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La Redazione

 

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Il Singapore-Helsinki Express

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A cura di Davide
Il 6 Luglio 2018
149 Views

DI ISRAEL SHAMIR

unz.com

Helsinki dopo Singapore! Si spera che il summit Trump-Putin si svolga questo mese nella capitale finlandese, dopo esser stato rimandato più e più volte. Ci aspettavamo che i due uomini forti si incontrassero subito dopo la storica vittoria di Trump, ma il vertice non ha avuto luogo, perché il neopresidente americano è stato assediato dalla Gestapo di Mueller ed accusato di essere un agente russo. Questa frivola accusa continua a fluttuare ogni volta che cerca di fare qualcosa di buono: le cose sono però cambiate dopo il suo vertice con Kim, un evento che in prospettiva cresce d’importanza di giorno in giorno.

Il Trump pre-Singapore e quello post sono creature completamente diverse. Prima era il signor lingua lunga, un dominatore del suo account Twitter e di poco altro. Dopo il summit, è diventato un Prometeo Liberato, il regale presidente dei potenti Stati Uniti. Incontrando Kim, ha respinto i saputelli dei media e del Deep State; si è rifiutato di prendere i loro ordini ed ha fatto ciò che riteneva giusto. Incontrando Putin trasformerà la propria disobbedienza in una vera e propria rivolta.

I suoi avversari, i Maestri del Discorso, erano allarmati dal summit di Kim; ora sono inorriditi alla vigilia dell’incontro con Putin.

Diamo una breve occhiata alla loro reazione agli eventi di Singapore (QUI puoi trovare un articolo d’approfondimento). Il leader del Senato per la minoranza, Chuck (“il guardiano di Israele”) Schumer, ha espresso “estrema preoccupazione”, dicendo che “Trump ha tratto una falsa equivalenza tra le legittime esercitazioni militari congiunte USA-Corea del Sud, e gli illegali test nucleari nordcoreani (“Come si può paragonare!” – tipica risposta ebraica standard)… Non dovrebbe essere dato alcunché ai nordcoreani fino a che non avverrà “uno smantellamento completo, verificabile ed irreversibile del programma nucleare”… Trump ha dato “ad una brutale e repressiva dittatura la legittimità internazionale che da tempo bramava”.

Nicholas Kristof del New York Times si è lamentato del fatto che “Trump ha fatto un’enorme concessione – la sospensione delle esercitazioni militari con la Corea del Sud”, ottenendo nulla in cambio – “nulla sul blocco dei programmi su plutonio ed uranio, nulla sulla distruzione dell’ICBM, nulla sul permettere agli ispettori di tornare, nulla sull’obbligare la Nord Corea a fare una dichiarazione completa del suo programma nucleare, nulla su un calendario, nulla su verifiche, ecc.”. Noah Rothman, co-editore della rivista neocon Commentary, ha definito il summit “una disgrazia”.

E gli “interventisti umanitari”, cioè quelli di sinistra a favore dell’intervento su basi umanitarie, hanno già lanciato sulle prime pagine denunce di essersi comportati da disertori; come preventivabile, esigono che non si acconsentisca ad una pace senza un completo regime change e successivo controllo internazionale.

Trump si è trovato davanti un fronte unito di media ed esperti, allarmati da qualsiasi progresso verso la pace. Per loro, l’unico modo per negoziare con la Corea del Nord è quello usato con la Libia: prima disarmare, poi intervenire e bombardare; d’altronde, è molto più sicuro bombardare un paese disarmato. Il leader coreano lo sa bene; è improbabile scelga la via Gorbaciov. L’ultimo leader sovietico disarmò il proprio paese, smantellò il trattato di Varsavia, consegnò la Germania Est all’Occidente e permise agli ispettori statunitensi di entrare nelle più segrete installazioni russe dopo un’amichevole conversazione con Reagan. Kim non lo farà, e la Cina non lo permetterà. L’ultima cosa di cui i cinesi (o i russi) hanno bisogno è un protettorato americano in Corea del Nord, non lontano da Harbin, Pechino e Vladivostok. Buoni rapporti tra Nord e Sud Corea e Stati Uniti sono però certamente possibili, se Trump dovesse comportarsi come a Singapore.

