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La Redazione

 

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In nome del popolo italiano

La nazionale italiana di calcio approda alla finale del campionato europeo: cui prodest?
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A cura di Moravagine
Il 11 Luglio 2021
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Da qualche parte in Italia, 1982.

Abbiamo mostrato la resilienza che ci contraddistingue come italiani (Leonardo Bonucci).

Quando esci per strada, l’assembramento c’è sempre…allora, anzichè fare queste manfrine, la tengo in tasca, la metto…mettetevi la mascherina! Perché la contagiosità della variante delta si sviluppa in dieci secondi: questi sono i dati che abbiamo (Vincenzo De Luca).

In una piazza gremita di persone, in cui non tutti hanno fatto il vaccino o il tampone, si può generare un focolaio ed è quello che accadrà, perché la variante delta è più contagiosa (Pierpaolo Sileri).

Il virus ama i momenti di felicità. I contagi aumenteranno fra i giovani (Agostino Miozzo).

Con il vaccino, vinciamo insieme (Roberto Mancini).

 

Notti magiche

Le notti degli europei sono state proprio magiche. Hanno regalato alle vite ingrigite degli italiani quel tocco di magia che solo la schizofrenia dissociativa sa dare. Alle 20 in punto è il TG1 a dare il via alla memorabile nottata europea. Per molti, è come un parente; è, anzi, il parente più autorevole. A ridosso della partita, mentre ancora sfrigola la frittatona di cipolle di fantozziana memoria, il TG1 somministra ai teleitaliani le canoniche pillole di teleterrore: sono morti tre novantenni ad Asti, preoccupa la variante Delta, in disco solo col green pass, l’esercito porta il vaccino ai terremotati, i vaccini sono sicuri, ne usciremo solo col vaccino. Poi, dopo la consueta gragnuola di spot transumanisti, inizia l’incontro. Quando le telecamere indugiano sui volti cantanti dei nostri gladiatori durante l’inno nazionale, vacue bandierine si agitano nelle coscienze e il sacro virus viene, per un attimo, avvolto dall’oblio. Lo zelante telecronista riporta alla ragione il sognante telespettatore parlandogli di terzini che hanno avuto il Covid, di portieri in quarantena, di mediani tamponati a tappeto…La verità è che i  nostri campioni se ne sbattono ormai apertamente delle  “norme per prevenire il contagio”, e dopo essersele date in campo, si scambiano abbracci e magliette con gli avversari; gli unici sfigati rimasti con la mascherina sono medici e massaggiatori: che s’ha da fa’ pe’ campa’. Nelle fasi di stanca del match, è il pubblico a diventare protagonista: le telecamere regalano cinque secondi di celebrità a qualche spettatore (“mio cugino è stato inquadrato durante il secondo tempo supplementare di Italia-Austria” scriverà qualcuno nella sua biografia) e ne mettono in risalto il mascherinamento. Questo perché la quasi totalità degli spettatori è priva, in qualunque paese si giochi, dello straccio salvifico, e ciononostante non s’ammala né perisce. Così, mentre al campetto sotto casa nessuno s’azzarda a far due tiri per non violare il “divieto di sport di contatto”, all’Olimpico ci si ansima e sbuffa in faccia come ai bei tempi; mentre i lager estivi per bambini propongono giochi a distanza e asfissia garantita, sugli spalti e nelle piazze si tengono degli assembramenti “buoni”.

Le partite sono solo una scusa. Il vero fine di questo baraccone è diffondere capillarmente la propaganda della nuova normalità sanitaria. Durante un tg particolarmente ispirato, una garrula inviatuccia, probabile nipote di qualche  boiardo trapassato e/o amante di qualche puttaniere di Stato, belava alle pecore a casa la sua eccitazione mentre gli spettatori entravano allo stadio “esibendo il Green Pass”. Fra il primo e il secondo tempo, dopo una magia di Insigne e un paratone di Donnarumma, ecco il capolavoro: il doppio spot della RAI “Riprendiamoci il gusto del futuro” in cui telefigurine, campionesse dello sport e “persone comuni” invitano a farsi il vaccino “senza cincischiare”. Per chi se lo fosse perso, qui sotto il più riuscito dei due spot orwellian-goebbelsiani. Da notare l’appropriazione (più o meno indebita) del già ambiguo simbolo della V (la Vendetta decantata da un celebre film), che diventa, a detta loro, “la V di Vita, la V di Vittoria, la V di Vaccino”.

