DI ALESSIO MANNUCCI
EC Planet
Secondo uno studio dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), pubblicato dalla rivista scientifica Lancet, ogni anno in Europa muoiono 100 mila bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni a causa dell’inquinamento ambientale. Sotto accusa soprattutto le polveri sottili, il piombo e l’acqua contaminata.
Lo studio, inedito nel suo genere, è stato effettuato dall’Università di Udine e dall’Istituto per l’Infanzia Burlo Garofalo di Trieste in base ai dati del 2001 rilevati in tutti i 52 paesi che fanno parte dell’ Unione Europea.
Secondo l’OMS, la tossicità dell’aria in ambienti chiusi e aperti ha ucciso ben 63 mila bambini. Le giovani vite spezzate dall’«aria aperta» provenivano per la maggior parte dai paesi del gruppo «B» – Balcani, alcune nazioni di ultima ingresso nell’Unione e Turchia – e il resto dal gruppo «C» – soprattutto paesi dell’ex Unione sovietica.Le polveri sottili, una miscela di particelle, solide e liquide, dette Pm10 perché hanno un diametro inferiore ai 10 micron, proprio per le loro dimensioni possono rimanere sospese nell’aria per lungo tempo, essere inalate tramite la respirazione ed arrivare nei punti più profondi dei nostri polmoni.
Metalli (Piombo, Cadmio, Zinco, Nichel, Rame), solfati, nitrati, sabbie, ceneri, fibre di amianto, polveri di cemento e carbone, tutte queste sostanze presenti nell’aria hanno diversa origine: la maggior parte vengono prodotte dalla combustione degli idrocarburi (perlopiù da veicoli e impianti di riscaldamento) altre, invece, derivano dall’azione dei venti sulle rocce o dalle eruzioni vulcaniche.
Una volta depositatesi sul terreno, queste sostanze possono essere risollevate dai veicoli e trasportate dalle correnti d’aria per centinaia di chilometri. Ebbene, le polveri sottili, secondo la ricerca, sono causa in particolare di infezioni acute del tratto inferiore dell’apparato respiratorio, asma, basso peso alla nascita e danneggiamento delle funzioni polmonari.
Per quanto riguarda l’acqua contaminata, lo studio fà notare che in molte economie in transizione del continente, come ad esempio nei paesi dell’ex Unione sovietica, le infrastrutture per l’approviggionamento idrico e per lo smaltimento dei rifiuti sono vecchie o danneggiate dalla scarsa manutenzione degli ultimi venti anni. E per questo oltre 2 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita, ciò espone i bambini a un elevato rischio di malattie diarroiche: il 5,3% delle morti totali di bambini con un’età compresa tra 0 e 14 anni è causato da insufficienti sistemi di smaltimento dei liquami e dalla scarsità d’acqua, che vuol dire anche scarsità di igiene.
Per quanto riguarda invece il piombo, rappresenta ancora la sostanza chimica più tossica per i bambini. Gli effetti sono più gravi nella fase iniziale della crescita perché portano disfunzioni celebrali come ritardi nello sviluppo neurologico, disturbi nell’apprendimento, nella coordinazione motoria, dislessia e anemia. Secondo l’OMS, l’avvelenamento da piombo fa perdere ai bambini europei complessivamente 150 mila anni di vita, anni in cui i bambini, se vivono, vivono male.
Che cosa si può fare?
Se il livello di inquinamento atmosferico fosse veramente ridotto, in base ai valori guida stabiliti dall’Unione Eeuropea, entro il 2005, ogni anno si potrebbero salvare 5 mila vite. E altre 9 mila morti potrebbero essere evitate sostituendo i combustibili solidi con quelli gassosi o liquidi.
A chi è ancora rimasta un pò di fiducia nella politica, può sempre aspettare e sperare…
Alessio Mannucci
Fonte: http://www.ecplanet.com/
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02.07.2004
INQUINAMENTO KILLER 2
L’inquinamento ambientale e gli stili di vita scorretti sono responsabili nel nostro Paese sette volte su dieci (75%) delle malattie e delle cause di morte. Non solo. In 13 città italiane, con oltre 200 mila abitanti – secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – tra il 2002 e il 2004 si sono registrati ben 8.820 morti l’anno attribuibili a valori elevati di PM10.