Poche settimane dopo Singapore, sembra tuttavia che, come spesso accade, gli oppositori abbiano prevalso. Gli Stati Uniti si sono rifiutati di lavorare per revocare le sanzioni nel Consiglio di Sicurezza ONU, ed hanno respinto la proposta russo-cinese di iniziarne lo smantellamento, mentre i media occidentali hanno iniziato a passare al setaccio tutte le trasgressioni di Kim. Così, ancora una volta, un’aura di inaffidabilità ha circondato il presidente americano.

L’incontro di Putin aveva prodotto risposte simili. Orrore, la pace si sta raggiungendo!

“Crescono timori alla prospettiva del ‘patto di pace’ tra Trump e Putin”, ha scritto il Times in un editoriale. “La Gran Bretagna teme che Trump minacci la NATO portando a casa un “accordo di pace” con Putin… I ministri del governo temono che possa essere convinto a ridurre gli impegni militari statunitensi in Europa… Figure della NATO temono che possa cercare di replicare il suo “accordo di pace” con Kim, che ha avuto responsi così positivi. Un ministro del governo ha detto: “Quel che temiamo è una specie di accordo di pace con Trump e Putin che dicono: ‘Perché abbiamo tutto quest’attrezzatura militare in Europa?’, e che congiuntamente accettino di rimuoverla”. Altri media e politici sono egualmente insoddisfatti e preoccupati. “Gli alleati europei sono estremamente preoccupati per questo vertice”, afferma MSNBC; idem l’Atlantic, il Guardian, ecc.

Il più vicino ad un atteggiamento positivo all’incontro di Singapore è stato Anshel Pfeffer, giornalista ebreo britannico di Ha’aretz: un accordo con il sanguinario tiranno ovviamente non è auspicabile, ma c’è la speranza che, una volta riconciliatosi con Kim, Trump andrà più facilmente in guerra con l’Iran. Ha rassicurato i guerrafondai che, per una guerra in Corea sfuggita, ce ne sarà una in Iran. Questa è la linea che i fiduciosi hanno preso nei confronti della riunione di Helsinki: il vertice Trump-Putin potrebbe essere perdonato se portasse alla guerra contro l’Iran. Questa è l’alternativa presentata dai media mainstream occidentali: i guerrafondai condannano entrambi i vertici, i fiduciosi dicono che “non tutto è perduto, c’è ancora l’Iran”.

Per capire perché gli americani riluttanti vengono portati in guerra, ci rivolgeremo ad un recente importante articolo di Ron Unz. Fa parte della sua serie American Pravda, che indaga la storia americana moderna e la sua [errata] presentazione nei media e nella memoria pubblica. “Our Great Purge of the 1940s”, nonostante il titolo, è una decifrazione dei codici segreti nel discorso pubblico americano e britannico del 20° secolo. Dopo aver passato in rassegna un immenso numero di giornali e riviste, Unz è giunto alla conclusione che chiunque nella vita pubblica americana si sia schierato contro le guerre, nella maggior parte dei casi si è trovato emarginato, espulso, dimenticato o persino assassinato.

Racconta che gli scrittori che credeva fossero degli estremisti marginalizzati in realtà avevano ricoperto posizioni apicali nei media mainstream e nella politica dei propri tempi, fino a quando appunto non sono stati emarginati e presentati come estremisti.

Un esempio è H.E. Barnes, commentatore molto stimato e popolare sulle tribune più prestigiose, fino a quando “verso fine anni ’30 divenne un forte critico del proposto coinvolgimento americano nella Seconda Guerra Mondiale. Come conseguenza, “scomparse” permanentemente, escluso da tutti i principali mezzi di informazione, mentre una grande catena di giornali venne pesantemente spinta ad interrompere bruscamente nel maggio 1940 la sua rubrica nazionale di lunga data”. È scomparso dalla memoria, dice Unz.

