La California fa ancora parte degli Stati Uniti ?

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FONTE: DEDEFENSA.COM

La California, elegante modello di secessione

La California fa ancora parte degli Stati Uniti ? Porre la domanda è come risponderle, si ha l’abitudine di dire, giustamente, -in tutti i casi è come suggerire di essere pronti a rispondere nel senso che s’ indovina-   naturalmente negativo. Si sa che il destino della California ci interessa particolarmente in quanto questo potente Stato dell’Unione, che conta 38,8 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo di 2.488 miliardi di dollari, presenta a nostro giudizio tutte le caratteristiche di uno Stato potenzialmente assai vicino alla secessione, cosa che costituirebbe un avvenimento catastrofico per la coesione, l’unità e in breve per l’esistenza stessa degli Stati Uniti, a causa dell’effetto simbolico, psicologico, geostrategico e anche metastorico del fatto. Si deve comunque completare il quadro immaginando l’effetto di trascinamento che avrebbe lo sbriciolamento di un tabù e di un simbolo imperativo che costituisce il freno principale se non esclusivo alla logica centrifuga che affligge questa federazione sin dalle sue origini del 1776-1788 dopo la vittoria violenta del Nord nel 1865. Un’analisi molto recente, più precisa e meglio documentata, mostra come il voto della California è l’unico responsabile del vantaggio della Clinton su Trump nel quadro del voto popolare nazionale. La costatazione dell’evidenza dei fatti, annulla completamente la pretesa di un voto prevalente per Clinton rispetto a Trump su tutto il territorio nazionale, perché tutto il vantaggio le viene da una regione locale estremamente circoscritta, un solo Stato dell’Unione dal quale tanti segnali evidenziano che vuole liberarsi dai vincoli dell’unione nazionale. (Mentre Clinton sorpassa Trump di 1.322.095 voti a livello nazionale, la differenza dei voti in California è di 5.589.936 voti per Clinton a fronte di 3.021.095 voti per Trump , ovvero una differenza di più di 2,5 milioni di voti).

Al contrario, il voto della California è l’unico responsabile di questa superiorità contabile di Clinton, e crea un disequilibrio politico estremamente dannoso per gli Stati Uniti; da una parte alimentando la volontà di indipendenza della California accentua la rottura tra la California anti-Trump e il resto degli Stati Uniti pro-Trump; dall’altra esaspera tutti i temi social-progressisti che sono stati opposti violentemente a Trump e non giustifica politicamente questa radicalizzazione, perché la posizione apparentemente social-progressista della California è il paravento di una realtà completamente diversa e si può controbattere dicendo che rappresenta il cammino verso un’unità culturale non americanista secondo temi che sono all’opposto del progressismo sociale. ( I Latinos diventati la prima comunità specifica della California nel 2014 con il 14,9% della popolazione contro il 14,02 % dei Bianchi [gli abitanti di origine ispanica pura e i meticci arrivano quasi al 40% della popolazione] sono evidentemente legati al Messico e conservano delle usanze tradizionali della loro cultura di origine, più o meno dissimulate, che sono il contrario della concezione multiculturale, antitradizionalista, del progressismo sociale; dunque hanno votato più contro Trump che pro Hillary nella misura in cui percepiscono Trump come una minaccia americanista contro la loro cultura e la loro tradizione, mentre i democratici si cullano nell’illusione che questo voto sia un rinforzo per le tesi multiculturaliste e antitradizionali del loro progressismo sociale.)

Il sito Investors.com del 16 dicembre offre un calcolo preciso del voto della California in rapporto al voto nazionale e osserva che la California ha votato più democratico che nel 2012, che è l’unico Stato dell’Unione dove la vittoria della Clinton nel voto popolare è stata persino superiore a quella di Obama nel 2012 e che se si escludesse la California dal voto nazionale, Trump riporterebbe una larga maggioranza di voti negli Stati Uniti senza la California. (Il voto popolare nazionale, se conteggiamo gli Stati Uniti tenendo fuori la California, darebbe 1,4 milioni di voti di vantaggio a Trump ribaltando completamente, e anche di più, il vantaggio che la Clinton ha su di lui, comprendendo la California.)

