LA CRISI DEL DELTA DEL NIGER

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blankLO SCONTRO TRA SOLIDARIETA’ CULTURALE E INTERESSI DELLE CORPORATION

DI JESSICA LONG
Dissident Voice

“Nel mondo occidentale, dite che l’ignoranza sia una benedizione. Qui in Africa, noi diciamo che l’ignoranza uccide”
— Orikinla Osianki

Era il 1956 quando la Royal Dutch Shell ha scoperto il primo pozzo petrolifero nel delta del Niger. Da allora è trascorso mezzo secolo, ma ancora gli interessi delle corporation occidentali pretendono il loro tributo. Il 13/08/2007 anziani operai addetti alle pompe minacciarono di lasciare la regione del delta se la violenza fosse continuata. Per tutta risposta, l’esercito è sciamato per le strade di Port Harcourt, perquisendo persone “sospette”. Con una mossa fin troppo prevedibile, il presidente Bush ha mandato delle motovedette per aiutare il presidente Obasanjo nella sua aggressiva tattica da stato di polizia. Sono gli sforzi bi-laterali di queste lobby economiche ad aver costretto i ribelli del Delta a risposte estreme e disperate. Sono stati tutti etichettati come “cattivi soggetti” (questo termine preciso è usato su un articolo apparso su allafrica.com). Ma, come spesso accade, non si è tenuto conto dei loro mirati tentativi di riforma… nelle discussioni appaiono solo le loro azioni, non le loro motivazioni. Tuttavia, la crisi del delta del Niger è un classico esempio di come la degradazione economica ed ambientale abbia condotto ad un esito violento, che ha – a sua volta – suscitato la solidarietà culturale. La storia della Nigeria è la storia di un lungo – e tutt’ora in corso – sfruttamento ambientale, economico e culturale.

Le risorse naturali sono basilari per l’economia nigeriana; il petrolio è la fonte del 90% dei profitti dell’esportazione e dell’80% di quelli statali. Oggi, la Nigeria guadagna annualmente 7 miliardi e 9 milioni di dollari grazie al greggio. Questo successo nell’industria petrolifera ha permesso alla Nigeria nel 1971 di essere l’11° paese ad entrare nell’OPEC. Ma secondo l’UNDP [organo apposito delle Nazione Unite, ndt], la Nigeria, per tasso di povertà, è il 151° paese sui 177 presi in considerazione.

Nel paese, il numero di persone, che vive al di sotto della soglia di povertà è compreso tra i 50 e gli 80 milioni. Nel delta del Niger, il fulcro dell’estrazione di greggio, il 72% degli abitanti non ha i minimi mezzi di sostentamento. Non dovrebbe essere possibile che una nazione con così tante risorse sia afflitta da un’ininterrotta crisi economica, scoppiata nell’anno della sua liberazione, il 1960. Il governo federale nigeriano, agendo a stretto contatto con le multinazionali del petrolio, lavora costantemente per difendere tali ideali borghesi. Gli abitanti del delta del Niger, pur vivendo nell’era del mercato globale, sono costretti ad essere – economicamente – ridotti allo stato vegetativo. Forse tali scenari acquistano un senso quando si apprende che è il 10% della popolazione a gestire il 40,8% della ricchezza del paese. E davvero le mani della casta dominante sono da mettere sotto accusa. Quando alcuni insistono nell’affermare che l’economia petrolifera sia la piattaforma ideale per lanciare piani di sviluppo, il cammino verso il benessere ristagna. Come già visto spesso in passato: c’è un conflitto tra l’agenda dei capitalisti e gli sforzi umanitari.

Per decenni, gli abitanti della zona del delta del Niger hanno manifestato pacificamente, onde promuovere strategie di riforma: ma invano. Al di fuori di piccole insurrezioni negli anni ’90, tutte le azioni violente, portavano lo stemma del governo nigeriano ed erano atte a mantenere la stretta delle corporation sull’economia mondiale. Comunque, gli indigeni del delta hanno continuato a proporre idee di riforma mirate ad alleviare la situazione: hanno richiesto delle compensazioni – da raggiungersi per via istituzionale o finanziaria – per le comunità produttrici di greggio e di approvare disegni di legge, per una migliore difesa delle risorse naturali.

