LA LEZIONE FINLANDESE

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blankDI GIUSEPPE MANEGGIO
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E’ possibile far parte del grande gioco economico della globalizzazione senza perdere caratteristiche culturali e soprattutto quel ricco tessuto di politiche e normative sociali che per decenni hanno costituito uno degli elementi distintivi dell’Europa? Osservando la Finlandia sembrerebbe proprio che sia possibile.

Il paese baltico, che occupa una superficie territoriale tre volte più grande dell’Italia, con una popolazione di poco superiore ai cinque milioni, è assurto negli ultimi anni tra i leader mondiali in competitività economica. Al secondo posto lo scorso anno, davanti agli Stati Uniti sesti e all’Italia quarantaseiesima per il World Economic Forum; prima per innovazione di sistema secondo il rapporto dell’IMD (International Institute for Management Development). Da qualche anno la competitività finlandese veleggia ai vertici di tutte le classifiche stilate dagli organismi internazionali preposti e fa parlare di se come modello svincolato dalle altre economie avanzate mondiali.Il sociologo spagnolo Manuel Castells, in collaborazione con il filosofo finlandese Pekka Himanen, ha trattato in un testo molto ben dettagliato l’argomento che andremo ad affrontare. Per chi volesse approfondire: Società dell’informazione e Welfare State – Editore Guerini e Associati (2006).

La società contemporanea, nei paesi economicamente avanzati, si contraddistingue per la mutata condizione delle pratiche comunicative umane. Viviamo nella società dell’informazione basata sulla tecnologia e strutturata in reti (networks). Il nucleo dell’economia, in queste società, è rappresentato dalla rete globale dei mercati finanziari che fa dell’information technology il suo strumento esistenziale. Le aziende in questo contesto tendono ad organizzarsi non più in strutture piramidali e gerarchiche, ma in reti interconnesse tra loro. Consulenti esterni, partnership con altre aziende del medesimo settore, collaborazioni con università e istituti di ricerca, relazioni con consumatori e fornitori. Insomma, “l’impresa rete” che va distinta dalla vecchia concezione legata alla precedente società industriale.

La Finlandia è cresciuta in competitività economica negli ultimi quindici anni grazie anche e soprattutto per aver compreso prima di tutte le altre nazioni europee questo cambiamento strutturale. Le accorte e mirate politiche dei governi che si sono succeduti in questi anni ad Helsinki hanno agevolato questo passaggio che ha portato la Finlandia ad essere tra le più ricche economie del pianeta.

Per anni boicottata dalla CEE e dagli USA per la sua politica aperta sia ad ovest che ad est (cioè Mosca), dopo il crollo dell’orso sovietico ha potuto giocarsi le sue carte chiedendo l’ingresso nell’UE (1995) – ma non nella NATO – ed entrando dalla porta principale nel grande casinò della globalizzazione grazie anche ad aziende come Nokia che hanno saputo interpretare saggiamente la metamoforfosi necessaria nella società dell’informazione.

Mentre tutto il mondo occidentale continua a studiare gli Stati Uniti come modello socio economico da imitare o da importare anche solo parzialmente, la Finlandia ha portato avanti le sue innovazioni moderniste senza snaturare il suo sistema sociale e culturale. Il neo liberismo non ha attecchito a quelle latitudini. Sono state si avviate, agli inizi degli anni ’90, delle liberalizzazioni e deregulation ma sempre con l’occhio attento a quell’equilibrio redistributivo e sociale che da sempre costituisce un modello ampiam

Se negli Stati Uniti il rapporto sperequativo è di 1 a 10, cioè che il reddito più basso deve essere moltiplicato per dieci per raggiungere quello del più ricco, in Finlandia è di 1 a 3.

Nel Paese baltico tuttora sanità e istruzione sono garantiti a tutti i residenti in maniera universale e gratuita. Dagli asili nido, sino alle ben organizzate università (20 istituti), lo stato non solo rende senza spese l’accesso e la frequenza, ma interviene anche con sovvenzioni e case in affitto agli studenti che peraltro percepiscono un’indennità economica di studio. Questo fa della Finlandia il paese con il più alto tasso di scolarizzazione.