La California è l’unico stato in effetti dove il margine di vittoria di Clinton è stato maggiore di quello del presidente Obama nel 2012 con il 61,5% a fronte di un 60% di Obama.[…] Se tenete la California fuori dal conteggio dei voti popolari, allora Trump vince in tutto il resto del Paese con un vantaggio di 1,4 milioni di voti. E se la California avesse votato come ogni altro Stato Democratico dove Clinton ha vinto con una media del 53,5% Clinton e Trump sarebbero arrivati a una votazione di ballottaggio. (Questo non è successo nel 2012 perché Obama ha battuto Romney di due milioni di voti quell’anno, senza contare la California.)

Questi risultati sono molto significativi, se non decisivi dal punto di vista statistico, in quanto si accompagnano a un’astensione di circa 5 milioni di persone, molto più di quello della votazione di Obama nel 2012, molto più che la media nazionale e mettono in luce un disinteresse per la crisi nazionale che è specificamente americanista. Si accompagnano ad una situazione politica che vede la quasi completa eliminazione dei repubblicani conservatori come forza politica, cosa che lascia la California quasi completamente nelle mani dei Democratici e questo in una progressione dinamica dal 2008, che si accompagna all’aumento della comunità latina fino al punto simbolico di equilibrio del 2014, quando la comunità Latina ha sorpassato i Bianchi o gli Americani Caucasici ed è diventata la prima comunità specifica della California. (E ancora non contiamo gli illegali non censiti, in uno stato dove il numero assoluto di immigrati illegali latini è di gran lunga il maggiore di tutti gli Stati Uniti; gli illegali dovrebbero raggiungere circa i 3 milioni in California, cifra evidentemente non eguagliata in nessun altro Stato e con una percentuale che si avvicina alla percentuale massima di clandestini dello stato del Nevada che conta il 7,2 % della popolazione [ circa il 7 % in California].)

“Negli anni scorsi la California si è trasformata in ciò che sembra lo stato di un solo partito. Tra il 2008 e il 2016 il numero di Californiani che si sono iscritti nelle liste dei democratici è salito di 1,1 milioni mentre il numero dei Repubblicani registrati è diminuito di almeno 400.000 . Per di più, molti repubblicani dello Stato non hanno avuto nessun candidato per cui votare in Novembre. Ci sono stati due Democratici e nessun Repubblicano nella corsa per sostituire la senatrice Barbara Boxer. Non c’erano repubblicani al ballottaggio per i posti di rappresentanti alla Camera in nove distretti elettorali californiani [la California ha 53 deputati rappresentanti – N.d.T.]. A livello statale sei circoscrizioni non avevano Repubblicani che corressero per il Senato dello Stato e in 16 circoscrizioni non c’erano Repubblicani in corsa per il Parlamento dello Stato.

“Aggiungiamo che i Repubblicani sapevano che la Clinton avrebbe vinto in California riportando tutti e 55 i voti elettorali, e perciò dare il voto a Trump era virtualmente privo di significato, perché Clinton avrebbe conquistato tutti e 55 i voti qualunque fosse il suo margine di vittoria. C’è da meravigliarsi che Trump abbia preso l’ 11% di voti in meno di quelli presi da John McCain nel 2008? (Clinton ha preso il 6% di voti più di quelli che ha preso Obama 8 anni fa, ma il numero di Democratici registrati dello Stato è salito del 13% durante questi anni.)”