Nonostante tutto, i rimborsi e l’efficienza dei piani di sfruttamento delle risorse sono ben lontani dall’essere una realtà. Naturalmente, il degrado economico, morale ed ambientale persiste, per quanto, ormai da molte decine di anni, siano l’oggetto di manifestazioni pacifiche e di progetti di riforma. Ma adesso il caos domina la scena. La frustrazione, cui i riformisti sono stati condotti dalla mancata attenzione nei confronti dello sfruttamento ed il degrado generale da parte dell’industria petrolifera, ha – a sua volta – fatto sì che il mondo delle corporation irrigidisse ancor più la propria posizione. La Commissione d’Indagine per la Violazione dei Diritti dell’Uomo ha affermato che “Il petrolio, uno dei beni maggiori che Dio ha concesso al nostro paese, si è trasformato in una maledizione. Nelle mani dell’elite dominante e della casta politica, il petrolio è diventato lo strumento che emana i rintocchi di morte per il buon governo”. (Civil Society Forum 2005)

Mentre il mondo fa finta di non accorgersi dei problemi etici sollevati dalla questione del delta del Niger, gli atti di violenza e vandalismo aumentano in maniera esponenziale. I futili tentativi di riforma, hanno dato vita a violente distruzioni contro le industrie petrolifere, che hanno speso milioni di dollari in riparazioni. Il livello di discussione attorno all’argomento è salito di pari passo all’interessamento delle persone che hanno preso la via della militanza, hanno piazzato bombe alle raffinerie, hanno rapito gli operai.

Chi è da accusare? E soprattutto, come è possibile uscire da questa situazione? Alcuni studiosi, come Antony Medaugwu, definiscono come causa dell’instabilità le infrastrutture ed in generale il governo federale nigeriano: “la NEPA e le raffinerie sono due delle autorità additate ad essere manipolate. È cura del governo accentuare tali elementi anti-progressisti e cooperare con essi”. Ma fintanto che i profitti della produzione rimangono in mano dell’elite politica, la questione non si riferisce solo all’ambito statale, ma anche quello delle corporation. Da qui si capisce perché questi atti di vandalismo non siano diretti solamente contro le autorità del governo federale. Queste violenze, contro ambo i bersagli, sono perpetrare per avere risonanza mondiale. Per citare J.F. Kennedy “chi rende impossibile le rivoluzioni pacifiche, rende quelle violente inevitabili”.

A prima vista sembrerebbe che il primo ostacolo per gli indigeni sulla strada della loro protesta sia la frammentazione culturale. Con più di 250 identità culturali diverse, la storia della regione è una complessa tela di conflitti culturali. Ma nell’idea della contestazione, la comunanza culturale è cruciale per tentare una trasformazione. Nonostante anni di conflitti, vari gruppi tribali nigeriani si sono uniti nella resistenza contro i federali e le compagnie del greggio.

Il Movimento Chikoko consta dei gruppi Ijaw, Itzekiri, Ogoni, Andoni e Ilage, presente all’interno del Congresso delle Genti Odua, è un esempio dell’aggregazione culturale della regione. Nel febbraio 2006, molti operai sono stati presi in ostaggio da capi militanti armati, che si identificano nel ceppo Ijaw. Il gruppo organizzò anche una serie di scioperi, in cui 14 persone persero la vita ed altre 11 risultarono ufficialmente disperse. Per quanto gli Ijaw siano uniti ad altre tribù, agiscono in maniera estremamente autonoma nel compiere azioni rese estreme dal contesto generale. Più di altre tribù, gli Ijaw sono estromessi dalla politica e dalla società ufficiali nigeriane. A causa delle raffinerie, la salute di questo gruppo si è estremamente deteriorata, così come l’equilibrio della loro terra natia.

La violenza continua ancora. Al montare della tensione, minuscoli conflitti culturali cominciano a rinfocolarsi e a dare via alla sollevazione generalizzata. È più fruttuoso opporsi come un corpo unitario che in veste di una rete di individui. Lentamente, tattiche rivoluzionarie stanno prendendo campo, a discapito del contesto del mercato delle corporation. La continua agitazione ha diminuito l’esportazione giornaliera di greggio del 10%, toccando il picco negativo dei 2,5 milioni di barili. Ormai sono molti in Nigeria quelli cha hanno capito che la forza, donata dall’unità culturale, può essere un’ottima base per un’opposizione reale. L’ostacolo principale rimane il distogliere i ricchi possidenti nigeriani dalle avance della “corpotocracy” [regno delle corporation, ndt].

Jessica Long
Fonte: http://www.dissidentvoice.org/
Link: http://www.dissidentvoice.org/2007/08/the-niger-delta-crisis/
25.08.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GUGLIELMO MENICHETTI

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