DI RAJ PATEL
Energy Bulletin
I demografi del pianeta hanno aumentato
questa settimana (ndt: il 4 maggio 2011) le loro stime di crescita della popolazione per il
secolo attuale. Si prevede che raggiungeremo i 10 miliardi di persone
entro il 2100. Oggi l’umanità produce abbastanza cibo per nutrire
tutti ma, a causa del modo in cui viene distribuito, esiste ancora un
miliardo di affamati. Non c’è bisogno di essere un inveterato maltusiano
per avere la preoccupazione di come tutti noi potremo mangiare un domani.
Le previsioni attuali collocano la maggior parte della popolazione in
Asia, i livelli di consumo più alti in Europa e Nord America e i tassi
di crescita demografica maggiori in Africa, dove la popolazione potrebbe
triplicare nei prossimi novanta anni.
Ci sono comunque dei progetti in corso per nutrire
il mondo. Uno dei paesi al quale gli esperti dello sviluppo del pianeta
si sono rivolti come banco di prova è il Malawi. Senza sbocco
sul mare e un po’ più piccolo della Pennsylvania, il Malawi è regolarmente
tra i posti più poveri al mondo. Le cifre più recenti mostrano che
il 90 per cento dei suoi 15 milioni di abitanti vive con l’equivalente
di meno di due dollari al giorno. Entro la fine del secolo si stima
che la popolazione sarà di 132 milioni di persone. Oggi circa 40 per
cento dei malawiani vive al di sotto della soglia di povertà stabilita
per questo paese e una parte della ragione di questa povertà cronica
sta nel fatto che più del 70 per cento dei malawiani vive in zone rurali.
In queste aree si dipende dall’agricoltura e quasi ogni contadino
coltiva il mais. “Chimanga ndi moyo” (“il mais è vita”)
dicono i locali, ma coltivare mais rende così poco che poche persone
possono permettersi di mangiare qualsiasi altra cosa.
Se si arriva in Malawi di marzo, appena
dopo la stagione delle piogge, coltivare sembra un gioco da ragazzi.
È difficile trovare un pezzo di terra rossa che non sia un lussureggiante
rigoglìo di verde. Dal bordo della strada si può vedere il mais pronto
a maturare insieme alle zucche e ai fagioli piantati alla base dei robusti
steli. Anche le piantagioni di tabacco stanno andando bene quest’anno.
Ma c’è qualcosa che non va in questo apparente paradiso . I suoli
ondeggianti del Malawi sono il campo di battaglia dove tre diverse visioni
del futuro dell’agricoltura mondiale sono schierate una di fronte
alle altre.
L’idea di sviluppo più degna
di essere presa in considerazione per il Malawi vede gli agricoltori
come dei sopravvissuti a un sistema di vita fin dall’inizio destinato
al fallimento e che devono essere assistiti da questo momento in poi.
L’economista di Oxford, Paul Collier, è il testimonial
di questa concezione “modernista”, che ha illustrato in un pungente
articolo di Foreign Affairs del novembre 2008 in cui ha bacchettato
i “romantici” che agognano l’agricoltura contadina. Osservando
che i salari nelle città sono più alti che nella campagna e che ogni
grande paese industrializzato è in grado di alimentarsi anche senza
gli agricoltori, Collier argomentò le virtù della grande agricoltura.
Fece anche appello all’Unione Europea per sostenere le colture geneticamente
modificate e agli Stati Uniti per soffocare le sovvenzioni interne ai
biocombustibili. Per un terzo aveva ragione: le sovvenzioni per i biocombustibili
sono assurde, anche perché fanno aumentare i prezzi del cibo, dirottando
i cereali dalla ciotole dei più poveri ai serbatoi dei più ricchi,
con vantaggi ambientali limitati nella migliore delle ipotesi.
Il disprezzo di Collier per i contadini
sembra comunque basarsi su qualcosa diverso dai fatti. Anche se l’industria
agroalimentare internazionale ha generato grandi profitti dai tempi
della Compagnia delle Indie Orientali, non ha mai portato ricchezza
agli agricoltori o ai braccianti agricoli che sono sempre le persone
più povere della società. In effetti, la grande agricoltura si chiama
così a ragione: lavora con evidente vantaggio sulle piantagioni di
larga scala e con interventi che vedono i piccoli agricoltori come un
ostacolo.
