DI STEPHEN GOWANS
What’s Left?
Molti attivisti occidentali si sono mobilitati
a favore di richieste di sanzioni contro il Sudan e di un intervento
ONU nel Darfur. Ma uno sguardo sui recenti interventi occidentali nei
“punti caldi” del mondo suggerisce che questa fiducia è mal riposta.
Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati, e il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU, indicano nobili scopi come fondamento ai loro interventi,
gli obiettivi reali sono invariabilmente conformati agli interessi economici
delle compagnie multi-nazionali e delle banche di investimento che dominano
le politiche dei paesi occidentali. Peggio ancora, l’intervento ha
tipicamente portato al deterioramento delle crisi umanitarie, e non
al loro miglioramento.
Il conflitto come pretesto
Gli Stati Uniti e altre potenze imperialiste
cercano, o provocano, il conflitto in paesi che non dominano politicamente.
Essi utilizzano questi conflitti come pretesti per intervenire in altri
paesi in diversi modi: militarmente, tramite “mandatari” (che possono includere l’ONU), finanziando
un’opposizione interna, o attraverso una combinazione di questi mezzi.
L’obiettivo è quello di sfruttare questi paesi economicamente. Il
controllo politico, tramite un dittatore o un governo fantoccio, permette
ai grandi paesi di proteggere ed espandere gli investimenti delle proprie
compagnie e banche multi-nazionali, nonchè di aprire le porte alle
proprie esportazioni. Ossia, gli Stati Uniti e altre potenze imperialiste
sono impegnate in un’inesorabile ricerca di dominio politico su paesi
che al momento non controllano, al fine di sfruttarne le risorse, il
patrimonio e i mercati, creando o determinando conflitti che forniscano
pretesti al loro intervento. In Yugoslavia, gli Stati Uniti, la Germania
e la Gran Bretagna incoraggiarono i secessionisti a dichiarare unilateralmente
l’indipendenza dalla Federazione Yugoslava ed aiutarono i Kosovari
albanesi ad intraprendere una lotta di guerriglia per rendere il Kosovo
un paese indipendente. I conflitti che ne seguirono con il governo federale
furono presi a pretesto dalla NATO per intervenire militarmente e porre
un freno al conflitto. I governi secessionisti e le guerriglie del KLA
(Kosovo Liberation Army) furono dipinti dai media occidentali come le
vittime, mentre il governo federale, che stava reagendo alle provocazioni,
fu descritto come un istigatore. Il risultato fu che la Yugoslavia venne
ri-balcanizzata e portata sotto il controllo di Stati Uniti e Germania,
che da allora hanno imposto una tirannia neo-liberale e le cui compagnie,
banche e ricchi investitori hanno potuto rilevare il patrimonio federale
in precedenza di proprietà pubblica o sociale. (1)
In Iraq gli Stati Uniti utilizzano il
conflitto tra Sunniti, Sciiti e Kurdi come pretesto per rimanere nel
paese come forza occupante. Se i soldati fossero ritirati troppo presto,
ci viene detto che ne risulterebbe una guerra civile generale (come
se una guerra totale, sostenuta dalle forze statunitensi e britanniche,
non esistesse già). Similmente, ci viene assicurato che, se i soldati
fossero ritirati dall’Afghanistan, Al-Qaeda tornerebbe ad utilizzare
il paese come base delle sue operazioni, conducendo ad una sequenza
di nuovi 11/9. Più di un decennio fa gli Stati Uniti provocarono un
conflitto nel Golfo – o almeno permisero che uno continuasse – quando
l’Iraq non venne fermato dall’ambasciatore americano, April Gillespie,
dopo che chiese l’autorizzazione di invadere il Kuwait. L’Iraq fu
dunque intrappolato nell’intraprendere un’invasione che Washington
utilizzò come pretesto per lanciare la guerra del Golfo. L’effetto
fu quello di avviare il processo di portare l’Iraq, e le sue considerevoli
risorse petrolifere, sotto il controllo degli Stati Uniti. (2)
Il Sudan oggi non è sotto il controllo
politico statunitense e, come l’Iraq, è una fonte immensa di riserve
petrolifere e il candidato
per fornire profitti giganteschi che vengano
raccolti da compagnie petrolifere straniere. L’amministrazione Bush
si lamenta del fatto che il governo del Sudan interferisce nelle industrie
petrolifera e petro-chimica sudanesi. Khartoum non è dunque un sostenitore
delle tre libertà che più stanno a cuore a Washington: il libero commercio,
la libera impresa e il libero mercato. Questo, dal punto di vista di
Washington, rappresenta una minaccia agli interesi della politica estera
(cioè delle grandi compagnie) statunitense. Se la politica sudanese
impedisce alle compagnie petrolifere statunitensi di sfruttare le risorse
del paese, il Sudan rappresenta una minaccia algi interessi della politica
estera degli Stati Uniti. Di conseguenza, deve essere trattato come
un nemico. E in effetti è un nemico – ma solo un nemico della classe
dei membri dei consigli di amministrazione, delle famiglie capitaliste
ereditarie e dei banchieri investitori, nel cui interesse il libero
commercio, la libera impresa e il libero mercato sono promossi e rafforzati.
