DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea
Adesso basta Bertirospi, que se vayan todos: scheda annullata!
Compiacenze, obbedienze, connivenze di una sinistra ex, vedi Fiera del Libro
(mentre con il Kosovo si allunga la fila degli Stati criminali e la diaspora serba che fa? Balla e canta)
La forma peggiore di tirannia, o certamente quella di maggiore successo, non è quella contro la quale ci mobilitiamo, ma quella che si insinuano nell’immaginario della nostra coscienza e nel tessuto delle nostre vite in modo tale da non essere percepita come tirannia. (Michael Parenti)
Un popolo schiacciato dalla legge
no ha speranza se non dalla forza. Se le leggi sono i
suoi nemici, saranno nemici della legge. E coloro che hanno molto da sperare e nulla da perdere saranno
sempre pericolosi. (Edmund Burke)
Se tirannia e oppressione
verranno nel nostro paese, sarà sotto forma di guerra a un nemico esterno. (James Madison)
Al vincitore non si chiederà mai se ha detto la verità (Adolf Hitler)Enormità
Ci stanno rifilando, gli
avvoltoi di destra e i topi di “sinistra”, delle enormità talmente
enormi che neppure i nostri stomaci, coltivati ad aculei di spinosa da decenni
di orrori imperialipiduisti e di prostrazioni e
connivenze sinistre, riescono più a digerire. Facciamo un parzialissimo
elenco. Il voto di una transumanza a ritroso di elezione in elezione cui ci
trascinano pastori bastonatori e carotieri che ci fanno credere, da pecore che
siamo, di essere soggetti decisionali; i falsari della sinistra che, ridando
una mano di rosso ai loro panni sporchi di mille schizzi di fango, vorrebbero
farci acqua da portare ai signori della guerra di classe contro di noi; i
rigurgiti di un Vaticano che più gli viene a mancare la base dei fedeli e più
riesce a irreggimentare in battaglioni di squadristi etici il ceto politico
“laico” per rimettere al guinzaglio le donne e, addirittura, quel
grumo di cellule che vogliono vivo anche se scaturisce
sotto forma di freak iracheno uranizzato; il
nauseabondo pachiderma filo-aborto clandestino e filo-stermini di massa (la 194 ha ridotto gli aborti
del 40%) che, stampellato da quattro ginecologi
Frankenstein in vena di insufflatori di anima a quel grumo, non perde occasione
per farsi apripista di qualsiasi terrorista di Stato o di Chiesa; un esercito di
sgherri che, uscito dalle madrasse di Starace, Scaiola, Pisanu e Amato,
spara, pesta, terrorizza chiunque osi ancora valersi di diritti, leggi, ambiente
e qualità della vita, costituzione, legge 194 compresa; le femministe
degenerate in ginocrate che belano a Santa Hillary
Clinton e che compiono il miracolo transgenico di trasformare in “donne
mascolinizzate” tutte quelle che non riescono a far rientrare nella
categoria superiore della “donna donna”,
respingendo con sdegno la possibilità che alberghi in entrambi i generi la
radice dell’autoritarismo e della prevaricazione, come storia e lotta di
classe dovrebbero insegnare; i glbt che si collocano
nell’ombelico del mondo e, analogamente, ignorando esistenza e rapporti
di classe, vedono l’universo mondo sub specie
del modo di coitare, cacciando nel dimenticatoio
l’obliterazione di donne e “diversi” in Iraq e Afghanistan. E
questo vale tanto più per le vociferanti ginocrate di
regime che s’inalberano più per il burka che
per chi ci sta dentro, come dimostra il totale oblio in cui seppelliscono
donne, bambini, “diversi” che in Iraq vengono
massacrati dagli occupanti e dai fanatici che gli occupanti hanno coltivato: a Basra gli invasati “iraniani” di Moqtada al Sadr amazzano più donne che i trafficanti di morte a Ciudad Juarez . Quel Bertinotti lì che, corrotti in cortigiani un manipolo di opportunisti pronti a tutto pur di poter mugolare sotto il tavolo
dei banchetti, mastica ed espelle i residui che si erano fatti illudere dalla sua comunistofobia travestita
da “nuova sinistra”. Poi, guantato con pelle di militante, contribuisce a calare sul popolo di sinistra la mannaia veltrusconiana dello Stato di polizia bipartitico;
“il manifesto” rivelatosi definitivamente lobbista catto- israelo-clintoniano e
punta di lancia, con i denudatissimi Parlato, Ciotta, D’Eramo, di quell’agente orange
che è lo strumentale anatema dell’antisemitismo; i pianti osceni dei
bonzi della Repubblica sulla morte di militari italiani in Afghanistan, fatti
passare per distributori di caramelle, ma lì mandati per giocarsi la pelle e
farla a qualunque afghano non contento di farsi colonizzare da feroci barbari,
sia che sparino e bombardino, sia che si fingano dame
di S.Vincenzo. Documenti inoppugnabili, militari e
delle autorità e popolazioni locali, accreditate negli
Usa e in Gran Bretagna, rivelano che le forze speciali italiane sono impegnate
direttamente in combattimenti, bombardamenti, indicazioni di obiettivi da
radere al suolo. Un governo di “centrosinistra” nasconde al
parlamento e alla nazione questo fatto, non solo agghiacciante, ma
giuridicamente criminale. Come ci ha nascosto il suo accordo illegale alla
partecipazione italiana allo Scudo Spaziale d’assalto degli psicopatici
di Washington. Se non sono enormità queste! E Veltroni promette peggio. Perché
tace Gino Strada?
Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire
(George Orwell)
Le prodezze dello Stato invitato alla Fiera del Libro
Incominciamo dal tonfo suicida del “manifesto”. Contorsionisti al limite
del prodigioso, quelli del “manifesto”, guidati da un Valentino
Parlato tanto più arrogante, quanto più intellettualmente vacilla, si sono
fatti Delta Force della risposta ebraico-israeliana al sacrosanto
boicottaggio dell’ormai intoccabile Fiera del Libro torinese. Questa
aveva invitato Israele – lo Stato! Non i letterati – nel 60° della
fondazione. Stato saprofita innestato come il virus
dell’Aids nel corpo del popolo titolare di quella terra. Stato
teocratico e razzista, parassita e bulimico che, da allora, si è nutrito,
gonfiato, espanso, a forza di crimini contro l’umanità che, per durata e
connivenze internazionali, non ha paragoni nella storia. Un dato recente sul
carattere democratico di quel regime militare? Dal 2001 questo regime ha
concesso ai palestinesi, in costante espansione demografica (meno male!), 91
autorizzazioni a costruire case, nello stesso tempo 18.472 ai coloni ebrei
arrivati da ogni dove. E’ il corollario del genocidio. Stato che celebra
il suo invito al salone del libro con l’ennesimo macello di donne e
bambini in una Gaza assediata come neanche Riccardo Cuor di Leone (che decapitò
tutti i cittadini musulmani di Acri), con un pogrom stragista a Nablus, con l’invito del ministro Zeev
Boim a Tsahal di liquidare tutti i dirigenti –eletti! – della Resistenza palestinese, con la benedizione impartita dal ministro-pirata Gideon Ezra
all’ennesimo assassinio mirato del Mossad, quello
del comandante di Hezbollah Imad Mughniyeh
a Damasco. Stato responsabile di ininterrotte guerre
d’aggressione, ultimamente condotte con armi proibite usate sui civili. E
se la guerra d’aggressione, senza neanche parlare di ergastoli
extragiudiziali di massa accompagnati da tortura legittimata, è, per Norimberga,
il “crimine massimo contro l’umanità”, quello è
giuridicamente uno Stato criminale. Stato che é stato capace di ammazzare in
sette anni 5000 cittadini di un paese occupato, dei quali la
maggioranza civili, per un quarto bambini e che, dall’inizio
dell’Intifada, ha fatto morire ai
suoi spietati 550 check point ben 98 persone, di cui 17
bambini, Stato composto da cittadini
ebrei, di prima classe, tutti buoni, pacifici, immuni da pulsioni razziste, che
da sessant’anni eleggono governi di criminali di guerra. Con la scusa
delle bombe-carta palestinesi Kassam, Israele nel gennaio 2008 ha
ucciso 96 palestinesi, 10 erano bambini, 10 erano
donne. Dal 1. al 16 febbraio 2008 l’esercito
“più etico” del mondo, Tsahal, ha rapito 300 palestinesi nei territori occupati, dei
quali 32 minori tra 14 e 18 anni, rinchiusi in centri di detenzione in aggiunta
agli 11mila incarcerati senza processo, contro la Quarta Convenzione di Ginevra.