Queste diverse condizioni e secondo noi la pressione sotterranea della maggioranza Latinos che si fa sentire indirettamente e che spesso è male interpretata, ma che è di forte intensità, fanno sì che la direzione democratica della California vuoi per opportunismo, vuoi per settarismo (male interpretato), sia di un estremismo notevole e di grande arroganza, in rapporto al centro dello stato Federale, da quando questo è diventato “trumpista”. Questo è totalmente ignorato per esempio dalle autorità europee, che continuano a vedere gli Stati Uniti come un blocco e stanno ancora lì a chiedersi se bisogna prendere ufficialmente contatto con la squadra Trump – e hanno perso non solo un treno, ma una serie senza fine di treni… Dobbiamo ricordare le manifestazioni di questo estremismo e di questa arroganza che in verità, se analizzate in profondità, rivelano molto di più l’impronta di un partito democratico completamente assorbito nel ruolo di “utile idiota”, in quanto non tiene nessun conto della pressione sotterranea dei Latinos, che promette di diventare rapidamente e naturalmente secessionista. ( Aggiungiamoci, ciliegina sulla torta della stupidità dei social-progressisti, che due grandi centri di potere e di pressione californiani- i Baby miliardari di Silicon Valley e le stelle di Hollywood ultra politicamente corretti- sono dei fanatici del progressismo sociale della iper-sinistra.)

“Ecco una citazione del nostro articolo del 9 dicembre ché bisogna tenere a mente: ”Numerosi risultati e comportamenti tendono a dimostrare come la California è stata un’eccezione durante le votazioni presidenziali, ed è un’eccezione che implica uno stato d’animo differente dal resto degli Stati Uniti, uno stato d’animo secessionista anche se ancora per un bel po’ non si tratterà che di un’inclinazione psicologica non cosciente. Secondo noi è per questo motivo che le autorità che rappresentano lo Stato reagiscono con tanta violenza contro Trump, in quanto egli è considerato il rappresentante del “centro”, e non tanto perchè sia il presidente Trump in quanto tale. In effetti non abbiamo sottolineato a sufficienza questa violenza che abbiamo menzionata nel testo apparso il 7 dicembre; ripetiamo qui quella citazione tanto ci pare significativa dello stato d’animo che rispecchia la posizione della California- effettivamente dei democratici californiani, ma la cui forza straordinaria che è al limite della legalità ed al limite degli usi e dei costumi nelle relazioni istituzionali tra gli Stati e il “centro”, non è stata neanche per un momento oggetto della più piccola osservazione da parte della direzione centrale del partito. Senza dubbio la dirigenza centrale considera che una tale reazione sia in linea con la tendenza social-progressista che caratterizza l’attuale politica ufficiale dei democratici (ma che è contestata ormai da una minoranza del partito che ne vede chiaramente il pericolo per la coesione degli Stati Uniti)-; ma questo alimenta con un’energia inattesa la tendenza secessionista di cui si vedono i segni dovunque, esaminando il caso della California in queste elezioni presidenziali…

<“Si può ugualmente citare il discorso che lo speaker dell’assemblea dello stato della California, il democratico Anthony Rendon, ha tenuto durante queste cerimonie, chiamando i californiani a rifiutare l’unità nazionale e ad apparentarsi ad uno stato secessionista; egli paragona la situazione a quella della seconda guerra mondiale e la California in questa analogia è il Regno Unito di Churchill nelle ore buie del 1940-41, sottintendendo che l’amministrazione Trump e il centro Washingtoniano sìano una replica postmoderna della Germania nazista: <I californiani non hanno bisogno di medicine. Noi abbiamo bisogno di combattere>- ha dichiarato. Rendon ha chiamato l’amministrazione Trump un enorme attentato esistenziale paragonabile alla Seconda Guerra Mondiale…[…] Citando un discorso del tempo di guerra di Winston Churchill, Rendon ha dichiarato che i Californiani sfideranno il governo federale ed i suoi sforzi per fare applicare la legge contro l’immigrazione, e proteggeranno gli “interessi “ dello Stato.> “

LATINOS E DEMOCRATICI SI TENGONO “PER IL PIZZETTO.”