Il Sudan, il suo popolo, e le politiche economicamente nazionaliste
del suo governo non sono, in ogni caso, nemici delle gran parte degli
Americani. (3)
Esistono conflitti in corso nel Darfur
che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno utilizzato per discutere
dell’intervento occidentale. Esiste un conflitto per l’acqua e la
terra tra le popolazioni sedentarie e quelle nomadi, reso più aspro
dalla desertificazione. Esiste un conflitto tra gruppi ribelli, che
hanno attaccato installazioni governative, e il governo stesso. Ed esiste
un conflitto tra i vari gruppi ribelli. Questi conflitti sono
utilizzati dagli Stati Uniti e dai loro alleati come pretesti per imporre
sanzioni ed argomentare a favore dell’intervento. Ma gli Stati Uniti
non sono più interessati alla soluzione di questi conflitti più di
quanto lo fossero alla soluzione di quelli in Yugoslavia. Essi sono
interessati al dominio politico del Sudan, così che le compagnie petrolifere
di Stati Uniti e Gran Bretagna possano accumulare enormi profitti dalle
grandi riserve di petrolio del Sudan.
Il primato dell’inganno
Non c’era nessun genocidio in Kosovo.
Quando i patologi legali andarono a cercare i resti di migliaia di corpi
che la NATO sosteneva essere nascosti per tutto il Kosovo, essi ne trovarono
duemila – un numero coerente con una guerriglia di piccola scala, non
con una campagna di genocidio. Ma dopo che la NATO intervenne militarmente
con una campagna di bombardamenti di 78 giorni, migliaia di persone
fuggirono, ponti, fabbriche scuole ed ospedali furono distrutti e centinaia,
se non migliaia, di civili rimasero uccisi. Ciò che era una guerriglia
a bassa intensità fu trasformato in una crisi umanitaria dalla NATO.
(4)
Non c’erano armi di distruzione di
massa in Iraq. Ma dopo che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo invasero,
circa 600.000 Iracheni morirono in conseguenza della violenza provocata
dall’invasione, quattro milioni fuggirono dalle loro case, la povertà
divenne dilagante e le infrastrutture distrutte dai bombardamenti statunitensi
e britannici si trovarono in rovina. Un paese un tempo moderno che usava
i guadagni da petrolio per sviluppare se stesso economicamente e per
costruire un robusto sistema di stato sociale fu trasformato da Stati
Uniti e Gran Bretagna in un disastro umanitario quasi senza pari. (5)
Secondo la commissione ONU delegata di
investigare sulle accuse di Washington secondo cui il governo sudanese
stia perseguendo una politica di genocidio, queste accuse non hanno
fondamento. É’ vero, stabilì la commissione, che Khartoum abbia
risposto in modo sproporzionato agli attacchi alle forze governative
da parte dei gruppi ribelli, ed è vero che Khartoum sia implicata in
crimini di guerra, ma la commissione non trovò alcuna prova che il
governo sudanese sia coinvolto nel progetto di tentare di eliminare
un gruppo identificabile, caratteristica fondamentale di una politica
di genocidio. Per come avvengono i disastri umanitari, il disatro in
Iraq è di gran lunga peggiore. Perciò chi si fiderebbe di chi commette
quel disastro – chi, dopo che tutti mentirono sul genocidio in Kosovo
e sulle armi vietate in Iraq – per intervenire in Darfur e risolvere
quella crisi umanitaria? Sarebbe come consegnare le chiavi della propria
auto ad un noto ladro e bugiardo patologico. (6)
Ignorare i conflitti
L’altro lato della medaglia è che
ci sono paesi che gli Stati Uniti già dominano in cui avvengono terribili
disastri umanitari e violazioni dei diritti umani, ma di cui molto poco
viene raccontato. Quando scoppiano conflitti in questi paesi, tali conflitti
sono ignorati dai media occidentali, poichè non sono necessari come
pretesti per interventi da parte dei governi occidentali. In effetti,
è nell’interesse di Washington che questi conflitti non siano portati
all’attenzione dell’opinione pubblica.