 

In ginocchio da te

Il covidismo è solo una delle dimensioni attraverso le quali si sviluppa il disegno del Nuovo Ordine postumanista, quello al cui servizio lavorano pure calciatori, allenatori, arbitri e cronisti. Un altro fronte di lotta, che ha perso un po’ di smalto dopo un periodo di sovraesposizione, è quello rappresentato dalla causa Black Lives Matter. In tal senso, alcune nazionali partecipanti agli europei si sono rese protagoniste di un rituale inginocchiamento prima del calcio d’inizio. L’Inghilterra ed il Belgio hanno capeggiato le schiere dei paesi “woke”, con Il centravanti belga di origine congolese Romelu Lukaku ad assumersi la leadership “spirituale” del movimento associando alla genuflessione pure un bel pugno chiuso. Altri paesi dalla consolidata fama plurietnica e antirazzista si sono rivelati assai più freddi: è il caso della Francia, i cui giocatori hanno scelto di non inginocchiarsi nella partita d’esordio contro la Germania. L’Italia, dal canto suo, ha manifestato il suo atavico cerchiobottismo. Dopo che nella partita con il Galles, forse colti alla sprovvista, si erano inginocchiati, a fronte della totalità dei gallesi, solo cinque italiani (di cui due, peraltro, di origine brasiliana) ed erano divampate le proverbiali “polemiche social” contro i calciatori ignoranti e razzisti e lo stesso Enrico Letta si era speso per l’inginocchiamento di massa, lo spogliatoio azzurro s’era riunito in assemblea ed aveva deliberato per il “ni” (oppure, se preferite, per il “forse” o per il “dipende”) rispetto alla cruciale questione. All’atto pratico, contro gli austriaci son rimasti tutti in piedi, contro i belgi si son tutti genuflessi. Questa la dichiarazione rilasciata in proposito dal capitano Giorgio Chiellini: “Se e quando ricapiterà una richiesta di altre squadre ci inginocchieremo per sentimento di solidarietà e di sensibilità verso le altre nazionali e cercheremo di combattere il nazismo in altro modo“. Insomma, si fa come fanno gli altri e si cerca di combattere il nazismo: italiani brava gente. Le nazionali dell’Europa Orientale son rimaste invece tutte in piedi. Presentate come espressione di biechi regimi larvatamente razzisti, è stato più volte sottolineato il fatto che non schierassero (Ungheria a parte) alcun giocatore di colore. La civiltà da una parte, con il suo policromatismo postcoloniale; la barbarie dall’altro con la sua uniformità etnico-cromatica; in mezzo al guado, l’Italia dei terroncelli, senza manco un Balotelli, che proprio non vuole diventare grande.

Prima della partita Germania-Ungheria del 23 giugno, un’altra nobile causa si è affacciata sul palcoscenico degli europei di calcio. A Monaco di Baviera, sede dell’incontro, il comune aveva deliberato di tingere (virtualmente) lo stadio dei colori dell’arcobaleno in segno di solidarietà verso la comunità LGBTQ ungherese vessata dalle leggi “omotransfobiche” di Orban. L’UEFA, organizzatrice del torneo, ha vietato l’iniziativa e l’amministrazione comunale ha deciso di arcobalenare tutta la città, supportata dal solito coro della stampa e della televisione. Per la cronaca, i rozzi magiari, ospiti sgraditi alla festa del Pensiero Unico e chiaramente blanksfavoriti sul piano tecnico, hanno messo sotto i tedeschi fino all’ottantaquattresimo minuto. A quel punto il centrocampista Leon Goretzka ha trovato il gol del 2-2 ed ha festeggiato giungendo le mani a forma di cuore per omaggiare l’Amore Universale LGBTQ, mentre nell’arena bavarese sventolavano migliaia di bandiere arcobaleno (distribuite dalla pervicace amministrazione comunale). Questo per dire che l’Amore, alla fine, vince Sempre (o almeno pareggia).