Con l’antisemitismo contro tutti, soprattutto contro i semiti arabi
Però rivoltarsi contro quell’invito, nel 60° dell’inizio di un
genocidio, quello no, quello è censura, anticultura, libertà
d’espressione negata, siamo alle leggi razziali del ’38,
soprattutto e sempre, inesorabilmente e collettivamente, siamo antisemiti. Si è chiesto di negare la parola agli esperti di
lifting di quello Stato, Oz, Jehoshua, Grossman?
Neanche un po’, anche se le basi etiche c’erano tutte, viste le
loro mistificazioni da finti critici che sostengono muri di apartheid e
invasioni di terre altrui. Si è chiesto invece che i palestinesi, derubati,
espulsi, fottuti e ammazzati, venissero invitati anche
loro, venissero trattati almeno alla pari, e già sarebbe stato uno squilibrio
da ciucca di alcol puro. Quando avrà finito di sfinirci, di turlupinarci questa
ormai quasi umoristica coazione a ripetere il decrepito karma del’antisemitismo? Collaboriamo tutti a uno tsunami
mondiale di calunnie antislamiche, per la maggiore
soddisfazione dei veri antisemiti, e ci facciamo ancora intimidire da questa
sporco anatema! E’ possibile che non emerga e s’imponga
il paradosso lubrico di uno Stato antisemita, lui, che più antisemita non si
può, ma che maschera i suoi delitti facendosi vittima di antisemitismo? Uno
Stato che, oltre a occupare le terre di otto milioni di palestinesi, tra
residenti e esiliati, tra i suoi cittadini
riconosciuti ha un milione e mezzo di arabi, semiti, una spruzzata di ebrei
semiti (i sefarditi), un’altra minoranza di ebrei camiti (i falasha) e una stragrande maggioranza di ebrei indoeuropei
(i kazari di origine caucasica. Vedi, tra gli altri,
lo studio di Arthur Koestler).
In Occidente imperversa, innescata dalla truffa dell’11 settembre,
un’islamofobia che non ha niente da invidiare
ai tempi delle crociate e di Lepanto. Ai musulmani qui basta starnutire in
arabo per finire sugli aerei Cia della extraordinary rendition. Israele non cessa di
aggredire, invadere, occupare, paesi arabi, musulmani, semiti. Epperò si brandisce lo spuntatissimo spadone dell’antisemitismo, oltrettutto
costantemente e impudicamente riaffilato con le ossa delle vittime
dell’olocausto, con particolare virulenza quando c’è da coprire una
qualche nefandezza di Israele. Cioè sempre.
Liste nere per occultare liste nere
E non trova, il rullo compressore del vittimismo truffaldino e predatorio della lobby, immancabilmente la benzina di una qualche
stronzata “antisemita”? Vi siete stupiti che, nel pieno della
burrasca del boicottaggio alla Fiera del Libro, sia
spuntata, come Osama quando Bush deve rilanciare qualche porcata bellica o
antidemocratica, la “lista nera degli accademici ebrei”? A chi è
convenuta nel frangente? Domande che non si sognano di porre tanti comunicatori “di sinistra”. Penso a quel Gennaro Carotenuto che, dimentico del passo falso compiuto entrando a gamba
tesa nel coro delle demonizzazioni delle Farc colombiane in occasione della
liberazione degli ostaggi, uscendo dal seminato latinoamericano che gli è famigliare si è prontamente inserito nel coro dell’esecrazione
della “feccia antisemita”. Quella
che si è manifestata nella famosa “lista nera”, quella che
indicherebbe come l’antisemitismo stia tornando rampante
(anche in frammenti dell’estrema sinistra). Boccalone,
si dice a Roma, inconsapevolmente ma inconsultamente ricettore di riconoscenza
di quel Mossad che di provocazioni del genere è maestro
supremo. Cosa prova, Carotenuto, a trovarsi compagno
di merende tale Magdi Allam,
vicedirettore del “Corriere della Sera” per grazia sionista di
Paolo Mieli (ex-Potop), che, per l’altra grazia
di schermi lobbizzati, tuona anche lui contro la
“feccia antisemita” dei boicottatori, per poi affiancarsi,
rigorosamente coerente, all’obeso tagliagole Cia nell’esecrazione
sanfedista dei “feticidi”? Ci vuole proprio un paese ridotto a
cloaca perché galleggino certe scorie.