In Etiopia, per esempio, migliaia di
membri dell’opposizione furono imprigionati dopo che si svolserole elezioni. Recentemente, il governo ha minacciato di giustiziare dozzine
di capi di opposizione con accusa di tradimento. Giornalisti stranieri
e gruppi in difesa dei diritti umani sono stati espulsi dal paese. Poichè
l’Etiopia è politicamente dominata dagli Stati Uniti, non c’è
ragione per portare il suo deplorevole primato all’attenzione del
pubblico. Non c’è bisogno di creare un caso per un intervento. L’Etiopia
è già sotto il tallone degli Stati Uniti. Di conseguenza, poche persone
sanno qualcosa di ciò che succede nel paese dal momento che l’Etiopia
è fuori dallo schermo radar della demonizzazione dei media occidentali.
Ma è probabile che si conosca Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe,
che molti credono aver commesso tutti i crimini che Meles Zenawi, primo
ministro dell’Etiopia, ha commesso. Tranne che Mugabe non ha arrestato
migliaia di membri di opposizione o minacciato di giustiziare i leader
di opposizione. La differenza tra Zenawi e Mugabe è che Zenawi è un
fantoccio degli Stati Uniti e Mugabe non lo è. Per opporsi alle ingerenze
imperialiste in Africa meridionale e cercare di nazionalizzare l’economia
dello Zimbabwe, Mugabe è nel pieno centro dello schermo radar della
demonizzazione occidentale. (7)
Ci sono circa mezzo milione di persone
rifugiate in Somalia in conseguenza dell’invasione da parte dell’Etiopia,
intrapresa agli ordini del governo degli Stati Uniti. Questo è un disastro
umanitario creato da un “mandatario” statunitense. Non esiste una “Campagna
per la Salvezza della Somalia”. (8)
Nella Repubblica Democratica del Congo
esiste un conflitto provocato dai precedenti “mandatari” degli Stati
Uniti, Rwanda e Uganda, che ha condotto alla morte di quattro milioni
di persone dal 1997. I 200.000 morti del Darfur (80 percento per inedia
e malattie, 20 percento per violenze) sono ben poca cosa rispetto ai
milioni di morti del Congo. Ma mentre esiste una “Campagna per la
Salvezza del Darfur”, non c’è nessuna “Campagna per la Salvezza
del Congo”. (9)
La soluzione per il Darfur
Se l’intervento ONU in Darfur non è
una soluzione – e non lo è – che cos’è? Sebbene talvolta sembri
che le Nazioni Unite siano un corpo neutrale che democraticamente decide
come risolvere i conflitti, ciò non è quello che l’ONU è veramente.
Le Nazioni Unite, su tutte le questioni rilevanti, sono il Consiglio
di Sicurezza dell’ONU, un ristretto gruppo di forze principalmente
imperialiste che fanno ciò che i paesi imperialisti fanno: provano
a spartirsi il mondo tra di esse. Gli Stati Uniti, membro dominante
del Consiglio di Sicurezza, non hanno interesse nella soluzione del
conflitto in Darfur. Essi sono interessati alla instaurazione di una
presenza militare permanente per estorcere al governo sudanese il controllo
sul petrolio del Sudan. Se gli Stati Uniti possono indurre altri paesi
ad impegnare i soldati per raggiungere i loro obiettivi, tanto meglio.
Impantanati in Iraq e Afghanistan, una missione militare ONU per assicurare
lo scopo statunitense di portare il Sudan sotto il dominio statunitense
è uno sviluppo ben accettato a Washington.
Dovrebbe essere chiaro che il risultato
degli interventi ONU e NATO è quello di rendere piccoli conflitti disastri
umanitari. Gordon Brown, primo ministro britannico, sostiene che il
Darfur sia il maggiore disastro umanitario del mondo. Ci sono 200.000
morti in Darfur, ma ce ne sono circa 600.000 in Iraq. Ci sono quattro
milioni di rifugiati in Iraq, e molti meno in Darfur. (10)
Intellettuali liberal come Michael Ignatieff, il precedente professore
di Harvard e oggi aspirante alla carica di primo ministro canadese,
disse che una guerra doveva essere mossa in Iraq a causa di ciò
che Saddam fece ai Kurdi. L’intervento militare statunitense sotto
l’autorizzazione dell’ONU fu ritenuto portatore di pace, prosperità,
diritti umani e democrazia tra le sponde del Tigri e dell’Eufrate.
