IO DICO NO! I REFUSENIK, GLI EROI SCOMODI DI ISRAELE

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DI SIMONA MASINI
Piazza Liberazione

Alcuni volantini distribuiti ai militari dal movimento pacifista israeliano Yesh Gvul (“c’è un limite”, in ebraico) che sostiene i refusenik, gli obiettori di coscienza israeliani:

SOLDATO, TU PUOI FERMARE LA VIOLENZA: L’OCCUPAZIONE SVILUPPA TERRORISMO! Quando prendi parte a uccisioni extra giudiziali (“liquidazioni” in termini militari); quando partecipi alle demolizioni di case private; quando apri il fuoco contro la popolazione civile disarmata; quando sradichi frutteti; quando blocchi le forniture alimentari o mediche, tu prendi parte ad azioni definite crimini di guerra dalle convenzioni internazionali (ad esempio la quarta convenzione di Ginevra) e dalla legge israeliana. Fino a quaranta anni fa, una corte israeliana imponeva che a un soldato era probito obbedire ad un ordine illegale, dalle conseguenze atroci.Soldato – consideri questi crimini giustificabili? Le azioni di “liquidazione” non provocano attacchi suicidi? E’ giustificabile demolire le case e distruggere la proprietà di intere famiglie? Si può giustificare l’uccisione di bambini, donne, anziani – o comunque – di civili disarmati?

Quali sono le basi della “sicurezza” per giustificare l’affamamento di interi villaggi e la privazione di cure mediche per i malati?

Coprifuoco, blocco, confisca delle terre, impedire lavoro e studio ai cittadini, la continua umiliazione ai posti di blocco israeliani e le perquisizioni violente nelle case palestinesi. Fermate il massacro!

SOLDATO: l’occupazione compromette il nostro paese. Siamo tutti preoccupati per il benessere dello Stato di Israele. Tutti vogliamo che lo stato investa di pù in istruzione, servizi sociali, salute, sviluppo delle infrastrutture. Ma per mantenere l’occupazione lo stato spende miliardi per il mantenimento dell’esercito nei territori e negli insediamenti, soprassedendo su tutto il resto. Lo stato sta tagliando fondi ai servizi per i civili per aumentare il budget militare.

L’occupazione, e la violenza che essa causa, trascina l’economia verso la recessione. Gli investitori se ne vanno, i turisti stanno alla larga, interi settori dell’economia sono sull’orlo del baratro.

Non sarebbe meglio usare il denaro per rafforzare le nostre strutture sociali? Non sarebbe meglio indirizzare i fondi verso le strutture ospedaliere o per l’istruzione? Continuare così non significa negare benessere agli anziani, i disabili e i disoccupati in favore di ulteriori stanziamenti per l’esercito e gli insediamenti?

Ferma l’occupazione, denaro pubblico per i più deboli, non per gli insediamenti!

SOLDATO: ci sono atti che la gente decente non commette anche se sono degli ordini! Le persone decenti non demoliscono le case, non uccidono i bambini, donne e neonati, non affamano il popolo vicino e non negano cure mediche alla gente proprio come te e me. Questa condotta indebolisce la fibra morale del nostro paese.

Questi atti sono realmente pericolosi, anche se ci è stato detto di farli “per scopi di sicurezza”. Ogni “liquidazione” (uccisione) provoca un attentato suicida. Il bambino che tu hai ferito oggi sarà il terrorista di domani.

Yigal Bronner, riservista e “refusenik”: “Se i ‘bisogni’ militari ci inducono ad assediare, dare la caccia, affamare un intero popolo, allora questi ‘bisogni’ sono terribilmente sbagliati. Quindi disobbedirò alla Vostra chiamata»”. Da una lettera scritta dal carcere.

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[Yigal Bronner]

Israele non ha una costituzione. A 60 anni dalla sua fondazione ha soltanto una carta militare. L’obiezione di coscienza non è prevista, nonostante sia contemplata dall’articolo 18 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, di cui Israele è firmatario.

Anche la libertà di espressione è piuttosto limitata: ne sa qualcosa il sito israeliano di Indymedia. Il bellissimo libro uscito in Italia anni fa, edito da Manifestolibri “Meglio carcerati che carcerieri”, a cura di Kidron Peretz – storico e giornalista israeliano figlio di sopravvissuti all’olocausto, infaticabile sostenitore dei diritti umani e civili – contiene, oltre a saggi storici sul movimento pacifista israeliano, una raccolta delle esperienze personali di una cinquantina di israeliani che hanno rifiutato di prestare servizio nei Territori Palestinesi Occupati pagando, per questo, pesantissime conseguenze.

Tradotto persino in giapponese, è potuto uscire in lingua ebraica solo a metà del 2004.