Sempre per il concetto di società dell’informazione strutturata in reti, le università rappresentano la principale fonte di ricerca per il Paese e per le aziende che interagiscono con investimenti che sono ripartiti per il 70% dai privati, e il rimanente dai due istituti statali (SITRA e TEKES) che godono di una propria autonomia anche finanziaria, sebbene facciano parte del Ministero dell’Istruzione. In Finlandia il 7% del PIL viene investito nella ricerca, contro il misero 1% dell’Italia e il 2,5% degli USA.

In una società dell’informazione, tecnologicamente avanzata come quella finnica, tutto deve essere interconnesso così da rendere le stesse informazioni di immediata fruibilità. Così le università contribuiscono in maniera preponderante alla ricerca scientifica pubblica e privata. Interconnessi fra di loro gli istituti universitari godono anche del beneficio di innuverrevoli librerie consultabili on line. I medesimi dati di ricerca sono messi a disposizione delle aziende che contribuiscono con finanziamenti. Il tutto coadiuvato dai due organi sopra menzionati (SITRA e TEKES) che a loro volta interagiscono con il Consiglio della Politica Scientifica e Tecnologica, che altro non è che una commissione governativa che fa riferimento direttamente al Primo Ministro, atta a promuovere le basi umane e finanziarie dell’innovazione, suggerendo contesti normativi capaci di incoraggiare investimenti nella ricerca e mantenere un istruzione universitaria di alta qualità. Il Consiglio è composto da solamente diciotto membri quali alcuni ministri chiave (Istruzione, Commercio, Industria), rettori e ricercatori di massimo livello nazionale, rappresentanti delle aziende, dell’istituto TEKES e organizzazioni dei lavoratori. Questa continua sinergia fa della Finlandia la migliore espressione della società dell’informazione.

Ma è tutto il contesto sociale che non ha minimamente risentito degli effetti della globalizzazione in cui la Finlandia corre. Per far si che il welfare non fosse un peso e un costo eccessivo anche per le stesse aziende che necessitano di competere nei mercati globali, si sono rese necessarie delle modifiche strutturali che hanno informatizzato qualsiasi processo burocratico rendendolo di immediata fruibilità e dai costi assai limitati. Difatti abbiamo il primo esempio di “Informational Welfare State”, cioè l’introduzione dei metodi della società dell’informazione all’interno del sistema dei servizi sociali. Tra gli esempi concreti: l’infrazione stradale che viene sanzionata sulla base del reddito percepito, la carta magnetica per la gestione dei versamenti fiscali o il progetto Macro Pilot, in fase avanzata di ricerca (anche qui le università), che permetterà ad aziani ed invalidi di poter accedere ai servizi e alle reti sociali allo stesso modo degli adulti che godono di buona salute. Macro Pilot è riuscito a promuovere la cooperazione tra organizzazioni pubbliche, coadiuvate da imprese innovatrici, snellendo e semplificando le molteplici esigenze di cura dei cittadini. Con il permesso del paziente si potranno immagazzinare in un database tutti i dati sanitari di un paziente così da renderli accessibili a medici e farmacisti di tutta la Finlandia, snellendo e facilitando le decisioni mediche. Inoltre con l’ausilio delle tecnologie sarà possibile monitorare la salute del paziente 24 ore al giorno direttamente da casa sua.

A noi che apparteniamo al “secondo mondo” e che un giorno si e l’altro pure riceviamo notizie dai media sulla decadente sanità (non per negligenza dei nostri medici, ma per assenza di investimenti nelle strutture), tutto ciò ci apparirà fantascientifico. Eppure a poche migliaia di chilometri dalle lande italiche ciò corrisponde a realtà.