Una lobby ebraica, ma cosa dite!
A Gennaro Carotenuto, perché mediti sui propri sbandamenti collateralisti,
andrebbe suggerito un sabatico sulla disinformazione e sulle operazioni sporche
dei servizi. Tanto più che, da esperto di Latinoamerica,
dovrebbe essere ben equipaggiato a riconoscere gli interventi di Israele sotto
le mentite spoglie di “esperti di sicurezza”, “consiglieri
economici”, “istruttori vari” e sotto quelle effettive di
spioni, terroristi, provocatori, armaioli, al servizio dell’estrema
destra di quei paesi. Eppoi, davvero non c’è una lobby? E com’è che tutti,
al fischio di Tel Aviv, si muovono d’intesa, sincronici e con la
compattezza di una falange macedone? Non è vero, Marco D’Eramo, altro sponsor di Israele nel
“manifesto”, che fai lo spiritoso sfottendo i bipartisan del nostro
universo inciucista perché stigmatizzano
di antiamericanismo chi non sgavazza nella scia di sangue di Bush? Per quale
prodigio di acrobazia logica non ti scatta il corto circuito con coloro che sgavazzano nell’oceano di sangue
palestinese e ci danno dell’”antisemita”? Non c’è collettività che sia più unanime
nel sostegno a Israele, nel silenzio sui suoi delitti, nella demonizzazione di
vittime e resistenti, nell’assalto coordinato a chi si permette di
sbirciare, dietro al paravento di Auschwitz, sui sessantennali
crimini israeliani. Salvo coraggiose eccezioni che salvano il rispetto per la
comunità ebraica, direi eroiche per quello che gli viene
riservato in termini di ostracismo e demonizzazione. E’ lecito parlare di
lobby dei petrolieri, lobby dei tabaccai, lobby dei
tassisti, lobby cubana. A parlare di lobby israeliana si rischia
l’esecuzione civile. Se non di peggio, visto il braccio
lungo e assai articolato del Mossad. In
Olanda, il deputato Geert Wilders,
scatenato sostenitore dello “scontro di civiltà”, ha realizzato un
filmaccio razzista in cui si perora la “cacciata del Corano (cioè dei
musulmani) dall’Europa”. Pensate cosa avrebbero combinato la lobby e i suoi chierichetti se in Iran fosse uscito qualcosa che inneggia alla cacciata degli ebrei dal Medio Oriente (e non alla
sostituzione dello Stato etnico sionista, come ha suggerito Ahamdinejad).
Chi minaccia è meglio che faccia finta di essere minacciato
Il feldmaresciallo Olmert, persa la guerra, si è dovuto accontentare di 1.300
morti libanesi, degli esperimenti riusciti con le armi chimiche e a energia, e
di un futuro di bimbetti e contadini libanesi squarciati dal milione di bombe a
grappolo degli ultimi tre giorni di aggressione. Impersonando uno Stato che di
guerre d’aggressione ne ha fatte sette in mezzo secolo, ora ne minaccia
un’altra all’Iran. Ahmadinejad ha detto
che lo Stato di Israele va cancellato dalle
mappe. E’ stato truculento e, come gli tocca nel gioco dello
“scontro di civiltà”, animatore delle guerre di religione congeniali all’imperialismo. In compenso, a far
nascere uno Stato palestinese, Israele non ci pensa nemmeno e intanto il popolo che osa pretenderlo lo cancella per davvero dalle
mappe. Israele ha 400 ordigni nucleari che bastano per far scomparire non uno
ma cento Iran. L’Iran non ne ha neanche una e, anche volendo, non
potrebbe averne prima di dieci anni. La spesa militare di Tehran è la più bassa
in tutto il Medioriente, nonostante lì ci sia la
popolazione più numerosa dopo l’Egitto. Nel 2008 tale spesa era del 55%
inferiore a quella di Israele, nonostante in Iran ci
sia dieci volte tanta gente che in Israele. La spesa militare pro capita
israeliana – $1.737 – è dieci volte quella
di Tehran ($110), è seconda nel mondo solo agli Usa e rappresenta il 7,9% del
PIL, percentuale più alta in assoluto nel mondo. Dagli Usa arriveranno
in Israele tra il 2009 e il 2018 armamenti per 30 miliardi di dollari, il 25%
in più rispetto alla decade precedente.
