La Guerra agli Stupidi

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DI EDMON HARO

Alla fine degli anni  ‘50 se avevi  una intelligenza semplicemente normale, probabilmente nemmeno avresti pensato che il tuo futuro ne sarebbe stato fortemente limitato. L’IQ non era un fattore si conviveva, con cui si misurava la crescita e non era il metro con cui gli altri pensavano di te.  Le referenze che servivano per un buon lavoro, sia in una catena di montaggio che dietro ad  una scrivania, erano integrità, etica sul lavoro e capacità di andare avanti, i capi normalmente non ti pretendevano diplomi universitari e non volevano sapere il punteggio del tuo SAT.  Allora quello che contava per decidere  di assumerti era che ” il  candidato avesse una capacità critica e un profilo personale che dimostrano entusiasmo,  buona presenza,  buon ambiente famigliare e buona salute”.

Dopo il 2010 invece è arrivato un momento terribile per chi non è  brainy- sveglio. Chi si considera brillante, sbeffeggia apertamente chi sembra esserlo meno. Anche in quest’epoca in cui ci si preoccupa tanto per le micro-aggressioni e per le vittimizzazioni, continuiamo a infierire sui  non-smart. C’è gente che preferirebbe buttarsi giù da una scogliera piuttosto che sentirsi non all’altezza della sua razza, della sua religione, di un aspetto fisico che lo uniforma con gli altri o di dichiarare una sua disabilità e, invece di parlarne e far scoppiare una bomba, fa lo spaccone e umilia gli altri  dicendo quanto sono “stupidi”.  Sembra che sia diventata una cosa quasi automatica ogni volta che non si è d’accordo con qualcuno.

Questa forma allegra di derisione sembra particolarmente più crudele quando si riferisce ai gravi abusi che la vita di oggi deve registrare sui meno dotati intellettualmente. Qualcuno sarà sorpreso nel sentire che, secondo un vecchio studio federale del 1979 National Longitudinal Survey of Youth, il QI è correlato con la possibilità di riuscire a trovare un lavoro finanziariamente gratificante. Altre analisi dicono che ogni punto di I.Q. vale centinaia di dollari di reddito annuo, certo questo farà male agli  80 milioni di americani con un QI al di sotto di 90. Il contrasto diventa più acuto specialmente quando chi è meno intelligente viene riconosciuto dalla sua bassa istruzione (che nell’America di oggi è strettamente correlata con i  IQ più bassi). Dal 1979 al 2012, il divario di reddito-medio tra una famiglia con due diplomati al college e una famiglia con due diplomati alla scuola superiore è cresciuto di $ 30.000, in dollari reali. Altri studi hanno inoltre rilevato che, rispetto chi è più intelligente, chi lo è meno ha più probabile di soffrire di malattie mentali, diventare obeso, ammalarsi di cuore, subire danni permanenti al cervello per traumi o finire in prigione, perché loro, maggiormente che i loro colleghi più intelligenti,  sono attratti dalla violenza. E forse muoiono anche prima.

Anziché cercare un modo per dare conforto ai meno intelligenti, chi ha successo e influenza sembra più determinato che mai a tagliar fuori gli altri. Sul sito del lavoro web-Monster si trovano delle perle di saggezza consigliate per scegliere dei dirigenti, tra cui si suggerisce di cercare candidati che, ovviamente, “lavorino duramente”, che siano “ambiziosi” e “belli”, ma che, innanzitutto, siano “smart”. Per assicurarsi di scegliere veramente gente di questo genere, sempre più aziende stanno facendo test sui candidati su una gamma di competenze, criteri e conoscenze sempre più vasta. Il CEB, una delle maggiori  imprese mondiali di selezione personale, valuta ogni anno più di 40 milioni di candidati e il numero di nuovi assunti che dichiarano di essersi sottoposti a quei test è quasi raddoppiato dal 2008 al 2013.

Certo, molte di queste prove servono per individuare la personalità e le competenze della persona piuttosto che la sua intelligenza, ma i test di intelligenza e il cognitive-skills sono frequenti e in continuo aumento. Inoltre, molti datori di lavoro ora chiedono a chi fa domanda di presentare i punteggi del SAT (la cui correlazione con l’ I.Q. è ben consolidata). Molte aziende selezionano solo chi ha un punteggio che rientra nel 5 % più alto. Anche la NFL  ha un suo test per i nuovi assunti, il Wonderlic.