W l’Italia (l’Italia che resilie)

Dopo la vittoriosa semifinale contro la Spagna, la retorica militaresco-tardorisorgimentale che accompagna tali accadimenti ha raggiunto i suoi  vertici. Gli Azzurri hanno infatti vinto “soffendo”, esibendo il classico catenaccio col contropiede in canna, dopo aver mostrato nelle precedenti partite un calcio offensivo e arrembante, sostanzialmente estraneo alla tradizione pedatoria nazionale. I professionisti dell’informazione hanno subito colto al balzo la palla lanciatagli dal buon Bonucci (quello che “abbiamo mostrato la resilienza che ci contraddistingue come italiani“) e hanno preso a celebrare “l’Italia resiliente di Draghi”, quella che non si arrende alle avversità e via ricamando. Sulle piazze piene di giovinastri alticci, invece, si è preferito glissare: pure quelli, tutto sommato, sono assembramenti “buoni”, o quantomeno innocui. Si tratta del medesimo copione andato in scena per altre piazzate calcistiche: la celebrazione dello scudetto dell’Inter, le feste per la promozione in Serie A di Salernitana e Venezia, l’oceanica commemorazione di Maradona che si tenne a Napoli. Trattandosi di “assembramenti” privi di qualsivoglia spessore politico, il Sistema chiude volentieri qualcuno dei suoi mille occhi mediatici o polizieschi.  Avendo covato nel loro seno una minoranza di covidisti ortodossi, però, dopo l’inevitabile “bufera social” lorsignori hanno dovuto dare qualche spiegazione a quanti abbaiavano alla luna sulla mancanza di mascherine e distanziamenti. Ed ecco dunque un Sileri che parla di ripristino dell’obbligo mascherinale, un Sala che annuncia controlli vigileschi, un Galli che minaccia ancora confinamenti, un Bassetti che rivela un’amara verità: la vera finale non sarà contro l’Inghilterra, ma contro la “variante delta”. La tensione, tuttavia, va scemando, il “nervosismo” per le varianti si avverte solo in televisione, la campagna vaccinale langue. In attesa di trovate migliori, esce dal cilindro un bell’allarme covid a Coverciano, con positività di tre giornalisti RAI, fra i quali Alberto Rimedio, il telecronista della nazionale.

In un altro articolo, ponevo un interrogativo socio-calcistico: gli italiani avrebbero mangiato la foglia dopo le feste di piazza per la nazionale di calcio? L’avrebbero visto, il re nudo?

Una possibile risposta è nel finale de In nome del popolo italiano, film del ’71 di Dino Risi, con Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman nei panni rispettivamente di un giudice integerrimo e di un cinico arrivista incriminato per la morte di una ragazza. Dopo alterne vicende, il giudice giunge in possesso di un documento che lo conduce alla Verità sul caso di cui si stava occupando. Combattuto sul da farsi, si trova a maturare le proprie riflessioni mentre prendono piede i barbari festeggiamenti (viene pure data alle fiamme un’auto con targa britannica) per una vittoria della nazionale che, nella finzione filmica, avviene proprio contro l’Inghilterra.”Amo vinto! Amo battuto l’Inghiltera!” urla un energumeno a torso nudo prima di lanciarsi dal balcone e rotolarsi sull’asfalto abbracciando un altro coattone.

L’informazione indipendente è stata caustica sugli assembramenti calcistici. Un popolo che si mobilita per il calcio con una tale veemenza mentre gli vengono sottratti, senza colpo ferire, i più elementari diritti è un popolo che merita di essere inghiottito dai buchi neri della storia. Inoltre, il regime ha già messo le mani avanti: questa sarà la sua vittoria e già si sprecano i parallelismi fra l’11 luglio di quarant’anni fa con Pertini al Bernabeu e l’11 luglio di quest’anno con Mattarella a Wembley. Eppure, davanti ad una catartica, ignorante, strafottente, italianissima festa di popolo, il giocattolo potrebbe sfuggirgli dalle mani. Ci si aggrappa a tutto, in nome del popolo italiano.

 

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