Il titolo è “Ad Kan!” (“fin qui e non oltre”, in ebraico).

Ci sono molti altri libri sull’ argomento, ma finora solo questo è riuscito ad essere tradotto nella sua lingua originale.

I primi casi di israeliani obiettori di coscienza risalgono alla guerra in Libano.

Dalla seconda Intifada ad oggi, i refusenik sono 1.666 (dato di Refusenik Watch).

Pochi? Non direi, visto ciò che li aspetta.

Il carcere, sentenze su sentenze, diventare un paria all’interno della società.

Jonathan Artzi ha ricevuto 8 condanne. Dror Boimel 7.

Non appena si superano i 150 giorni di carcere (cumulati di sentenza in sentenza), si va di fronte alla Corte Marziale che può condannarli anche per 3 anni.

Il carcere è forse la condanna più lieve alla quale sono sottoposti. Spesso vengono emarginati dalla loro stessa famiglia per aver sfidato l’etica militare nazionale.

Il concetto che soldato ed eroe sono la stessa cosa viene inculcato fin dall’infanzia, come ha spiegato Danya, una refuzenik di Tel Aviv.

Il “culto di Tsahal”, testimoniato dagli onnipresenti monumenti ai caduti eretti sul suolo pregno del sangue di qualcun altro, dal calendario fitto di festività per la celebrazione di questa o quell’altra vittoria o di questo o quell’altro martire.

Il 1° Maggio, per esempio, Israele ha commemorato il “giorno dei caduti in guerra”, cioè i 22.123 morti israeliani dal giorno della proclamazione dello stato ebraico, 60 anni fa.

Appena terminata la scuola superiore, 3 anni di militare per i maschi e 20 mesi per le femmine, e poi un mese all’anno fino al compimento del 50° anno di età.

Con le donne che rifiutano sono un po’ meno repressivi, ma solo se riescono a dimostrare che il loro rifiuto è dettato da un fortissimo senso religioso. E devono provarlo, non basta dirlo. Una volta dimostrato possono accedere al servizio civile.

Ci vuole una grandissima forza di volontà, un’enorme determinazione, uno sconfinato amore per la giustizia per decidere di fare l’obiettore di coscienza in Israele.

Certo ci vogliono più forza e coraggio per questo che non per sparare ad un bambino che ti lancia una pietra.

Questi ragazzi non rischiano soltanto di finire in carcere per più di 3 anni, la loro scelta si ripercuote sulla vita sociale, lavorativa, sul loro futuro.

Al momento dell’obiezione, l’obiettore viene inviato alla Commissione per l’obiezione dove una sorta di giudice decide se “la ragione di coscienza” è sincera o no.

Se l’obiettore viene giudicato “sincero” è esonerato. Tutto questo in teoria: nella pratica neppure l’1% degli obiettori viene esonerato.

Quindi, dopo un brevissimo colloquio, l’obiettore viene giudicato dalla commissione “obiettore selettivo” (l’obiezione selettiva si differenzia da quella secondo la quale si abiura ogni forma di cooperazione militare in nome di un pacifismo assoluto, infatti l’obiezione selettiva legittima lo stato ad avere un esercito di difesa ma si oppone ad ogni forma di repressione verso la popolazione civile palestinese).

Una volta giudicato obiettore selettivo, il refusenik viene inviato alla base militare stabilita e lì condannato ad un periodo di carcere che non può superare i 35 giorni.

La condanna viene formulata da un ufficiale senza processo e senza la presenza di un legale.

Scontata la pena, il refusenik viene scarcerato, nuovamente condannato, poi ricondannato e così via. Raggiunti i 150 giorni di detenzione viene sottoposto alla Corte Marziale.

L’obiezione di coscienza è di esclusiva competenza dell’esercito stesso. Nessun altro organo ha la facoltà di intervenire.

E dopo tutto questo iter, vivono con il marchio di disertore e tutto ciò che comporta all’interno di una società dove il militarismo è la seconda religione di stato.

I principali movimenti di refusenik sono: Peace Now, Taayush (“insieme”, in lingua araba), Yesh Gvul (“c’è un limite”, in ebraico), Seruv (“rifiuto”, in ebraico).

***

Simona Masini
Fonte: http://www.piazzaliberazione.it/
Link: http://www.piazzaliberazione.it/agg_pro/2006/mag/20_05_06/masini.htm
20.05.2006

S.O.S. PALESTINA

La decisione dell’Unione Europea di interrompere i trasferimenti economici all’Autorità Nazionale Palestinese è un fatto straordinariamente grave non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto da quello umanitario.