Quindi, se si vuole rendere più
ricche le persone più povere al mondo, è meglio investire
nelle loro fattorie e nei luoghi di lavoro invece di mandarli a vivere
nelle città. Nel Rapporto sullo Sviluppo Mondiale del 2008, la Banca
Mondiale rilevò che, effettivamente, gli investimenti per i contadini
erano uno dei sistemi più efficienti ed efficaci per portare la gente
fuori da uno stato di povertà e di fame. È stata una confessione scomoda,
proprio perché la Banca Mondiale ha per lungo tempo pubblicizzato il
modello di sviluppo agricolo di Collier. Le organizzazioni di agricoltori,
dal Malawi all’India al Brasile, hanno fatto notare che l’accesso
a terra, all’acqua, alla tecnologia sostenibile, all’istruzione, ai
mercati, agli investimenti statali nello sviluppo e, soprattutto, l’accesso
a un confronto a un pari livello nei mercati interni e internazionali
sarebbe di grande aiuto. Ma ci sono voluti tre decenni di becera politica
per far sì che si sarebbe dovuto occupare di sviluppo si accorgesse
di questo. E ancora non ci sono arrivati del tutto.
A causa della sua eredità coloniale,
il Malawi ha dovuto seguire per lungo tempo una dottrina economica convenzionale:
esportare beni che dessero al paese un vantaggio comparato (nel caso
del Malawi con il tabacco) e usare i fondi per acquistare sul mercato
internazionale beni da cui poteva trarre alcun vantaggio. Ma quando
il prezzo del tabacco scende, come avvenuto di recente, c’è meno
valuta estera con cui avventurarsi nei mercati internazionali. E non
avendo sbocco sul mare il Malawi deve anche far fronte a prezzi più
alti per i cereali rispetto ai suoi quattro vicini, Zimbabwe, Mozambico,
Zambia e Tanzania, semplicemente perché raggiungere il paese ha un
costo di trasporto maggiore. Secondo una
stima, il costo marginale
per importare una tonnellata di aiuti alimentari in mais è di 400 dollari
contro i 200 necessari per importarli commercialmente e contro solo
50 per produrli internamente utilizzando i fertilizzanti. In particolar
modo in un periodo in cui si prevede un aumento dei prezzi del cibo
e dei fertilizzanti, il Malawi si comporta saggiamente nel considerarsi
così vulnerabile ai capricci dei mercati internazionali.
Questo spiega in parte perché, alla
fine degli anni novanta e quasi un decennio prima che diventasse di
moda, il Malawi rifiutò il consiglio dei suoi donatori internazionali
e decise di spendere la maggior parte del suo bilancio per l’agricoltura
in fertilizzanti, il primo e forse più necessario ingrediente per preparare
la terra a produrre raccolti redditizi. Il governo offrì agli agricoltori
un “pacchetto iniziale” con fagioli, semi arricchiti e fertilizzanti
necessari per la coltivazione di circa un decimo di un ettaro. I donatori
internazionali non furono contenti. Un funzionario dell’USAID (l’Agenzia
degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale) denigrò il programma
come un modo di relegare gli agricoltori in una “routine di povertà”
in cui sarebbero riusciti a coltivare una quantità di mais sufficiente
per sopravvivere, ma mai abbastanza per arricchirsi. Nonostante il fatto
che il programma ebbe uno scarso successo, decollò quando il presidente
malawiano Bingu wa Mutharika propose il programma anche per la stagione
di coltivazione 2005/2006, quadruplicando la quantità di fertilizzante
disponibile. Anche se dovuto solamente alle promesse elettorali, il
suo tempismo internazionale fu perfetto: aveva fatto sua una politica
il cui tempo era giunto a maturazione. Questo è il motivo per cui quello
che oggi succede nei campi del Malawi ha così tanta importanza anche
al di fuori dei propri confini.