Sì, per fare certe carriere ci vuole intelligenza. Ma quando una bella intelligenza viene sempre più trattata come requisito per un lavoro e viene valutata un certo tipo di prove che si devono superare, allora sorge il dubbio che non si stia cercando esattamente quello che sembra. Il professor Chris Argyris, della Harvard Business School, ha sostenuto che i più smart sono i più indicati per svolgere i peggiori incarichi, in parte, perché non sono abituati a perdere o a criticare gli ordini. Molti studi hanno concluso che competenze interpersonali, consapevolezza di sé e altre qualità “emotive” possono essere i migliori segnali per individuare alte prestazioni lavorative, più che l’intelligenza convenzionale come lo stesso College Board  sottolinea dicendo che i punteggi del SAT non sono mai stati essenziali per una assunzione.
(Per quanto riguarda la NFL, alcuni dei suoi quarterbacks di maggior successo erano a malapena arrivati ai livelli più bassi del Wonderlic, tra quelli che ora sono nella Hall of Famers, Terry Bradshaw, Dan Marino e Jim Kelly.) Per di più, molti posti di lavoro per cui si richiedeva la laurea,  tipo Retail Manager o Assistente Amministrativo, di solito sono stati svolti bene anche da personale meno istruito. Allo stesso tempo, i posti a cui si può ancora arrivare senza laurea stanno scomparendo. L’elenco dei lavori nella produzione che chiedono bassa specializzazione ormai vengono fatti quasi tutti da robot, da servizi online, da App, da interactive-kiosks e da tante altre forme di automazione ….
Tra i tanti tipi di lavoratori per i quali potrebbe suonare presto il campanello troviamo chiunque guida  un’auto per portare persone o cose in giro. Grazie alle automobili senza conducente (per esempio) come quelle che sta sperimentando Google e i drones per le consegne che sta sperimentando  (per esempio) Amazon, oppure ai camion senza conducente. Ma c’è anche chi lavora nei ristoranti, dove robot sempre più economici e accessibili e people-friendly robots come le Momentum Machines e un numero sempre maggiore di App  si apparecchiano i tavoli, si prendono ordini e si paga senza nessun aiuto di esseri umani.  Insieme solo questi due esempi comprendono lavori che occupano circa 15 milioni di americani.
Nel frattempo, il nostro feticismo per l’I.Q.  sta arrivando  ben oltre il posto di lavoro. L’intelligenza e le scoperte accademiche stanno spingendo costantemente sempre più in alto i desiderata  per scegliere un nuovo collega. I ricercatori dell’Università dello Iowa riferiscono che ora per intelligenza si deve intendere qualcosa che supera le competenze domestiche, il successo finanziario, l’aspetto, la socialità e la salute. La fiction più popolare in televisione è  The Big Bang Theory, che segue una piccola banda di giovani scienziati.  Scorpion, che ospita un gruppo di geni, è diventato uno degli spettacoli più seguiti sulla CBS. Il detective-genio Sherlock Holmes ha due serie televisive e un franchising di successo, come se fosse una stella di Hollywood. “Ogni società nel corso della storia ha assunto certi aspetti che esaltano il successo di  pochi”, dice Robert Sternberg, professore di Sviluppo Umano all’Università Cornell ed esperto di valutazione delle caratteristiche degli studenti. “Abbiamo colto le competenze accademiche”.  
Ma cosa intendiamo per intelligenza?  Dedichiamo tanti sforzi per  catalogare le forme meravigliosamente diverse che l’intelligenza potrebbe assumere – interpersonali, fisico-cinestetiche, spaziali e così via – che in definitiva non ci resta praticamente più nessuno che è “non intelligente”. Ma molte di queste forme non fanno aumentare i punteggi o i livelli del SAT e così probabilmente queste intelligenze non si tradurranno in un buon lavoro. Invece di evitare di cercare i modi su cui discutere sull’intelligenza, in modo da non lasciar fuori nessuno, potrebbe avere più senso riconoscere che la maggior parte delle persone non possiede quei requisiti che richiede la versione ufficiale che serve per vivere bene nel mondo di oggi.
Qualche numero può aiutarci per chiarire la natura e l’ambito di questo problema. Il College Board ha preparato un “benchmark  per entrare all’università” che chiede una valutazione di almeno 500 per ogni sezione del SAT, voto sotto il quale non si raggiunge il punteggio di B-  in “un college di quattro anni” .  (Per confrontare questo dato, nella Ohio State University, una buona scuola al 52° posto tra le università USA, sul US News & World Report, le matricole del 2014 sono entrate con una media di  605 nella reading section del SAT e di 668 in matematica).   Quanti studenti delle scuole superiori sono in grado di rispondere ai requisiti previsti dal benchmark  dell’Università?  Non è facile rispondere, perché nella maggioranza degli stati, molti studenti non fanno mai un test di ammissione all’università (in California, per esempio, al massimo il 43% degli studenti delle scuole superiori fa un test del  SAT o dell’ACT). Però possiamo dare uno sguardo a quello che succede in Delaware, Idaho, Maine e District of Columbia, dove si fanno fare i test SAT gratis e dove il tasso di partecipazione è superiore al  90%, secondo The Washington Post.
In questi Stati nel 2015, la percentuale di studenti che ha preso almeno 500 nella reading section variava dal 33% (a D.C.) al 40% (nel Maine), e più o meno ovunque la media era circa 500 sia in reading che in matematica. Considerando che questi dati non includono chi ha lasciato la scuola,  sembra sicuro sia in grado di rispondere al benchmark  richiesto dal College Board, non più di uno su tre studenti americani di scuola superiore .
Possiamo cavillare sui dettagli quanto vogliamo, ma non si scappa dalla conclusione che la maggior parte degli americani non è abbastanza smart per fare qualcosa che ci viene detto è un passo essenziale per riuscire  in questa nostra nuova economia cervello-centrica – vale a dire per fare quattro anni di Università e superarla con voti moderatamente buoni.