L’applicazione del concetto di società dell’informazione si rifà, come precedentemente detto, ai pricipi della rete informatica. Tante realtà che interagiscono tra di loro migliorando un’idea, una ricerca, una legge. Non dimentichiamoci che la Finlandia è la patria dell’open source, cioè di quei progetti che in ambito software vengono sviluppati da appassionati programmatori che rendono il codice sorgente disponibile in rete, in modo che con la collaborazione libera e spontanea di altri sviluppatori si possa raggiungere una complessità e perfezione di software maggiore di quanto un singolo gruppo potrebbe ottenere. Le puculiarità del software open source si poggiano sulla gratuitità, personalizzabilità e sicurezza. E’ così che dall’idea di uno studente dell’università di Helsinki (Linus Torvalds) è nato nel 1991 il sistema operativo Linux che oggi nei sistemi server, è di gran lunga il più diffuso a discapito delle varie versioni di Windows che Microsoft si fa pagare profumatamente. Linux come progetto open source continua ancora oggi ad essere in costante evoluzione.

In Finlandia un persona su due gode dell’accesso ad internet. Penetrazione informatica che risale oramai a quasi vent’anni fa, allorquando proprio ad Helsinki nacque il primo Internet Service Provider commerciale del mondo. Per far comprendere meglio lo sviluppo tecnologico di questo Paese basti anche semplicemente pensare alla diffusione della telefonia mobile tra il 1982 e il 1983 grazie al gestore locale Radiolinja (in Italia si ebbe l’inaugurazione della rete GSM solamente nel 1990 con un boom ritardato di almeno quindici anni).

Tornando al welfare e alla sua funzionale applicazione in territorio finlandese, non bisogna dimenticare le politiche per il mercato del lavoro. Se da un lato l’economia globale necessita di flessibilità e deregolamentazione anche di normative sindacali, la sussistenza stessa di un sistema di protezione sociale così elevato, come in Finlandia, avrebbe potuto nuocere alla competitività stessa del Paese. Ciò non è avvenuto in virtù delle politiche a sostegno del welfare. In termini economici si parla di “flexsecurity” vale a dire di flessibilità del lavoro ma anche sicurezza, che è un modo alternativo di affrontare la precarietà richiesta dalla globalizzazione. In Finlandia infatti, vi sono le medesime forme di lavoro flessibili che abbiamo in Italia, ed anche le stesse modalità di attuazione di quest’ultime. Ciò che invece è di segno distintivo sono quelle forme di garanzia come la formazione professionale, gli istituti di collocamento e i congrui assegni di disoccupazione. Se il lavoratore finlandese perde per contratto a termine il suo lavoro, potrà godere di corsi gratuiti di formazione e al contempo attendere la chiamata di un ufficio di collocamento per una nuova opportunità di lavoro. Il tutto mentre percepisce un sussidio mensile di sostegno. L’80% dei lavoratori è iscritto a qualche sindacato. Garanzia di diritti che in altri paesi d’Europa si sono via via sgretolati dagli anni ’80 in avanti. Le percentuali di forza lavoro a tempo determinato o precaria raggiungono valori simili che nel nostro Paese (40%), e così per i tassi di disoccupazione (7,8%), ma la spesa per per la protezione sociale è del 26,9% in Finlandia e del 17% in Italia. Queste cifre evidenziano le differenti strade intraprese dai due Paesi in materia di Welfare State e relative politiche economiche adottate: socialdemocrazia nel caso dei finnici e liberismo per noi. Del resto sono quindici anni che in Italia ci dibattiamo tra Berlusconi e Prodi, il primo imprenditore, il secondo tecnocrate (o boiardo di stato per dirla alla Massimo Fini). Per entrambi la politica viene in secondo piano rispetto alle necessità economiche. Ogni problema viene affrontato in Italia, in termini di rapporto costi benefici per il sistema economico (citazione dall’articolo di Carlo Gambescia del 23 febbraio 2007).