Per capirne il perché c’è
bisogno di una breve storia delle politiche agricole nei paesi in via
di sviluppo. Molti di questi paesi furono considerati, specialmente
prima della seconda guerra mondiale, delle dispense che i colonizzatori
potevano svaligiare. Dopo l’indipendenza le zone rurali spesso diventarono contribuenti netti (ndr: che pagano più imposte di quante non ne ricevano in cambio di servizi o altro) per il fisco, ma c’era una qualche garanzia di stabilità, grazie ai governi che acquistavano i raccolti a prezzi garantiti. A livello internazionale, specialmente in Asia, il periodo
postbellico fu caratterizzato dalla difficoltà dei governi nel nutrire una popolazione insofferente, che si chiedeva con sempre più insistenza se la loro sorte non sarebbe potuta migliorare con il socialismo e con un cambiamento nelle proprietà terriere. Per combattere la guerra fredda
all’estero, il governo degli Stati Uniti e le principali lobby investirono fortemente nelle tecnologie agricole, nei semi arricchiti e nei fertilizzanti. Queste tecnologie furono progettate per mantenere il possesso della terra nelle mani dei proprietari feudali, con il risultato di avere cibo in abbondanza e i comunisti sotto controllo. Nel 1968 William Gaud, amministratore dell’USAID, la
soprannominò una Rivoluzione Verde perché era stata pianificata per evitarne una rossa.
Per una serie di motivi geopolitici
la Rivoluzione Verde fu messa in atto con meno fervore e successo
in Africa rispetto all’Asia. L’International Fertilizer Development
Center (centro internazionale per lo sviluppo dei fertilizzanti) osservò nel 2006 che una quantità di nutrienti del
suolo pari a 4 miliardi di dollari era stata prelevata dal terreno dagli
agricoltori africani che, nel tentativo di far quadrare i conti, non
reintegravano l’azoto, il potassio e il fosforo nel suolo.
La ricetta per il declino della qualità
del terreno non fu ricercata nell’occuparsi delle cause della sofferenza
ambientale (una trascuratezza sistematica fin dagli anni ’80, ammessa
anche dalla Banca Mondiale in un’inchiesta
interna), ma cercando di
ripristinare il terreno con la tecnologia. Così nel 2006 la Rockefeller
Foundation (lo sponsor originale della Rivoluzione Verde in Asia)
si unì alla Gates Foundation
per lanciare l’Alleanza
per la Rivoluzione Verde in Africa (Alliance for a Green Revolution
in Africa) o AGRA. Questo
è il secondo nuovo e coraggioso tentativo di politica di sviluppo che
spera di nutrire l’Africa.
L’AGRA sostiene di aver imparato
la lezione della storia, rifiutando il punto di vista di Collier e concentrandosi
sulle politiche che “a differenza della Rivoluzione Verde in America
Latina che avvantaggiò maggiormente i grandi agricoltori che avevano
accesso all’irrigazione ed erano quindi in una posizione che permetteva
loro di usare le varietà migliorate […] (sono) appositamente mirate
per superare le sfide che i piccoli agricoltori devono affrontare.”
Ha quindi funzionato in Malawi? Dipende
dall’obiettivo. Se lo scopo è aumentare la produttività
allora sì. Sebbene l’economista e direttore dell’Earth Institute,
Jeffrey Sachs, abbia recentemente contestato i dati, suggerendo che la produzione è raddoppiata a causa delle
sovvenzioni sui fertilizzanti (è solo aumentata di 300.000 – 400.000 tonnellate
o fino al 15 per cento,
essendo il resto dovuto principalmente al ritorno delle piogge), la
quantità di mais in Malawi è senza dubbio cresciuta.
Tuttavia, come sanno le 50 milioni
di persone che soffrono di un’alimentazione in sufficiente negli Stati
Uniti, avere abbastanza cibo nel paese non significa necessariamente
che tutta la gente abbia da mangiare. E il Malawi ha ancora una gran
parte di bambini che ha gli occhi vitrei ed è sottopeso. I bambini
affamati in modo cronico hanno una statura inferiore alla media della
propria età e il numero di bambino malnutriti in questi modo (“rachitici”
è il termine che appare nelle statistiche) è rimasto ostinatamente
alto sin da quando sono cominciate le sovvenzioni.
Il fatto di misurare l’aumento dei
raccolti di mais grazie ai fertilizzanti e ai “pacchetti iniziali”
non si traduce necessariamente in una società ben alimentata ed economicamente
produttiva per quanto concerne l’agricoltura.
Rachel Bezner Kerr, professoressa di geografia alla University of
Western Ontario e che lavora anche in Malawi come coordinatrice
di progetti per il Soils,
Food and Healthy Communities Project,
non è meravigliata: “Qualsiasi nutrizionista si farebbe beffe della
nozione secondo la quale un aumento del raccolto porta a un aumento
dell’alimentazione.”
Bezner Kerr mi riferì che avere
una maggiore quantità di cereali nei campi e maggiori raccolti
può effettivamente essere negativo in quanto “porta le donne
fuori casa lontano dai lavori domestici. In particolar modo se si stanno
nutrendo dei neonati ciò può dare cattivi risultati nutritivi.”
