DI VIKTOR PIROZENKO
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Sulla politica cinese del costringere gli Stati Uniti a negoziare
La crescente disputa commerciale tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese ha provocato sulla stampa occidentale un’ondata di supposizioni sul “fallimento della Cina”, per le caratteristiche della Repubblica Popolare Cinese come un gigante dai piedi di argilla, e così via. È stato riferito che le azioni delle compagnie cinesi “crollano”, che a causa del conflitto commerciale “l’autorità di Xi Jinping ne ha risentito seriamente”. A conferma dell’ultima tesi sono stati citati gli articoli di critica e le valutazioni di alcuni economisti cinesi dei centri universitari e di altri think tank della Repubblica Popolare Cinese.
In linea di principio, all’attuale Presidente della Repubblica Popolare Cinese viene opposto Deng Xiaoping, che ha stabilito un “rapporto di cooperazione con gli Stati Uniti”, in modo che “in 40 anni di riforme … il Paese ha raggiunto una crescita economica senza precedenti e lo sviluppo”. Si consiglia alla Cina di ridurre il ruolo dello Stato nell’economia, di introdurre la proprietà privata della terra, di dare più libertà politica alle autorità provinciali e così via. Se questi consigli sono liberi dalla scorza delle parole, a Pechino viene raccomandato, come reazione all’offensiva degli Stati Uniti nella guerra commerciale, di condurre una “ristrutturazione” come quella che Mikhail Gorbachev ha condotto nell’Unione Sovietica. C’erano tali “raccomandazioni” anche nei media liberali russi.
Qui dobbiamo immediatamente collocare i puntini sopra le i: una potente svolta nell’economia, nel garantire il progresso scientifico e tecnologico, nell’emergere della Cina in posizione di seconda superpotenza, era proprio il modello “non liberale” che forniva il ruolo di guida dello Stato nella produzione economica e nella posizione dominante del Partito Comunista nel sistema il potere. La guerra commerciale imposta alla Cina dagli Stati Uniti è un tentativo di fermare la Cina sul suo cammino.
Alcuni esperti ritengono che la Cina sia abbastanza forte economicamente da non soccombere alla guerra commerciale e portarla a una fine vittoriosa (sebbene possano esagerare il grado di autosufficienza del Paese). Altri suggeriscono che la Cina non dovrebbe essere coinvolta in uno scontro con l’America, poiché non ha ancora raggiunto una pari forza economica in comparazione con essa. I sostenitori del secondo punto di vista non vogliono essere d’accordo sul fatto che il ritorno ai tempi delle riforme di Deng Xiaoping sia impossibile, perché grazie a queste riforme, la Repubblica Popolare Cinese ha stabilito la sua posizione nel mondo, ma gli Stati Uniti si rassegneranno a ciò.
Il problema per la Cina è diverso. Molti eminenti economisti e politologi cinesi che lavorano con sovvenzioni americane si sono trasformati in propagandisti del modello americano (e generalmente occidentale) per la Repubblica Popolare Cinese. La guerra commerciale in generale ha dato stimolo alla quinta colonna cinese(1).
La Pechino ufficiale evita gli estremismi. Nella colonna editoriale del Global Times, la versione in lingua inglese della pubblicazione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese «Huanqiu Shibao», la posizione della leadership della Repubblica Popolare Cinese è definita come segue: “La guerra commerciale farà male a entrambe le parti, ma in fin dei conti sarà conclusa con le trattative. Gli Stati Uniti sperano ancora di ottenere benefici applicando un’estrema pressione sulla Cina. Dobbiamo convincere l’America che non raggiungerà il suo obiettivo prefissato e portare questo messaggio a lei con le nostre azioni”. In altre parole, costringere gli Stati Uniti a dialogare. Ci sono risorse per fare ciò.
Nella prima metà del 2018, l’economia cinese è cresciuta del 6,8%. Per un confronto: dopo aver preso una serie di misure, comprese la riduzione delle imposte, nel secondo trimestre l’economia statunitense ha raggiunto una crescita del PIL del 4,1%. Sullo sfondo di tali tassi di crescita dell’economia cinese, la lenta svalutazione dello yuan sostiene la competitività dei prezzi delle esportazioni cinesi, neutralizzando parzialmente le sue perdite nel mercato statunitense, dovute all’innalzamento dei dazi. Il profitto delle imprese statali cinesi dell’industria pesante, per la prima metà dell’anno, è aumentato del 17,2%.
La correttezza della linea scelta da Pechino per costringere gli Stati Uniti al dialogo è confermata dai calcoli dell’Istituto di economia e politica mondiale dell’Accademia delle scienze sociali della Repubblica Popolare Cinese. Il dazio del 25% sulla massa delle importazioni cinesi del valore di 50 miliardi di dollari, introdotto negli Stati Uniti, ridurrà le esportazioni cinesi negli Stati Uniti del 3,4%, mentre la crescita delle esportazioni cinesi in America diminuirà solo dello 0,75%. Se gli Stati Uniti, come minaccia Trump, introdurranno un dazio del 25% per tutte le importazioni cinesi, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti diminuiranno del 37%, mentre la crescita totale delle esportazioni cinesi diminuirà dell’8,2%; mentre l’intero volume delle esportazioni della Repubblica Popolare Cinese diminuirà solo dello 0,34% (l’America non è l’unico Paese in cui le merci cinesi sono ben accette). Questo non è un problema serio. Nel bel mezzo della crisi finanziaria globale del 2009, la crescita delle esportazioni della Repubblica Popolare Cinese era diminuita del 16%, ma anche allora l’economia cinese ha mantenuto un alto tasso di crescita del PIL di circa l’8% all’anno.
Un duro confronto con l’Occidente nella guerra commerciale, pur mantenendo il principio di autosufficienza, rafforza l’autorità della leadership politica della Repubblica Popolare Cinese e consente al Paese, sottoposto a pressione commerciale ed economica, di non perdere, anzi di vincere.
Viktor Piroženko
Fonte: https://www.fondsk.ru/
Link: https://www.fondsk.ru/news/2018/08/31/mozhet-li-kitaj-proigrat-torgovuju-vojnu-soedinennym-shtatam-46698.html
31/08/2018
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da NICKAL88
Note a cura del traduttore
- 1) Quinta colonna – organizzazione a carattere militare (più o meno informale) che opera clandestinamente all’interno di una nazione o città per favorire l’invasore o il nemico.
Sebbene le sue origini appartengano all’ambito militare, l’espressione si è diffusa in contesti più vasti, compreso quello politico.
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Quinta_colonna