Nella sua posizione attuale e data la sua composizione [di popolazione – N.d.T.], la California è il solo Stato (forse con il Texas, dove però la situazione è evidentemente diversa) nel quale l’idea di secessione non è una scommessa, certo rispettabile, difesa soltanto da associazioni senza grande peso e poco diffusa nel sentire comune. La ragione di questo è chiaramente la pressione dei Latinos di varia provenienza che hanno un posto così grande nello Stato; per quanto sembrino integrati nondimeno restano assai vicini ai loro paesi d’origine, con dei legami costanti in particolare con il Messico confinante e la doppia nazionalità per coloro che lo desiderano; pur essendo sostenitori dei democratici attualmente multiculturalisti, atei e social-progressisti, restano per altro in maggioranza molto conservatori, molto attaccati solo alla loro cultura di Latinos, cattolici praticanti e cattolici esotici ma piuttosto nel significato di una tradizione esasperata, piuttosto che nel senso della post-modernità adottata dalla gerarchia cattolica europea seguace dell’arte contemporanea; in breve cittadini americani, ma un po’ al modo dei Sudisti del 1861 quando Robert E. Lee, il generale al quale si proponeva di comandare l’esercito dell’Unione del Nord, il 19 aprile 1861 rifiutò, per prendere il giorno appresso il comando dell’armata della Virginia del Nord, sudista, semplicemente perché -spiegò- “la Virginia è la mia patria”…

La cosa più interessante della situazione della California sono i rapporti tra i democratici e i Latinos e l’equivoco completo che si è stabilito tra di loro. In effetti non parleremo né di Repubblicani, né di “trumpisti”, che non hanno alcun peso in questo stato. I democratici stimano che la California appartenga a loro al giorno d’oggi e dunque che sia completamente conquistata alla dottrina sociale progressista e che sia proprio questa stessa dottrina che ha permesso questo investimento dello Stato, soprattutto perché favorisce le minoranze (i Latinos) , l’immigrazione (i Latinos), eccetera. Per i democratici si tratta di un vero laboratorio per le loro teorie ed anche la dimostrazione della correttezza delle loro tesi e sono tanto più inclini all’estremismo (contro un centro “trumpista”); non cercano neanche per un momento la secessione ma piuttosto di mettere in campo un modello alternativo agli Stati Uniti diretti la Washington così come sono gli Stati Uniti e così come ora è Washington.

Per i Latinos, che da parte loro hanno sostenuto i democratici per il semplice interesse di gruppo etnico minoritario, la situazione nuova deve trasformare radicalmente le loro prospettive. Il radicalismo democratico come dottrina non interessa i Latinos -e vale anche che i Latinos non interessano i radical-democratici se si considerano le loro inclinazioni- ma (li interessa) nel senso evidente che l’evoluzione attuale li mette in primo piano ed offre loro diciamo la possibilità molto pronunciata di una rapida “latinizzazione” della California, dato che il sentimento della Reconquista (restituzione dei territori messicani annessi dagli USA nel 1847-1848) resta latente e la possibilità di una Mexicanizzazione al minimo costo e senza coinvolgerli direttamente subisce anzi un rinvigorimento. L’equivoco sta   dunque nel fatto che i democratici credono di tenere la California controllando i Latinos mentre invece la situazione tende a ribaltarsi e finirà che saranno i Latinos a controllare i democratici e contemporaneamente la California.