Un esempio politico è Charles Lindbergh, forte voce per la pace a fine anni ’30 – inizi anni ’40. Solo una volta menzionò che tre gruppi, in particolare, stavano “spingendo questo paese verso la guerra [:] gli inglesi, gli ebrei e l’amministrazione Roosevelt”, scatenando così un’enorme tempesta di attacchi e denunce da parte dei media. Quella fu la fine della carriera politica di Lindbergh, e gli Stati Uniti entrarono in guerra.

Ad Hollywood (strumento fondamentale nella propaganda di massa), l’unico proprietario di studios non ebreo, Disney, convinto pacifista, ebbe i propri uffici occupati dall’esercito americano, dice Unz, il giorno dopo Pearl Harbor.

Giusto o sbagliato, dal punto di vista attuale? Dovremmo fare una rigorosa distinzione tra il periodo prima e quello dopo l’inizio delle ostilità in Europa. Prima, chi era per la pace aveva ragione, perché la Seconda Guerra Mondiale poteva essere evitata del tutto: se la Polonia (incoraggiata da americani e britannici) non avesse provocato la Germania, Hitler se ne sarebbe rimasto a casa, a trasformare il proprio paese nel paradiso nazista. Quando la guerra scoppiò seriamente, gli Stati Uniti dovettero intervenire in Europa per impedire una vittoria tedesca e la successiva dominazione germanica dell’intero continente eurasiatico, dalla Manica fino a Vladivostok. Per quel che riguarda la guerra col Giappone, poteva essere evitata se gli USA non l’avessero provocata con l’embargo petrolifero.

Unz scrive che gli ebrei e l’amministrazione Roosevelt prevalsero su Gran Bretagna e Polonia, facendo prendere una forte linea anti-tedesca. Gli ebrei erano certamente anti-nazisti e disposti a rischiare una guerra mondiale. Roosevelt però era stato eletto perché aveva promesso pace e neutralità – dopo esser stato eletto fece invece un’inversione ad U andando in guerra.

Proprio quest’ultima sembra essere una caratteristica permanente della politica americana: i presidenti vengono eletti promettendo pace, per poi scegliere la guerra dopo la propria elezione. FDR sostenne l’Atto di Neutralità, ma poi condusse gli USA alla Seconda Guerra Mondiale. Bush jr promise una “umile politica estera”, per poi andare a conquistare Afghanistan ed Iraq. Obama ci teneva così tanto alla pace che aveva persino ricevuto il Nobel in anticipo, ma poi ha portato guerra in Libia e Siria. Ora abbiamo Trump, la cui campagna elettorale includeva la promessa di “mai più un cambio di regime” e l’amicizia con la Russia. La sua presidenza verrà però ricordata, perlomeno fino a questo punto, per le minacce di guerra ad Iran e Nord Corea.

Unz, nell’articolo menzionato, si riferisce anche alla guerra in Iraq. Chi si è opposto a questa guerra distruttiva e senza senso è stato emarginato ed ostracizzato:

Phil Donahue faceva ottimi ascolti su MSNBC, ma all’inizio del 2003 il suo programma venne cancellato; trapelò una nota che indicava che la causa era la sua opposizione alla guerra incombente. Il conservatore Pat Buchanan ed il liberale Bill Press, entrambi critici della guerra in Iraq, tennero sulla stessa rete un dibattito molto seguìto, ma venne anch’esso cancellato per analoghe ragioni. Bill Odom, il generale a tre stelle che gestiva l’NSA ai tempi di Reagan, venne anch’egli inserito nella lista nera dei media per la sua opposizione alla guerra. Numerose importanti voci dei media “scomparvero” nello stesso periodo, ed anche dopo che l’Iraq venne universalmente riconosciuto come un enorme disastro, la maggior parte di loro non riacquisì mai il proprio ruolo.

