Scott Ritter
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Avevo scritto dell’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, definendolo “il raid militare di maggior successo di questo secolo“.
Avevo descritto l’azione di Hamas come un’operazione militare, mentre Israele e i suoi alleati l’avevano definita un’azione terroristica della portata di quella avvenuta contro gli Stati Uniti l’11 settembre 2001.
“La differenza tra i due termini”, avevo osservato, “è come tra la notte e il giorno: etichettando gli eventi del 7 ottobre come atti di terrorismo, Israele trasferisce su Hamas la colpa delle enormi perdite dai suoi servizi militari, di sicurezza e di intelligence. Se Israele, invece, riconoscesse che ciò che Hamas ha fatto è stato, in realtà, un raid – un’operazione militare – allora la competenza dei servizi militari, di sicurezza e di intelligence israeliani sarebbe messa in discussione, così come la leadership politica responsabile della supervisione e della direzione delle loro operazioni”.
Il terrorismo impiega strategie che cercano la vittoria tramite l’indebolimento e l’intimidazione – per logorare e creare un senso di impotenza nel nemico. I terroristi per natura evitano un conflitto esistenziale decisivo e cercano battaglie asimmetriche, che contrappongano i loro punti di forza alle debolezze dei loro nemici.
La guerra che sconvolge il Levante dal 7 ottobre 2023 non è una tradizionale operazione antiterrorismo. Lo scontro Hamas-Israele si è trasformato in un conflitto tra Israele e il cosiddetto Asse della Resistenza che coinvolge Hamas, Hezbollah, Ansarullah (gli Houthi dello Yemen), le Forze di Mobilitazione Popolare, cioè le milizie di Iraq, Siria e Iran. Si tratta di una guerra regionale in tutto e per tutto, che deve essere valutata come tale.
Lo stratega prussiano Carl von Clausewitz, nella sua opera classica “Sulla guerra“, affermava che “la guerra non è semplicemente un atto politico, ma un vero e proprio strumento politico, una continuazione del rapporto politico, un’esecuzione dello stesso con altri mezzi“.
Da un punto di vista puramente militare, l’incursione di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023 era stato un impegno relativamente minore, che aveva coinvolto poche migliaia di combattenti da entrambe le parti.
Come evento geopolitico globale, tuttavia, non ha riscontri contemporanei.
L’incursione di Hamas aveva scatenato una serie di risposte diverse, alcune delle quali volute, come quella di attirare le Forze di Difesa israeliane a Gaza, dove sarebbero rimaste intrappolate in una guerra perenne che non avrebbero potuto vincere, facendo scattare la doppia dottrina israeliana che regola la risposta militare alla presa di ostaggi, la “Dottrina Annibale”, e la pratica israeliana della punizione collettiva, la “Dottrina Dahiya”.
Entrambe queste dottrine mostrano al mondo l’IDF come l’antitesi delle “forze armate più morali del mondo“, esponendo l’intento omicida radicato nel DNA dell’IDF, una propensione alla violenza contro gli innocenti che definisce lo stile di guerra israeliano e, per estensione, la nazione israeliana.
Prima del 7 ottobre 2023, Israele era in grado di mascherare il suo vero carattere al mondo esterno, convincendo tutti, tranne pochi attivisti, che le sue azioni nel colpire i “terroristi” erano proporzionate e umane.
Oggi il mondo conosce Israele come lo Stato di apartheid genocida che è in realtà.
Le conseguenze di questa nuova presa di coscienza globale sono evidenti.
Cambiare il “volto del Medio Oriente”
Il 9 settembre 2023, il presidente Joe Biden, durante il vertice del G20 in India, aveva annunciato un’importante iniziativa politica, il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa, o IMEC, una proposta di corridoio ferroviario, navale, di oleodotti e di cavi digitali che avrebbe dovuto collegare Europa, Medio Oriente e India.
Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, commentando l’annuncio di Biden, aveva definito l’IMEC “il progetto di cooperazione più grande della nostra storia“, che “ci porta in una nuova era di integrazione e cooperazione regionale e globale senza precedenti e unica nella sua portata“, aggiungendo che “porterà a compimento una visione vecchia di anni che cambierà il volto del Medio Oriente e di Israele“.
Ma, poiché il mondo ora vede Israele come un’impresa criminale, l’IMEC sembra a tutti gli effetti non esistere più: il più grande progetto di cooperazione della storia israeliana, che avrebbe cambiato il Medio Oriente, probabilmente non arriverà mai a compimento.