Si tratta qui di un’analisi teorica. La situazione attuale è la possibilità molto realistica che si passi rapidamente dalla teoria alla pratica, se non alla messa in pratica, da una parte a causa delle enormi tensioni suscitate dall’arrivo dell’amministrazione Trump (particolarmente sulla questione delle nuove leggi che regolamentano l’immigrazione, che la California potrebbe rifiutare) e dall’altra a causa delle iniziative locali che mettono sul tavolo la questione della Secessione (in particolare una proposta di referendum che si prevede sarà presentata legalmente nel 2018 per andare al voto nel 2019 o nel 2020). Il primo punto, cioè la tensione con l’amministrazione Trump, potrebbe certamente accelerare il secondo (la secessione) con uno sviluppo che cancellerebbe completamente il progetto democratico in favore di una logica di messicanizzazione; in effetti la tendenza alla secessione e alla messicanizzazione condurrebbe a una situazione ribaltata rispetto a quella che predicano i globalisti-social-progressisti e rinforzerebbe l’unità culturale opposta al multiculturalismo e compatterebbe un blocco “latinizzato” unico col Messico, la cui unità culturale e identitaria sarebbe l’opposto delle finalità desiderate dai globalisti.

Osserveremo che si tratta di un ribaltamento storico inaudito per la California nel corso degli 80 ultimi anni in confronto alla potenza del sistema dell’Americanismo. In effetti negli anni ‘30, nel quadro della Grande Depressione, la California divenne la terra di elezione per la salvaguardia del Sistema, quando vi si installarono le prime strutture del complesso militare-industriale (CMI) per fare di questo Stato una roccaforte della tecnologia e del suprematismo anglosassone; a quei tempi la California era famosa per essere stata assai poco coinvolta dalle ondate migratorie e quindi era diventata la roccaforte degli americani più puri secondo i criteri dell’americanismo, ovvero gli anglo-americani o WASP [White Anglo-Saxon Protestant – N.d.T.] , mentre invece le regioni dell’Est erano considerate come contaminate dall’immigrazione europea di “cattiva qualità” (Italiani e Mediterranei, paesi dell’Est europeo, eccetera). Scrivevamo su questo soggetto in generale il 26 Gennaio 2003 a proposito delle installazioni del CMI sotto la direzione del professore Millikan di Chicago sostanzialmente riguardo alla città di Los Angeles (“The City of Quartz”) e dei centri tecnologici come l’Istituto Californiano di Tecnologia (CalTech):

Cio che ci illustra questo capitolo di “City of Quartz” [di Mike Davis, 1992] è quanto il complesso militare-industriale fu caratterizzato al di là dei suoi aspetti materiali, industriali, finanziari e politici, da una dimensione nettamente ideologica, mistica, persino esoterica. I promotori di questa impresa professavano una fiducia nel potere della Scienza e della scienza applicata (industria e soprattutto tecnologia) che era ugualmente caratterizzata da una dimensione suprematista (bianca) più che razzista: l’idea della superiorità delle razze nordiche…[…]

“Nel suo ruolo di promotore principale del CalTech, Millikan divenne sempre più l’ideologo di una interpretazione particolare della scienza nella California del Sud. Generalmente parlando ai pranzi di lavoro al California Club nel centro di Los Angeles alle classi dirigenti o ai pranzi per gli associati nel Palazzo Huntington, Millikan toccava due punti fondamentali. Primo, la California del Sud era una frontiera scientifica unica dove industria e ricerca universitaria si davano la mano per risolvere sfide fondamentali come la trasmissione di potenza a lunga distanza e la generazione di energia dal sole. Secondo, ma anche più importante, la California del Sud “oggi è, come era l’Inghilterra 200 anni fa, l’avamposto occidentale della civiltà nordica” con “l’eccezionale possibilità” di avere “una popolazione che è il doppio di quella anglosassone che vive a New York a Chicago o in qualunque delle grandi città di questo paese.” L’idea di Millikan della scienza e degli affari che riproducevano la supremazia ariana sulle coste del Pacifico, senza dubbio riscaldava il cuore dei suoi ascoltatori, che come lui erano i conservatori repubblicani della corrente di Taft-Hoover.