Falce e martello? Non quella dei PC…
E’ impressionante la cecità con cui questi sinistri politici e mediatici non si avvedono dei
chilometri morali e di coscienza che si stanno allungando tra loro e quello che
vorrebbero fosse il loro bacino elettorale. Quando Bertinotti detta al suo
siniscalco di scatenare “Liberazione” contro Cuba e contro il
Venezuela, non prevede, il navigatore di lungo corso, che la conseguente
revulsione dei lettori gli avrebbe ridotto di un terzo la già esigua vendita
del miserabile tabloid. A che livello sarà sceso il già stazzonato
“manifesto” dopo le novene cantate dai suoi prelati agli ukase
della lobby e alla candidata democratica del cannibalismo Usa? Quanto alla questione di
falce e martello, personalmente non mi ci sento eccessivamente coinvolto.
Il simbolo del lavoro, ma anche delle benedette mazzate in capo ai padroni, ai
preti e ai guerrafondai (niente di meglio che un martello e una falce) era sacro
e indiscutibile sui
vessilli di Lenin. Successivamente, da noi come in
tante parti del mondo, in ispecie Medioriente
e America Latina (ricordiamoci del tradimento del PC boliviano al Che, dell’adesione del PC argentino alla
dittatura di Videla, delle funzioni
“moderate” dei PC arabi nel momento della lotta di liberazione
nazionale), quella falce e quel martello erano i lustrini a coprire la corrosione
delle “lunghe marce attraverso le istituzioni”. Se ne è fatto scudo finchè ha potuto
addirittura il primatista italiano del trasformismo. Noi di Lotta Continua
avevamo già preferito il pugno chiuso dei bolscevichi e delle
Pantere Nere. Le migliori gambe rivoluzionarie nel mondo, in America
Latina, non marciano sotto falci e martelli, la storia della seconda metà del
‘900 glie li ha consegnati offuscati e lisi, gli basta il rosso. Tutto
questo, chiaramente, è detto da sinistra. I topi che formicolano
squittendo intorno al becco degli avvoltoi, la falce e il martello
l’hanno buttata decenni fa. L’ha sporcata Togliatti quando ha
preferito l’amnistia ai fascisti alla continuità dei partigiani, ne ha corroso
il ferro Berlinguer quando ci ha aperto sulla testa “L’ombrello
Nato”. Bertinotti ne ha fatto la scala a pioli per la propria santificazione nel compromesso storico. Tutti si limitavano a brandire sui nostri occhi un falso d’autore, a mo’ di medaglione da
ipnotizzatore. Il loro rifiuto arriva da destra e apre spazi a bombe, conti
bancari e turiboli.
Parole false non sono solo un male in sé, infettano l’anima col male
(Socrate)
Le lobby padrone del “manifesto”. Addio Stefano Chiarini
Sfidando, con
l’esito certo di vedere svaporare un’altra fetta dei sofferenti, ma ancora irriducibili, supporter del
“manifesto”, quella maggioranza di lettori che hanno espresso
indignazione alla demonizzazione del boicottaggio della Fiera del
libro,Valentino Parlato si è distinto per ulteriore protervia e cafonaggine intimando
sergentescamente, su una pagina di lettere di lui critiche, “piantiamola con il boicottaggio”. E tra le lettere c’era pure una firma che al Parlato dà molti punti deontologici: Giulietto Chiesa. Ma una volta di più, insieme
all’Angelo d’Orsi della nostra dignità e intelligenza collettiva, è stata
un’ebrea a rinchiudere Parlato e la sua lobby nei contorni che gli
spettano. Paola Canarutto, di “Ebrei contro
l’occupazione”, da sempre combattente per i diritti, per la vita
conculcata dei palestinesi e contro i crimini israeliani, ha messo a posto il
fondatore del “manifesto” che era addirittura arrivato a
scandalizzarsi del paragone tra razzisti sudafricani e razzisti israeliani.