Preoccupanti anche gli effetti dei cambiamenti climatici: nell’estate del 2003, particolarmente calda, si sono avuti in Italia 2.222 decessi in più rispetto all’anno precedente, e nel solo periodo compreso tra il 15 luglio e il 15 agosto, l’aumento delle morti è stato del 36% nella popolazione generale e del 40% tra le persone di oltre 65 anni.
A fornire le cifre dell’inquinamento killer sono stati questa volta i camici bianchi italiani della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e dell’ISDE Italia (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente), che hanno presentato un documento comune sul tema. L’iniziativa congiunta vorrebbe coinvolgere i tutti medici attraverso la sottoscrizione di un programma, distribuito nelle sedi degli ordini dei medici, che ne affermi il ruolo attivo anche nella tutela dell’ambiente.
«Noi medici – ha spiegato Amedeo Bianco, presidente FNOMCEO – siamo i primi testimoni delle evidenti ricadute che il danno ambientale provoca sulla salute dei nostri pazienti. Come operatori delle aziende sanitarie e dei dipartimenti di prevenzione, per esempio, rileviamo quotidianamente dati che indicano un aumento delle malattie e della mortalità da inquinamento atmosferico. Come medici di medicina generale constatiamo direttamente negli ambulatori la diffusione sempre maggiore dei tumori e soprattutto l’abbassamento dell’età in cui queste malattie insorgono. E, come pediatri, registriamo l’aggravarsi nei bambini, soprattutto quando sono residenti nelle zone più inquinate e trafficate, di patologie come l’asma, il raffreddore, le bronchiti, le broncopolmoniti e soprattutto i tumori».
I medici avevano deciso di scendere in campo già nei mesi scorsi, quando è stato introdotto nel nuovo Codice Deontologico un articolo ad hoc, il numero 5, che invita i medici a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora come determinante fondamentale della salute dei cittadini. Il “camice bianco” dovrebbe infatti favorire e partecipare alle iniziative di prevenzione e di tutela della salute sia nei luoghi di lavoro che nella vita quotidiana.
Mentre gli episodi di malasanità e “farmacrazia” che quotidianamente affollano le cronache, mostrano una categoria in profonda crisi deontologica, risucchiata nella spirale degli interessi privati e della corruzione.
Alessio Mannucci
Fonte: http://www.ecplanet.com/
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31.05.2007
INQUINAMENTO KILLER 3
In Italia, un decesso su cinque è dovuto a cause ambientali, in primo luogo lo smog. Sono fra i 6,4 e gli 8,6 milioni, gli italiani che vivono in zone inquinate, ad alto rischio per la salute. Considerando però solo i comuni inclusi di cui sono noti e riconosciuti i pericoli sanitari. Il numero crescerebbe in modo considerevole se si tenesse conto di tutte le aree a rischio: 58 siti con elevata contaminazione d’amianto, 1.550 siti minerari e 1.120 stabilimenti a rischio di incidente rilevante. Se poi si aggiungono gli effetti del traffico in città (le polveri sottili uccidono 8.220 italiani l’anno, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), quello che emerge dalla “Relazione sullo stato delle conoscenze in tema di ambiente e salute nelle aree ad alto rischio in Italia”, a cura del CNR e della VIII Commissione permanente ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera, presentato a Roma in concidenza della Giornata Mondiale dell’Ambiente, è un quadro catastrofico.