Molti hanno creduto in questo sistema e si sono detti  che lavorare sodo doveva servire a far diventare i meno intelligenti più intelligenti. Obiettivo meraviglioso che decenni di ricerche hanno dimostrato come realizzabile con due diversi approcci: riducendo notevolmente la povertà e anticipando il più possibile l’età della scolarizzazione per quei bambini che sembra possano dare scarsi risultati a scuola. La forza di questo legame tra povertà e maggior tempo passato sui libri può far sorridere, visto che non ha nessun riscontro nelle scienze sociali e che ci sia  poco da discutere sul fatto che alleviare la povertà sia una soluzione, ma  governo e società non stanno facendo niente di concreto nel contrastare significativamente i numeri e le condizioni dei poveri.

Comunque sembra che con la scolarizzazione precoce, quando è fatta bene – e per i bambini poveri, lo è raramente –  si possa superare in buona parte il deficit cognitivo ed emozionale che la povertà e altre circostanze ambientali creano nei primi anni di vita. Come anticipato dal noto Perry Preschool Project di  Ypsilanti, Michigan, negli anni ’60,  più recentemente dal Educare Program di Chicago e da altre decine di programmi sperimentali,  istruzione precoce  significa cominciare a studiare a 3 anni o prima, con insegnanti ben addestrati per le particolari esigenze di una istruzione precoce con programmi di alta qualità,  studiati attentamente e per decenni.
E mentre non ci sono risultati che dimostrano che, in assenza di una educazione arricchita, negli anni successivi alla scuola materna, gli studenti raggiungono regolarmente un  IQ più alto,  gli effetti di praticamente tutto ciò che stimola un alto livello di intelligenza rimangono validi per anni  –  voti scolastici più alti, miglior rendimento, maggiori entrate, minor criminalità e miglior salute. Purtroppo, sia Head Start  che altri programmi pubblici di scolarizzazione precoce raramente si avvicinano a questo livello di qualità e non valgono per tutti. In sostituzione di una eccellente scolarizzazione precoce, abbiamo intrapreso una strategia più familiare per ridurre il gap costituito dall’ intelligenza. Per esempio, investiamo i soldi delle nostre tasse e confidiamo nelle riforme della scuola primaria e secondaria, che ricevono ogni anno circa 607 miliardi di dollari tra entrate federali, statali e locali, ma questi sforzi sono troppo poco e troppo tardi: se i deficit cognitivi ed emozionali si abbinano a problemi di rendimento scolastico e non vengono affrontati nei primi anni di vita, tutti gli sforzi futuri probabilmente non serviranno a niente.
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Di fronte a prove che il nostro approccio è sbagliato —  con gli alunni delle scuole superiori che leggono come leggono i bambini di un quinto livello, cosa terribile se confrontata con la media internazionale — ci consoliamo con l’idea che stiamo cercando di trovare i bambini svantaggiati, anche se estremamente intelligenti. Riuscire ad individuarli in una minuscola minoranza di bambini poveri e riuscire a dar loro una opportunità di istruzione eccezionale, ci permette di credere che viviamo come in una fiction, dove non esiste nessun sistema di pari opportunità, come se i problemi di una maggioranza che ha problemi mai risolti, non fosse tanto meritevole di quell’attenzione che dedichiamo alle “gemme trascurate “.   La copertura stampa sminuisce il gap che esiste nei corsi di Advanced Placement  nelle scuole frequentate dai poveri, come se il loro problema fosse solo burocratico o dovuto a carenza fisica di università.