Ricordato il boicottaggio europeo e italiano dei palestinesi per aver votato
Hamas e rilevato come impedire ai palestinesi di andare a scuola non viene giudicato boicottaggio culturale come quello che si stigmatizza per la Fiera,
Paola conclude: “Per Parlato gli ebrei israeliani
sono diversi dai sudafricani bianchi. E’ vero. Sono peggiori. In Sudafrica lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli”. E di sterminarli, va aggiunto. Rimane da evidenziare un’altra delle asimmetrie del
“manifesto”, nonché del foglio di Piero Sionetti,
“Liberazione” e di tutti gli altri media “democratici”.
Non sono solo coglioni nazifascisti, provocatori eterodiretti, a compilare liste di ebrei in sincrono significativo
con il boicottaggio di Torino (a ulteriore soddisfazione del Mossad). Il vizio delle liste nere non è loro esclusiva. A
parte l’esponente della comunità ebraica romana che prometteva di mettere
in lista coloro che non manifestavano con la
“Sinistra per Israele”, più concretamente ci sono le diffusissime
liste dei siti razzisti e bellicisti
ebraici. Autori di grandissimo valore, come Norman Finkelstein,
Ilan Pappe, Naomi Klein, Gilad
Atzmon, Nuri Peled e centinaia di altri, sono elencati e criminalizzati
come “traditori”, “minaccia”, “ebrei che odiano
se stessi” (selfhating jews). Un sito di questi lo
segnala il “Forum Palestina”: http://masada2000.org/list-A.html.
Vedere per credere. Vorrebbero incastrare i veri difensori dei diritti umani
che boicottano Torino, sovrapponendogli provocazioni nazifasciste. Coda di
paglia! Per chi è il massimo modello di società Israele, se non per la destra
fascistizzante mondiale, da Bush giù giù fino a Fini e Mussolini? Viene da
piangere pensando al mai sufficientemente compianto Stefano Chiarini.
Hillary Clinton, eroina del “manifesto”. E le sue donne…
C’è poi il capitolo
Mariuccia Ciotta, più grave perché trattasi della
condirettrice del “manifesto” che, quindi, governa, promuove e
licenzia quanto viene scritto dai vari sicofanti
dell’”antisemitismo”, i Parlato, i Lania,
i D’Eramo, i Fouad Allam, gli Zvi Schuldiner, i Raffaelli. Ciotta
vola a dare il suo contributo alla satanizzazione di coloro che avevano chiesto almeno un pari trattamento di
Israele e Palestina a Torino, ricorrendo ai più triti addebiti della propaganda
sionista: che si voglia negare a Israele il diritto di esistere, che il
boicottaggio esclude il dialogo (quando il dialogo viene annichilito proprio
dalla Fiera, celebrando uno Stato colonialista e serial
killer e espungendo la controparte palestinese), che chi boicotta
– e non chi occupa, ruba e stermina – fa cultura
della morte. Ciotta e D’Eramo, poi, fanno coppia, per fortuna a fianco di altre più
sobrie voci nel giornale, nelle celebrazioni di quella farsa immonda che sono
le primarie statunitensi. D’Eramo percepisce
quanto nessun cittadino italiano ha lontanamente percepito, che cioè qui in
Italia stiamo seguendo le primarie Usa
con una passione ineguagliata negli altri paesi europei… non ricordo un
tifo simile per Bill Clinton… tanto entusiasmo deriverebbe da un’ardente ma repressa voglia di poter scegliere…
Viene da chiedersi chi mai frequenti questo giornalista, oltre alla redazione
di Emilio Fede e al loft del
pappagorgia yes, we can.
Un’altra giornalista del quotidiano, Ida Dominijanni,
acuta quando tratta delle miserie nostrane, perde anch’essa la bussola
individuando nella battaglia di Billary la posta in gioco reale e cruciale, l’accesso ai vertici del
potere di una donna… in una società… fin qui dominata, come tutto
l’occidente e tutto il mondo, dal potere maschile e bianco…Ovunque
si riscontra una spinta femminile a rompere il famoso tetto di cristallo che
mantiene inaccessibile alle donne il potere politico. E già, a
cucinare broccoli e non ai vertici stavano le varie brave donne impedite dal
potere, Albright, Condoleezza, conduttrici della
guerre preventive e infinite, non l’analoga Thatcher, non l’affine Golda Meir, non la Merkel,
non Evita Peron, non la Bhutto,
non la Bandaranaike, non Teodora di Bisanzio…
Già, ma quelle, dice Ida, erano donne travestite da uomini. Debole la qualità
donna, con tutto l’esercizio di morte che praticava.