Quello che succede nell’ambiente domestico è cruciale per tradurre
una maggiore produzione in una migliore alimentazione.
Effettivamente il genere ha un’importanza
fondamentale quando si parla di cibo e agricoltura. Il 60 per cento
delle persone malnutrite al mondo sono donne o ragazze. Tuttavia la
FAO (l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura dell’ONU)
ha recentemente sottolineato che, aumentando l’accesso alle stesse
risorse che hanno gli uomini, le donne potrebbero far crescere la produzione
delle loro fattorie di più del 30 per cento portando a un 4 per cento
di aumento nella produzione totale agricola nei paesi in via di sviluppo.
In Malawi il 90 per cento delle donne lavora a tempo parziale e sono
pagate circa il 30 per cento in meno rispetto agli uomini per lavori
analoghi. Le donne sono anche gravate da compiti di assistenza, specialmente
in un paese devastato dall’HIV/AIDS. Anche nel caso abbiano il possesso
della terra e accesso alle stesse risorse degli uomini, le donne si
trovano stritolate dal bisogno di cure per i bambini e per gli anziani,
dal cucinare, dal dover portare l’acqua, trovare legna da ardere,
seminare, ripulire i campi e mieterli.
Si affronta meglio questo tipo di problemi
con lo sviluppo sociale, sostenuto da programmi come il Soils, Food and Healthy
Communities Project,
che con l’utilizzo della chimica. Ma questi sono proprio il tipo di
programmi a cui vengono destinate per gran parte le sovvenzioni per
i fertilizzanti. Il programma per i fertilizzanti è stato come un bambino
geloso che ha tenuto per sé le risorse che si potevano destinare ad
altri programmi. Il costo opportunità (1) dei fertilizzanti per gli
agricoltori è denaro che si sarebbe potuto spendere per qualcos’altro,
una seria preoccupazione quando i prezzi mondiali dei fertilizzanti
stanno aumentando a dismisura. Una ricerca della Banca Mondiale in America Latina e nel sud-est
asiatico ha suggerito che
è più intelligente che i governi sovvenzionino beni pubblici come
la ricerca agricola e i servizi di assistenza e l’irrigazione piuttosto
che indirizzare denaro a contributi privati come nel caso dei fertilizzanti.
E questo ha importanza anche oltre
i confini del Malawi, particolarmente nell’Africa sub-sahariana. Si
prevede che la crescita della popolazione mondiale sarà guidata
da “paesi ad alto tasso di fertilità”, la maggior parte dei quali
si trovano in Africa. Il Relatore Speciale dell’ONU sul Diritto all’Alimentazione,
Olivier de Schutter, ha recentemente sostenuto che il mondo potrebbe
essere meglio nutrito non pompando nel suolo le sostanze chimiche ma
con l’utilizzo di tecniche “agro-ecologiche” d’avanguardia per
ripristinare la fertilità del terreno e per usare politiche che possano
raggiungere la sostenibilità ambientale e sociale. In un’analisi di 286 progetti di agricoltura sostenibile
in 57 paesi in via di sviluppo che riguardano 91 milioni di acri (2),
un gruppo di lavoro, guidato dallo scienziato ambientale britannico
Jules Pretty, ha riscontrato aumenti di produzione del 79 per cento,
ribadiamo, molto di più di quanto ottenuto con le sovvenzioni sui fertilizzanti
in Malawi e con una gamma molto più ampia di benefici ecologici e sociali
rispetto al solo aumento della produzione alimentare.
Questi programmi in parte riescono
perché non considerano la fame come conseguenza del numero eccessivo
di contadini o di un deficit del suolo, ma come il risultato di complesse
cause ambientali, sociali e politiche. Non c’è bisogno solo della
chimica per risolvere la fame, c’è bisogno di sociologi, biologi
del suolo, agronomi, etnografi e perfino di economisti. Pagare per le
loro capacità è il costo opportunità di spendere
dollari preziosi in fertilizzanti importati. Certamente l’agro-ecologia
è un modello completamente diverso da rispetto a quello in cui i laboratori
stranieri scaricano la tecnologia con un manuale di istruzioni sulle
spalle di qualcuno. I programmi richiedono molta più educazione partecipativa
e molti più investimenti in beni pubblici di quanto il governo malawiano
e i donatori sembrino attualmente inclini a fornire.