Anche se ci rifiutiamo di combattere la povertà o di dare a tutti una eccellente scolarizzazione precoce, possiamo pensare ad un altro modo per affrontare i problemi della gente. Parte dei soldi spesi per la riforma dell’istruzione potrebbero essere deviati per creare un maggior numero di programmi di istruzione professionale di alto livello (oggi chiamati career e  di istruzione tecnica o CTE). Oggi solo una ogni 20 scuole pubbliche USA è una scuola CTE a tempo pieno e tutte sempre più sovraffollate di studenti. Come la Prosser Career Academy di Chicago, che ha un apprezzato programma CTE. Anche se ogni anno ci sono 2000 domande per questa scuola ed il programma CTE può accogliere meno di 350 studenti.
Il gruppo dei candidati viene spostato con un sistema da lotteria, ma anche il punteggio accademico è importante. Peggio ancora, molte scuole CTE stanno dando sempre più enfasi a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, a rischio di trascurare un aiuto verso quegli studenti che lottano a livello accademico, per non bruciare le loro già eccellenti prospettive nei college e nella futura carriera. Sarebbe molto meglio mantenere alto il focus su gestione alimentare, amministrazione degli uffici, tecnologia sanitaria e, certamente, i mestieri classici, aggiornando la preparazione con tutti gli strumenti informatici necessari.    
Dobbiamo smetterla di esaltare l’intelligenza e trattare la società come un parco giochi per la minoranza intelligente. Dovremmo invece cominciare a modellare la nostra economia, le nostre scuole e anche la nostra cultura con l’occhio di chi guarda alle capacità e alle esigenze della maggioranza e a tutte le capacità umane. Il governo potrebbe, ad esempio, offrire incentivi alle imprese che resistono all’automazione, con conservando così i posti di lavoro per i meno smart. Potrebbe anche scoraggiare gli iter delle assunzioni che arbitrariamente e ingiustificatamente tsgliano fuori i meno ben-dotati di IQ.
Questo potrebbe anche tornare utile ai datori di lavoro: qualunque vantaggio possa portare una bella intelligenza per un impiegato, questo non significa necessariamente che un impiegato più intelligente sia anche più efficace o che sia migliore. Tra le altre cose, i meno bravi sono, secondo studi di esperti di business, più pronti a riconoscere i propri limiti e difetti, e quindi meno disponibili ad assumere quegli atteggiamenti sbagliati che vanno tanto di moda oggi e che continueranno nel futuro, di vivere in uno stato di ansia perenne e di essere arroganti. Quando Michael Young, sociologo britannico, coniò il termine meritocrazia nel 1958, voleva fare della satira distopica. Nel mondo di quell’epoca,  si immaginava che l’intelligenza potesse determinare che stava bene e chi stava male ed era considerata predatoria, patologica e affettata. Oggi, però, quel sistema è quasi completato installato e abbiamo abbracciato l’idea di una meritocrazia che premia i pochi e diciamo che è un sistema virtuoso. Questo non può essere un sistema giusto. Le persone intelligenti dovrebbero sentirsi autorizzate a sfruttare al meglio il loro dono, ma non dovrebbe essere loro permesso di riformattare la società mettendo al centro quel loro “dono speciale” come misura universale del valore dell’uomo.

 

Edmon Haro

Fonte : https://www.theatlantic.com

Link  : https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2016/07/the-war-on-stupid-people/485618/?utm_source=atlfb

Lug-Ago  2016

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario

 

 

 

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