Per prima cosa, l’Arabia Saudita, un attore chiave del progetto e che vi ha investito 20 miliardi di dollari, ha dichiarato che non normalizzerà le relazioni con Israele, necessarie per il progetto, fino a quando le guerre non saranno finite e uno Stato palestinese non sarà riconosciuto da Israele, una proposta respinta dalla Knesset all’inizio di quest’anno.
La scomparsa dell’IMEC è solo una parte del colpo economico da 67 miliardi di dollari che Israele ha subito dall’inizio del conflitto di Gaza.
Il turismo è diminuito dell’80%. Il porto di Eilat, nel sud del Paese, non funziona più a causa della campagna antinave condotta dagli Houthi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. La stabilità della forza lavoro è stata sconvolta dallo sfollamento di decine di migliaia di israeliani dalle loro case a causa degli attacchi di Hamas e Hezbollah e dalla mobilitazione di oltre 300.000 riservisti. Tutto questo si combina per creare una tempesta perfetta di problemi che uccideranno l’economia e che persisteranno finchè il conflitto in corso continuerà.
Il punto è che, se non si dà una controllata, Israele rischia il collasso economico. Gli investimenti sono in calo, l’economia si sta contraendo e la fiducia in un futuro economico è evaporata. In breve, Israele non è più un luogo ideale dove andare in pensione, crescere una famiglia, lavorare… o vivere. La biblica “terra dove scorrono latte e miele“, se mai è esistita, non esiste più.
Questo è un problema esistenziale per Israele.
Affinché ci sia una “patria ebraica” sostenibile, i dati demografici impongono che in Israele ci sia una maggioranza ebraica riconoscibile. In Israele vivono poco meno di 10 milioni di persone. Circa 7,3 milioni sono ebrei; altri 2,1 milioni sono arabi (i drusi e altre minoranze non arabe costituiscono il resto).
Ci sono circa 5,1 milioni di palestinesi sotto occupazione, il che lascia una proporzione di circa 50-50 quando si guarda al totale combinato tra arabi ed ebrei. Si stima che circa 350.000 israeliani abbiano la doppia cittadinanza con un Paese dell’UE, mentre più di 200.000 hanno la doppia cittadinanza con gli Stati Uniti.
Allo stesso modo, molti israeliani di origine europea possono facilmente richiedere un passaporto semplicemente dimostrando che loro, i loro genitori o addirittura i loro nonni avevano risieduto in un Paese europeo. Altri 1,5 milioni di israeliani sono di origine russa e molti di loro possiedono un passaporto russo valido.
Sebbene le ragioni principali per mantenere questo status di doppia cittadinanza siano la convenienza e l’aspetto economico, molti considerano il secondo passaporto come “una polizza assicurativa”, la possibilità di rifugiarsi in un altro luogo se la vita in Israele diventasse insostenibile.
La vita in Israele sta per diventare insostenibile.
Fuga da Israele
Israele aveva già avuto un problema di emigrazione derivante dall’insoddisfazione per le politiche del governo Netanyahu – circa 34.000 israeliani avevano lasciato permanentemente il Paese tra luglio e ottobre 2023, principalmente per protestare contro le riforme giudiziarie attuate da Netanyahu.
Anche se c’era stato un picco di emigrazione subito dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 (circa 12.300 israeliani erano emigrati permanentemente nel mese successivo all’attacco di Hamas), il numero di emigranti permanenti nel 2024 è stato di circa 30.000, in calo rispetto all’anno precedente.
Ma ora Israele è bombardato quasi quotidianamente da droni a lunga gittata, razzi e missili lanciati da Hezbollah, dalle milizie in Iraq e dagli Houthi nello Yemen. L’attacco dei missili balistici iraniani del 1° ottobre ha dimostrato a tutti gli israeliani la realtà, che non esiste una difesa valida contro questi attacchi.
Inoltre, se il conflitto tra Israele e Iran continuerà ad aggravarsi (e Israele ha promesso una rappresaglia di proporzioni immense), l’Iran ha dichiarato che distruggerà le infrastrutture critiche di Israele – centrali elettriche, impianti di desalinizzazione dell’acqua, centri di produzione e distribuzione dell’energia – in breve, Israele cesserebbe di funzionare come uno Stato nazionale moderno.
A quel punto, le polizze assicurative saranno incassate quando centinaia di migliaia di israeliani con doppio passaporto ne avranno avuto abbastanza e se ne andranno. La Russia ha già detto ai suoi cittadini di andarsene. E, se i milioni di altri israeliani che hanno i requisiti per ottenere un passaporto europeo decideranno di esercitare questa opzione, Israele si troverà ad affrontare il suo ultimo incubo: un calo precipitoso della popolazione ebraica che farà pendere l’ago della bilancia demografica decisamente verso i non ebrei, rendendo vana l’idea di una patria esclusiva per gli ebrei.