C’è quindi una forza che costantemente spinge alla guerra, perlomeno dal 1914 fino ai giorni nostri. Questa forza coincide con il principale vettore della politica americana, e, dal ’91, con la politica occidentale tout court. Ha una forte componente ebraica, basata su media ed università; una nuova Chiesa d’Occidente che cerca di abbracciare il mondo. Le sue guerre sono “crociate” (מצווהמלחמת, “guerre per la fede”, in stile Joshua). Questa è la spinta degli ebrei alla dominazione del mondo. Non vogliono ammetterlo, ma prima o poi lo faranno; tanto più che la loro pulsione è intrecciata con la quella americana al dominio del mondo (“Manifest Destiny”) e con quella britannica (“il Fardello dell’Uomo Bianco”).

Uno dei motivi per cui gli ebrei si sono allontanati dai russi è la mancanza di aggressività di questi ultimi. Sia nel calcio che in guerra, i russi di solito giocano in difesa. Persino Stalin, il cui nome ancora incute timore, non ha quasi mai avviato una guerra d’aggressione; non ha mai sognato di conquistare l’Europa o il mondo. Altri sovrani russi erano ancor più difensivi, nel migliore dei casi. Gli ebrei invece preferiscono l’azione.

Anche la civiltà anglo-americana ha la propria aggressività intrinseca. Non è un giudizio di valore, una condanna di per sé: c’è chi mangia erba e chi carne; abbiamo in casa cani e gatti, predatori, e non docili agnelli e vitelli. L’aggressività deve tuttavia trovare i propri limiti, altrimenti il ​​mondo sarà distrutto. Si sta ora cercando questo limite, e Trump, che ha lanciato ballon d’essai per lasciare la NATO e smantellare altre alleanze aggressive, sta facendo proprio questo.

L’accordo sulla Siria

Ci sono segnali che Trump voglia fare in Siria quel che Nixon fece in Vietnam, vale a dire uscirne. Mossa saggia, se gli verrà concesso di farla. Secondo i media, Trump deve discutere di due cose con Putin.

La prima è l’Iran. Gli Stati Uniti vogliono che la Russia limiti la sua collaborazione con l’Iran o addirittura lo cacci dalla Siria. Per questo, gli USA stanno proponendo di abbandonare la richiesta di un nuovo governo siriano, provvisorio e senza Assad. Sono pronti ad accettare che la Siria svolga regolari elezioni nel 2021, rimuovendo l’argomento dall’agenda fino a quel momento. Tentano inoltre la Russia promettendo di revocare alcune sanzioni. Questo affare era stato proposto ai russi alcune settimane fa, e da allora è stato sviluppato.

L’Iran è il nemico prediletto di Israele. Trump aveva stretto una temporanea alleanza coi sionisti, un gruppo ebraico principalmente interessato al Medio Oriente, al contrario degli ebrei “liberali” che perseguono il dominio del mondo. Questi ultimi sono fortemente contrari a Trump; per gli ebrei sionisti l’agenda liberale negli Stati Uniti ed in Europa (delocalizzazione, gender, immigrazione, libero scambio, …) è meno importante, mentre il Medio Oriente (Iran, Israele, Siria) lo è di più. Trump cerca di soddisfare gli appetiti sionisti, sperando che loro in cambio limitino gli attacchi dei loro fratelli contro di lui. Detto che anche Putin è amichevole coi sionisti mentre i liberali gli sono ostili, i due presidenti possono trovare un compromesso accettabile. Non sarà però ciò che Israele sogna.

La Russia non vuole litigare con l’Iran; non può peraltro cacciarlo dalla Siria, anche qualora lo volesse. Non appena questo tema è stato discusso dalla stampa, è apparsa una lunga intervista del presidente Assad, che ha sottolineato che l’alleanza con l’Iran è per lui la più importante. Gli iraniani, dopotutto, hanno combattuto al suo fianco quando i russi stavano a guardare.

I persiani sono però dinnanzi ad un dilemma. Non vogliono uno scontro con la Russia, né con gli Stati Uniti, né con Israele. Quando Putin lanciò il suo ballon d’essai, dicendo che tutte le truppe straniere dovevano ritirarsi dalla Siria, gli iraniani non obiettarono, ma dissero: “Siamo aperti ad andarcene, se ci venisse chiesto”. Damasco però non vuole.