Se da un punto di vista politico è grave che l’Europa non riesca ad avere sul Medio Oriente una visione diversa da quella del maggiore alleato di Israele, gli USA di George Bush, ciò che ci indigna maggiormente è l’indifferenza verso le conseguenze di certe scelte politiche nei confronti delle popolazioni civili. Interrompere le relazioni economiche con le istituzioni palestinesi non significa solo non rispettare la volontà democraticamente espressa da un popolo in elezioni universalmente riconosciute come impeccabili e corrette, nonostante le difficoltà imposte dall’occupazione israeliana. Tagliare i fondi alle autorità palestinesi significa, puramente e semplicemente, condannare alla fame un intero popolo, già prostrato dalla lunga occupazione militare israeliana…

Con una decisione arbitraria ed illegale, il governo israeliano ha sequestrato i fondi spettanti all’Autorità palestinese; lo ha fatto con la forza delle armi, non con quella del diritto. Allineandosi alla politica sciagurata del governo israeliano e degli USA di Bush, i governi dell’Unione Europea si rendono complici dello strangolamento della popolazione civile palestinese.

Da mesi, ormai, l’Autorità palestinese non è in grado di pagare gli stipendi dei propri dipendenti. Questo riguarda anche il personale del servizio sanitario, che da anni deve affrontare le terribili emergenze provocate dalla violenza dell’occupazione israeliana: ospedali bombardati, ambulanze mitragliate, medici ed infermieri assassinati. In queste condizioni drammatiche, simili a quelle in cui sono costretti a vivere tutti i Palestinesi, gli operatori sanitari hanno continuato a lavorare per alleviare le sofferenze del proprio popolo; ma ora nemmeno la loro abnegazione è più sufficiente. Negli ospedali della Palestina occupata, i pazienti gravi iniziano a morire per mancanza di medicinali e tutte le organizzazioni internazionali confermano che la situazione è prossima al disastro umanitario.

Di fronte al cinismo della politica, facciamo appello alla società civile ed ai cittadini italiani affinché dimostrino, ancora una volta, la loro generosità e solidarietà. Chiediamo agli uomini ed alle donne d’Italia di sostenere il servizio sanitario-umanitario palestinese, aprendo una grande sottoscrizione popolare per consentire ai medici, agli infermieri, agli ospedali della Palestina occupata di poter continuare la loro indispensabile missione. Invitiamo i lavoratori, gli studenti, i professionisti e le istituzioni a dare vita ad una grande operazione di soccorso umanitario, ognuno secondo le proprie possibilità: la nostra ambizione è quella di portare agli ospedali di Gaza e della Cisgiordania un sostegno morale ed economico per un popolo che continua la sua lotta per la sopravvivenza e vedere migliorate le sue condizioni di vita quotidiana nella sua terra, sulla base delle risoluzioni dell’ONU e della legalità internazionale.

Primi firmatari:

Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese in Italia – Forum Palestina – Comitato “Con la Palestina nel cuore” (Roma) – Comitato di solidarietà con l’Intifada (Roma) – Centro culturale palestinese “Rachel Corrie” (Roma) – Associazione giovanile palestinese “Wael Zwaiter” (Roma) – Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese (Torino) – Agenzia stampa on line di informazioni sulla Palestina www.infopal.it – Davide Santoro (Roma)- Collettivo studentesco Zona Rossa Malpighi (Roma) – Essere comunisti (area del Prc) – Salaam Ragazzi dell’Olivo (Comitato di Trieste) – Circolo Arci Cantina Mediterraneo (Frosinone) – Rivista “l’Ernesto” – Manno Mauro – Paola Santa Maria – Manno Carla – Manno Vittorio (Napoli) – Mauro Gemma – (Comitato Politico Federale PRC Torino) – Filomena Adda – Hamidi Behrooz (Palermo) – Gennaro Varriale (Formia – LT) – Angelo Baracca (Firenze) – Paul De Marco – Riccardo Sanfilippo (Torino) – Domenico Losurdo (filosofo, Università di Urbino) – Simona Masini (Piazza Liberazione) – Andrea Genovali (Presidente associazione Puntocritico) – Adriana Sabbatici – Fabrizio Guerra (Voltana – Ravenna) – Enrica Paccoi (associazione Yakaar Italia Senegal) – Donato Cioli (Roma) – Vittorio Piliego – Antonella Santilli (Roma) – Angelo Tumino (Crespina – Pisa) – Dario Giuliani (Milano) – Giuseppe Zambon (editore) – Edoardo Nucci – Ascanio Bernardeschi (Volterra) – Andrea Oleandri (Comitato Politico Federale PRC Castelli) – Luca Tombolesi (Roma) – Stefano Re – Associazione comunista “Il pianeta futuro” (Pisa) – Confederazione cobas pisa

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