Inoltre, non è certo la
previdenza “l’idrovora” delle finanze pubbliche. Sono loro le
idrovore.

Ecco cos’è diventata
l’Italia: un’azienda agricola nella quale nessuno si prende la briga
d’addestrate i cavalli, dove i proventi della terra sono usati per
mantenere degli inutili e boriosi cavalli da corsa e, dulcis in fundo,
con il magazzino infestato dai topi.

La medicina?

Tagliare i legami fra
classe politica e l’imprenditoria di regime: anzi, tagliare proprio
fuori questa classe politica. E, come nei migliori romanzi di Agatha
Christie, un po’ di risolutivo “veleno per topi”.

Non ci sono altre soluzioni:
altrimenti, con la prossima riforma, stabiliranno a 70 anni l’età
della pensione e, per i giovani, ci saranno solo l’emigrazione o la
schiavitù.

Senza una nuova classe
politica, questo Paese è condannato.

Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
http://carlobertani.blogspot.com/
11.11.07

NOTE:

[1] Pensioni sostenibili: La Commissione vara un piano per modernizzare le pensioni in Europa. 11-10-2000.

[2] Ricordiamo che qualsiasi consultazione elettorale, per essere valida, deve essere controllata ed i risultati devono passare al vaglio delle Corti d’Appello.

[3] Fonte: OECD Economic Outlook, 2005.

[4] Newsletter del Segretariato Europa CGIL (2005) – www.cglil.it/segretariatoeuropa

[5] Il valore è quello della riforma che dovrebbe essere approvata dall’attuale governo.

[6] Secondo l’ultima revisione della riforma, il “tetto” dei 5.000 sarebbe saltato. Però, Dini ha già affermato che non voterà nessun mutamento alla riforma originaria. Sic stantibus rebus…

[7] Fonte: Governo Italiano: Protocollo su previdenza, lavoro e competitività. Per l’equità e la crescita sostenibili.

[8] CISL: Accordo Governo – OO.SS. del 23 luglio 200: la riforma di tutti.

[9] “Patrimonio importante, in bilancio vale 3,25 miliardi ma poco redditizio, tra lo 0,7 e l’1%. Soprattutto abitativo (14 mila appartamenti) e gestito con «criteri sociali» quanto ad assegnazioni ed affitti che interessano, soprattutto nella Capitale, 40-50 mila cittadini”. Fonte: Corriere della Sera, 16 maggio 2005.

[10] Fonte: ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro, III trimestre 2006.

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