L’agro-ecologia è la terza
visione di sviluppo in lotta per il futuro. In Malawi funziona. Coltivando
fagioli con l’occhio e arachidi con il mais, espandendo quindi la
gamma delle colture, i raccolti che derivano dal programma di Bezner
Kerr hanno battuto quelli del programma dei fertilizzanti del 10 per
cento e hanno aumentato anche i risultati dell’alimentazione. Ma anche
l’agro-ecologia ha i sui limiti. Il 15 per cento dei malawiani rimane
poverissimo e vive con meno di un dollaro al giorno e non è in grado
di comprarsi abbastanza cibo. Sono persone persone senza proprietà
fondiaria o che hanno terreni di scarsa qualità e che devono quindi
vendere la propria manodopera nel periodo della mietitura proprio quando
avrebbero bisogno per sé. Rimangono esclusi dal miracolo del
Malawi.
Il futuro non ha un aspetto molto promettente
per l’agro-ecologia. Preoccupato della sostenibilità finanziaria
del programma di sovvenzioni per i fertilizzanti, il governo del Malawi
si sta per imbarcare in un progetto di Green Belt (3), in cui
migliaia di ettari saranno irrigati per stimolare gli investitori stranieri
a cominciare progetti di coltivazione su larga scala di canna da zucchero
e di altre colture da esportazione. Si spera che la valuta estera portata
da questo programma riesca a finanziare la spesa per i fertilizzanti.
Il risultato aiuterà a equilibrare il bilancio del paese ma, come conseguenza,
si prevede che migliaia di piccoli proprietari terrieri verranno sfollati
per liberare i terreni che attireranno il tipo di agricoltura su larga
scala che Collier tanto apprezza.
In particolar modo, alla luce delle
nuove proiezioni sulla crescita della popolazione per il XXI secolo,
sembra assurdo attenersi alle politiche agricole del XX secolo. Bisogna
ricordarsi che gli interventi agro-ecologici in Malawi hanno dato una
svolta alla responsabilizzazione delle donne. Il premio Nobel Amartya
Sen ha sostenuto che ci sono poche politiche più adatte dell’istruzione,
in particolare dell’istruzione di donne e ragazze, per migliorare
le vite individuali, familiari e comunitarie (e per abbassare i tassi di natalità). Le
profezie che i demografi hanno presentato variano di parecchio, e cambiando
le ipotesi si ha come risultato un mondo che oscilla tra gli 8 e i 15
miliardi di persone. Qualsiasi cosa ci riservi il futuro, è comunque
chiaro che un mondo nel quale ognuno abbia da mangiare dipende dalla
responsabilizzazione delle donne. E l’agro-ecologia, più che considerare
questo fatto come qualcosa di irrilevante per l’alimentazione mondiale,
lo mette giustamente al centro della questione.
Gran parte della vecchia agricoltura
è stata progettata per bombardare economicamente i villaggi allo
scopo di poterli salvare o come soluzione tecnologica per rimandare
l’uso della pratica politica. Collier vuole sbarazzarsi dei contadini.
Le nuove mode vogliono tenerli, ma tenendoli immersi nella chimica fino
al collo. Tuttavia, se vogliamo essere seri trattando di nutrire gli
affamati, che sia in Malawi o dovunque, dobbiamo riconoscere che la
maggior parte degli affamati è costituita da donne e che abbiamo bisogno
di una maggiore spesa pubblica, e non privata, destinata a chi è meno
in grado di gestire le risorse agricole. Perché quando si tratta di
far crescere gli alimenti quelli che coltivano la terra sono tutto tranne
che stupidi.
Note:
(1) Il costo opportunità in economia
è il costo derivante dal mancato sfruttamento di una opportunità concessa
al soggetto economico.
(2) Circa 37 milioni di ettari (N.d.T.)
(3) La Green Belt
(cintura verde) è una norma che regola il controllo dello sviluppo
urbano. L’idea è che debba essere mantenuta, attorno ai centri abitati,
(o, in senso più generale, intorno a una determinata zona) una fascia
verde occupata da boschi, terreni coltivati e luoghi di svago all’aria
aperta. Lo scopo fondamentale di una cintura verde è impedire la scomposta
proliferazione di costruzioni che vadano ad inquinare questo spazio
di rispetto.
Fonte: http://www.energybulletin.net/stories/2011-05-05/can-world-feed-10-billion-people
05.05.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di A Mouse Goes to Africa