Dopo gli anni 30 questa evoluzione [nella composizione della popolazione in California – N.d.T.] è vertiginosa e misura la straordinaria decadenza del suprematismo anglosassone, della potenza americanista e dunque di tutti i progetti dell’ ”anglosfera”di conquista del mondo. La qualifica “anglo-sassone” nel trattare il suprematismo è necessaria, piuttosto che la stupida etichetta attuale del “suprematismo bianco” dei social-progressisti che corrono dietro al classico spauracchio di estrema destra. E’ il filosofo della storia Arnold Toynbee che scriveva nel 1948, quando l’anglosaxonismo si estendeva dovunque grazie alla sua estrema forza di penetrazione, questo testo che preoccuperà più di uno specialista in geremiadi nell’incanto della memoria del ruolo passato e infinitamente razzista della Francia:

Il trionfo dei popoli di lingua inglese può retrospettivamente sembrare una benedizione per l’umanità; ma, per quanto riguarda questo pericoloso pregiudizio razziale, non possiamo affatto negare che questo trionfo è stato nefasto. Le nazioni di lingua inglese che si sono stabilite oltremare nel Nuovo Mondo in generale non si sono assunte il compito di “buoni mescolatori” [che favorissero l’integrazione fra le razze – N.d.T.]. La maggior parte del tempo hanno spazzato via, cacciato, i primitivi che autoctoni; e laddove hanno permesso a una popolazione primitiva di sopravvivere come nell’Africa del Sud, o dove hanno importato del “materiale umano” primitivo, come nell’America del Nord… […] Inoltre dove non si metteva in pratica lo sterminio o la segregazione, si praticava l’emarginazione… […] A questo riguardo il trionfo dei popoli di lingua inglese ha dunque originato per l’umanità una “questione razziale” e non sarebbe andata proprio così, perlomeno in una forma così acuta ed in un’area così vasta se i Francesi per esempio, invece degli Inglesi, fossero stati vittoriosi nella lotta per il possesso dell’India e dell’America del Nord nel XVIII secolo. Al punto in cui sono le cose, i campioni dell’intolleranza razziale sono nella loro fase ascendente e se il loro atteggiamento riguardo la questione razziale dovesse prevalere, alla lunga questo potrebbe provocare una catastrofe generale.”

La California resta sempre un bastione della tecnologia ( ed anche della Comunicazione grazie a Hollywood come negli anni ‘30) ma il paradosso di una completa inversione di direzione rispetto alle finalità del Sistema è che le forze che ne fanno la propaganda hanno fatto un ribaltamento completo e hanno rimpiazzato lo pseudo “suprematismo bianco” e il ben più reale “suprematismo anglosassone” con un “suprematismo globalista” che contiene in se stesso tutte le contraddizioni necessarie per farci ricadere nella ormai famigerata equazione strapotere-autodistruzione. I Baby milionari di Silicon Valley e le star di Hollywood non fanno più la propaganda dell’americanismo ma del globalismo che si autoproclama ultimo stadio della americanismo (come il comunismo lo era del socialismo) mentre potrebbero essere invece la culla di un movimento che rinvigorisca una cultura e un’identità che possono rivelarsi feroci nemici dell’”Americanismo-che si-trasforma in globalismo”, e del globalismo stesso. Peggio ancora ma secondo una logica che molte considerazioni spingono a prendere in esame, la deriva attuale può far nascere un movimento generale di smembramento degli Stati Uniti che si tradurrà nel rinforzo di alcuni blocchi del continente nordamericano (il Messico al Sud, il Canada a Nord) e manderà in pezzi il principale motore del globalismo e del Sistema. A noi non andrà peggio di adesso e potremo avere l’occasione di congratularci con i social-progressisti che la loro stupidità sia finalmente utile.

 

Fonte: www.dedefensa.org

Link:  http://www.dedefensa.org/article/californie-elegant-modele-de-secession

18.12.20126

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIAKKI49

 

 

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