Israele sta rapidamente diventando insostenibile, sia come concetto (il mondo si è stancato della realtà genocida del Sionismo), sia nella pratica (il collasso economico e demografico).
Il cambio di visione da parte degli Stati Uniti
Questa è la realtà attuale di Israele: nel giro di un anno è passato da “cambiare il volto del Medio Oriente” a essere un paria insostenibile la cui unica salvezza è dovuta al fatto di avere il continuo sostegno degli Stati Uniti, che lo sostengono militarmente, economicamente e diplomaticamente.
E qui sta il problema.
Ciò che rendeva Israele attraente per gli Stati Uniti – il vantaggio strategico di un’enclave ebraica filoamericana in un mare di incertezza araba – non è più una certezza come prima. La Guerra Fredda è finita da tempo e i vantaggi geopolitici maturati nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele non sono più così evidenti.
L’era dell’unilateralismo americano sta svanendo e viene rapidamente sostituita da un multipolarismo con centro di gravità a Mosca, Pechino e Nuova Delhi. Mentre gli Stati Uniti si adattano a questa nuova realtà, si trovano impegnati in una lotta per i cuori e le menti del “sud globale” – il resto del mondo al di fuori dell’UE, della NATO e di una manciata di nazioni filo-occidentali del Pacifico.
La chiarezza morale che la leadership americana cerca di portare sulla scena globale è significativamente offuscata dal suo continuo e indiscusso sostegno a Israele.
Israele, nelle sue azioni successive al 7 ottobre 2023, si è auto-identificato come uno Stato genocida totalmente incompatibile con qualsiasi nozione di diritto internazionale o con i precetti fondamentali dell’umanità.
Persino alcuni sopravvissuti all’Olocausto riconoscono che l’odierno Israele è diventato la manifestazione vivente dello stesso male che era servito da giustificazione per la sua creazione – l’ideologia brutalmente razzista della Germania nazista.
Israele è un anatema per tutto ciò che la civiltà moderna rappresenta.
Il mondo si sta gradualmente risvegliando a questa realtà, così come gli Stati Uniti.
Per il momento, la lobby pro-israeliana sta organizzando un’azione di retroguardia, gettando il suo peso dietro i propri candidati politici nel disperato tentativo di continuare ad avere il sostegno dei loro benefattori americani.
Ma la realtà geopolitica impone che gli Stati Uniti, alla fine, non si suicideranno per conto di uno Stato israeliano che ha perso ogni legittimità morale agli occhi della maggior parte del mondo.
Ci sono conseguenze economiche legate al sostegno americano a Israele, soprattutto per l’aumento dell’attrazione gravitazionale del forum BRICS, la cui lista crescente di membri e di coloro che stanno cercando di entrarvi si legge come un Who’s Who delle nazioni fondamentalmente opposte allo Stato israeliano.
La profonda crisi sociale ed economica dell’America odierna creerà una nuova realtà politica in cui i leader americani saranno costretti dalle realtà elettorali ad affrontare i problemi che si manifestano sul suolo americano.
I giorni in cui il Congresso può stanziare miliardi di dollari senza alcun dibattito per le guerre d’oltremare, comprese quelle che coinvolgono Israele, stanno per finire.
Il famoso adagio del consulente politico James Carville, “È l’economia, stupido“, risuona oggi con la stessa forza di quando era stato scritto nel 1992. Per sopravvivere economicamente, l’America dovrà adeguare le sue priorità interne e internazionali, che la obbligheranno a conformarsi non solo alla volontà del popolo americano, ma anche a un nuovo ordine internazionale basato sulla legge che respinga in larga misura il genocidio israeliano in corso.
A parte i Sionisti irriducibili che resisteranno nell'”establishment” non eletto della pubblica amministrazione, del mondo accademico e dei mass media, gli americani graviteranno verso una nuova realtà politica in cui il sostegno indiscusso a Israele non sarà più accettato.
Questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso per Israele.
La tempesta perfetta costituita dal rifiuto globale del genocidio, dall’opposizione sostenuta dall'”Asse della Resistenza” guidato dall’Iran, dal collasso economico e dal riallineamento delle priorità americane porteranno all’annullamento di Israele come entità politica valida. La tempistica di tale annullamento è dettata dalla velocità del collasso della società israeliana: potrebbe avvenire in un anno o nel corso del prossimo decennio.
Ma avverrà.
La fine di Israele.
E tutto è iniziato il 7 ottobre 2023, il giorno che ha cambiato il mondo.
Scott Ritter
Fonte: consortiumnews.com
Link: https://consortiumnews.com/2024/10/08/scott-ritter-the-fall-of-israel/
11.10.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org