Facile, no? A conforto
della sua tesi, vittima di involontario umorismo,
l’opinionista del “manifesto” cita poi Ritanna
Armeni e il suo lavoro rivendicativo “Prime
donne” quando dice che non di sola misoginia si tratterebbe, ma di un vero e proprio terrore dell’invasione femminile nel monopolio
virile dell’ordine politico, terrore fondato sul fatto che dietro a ogni Hillary e ogni Ségolene si
agitano i fantasmi di Elena, Didone, Antigone (nientemeno!), Semiramide. Lasciamo che questi
miti dell’autentico femminile si rotolino nelle loro tombe e pensiamo al
“vero e proprio terrore” che si manifesta ogni sera a “Otto e
mezzo” sul bolso faccione di Giuliano Ferrara nello sparuto pigolìo della sottoposta Armeni.
Dei deliri osannanti a
Hillary Clinton di Mariuccia Ciotta, descritta come
l’apertura a un radioso, se non rivoluzionario futuro degli Usa e del
mondo, s’è scritto in altro “Mondocane”.
Dobbiamo ringraziare qualche raro infiltrato nel “quotidiano
comunista” impegnato a perdere colpi e lettori, come Rita Di Leo, perché
ci si conforti di non aver buttato €1,20 nello slot di un videogioco da
Alice nel paese delle meraviglie. Di Leo castiga pesantemente i corifei delle
“Grandi Democrazie che propongono una donna” ricordandoci il ruolo
truffaldino e predatorio che esercitano sui risultati
delle primarie, anche in contrasto con la volontà popolare, i Grandi Elettori,
cioè i bonzi del potere costituito: un marchingegno…che
lascia i potere nelle mani di chi lo ha sempre avuto. Nelle mani della sola
comunità che veramente conta nel paese, i businessmen
che hanno cambiato tanti volti in conseguenza e in parallelo del cambiamento
delle forme della ricchezza, grano, carbone, petrolio,
macchine, armi, servizi, informatica, finanza. E’ un potere elitario che da 250 anni neutralizza efficacemente la
possibilità di una rappresentanza politica di chi dissente. La comunità del
business punta sui possibili suoi rappresentanti, li
finanzia equamente e poi ne sceglie uno, quello che meglio le si adatta e lo
aiuta a entrare nella Casa Bianca. Donna o uomo, bianco
o nero che sia. Gli entusiasti alla D’Eramo
delle elezioni Usa, i fan della Clinton “rivoluzionaria”, sono
serviti.
Non fa
differenza per chi votate, i due partiti sono in realtà un unico partito che
rappresenta il 4 per cento del popolo
(Gore Vidal)
Hillary
di Iraq, Monsanto e Wal Mart
Ma vediamola da vicino, questa benedetta Hillary, foriera del riscatto
morale americano e umano. Chissà che, leggendoci, una Ciotta di buonafede, non corregga il tiro. Sono 166mila,
dalla fine dei ’90, i contadini indiani che hanno commesso suicidio
perché rovinati dalla Monsanto, dai suoi semi ogm
sterili e quindi da ricomprare raccolto dopo raccolto. Sono milioni gli ettari
sudamericani avvelenati, insieme a chi ne lavora e consuma i prodotti, dagli
anticrittogamici della Monsanto. Milioni sono gli agricoltori del mondo che la Monsanto contribuisce a
cancellare in piena sintonia con la strategia di sfoltimento della specie
perseguita dai dirigenti del proprio paese. La
Monsanto mette in bilancio $10 milioni e 75
dipendenti per perseguire agricoltori che protestano. La Monsanto ha creato l’agente orange, produce componenti per armi nucleari, fabbrica steroidi per ingrassare
animali e chi li mangia, sparge sostanze tossiche. Le dobbiamo buona parte dei
tumori che ci crescono addosso. La lobby Rural Americans
for Hillary (Rurali americani per Hillary)
è della Monsanto. Come sono per Hillary i finanziamenti corporativi plurimiliardari spalmati solo sui personaggi “non
alternativi” con programmi politici ad
encefalogramma piatto, finanziamenti dalle ricadute garantite, come evidenzia,
tra l’altro, la sostanziale adesione alla cannibalesca politica fiscale e
al folle indebitamento pubblico dell’Amministrazione al potere. A scorno
di una Mariuccia Ciotta che
sui candidati democratici azzarda addirittura: Dietro le
loro maschere di revenant, spettri di una rivincita, si nascondono i
senza-potere, che hanno vissuto l’esclusione in quanto non-iniziati alla
grande tavola del dominio. E a proposito della furbesca lacrimuccia
versata in un fast Food dalla
consigliera d’amministrazione di una roba schiavista come Wal Mart, questi vertici di
lirismo encomiastico: La sua commozione tradiva
non la donnina dai nervi fragili, ma la passione politica che scuote gli Stati
Uniti dopo l’era della guerra e il primato della forza e che trascina
alle urne gli americani… Segni dissonanti, simboli di un’inversione
di tendenza. Forti in quanto deboli, agli antipodi
della rappresentanza del comando. Solo in America, forse, è concepibile una
così radicale metamorfosi delle insegne del potere. Non basta, siamo
all’apoteosi: Barack e Hillary, uguali e diversi, vogliono ridare
voce alla politica… sotto gli occhi scorre il tentativo di trasformare il
futuro mondiale… non sarà la rivoluzione (ma no!), ma l’uscita almeno dal medioevo di un occidente suicida.