Ciò che portò fu invece qualcosa di molto peggiore di ciò in cui
Saddam Hussein era coinvolto. (11)
La soluzione per il Darfur è fermare
la pressione sull’amministrazione USA per l’intervento in Sudan
e cominciare a fare pressione sull’unico gruppo ribelle che non firmerà
un accordo di pace affinchè lo faccia. Khartoum si è seduta al tavolo
con i gruppi ribelli per elaborare un accordo di pace ed un unico gruppo
ha rifiutato anche solo di partecipare agli incontri. I conflitti non
possono essere risolti se una delle parti non è interessata alla pace.
Nè possono essere risolti se forze potenti stanno usando i conflitti
come pretesti per invadere ed imporre sanzioni.
Se si impone una pressione sugli strenui
ribelli per giungere alla pace con Khartoum, e la pace ne consegue,
cosa avverrà dopo? Gli attivisti che protestavano a favore dell’intervento
occidentale in Darfur volgeranno il loro sguardo per salvare il Congo
dalla sua crisi umanitaria? La pressione popolare sarà rivolta ad indurre
l’Etiopia a ritirarsi dalla Somalia? E cosa, riguardo all’Iraq? Le
stesse persone che si scandalizzarono con profondo risentimento morale
per il Darfur, chiederanno l’immediato ritiro dei soldati stranieri
dall’Iraq? Non dovrebbero forse chiedere questo, come prima cosa?
Dopo tutto, le dimensioni del disastro iracheno sono peggiori di quello
in Darfur, e sono gli stessi governi degli attivisti ad aver commesso
il disastro maggiore.Si potrebbe pensare che i popoli statunitense ed
inglese darebbero priorità ad azioni per l’immediato ritiro dei
soldati dall’Iraq, piuttosto che incanalare le loro energie per spingere
i governi che mentirono e determinarono tragedie in Yugoslavia e Iraq
ad intervenire in un altro paese ricco di petrolio. Gli attivisti hanno
l’obbligo di capire i modelli istituzionali di comportamento dei loro
stessi governi, di indagare le forze che determinano quei modelli, e
di evitare che l’emozione comprometta la ragione e la capacità di
analisi. Non è bene che si permetta ai nostri stessi governi e mezzi
di informazione di mobilitare le nostre energie al fine di agire per
conto di finalità imperialiste, distraendoci nel contempo da progetti
che siano legittimamente nell’interesse della maggior parte dell’umanità
intera.
Note:
(1) Michael Parenti, To Kill a Nation
[Uccidere una nazione, ndt], Verso, 2002; Elise Hugus, “Eight Years
After NATO’s ‘Humanitarian War’: Serbia’s new ‘third way’”
[“Otto anni dopo la ‘guerra umanitaria’ della NATO: la nuova ‘terza
via’ della Serbia”, ndt], Z Magazine, April 2007, Volume 20, Number
4.
(2) David Harvey, The New Imperialism [Il nuovo imperialismo, ndt],
Oxford University Press, 2005.
(3) Nativdad Carrera, “U.S. imperialists increase efforts to recolonize
Sudan” [“Gli imperialisti USA aumentano gli sforzi per ri-colonizzare
il Sudan”, ndt], Party for Socialism and Liberation, November 3, 2006, http://www.pslweb.org/site/News2?page=NewsArticle&id=5949
(4) Parenti; Stephen Gowans, “Genocide or Veracicide: Will NATO’s
Lying Ever Stop?” [“Genocidio o Vericidio: finirà mai la NATO di
mentire?”, ndt] Swans, July 23, 2001, http://www.swans.com/library/art7/gowans02.html
(5) Stephen Gowans, “The Unacknowledged Humanitarian Disaster” [“Il
disastro umanitario non riconosciuto”, ndt] What’s Left, August
1, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/08/01/the-unacknowledged-humanitarian-disaster/
(6) Stephen Gowans, “Ethiopia, Zimbabwe, and the Politics of Naming”
[“Etiopia, Zimbabwe, e la politica dei nomi”, ndt] What’s Left,
July 9, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/07/09/ethiopia-zimbabwe-and-the-politics-of-naming/
(7) Ibid.
(8) Ibid.
(9) Ibid.
(10) The Unacknowledged Humanitarian Disaster
(11) Stephen Gowans, “Ignatieff’s Mea Culpa” [“Il mea culpa
di Ignatieff”, ndt] What’s Left, August 5, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/08/05/ignatieff%e2%80%99s-mea-culpa/
Stephen Gowans
Fonte: http://gowans.wordpress.com/
Link
07.08.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICHELE