DI JUDE WANNISKI
A: Bill Keller, Caporedattore del New York Times
Da: Jude Wanniski
Soggetto: Ma chi avrebbe gassato?
Ti sembrerò un tantino puntiglioso, Bill, ma siccome hai da poco occupato il posto di caporedattore per via di problemi editoriali legati al tuo predecessore, ho deciso di dedicare il Promemoria di oggi ad “Ali il Chimico”. Nell’edizione di venerdì scorso, il tuo corrispondente da Baghdad, Robert F. Worth, riferiva della cattura del principale consigliere di Saddam Hussein, Ali Hassan al-Majid, “che si è guadagnato l’appellativo di Ali il Chimico dopo aver ordinato l’uso di gas velenoso per stroncare una rivolta curda nel 1988”. Worth dice: “Uno degli episodi più eclatanti è quello delle forze irachene che, sotto il suo comando, usarono gas velenoso contro i residenti di Halabja, un paesino al confine con l’Iran, nel marzo del 1988, uccidendo 5.000 persone tra uomini, donne e bambini”.
Troverai in appendice un articolo apparso sul tuo giornale del 31 gennaio di quest’anno, firmato dal dottor Stephen Pelletiere, il maggiore analista della CIA durante la guerra Iran-Iraq, in cui sostiene che tra tutti gli abusi contro i diritti umani imputati a Saddam Hussein, quello di genocidio non era tra questi, e che l’episodio di Halabja in particolare non implicava un deliberato atto di voler gassare i curdi. “Per quanto ne sappiamo noi, tutti i casi in cui il gas fu usato corrispondono ad una battaglia. Queste sono tragedie di guerra. Forse possono esserci giustificazioni per l’invasione dell’Iraq, ma Halabja non è tra queste”. Il fatto è che Human Rights Watch, che da più di un decennio promuove la storia del genocidio, continua ad insistere che la sua versione dei fatti sia corretta, e non quella della CIA. È deplorabile che una delle ragioni per cui il presidente Bush decise di far guerra a Saddam si basava su questo fatto. Gli è stato ripetuto più volte da guerrafondai nella sua amministrazione che Saddam era il nuovo Hitler. Un articolo apparso sul New Yorker nel 2002, di Jeffrey Goldberg, ignorò completamente le conclusioni delle agenzie dell’intelligence americane. Ora, se fai controllare a qualcuno, troverai che il più recente resoconto della CIA è simile a quello di Pelletiere, dove si parla di “centinaia”, non di “5.000” morti ad Halabja, negli scontri tra soldati iracheni e iraniani, quando la città di 40.000 anime cambiò due volte di mano negli ultimi mesi degli otto anni di guerra.
“Ali il Chimico” avrebbe presumibilmente dato l’ordine alle forze irachene di sganciare bombe chimiche su di Halabja, ma W. Patrick Lang, che a quel tempo era il maggior analista per la DIA (intelligence per la difesa) e che concorda con Pelletiere sui fatti in questione, mi dice che i due eserciti si scambiarono bombe chimiche con mortai, e che non furono usati aerei – come fu invece riferito dal New Yorker. Per inciso, ancora non esiste prova che alcun curdo morì di gas per ordine di “Ali il Chimico”, un nomignolo appioppatogli dagli stessi propagandisti del Pentagono che lo fecero anche “re di picche” nel famoso mazzo di carte.
Tutto questo può apparirti pignolo, Bill, ma se il Times avesse fatto bene il proprio lavoro ed avesse riferito i fatti invece di passare per buone le asserzioni di Richard Perle e della sua cabala, non ci sarebbe stata alcuna guerra preventiva contro l’Iraq. Lasciamelo dire ancora una volta: se il New York Times avesse fatto bene il suo lavoro riferendo i fatti invece di scrivere sotto la dettatura degli intellettuali del Pentagono, non ci sarebbe stata alcuna guerra preventiva contro l’Iraq. Nelle settimane antecedenti la guerra, sia il presidente che il vice presidente usarono ripetutamente la tiritera che Saddam avesse “gassato la sua stessa gente”, come motivo per destituirlo.
Non dico che il tuo predecessore avesse dato istruzioni ai suoi giornalisti di non riportare i fatti, ma se io, dalla mia scrivania al Polyeconomics, potevo vedere cosa stava succedendo più di un anno fa, semplicemente rintracciando alcuni ufficiali dell’intelligence ora in pensione, ci si potrebbe aspettare che i tuoi investigatori perlomeno controllino le loro fonti ufficiali anche se è passato così tanto tempo. Forse potresti chiedere ai tuoi redattori all’ufficio esteri di dare un’occhiata a quello che è stato stampato sulle pagine del loro giornale prima di pubblicare comunicati di giovani giornalisti sul campo che forse non ne sanno abbastanza. Il Primo Emendamento, dopo tutto, garantisce il tuo diritto a fare domande, specialmente se ciò facendo si possono evitare guerre. Odierei vedersi scatenare una guerra inutile proprio sotto i tuoi occhi.
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UN CRIMINE DI GUERRA O UN ATTO DI GUERRA?
DI STEPHEN PELLETIERE
The New York Times
MECHANICSBURG, Pennsylvania. Non sorprese che il presidente Bush, senza alcuna prova sul programma militare iracheno, usasse il suo discorso sullo Stato dell’Unione per accreditare la moralità dell’invasione: “Il dittatore sta ammassando le armi più pericolose al mondo, e le ha già usate su interi villaggi, lasciando migliaia di propri cittadini morti, ciechi o sfigurati”.
L’accusa che l’Iraq aveva usato armi chimiche contro i propri cittadini è cosa consueta in questo dibattito. La prova più frequentemente portata a corroborare i fatti riguarda l’uso di gas contro i curdi della città di Halabja nel marzo del 1988, verso la fine degli otto anni di guerra tra l’Iran e l’Iraq. Il presidente Bush spesso ha fatto perno sulla frase “gassato la sua stessa gente”, precisamente ad Halabja, come una ragione per far cadere Saddam Hussein.
Ma la verità è che tutto quello che sappiamo è che i curdi quel giorno ad Halabja furono bombardati con gas velenoso. Non possiamo dire con assoluta certezza che furono armi chimiche irachene ad uccidere i curdi. Questa non è la sola stortura della storia di Halabja.
Io lo so perché, come capo analista politico della CIA sull’Iraq durante la guerra Iran-Iraq, e come professore al Collegio Militare di Guerra dal 1988 al 2000, ero a conoscenza di molto del materiale segreto che fluiva attraverso Washington e che aveva a che vedere con il Golfo Persico. Inoltre ero a capo di una investigazione militare del 1991 sul come gli iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati Uniti; la versione segreta di quel dossier esplorava con dovizia di dettagli l’affare Halabja.
Quello di cui siamo sicuri circa l’uso del gas ad Halabja è che successe durante una battaglia tra le truppe irachene ed iraniane. L’Iraq usò armi chimiche per ammazzare gli iraniani che avevano preso la città, che si trova nell’Iraq settentrionale, non lontano dal confine iraniano. I civili curdi che morirono ebbero la sfortuna di essere presi in quello scambio. Ma non erano loro il bersaglio degli Iracheni.
Ma la storia si intorbidisce. Immediatamente dopo la battaglia la DIA investigò e produsse un resoconto segreto, che circolò per conoscenza tra la comunità dell’intelligence. Quello studio accertò che era stato il gas iraniano ad uccidere i curdi, non quello iracheno.
L’agenzia trovò che ambedue le parti usarono armi chimiche l’una contro l’altra nella battaglia di Halabja. Tuttavia lo stato in cui furono trovati i corpi dei curdi indicava che furono uccisi con un veleno che agiva sul sangue, cioè un gas a base di cianuro, che si sapeva veniva usato dalle truppe iraniane. Gli Iracheni, che si pensa usassero l’iprite in battaglia, non erano soliti usare gas che agiva sul sangue, in quel periodo.
È da molto tempo che questi fatti sono di pubblico dominio, ma, stranamente, ogniqualvolta il caso Halabja è citato, di questo non se ne parla. Un articolo controverso apparso sul New Yorker lo scorso marzo non faceva alcun riferimento al resoconto della DIA, né considerava che potesse essere stato gas iraniano ad aver ucciso i curdi. Nelle rare occasioni in cui se ne parla, ci si specula sopra, senza prova alcuna, che fosse per favoritismo politico dell’America verso l’Iraq nella guerra contro l’Iran.