Difficile fare delle previsioni sul futuro economico della Finlandia. La scienza economica, a dispetto di ciò che vogliono farci credere, non è autoregolatrice e nemmeno perfetta. La fantomatica e smithiana mano invisibile non si è mai concretizzata e l’esigenza del Welfare State nasce proprio per correggere e sanare i vuoti lasciati dal sistema economico liberale. Keynes è più che mai attuale anche se le spinte neoliberiste perseverano a piegare le politiche economiche dei singoli stati verso i radicali dogmi della scuola di Chicago. Questa dottrina ha funzionato solamente all’interno di contesti anglosassoni (Ronald Reagan e Margaret Thatcher), anche se a prezzo di un’elevata marginalizzazione sociale (nei soli Stati Uniti più di 50 milioni di persone, su 300 milioni di abitanti, non hanno copertura ed assistenza sanitaria). In America Latina sappiamo tutti i risultati che il neoliberismo ha prodotto, eppure nonostante ciò, organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale continuano, sotto guida statunitense, a proporre a tutti la medesima ricetta. Nonostante l’evidente virtuosismo della Finlandia, l’outlook sviluppato da Paul Wolfowitz e compagnia suggerisce ad Helsinki politiche di riforme prorprio ai danni del Welfare, ed in particolar modo su una radicale riforma delle pensioni. In Finlandia lo stato si occupa della previdenza sociale garantendo lo stesso importo di base a tutti cittadini. La spesa per le pensioni grava per il 35,4% sul PIL contro la media europea del 27,5%. L’invecchiamento della popolazione, che è un problema endogeno del nostro continente, e che ovviamente coinvolge anche il Paese baltico, è stato il giusto pretesto per allarmare Helsinki ed invitarla a procedere con delle radicali riforme.

L’idea che ne abbiamo tratto dopo questi studi sul modello finlandese, è che l’Italia abbia intrapreso un strada ben diversa e certamente più consona ai voleri degli organismi internazionali che sono sotto l’egida di Washington.

Si può accettare la globalizzazione economica senza snaturare la propria matrice sociale e culturale. La Finlandia rappresenta un caso singolare ma di difficile esportazione. Teoricamente ogni paese dovrebbe guardare al proprio humus sociale e culturale e adattarsi alle imperanti leggi economiche globali. Non dovrebbero esistere anche in questo caso (come per la democrazia) modelli universali da applicare in tutto il mondo. Già per le ideologie politiche la storia ci ha insegnato che l’applicazione è stata sempre determinata dal contesto in cui si è sviluppata (per esempio: il comunismo italiano ha avuto ben altri connotati rispetto a quello russo. Lo stesso dicasi tra il socialismo francese e quello tedesco). Il medesimo criterio dovrebbe essere adottato anche per le dottrine economiche. Ciò che va bene per gli Stati Uniti non è detto che funzioni anche in Cile. E’ per questa ragione che la globalizzazione, intendendo con questo termine l’aspetto puramente economico, è una barbarie partorita dalla mente di chi intravede profitti e guadagni da ogni necessità umana. Il tutto con l’imperativo categorico di omogeneizzare bisogni, culture e comportamenti.

In Finlandia tutto questo non è avvenuto. L’integrità nella società dell’informazione non ha scalfito la storica presenza di un generoso Welfare. E’ per questa ragione che non esistono movimenti politici radicali. Insomma, in Finlandia non occorre essere no-global quando a poche decine di chilometri da Helsinki ci si può immergere in conifere immense e centinaia di laghi che continuano ad ospitare gli innumerevoli appassionati finnici dediti alla pesca e alla sauna.

Giuseppe Maneggio
Fonte: http://stonedact.blogspot.com/
Link: http://stonedact.blogspot.com/2007/02/la-lezione-finlandese.html
23.02.2007

NOTA: I dati statistici sono stati ripresi dai siti internet dell’ISTAT, del Tilastokeskus finlandese, dell’Eurostat e naturalmente dal testo di Manuel Castells e Pekka Himanen precedentemente menzionato.

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