Roberto Bertollini, direttore del programma “Salute e Ambiente” dell’OMS, dice: “In Italia, il 20% della mortalità è riconducibile a cause ambientali prevenibili. Le aree della Pianura Padana, insieme ad alcune zone di Olanda e Belgio, sono tra le più inquinate al mondo, in particolare dalle polveri sottili”. I dati riferiti alle maggiori città indicano che oltre il 60% degli ossidi di azoto e oltre il 90% del monossido di carbonio sono dovuti alle emissioni da traffico. Le automobili sono responsabili anche del 75% delle emissioni di benzene su scala nazionale, di cui oltre il 65% originate in aree urbane. Milano e Torino, ha spiegato Bertollini (oltre ad alcune zone del Sud della Polonia) sono tra i centri in Europa caratterizzati dai più alti valori di concentrazione di PM 2.5, ossia il particolato fine, quello che entra subito in circolo nel sangue: “Secondo le linee guida dell’OMS, il PM 2.5 dovrebbe attestarsi sui 10 milligrammi per metro cubo, mentre a Milano e Torino tocca regolarmente i 35-40 milligrammi”. Per il CNR, lo smog uccide in media 8.220 persone l’anno nelle 13 maggiori città italiane, il che equivale al 9% della mortalità per gli over 30, incidenti stradali a parte.
Duilio Castelli, presidente dell’A.E.A. (Associazione Esposti Amianto), ha 75 anni. Ha lavorato in Fincantieri fino all’89, ma già dal ’71 gli avevano diagnosticato l’asbestosi, una malattia respiratoria cronica legata alle proprietà delle fibre di asbesto di provocare una cicatrizzazione (fibrosi) del tessuto polmonare. Non è mortale, però causa gravi danni ai tessuti dei polmoni. A Monfalcone, quando si chiede dell’amianto, ti rispondono che la “polvere” ha fatto almeno 600 morti accertati. E chissà quanti altri, quando ancora questo isolante veniva considerato un materiale prezioso (per chi stava sulle navi era quasi considerato una benedizione). Lavorare nei “cantieri della morte”, come i socialisti dei primi anni del secolo definivano questo luogo, per molti qui ha rappresentato l’unica forma di sopravvivenza economica possibile. Anche per Duilio è stato così. Nessuno, all’epoca, sapeva di correre un pericolo. L’amianto per loro era solo un buon isolatore, un magnifico materiale insonorizzante.
È bastata una esposizione di trenta giorni, per le donne lavare le tute sporche dei mariti, o solo portare via la “polvere” dai tavoli della mensa aziendale, per ammalarsi e poi morire. “Molte delle nostre donne – racconta Duilio – sono morte perché baciavano i nostri capelli”. L’amianto è un killer lento, si muove piano nel corpo e nell’aria. Una fibra di amianto ci mette 24 ore per scendere di un metro dall’alto, da dove la sparano le ciminiere. E anche quando ti è entrato dentro, nelle fibre della pleura, impiega anche trent’anni prima di risvegliarsi improvvisamente. Poi ti uccide in meno di un mese, annegandoti nel liquido dei tuoi stessi polmoni che cresce a dismisura (non c’è catetere al mondo che lo possa drenare via). Lo sanno tutti che va così, a Monfalcone. Non c’è famiglia che non conti almeno un morto per colpa dell’amianto.
“Già nel 71 cominciavo a sentire l’affanno – racconta ancora Castelli – lavoravo col cannellino con fiamma, tagliavo i pannelli isolanti per la coimbentazione della navi, poi mi occupavo degli isolanti per le caldaie delle cucine a bordo, un lavoro infernale a temperature infernali. La polvere di amianto che c’era negli ambienti a volte non ti permetteva neanche di farti vedere a pochi centimetri. Poi è cominciata la spossatezza, non riuscivo a fare una rampa di scale, a tenere in mano la fiamma ossidrica. È stato il mio medico a mettere in relazione la mia malattia con l’amianto, erano gli anni ’70. Poi ci sono stati altri studi, ma si parlava ancora poco della pericolosità dell’amianto. Ma intanto notavamo che molti nostri colleghi si assentavano dal lavoro per malattia. Nel mio reparto eravamo in 125, moltissimi i coetanei, i sopravvissuti sono solo 4. Dopo i primi disturbi mi hanno cambiato reparto: sono stato assegnato alla mansione di Guardiafuochi, spegnere i principi di incendio, se piccolo, o avvisare i vigili del fuoco per quelli più grandi, ma anche lì ero a contatto con l’amianto, con le tute ignifughe contro gli incendi e altri materiali…e poi quella polvere sottilissima era ormai in circolo dappertutto. Poi sono arrivati gli studi del professor Bianchi e abbiamo cominciato a capire, ma la gente aveva il timore di denunciare. Mentre si veniva a sapere che tizio o caio se ne erano andati all’altro mondo dopo sofferenze atroci con tumori diagnosticati pochi mesi prima. Poi, nel 1994, su input di un medico, fondo l’associazione, piccola, troppo giovane, molti sono arrivati col passaparola e molti altri me li sono andanti a capare da soli, i malati o i parenti delle vittime’.