L’Iran ha tuttavia accettato di non partecipare all’attuale lotta per il sud-ovest della Siria, per il territorio adiacente ai confini della Giordania e di Israele. Lì, il legittimo esercito siriano sta conducendo un’offensiva di successo contro i ribelli, col solo supporto aereo russo.

Questa assenza di iraniani vicino ai confini israeliani verrà forse presentata da Trump ad Israele come una sua realizzazione. Il presidente americano vuole che la Russia crei una zona priva di iraniani accanto ai confini giordano ed israeliano. La Russia non controlla la situazione in Siria a tal punto da poterla promettere. Può però negoziare per impedire alle milizie sciite di entrare in questa regione. L’ha peraltro già fatto in passato: quando le truppe siriane si sono avvicinate al confine israeliano nella zona di Kuneitra, Israele ha chiesto che le milizie sciite rimanessero a 50-70 km di distanza. I russi hanno detto: “No, ma appresteremo per voi qualche chilometro di separazione”. Questo tipo di accordo è quindi possibile, se le parti saranno sufficientemente condiscendenti. È sicuro però che la Russia però non tradirà l’Iran.

Il secondo è il destino dei ribelli.

Trump non vuole che il ritiro dei soldati americani sia accompagnato da un bagno di sangue. Mentre il rappresentante USA all’ONU ha accusato la Russia di aver violato il cessate il fuoco e di non aver osservato la zona di de-escalation, la Casa Bianca ha affermato che l’America avrebbe sostenuto moralmente i ribelli, ma che non avrebbe combattuto per loro. “Non basate le vostre decisioni sull’aspettativa di un intervento militare da parte nostra”, era il messaggio.

È stato questo un segnale di una vicina fine della ribellione. Robert Fisk pensa che il loro crollo sia imminente. I russi hanno vinto set e partita. Alcuni gruppi ribelli si sono già arresi e schierati dalla parte di Damasco. I più ostinati si sono ritirati a migliaia sui confini giordani ed israeliani, ma nessuno dei due paesi intende lasciarli entrare.

Trump ragionevolmente non vuole che vengano macellati. Non ha bisogno di media che gridino al massacro dei combattenti per la libertà siriani, i loro figli e le donne incinte tradite dall’agente russo Trump. Ha bisogno di un accordo per il quale le truppe siriane consentano ai ribelli di riappacificarsi col legittimo governo o di andarsene illesi. Questa richiesta è quel che anche la Russia vuole. Fin dall’inizio e fino ad oggi, i russi hanno creduto ed hanno insistito sul fatto che è necessario trascinare le disparate bande ribelli al lato di Damasco. Anche Assad lo vuole, perché ovunque le truppe siriane sono giunte come liberatrici o conquistatrici, sia a Ghuta est che ad Aleppo, non si sono lasciate andare a vendette o rese dei conti. Sono sicuro che Putin aiuterà Trump a lasciare la Siria senza perdere la faccia.

Capisco che per molti dei miei lettori sia difficile se non impossibile supportare Trump. La tragedia di Nixon potrebbe ripetersi, perché il presidente che fece pace con Cina e Vietnam era odiato dai guerrafondai e da tutti gli americani influenzati dai media, e costretto ad andarsene. È stato l’ultimo presidente indipendente e pacifista; chi lo condannò è stato punito da una lunga serie di governanti inferiori. Trump ha molti difetti, ma vuole evitare una grande guerra. Merita una possibilità.

Per quel che riguarda Putin, sono certo che sarà amichevole con l’americano, e non sarà compassionevolmente tentato di fargli grandi concessioni, nonostante i poteri ancora piuttosto limitati dell’altro; le sue decisioni infatti verranno probabilmente bloccate dal Congresso e forse rovesciate dal suo successore. Solo una persona avventata farebbe con lui un complicato accordo a lungo termine. Putin probabilmente si accontenterà di accordi a breve respiro.

 

Israel Shamir

Fonte: www.unz.com

Link: www.unz.com/ishamir/the-singapore-helsinki-express/

4.07.2018

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

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