Non sto cercando di riabilitare Saddam Hussein. Deve troppe risposte sull’abuso di potere riguardo ai diritti umani, ma accusarlo di un atto di genocidio nel gassare il suo stesso popolo ad Halabja non è corretto, perché tutte le informazioni che abbiamo puntano al fatto che il gas fu usato soltanto in battaglia. Queste sono tragedie di guerra. Forse possono esserci giustificazioni per l’invasione dell’Iraq, ma Halabja non è una di queste.
Infatti coloro che pensano che il disastro di Halabja possa pesare sull’oggi dovrebbero farsi un’altra domanda: perché l’Iran voleva ad ogni costo impadronirsi della città? Uno sguardo più accurato potrebbe far luce sull’impetuosità dell’America di invadere l’Iraq.
Ci ricordano continuamente che l’Iraq ha forse le più grandi riserve di petrolio del mondo. Ma in senso regionale e perfino geopolitico è forse più importante che l’Iraq ha il più grande sistema fluviale del Medio Oriente. Oltre al Tigri e all’Eufrate, nel nord del Paese ci sono altri due fiumi, il Grande Zab e il Piccolo Zab. L’Iraq è coperto da reti di irrigazione dal sesto secolo A.C. che ne facevano il granaio della regione.
Prima della Guerra del Golfo, l’Iraq aveva costruito un immenso sistema di dighe, con progetti di controllo dei fiumi, la più grande era quella di Darbandikhan, nella zona curda. Era di questa diga che l’Iran cercava di ottenere il controllo quando prese Halabja. Negli anni 1990 si parlava molto della costruzione di una cosiddetta Conduttura della Pace, un acquedotto che avrebbe dovuto portare le acque del Tigri e dell’Eufrate a sud, negli stati assetati del Golfo e, conseguentemente, ad Israele. Nessun progresso fu fatto a questo riguardo, soprattutto per l’intransigenza dell’Iraq. Con l’Iraq in mani americane, naturalmente tutto questo può cambiare.
Perciò l’America potrebbe cambiare il destino del Medio Oriente in un modo che probabilmente non potrà essere sovvertito per decenni – non solo controllando il petrolio iracheno, ma controllandone l’acqua. Anche se l’America non occupasse l’Iraq, una volta che il partito di Hussein, il Baath, fosse scalzato, molte opportunità di lucro si aprirebbero per ditte americane.
Per entrare in guerra abbiamo soltanto bisogno di una ragione, una che dovrebbe persuadere tutti. Ma gli sforzi di collegare gli Iracheni ad Osama bin Laden sono stati vani. Neppure affermare che l’Iraq minaccia i propri vicini non è valso a granché perché nelle condizioni in cui si trova il Paese – grazie alle sanzioni delle Nazioni Unite – le forze armate irachene non minacciano nessuno.
Forse l’argomento più persuasivo per entrare velocemente in guerra contro Saddam Hussein è che ha commesso atrocità contro i diritti umani e contro il suo stesso popolo. E le accuse più gravi sono quelle riguardo Halabja.
Prima di entrare in guerra sulla questione di Halabja però, l’amministrazione deve al popolo americano la completa spiegazione dei fatti. E se ha altri esempi di come Saddam Hussein abbia gassato i curdi, deve dimostrare che questi non erano guerriglieri curdi pro-Iran che morirono a fianco delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane. Fintanto che Washington non ci offre prove delle presunte atrocità di Saddam Hussein, perché dovremmo prendercela con l’Iraq sulla questione dei diritti umani, specialmente quando ci sono così tanti altri regimi oppressivi che Washington appoggia?
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Stephen C. Pelletiere è l’autore di “L’Iraq e il sistema petrolifero internazionale: perché l’America entrò in guerra nel Golfo Persico”.
Jude Wanniski
Fonte: http://www.wanniski.com/
Link: http://www.wanniski.com/showarticle.asp?articleid=2864
25.08.2003
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIANNI ELLENA