Oggi, secondo Diego Dotto – figlio di un operaio che lavorava in appalto per Fincantieri e morto nel 1997 per tumore ai polmoni – gli iscritti sono 160 circa. L’A.E.A. con la propria azione di volontariato, porta avanti la battaglia di coloro che chiedono un riconoscimento anche in sede giudiziaria per le vittime dell’amianto. L’amianto è fuorilegge, adesso si usano lana di vetro e lana di roccia, che sono cancerogeni lo stesso, ma finché la medicina ufficiale non lo dimostrerà, le aziende potranno continuare a farli usare ad una manodopera sempre più fatta di immigrati, del tutto ignara del proprio destino. A Monfalcone, oggi ci lavorano i bengalesi. Sono per lo più lavoratori in affitto, vittime del meccanismo dei sub-appalti che nella grande fabbrica ha caratteristiche feudali.
Ma l’amianto c’è ancora nell’aria, lo sanno tutti. Scende piano. Da qui al 2025, ne moriranno ancora a grappoli. Da quando è stato messo al bando con la legge del ’92, e si è smesso di usarlo, è stato calcolato un periodo di tempo entro il quale anche l’ultimo esposto avrà chiuso gli occhi ucciso dal mesotelioma, il cancro al polmone provocato dalle fibre di amianto, che buca la pleura come un groviera fino a bloccare la respirazione. Dopo quell’anno, che sarà il picco più alto, si dice, le morti cominceranno a scendere. Ma non è detto che finiscano lì.
I presunti colpevoli, i dirigenti della Fincantieri di quarant’anni fa, oggi hanno tutti quasi ottant’anni: Giorgio Tupini, Manlio Lippi e Vittorio Veneto Fanfani, fratello di Amintore, rinviati a giudizio per il reato di omicidio colposo. Ma non si è mosso nulla. Diverso il discorso per le cause di risarcimento. Nel 2004, l’attivismo di alcune associazioni, a partire da quella fondata da Duilio Castelli, aveva fatto muovere la procura di Gorizia. Si pensava che gli oltre 600 fascicoli affastellati sulla scrivania del procuratore generale, Carmine Laudisio, potessero essere la base per un maxi processo contro la Fincantieri. Invece, anche Gorizia, come tanti altri tribunali italiani, si è rivelata un porto delle nebbie. I 600 fascicoli ci sono ancora, a prender polvere sulla scrivania di Laudisio. Solo 4 cause hanno visto la luce, ma i tempi dei processi poteranno alla prescrizione.
E intanto si continua a morire. Recentemente, sono stai celebrati ben 4 funerali di ex operai Fincantieri (alcuni di loro, come Mirko Yelen, di 51 anni, poi altri di 60 e 71 anni). Tutti con malattie riconducili al lavoro svolto in fabbrica. Anche gli impiegati del settore contabilità o amministrazione hanno respirato l’amianto e sono morti, pensando magari che solo gli operai a diretto contatto col micidiale materiale fossero a rischio. La legge del ’92 ha solo consentito ai molti esposti all’amianto di godere di un prepensionamento di un numero di anni corrispondenti a quelli a cui si è stati a contatto con il materiale. Per tutti gli operai caduti “per il lavoro” non c’è stato nessun risarcimento fino ad oggi.
Fonti: “Monfalcone di Amianto si muore ancora”, Giovanna Pavani, http://www.altrenotizie.org
Alessio Mannucci
Fonte: http://www.ecplanet.com/
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15.06.2007