L’11 settembre è finito (aspetta, aspetta).
Ci vorrebbe una doccia fredda.
Tornando all’establishment dello Stato ontologicamente razzista, esso ha
ripetutamente auspicato l’ingresso della Clinton alla Casa Bianca. La
senatrice, visitando Israele nel 2005, ignorò vistosamente
i palestinesi, incontrò solo dirigenti israeliani, esaltò la politica israeliana
e, in particolare, quella himmleriana muraglia che
Israele costruisce nella Cisgiordania occupata. Eloquente è l’esame dei
consiglieri di Billary. Perlopiù si tratta di
elementi dell’amministrazione del marito (guerra ai poveri, alla
Jugoslavia, embargo e bombardamenti all’Iraq, macelli in Somalia):
politica estera, Madeleine Albright (sionista, quella
del “500mila bambini iracheni uccisi dall’embargo sono valsi la pena”,
fidanzata morganatica del serial killer Hashim Thaqi del Kosovo); sicurezza nazionale, Sandy Berger;
consulenza generale, Richard Holbrooke, quello dello
squartamento della Jugoslavia, del puntellamento del dittatore Marcos nelle
Filippine e degli stermini di Suharto a Est Timor. I
consiglieri di Obama, per quel che vale, vengono
tutti da ambienti liberal,
favorevoli alla riduzione delle spese militari e al multilateralismo. Berger,
Albright, Holbrooke sostengono
l’azione di Bush in Iraq e, con lui, chiamano Ahmadinejad
“Hitler” e denunciano la minaccia iraniana come questione della
massima urgenza. La Clinton,
diversamente dall’oppositore Obama, ha
sistematicamente condiviso
le panzane di Bush sulla minaccia ADM di Saddam e votò a favore
della guerra. Così Berger, Albright e Holbrooke.
Altri consiglieri di Hillary hanno sostenuto l’attacco,
l’occupazione e non hanno cambiato idea: Jack Keane,
Kenneth Pollack, Michael O’Hanlon.
Tutto questo giro condivide gli allarmismi sulla minaccia terroristica del
fasullo Al Qaida, l’utilità di ignorare il
diritto internazionale e le opinioni degli alleati e di lanciare guerre
preventive. Insomma, è frivola ma gravissima la responsabilità di questi
apologeti nell’oscurarci la realtà di una Clinton (ma alla lunga anche
dell’altro fantino, dalla giubba meno accesa, sull’unico cavallo
dell’establishment
Usa) molto diversa da Bush e del suo epigono Bill, quello del decennio di
sanzioni genocide all’Iraq che dettero continuità fino ad oggi alla
Guerra del ’91. C’è solo un grado di ipocrisia
in più.
Scrive giustamente Gianluca Bifolchi di
“Achtung Banditen”:
I presidenti si trovano i copioni già scritti dalle
imprese sulla scrivania della Stanza Ovale. E quanto alla diversità
che le ginocrate del “manifesto”
riconoscono alla sorella Hillary, basta la definizione di Jane Fonda: Un portavoce del patriarcato in vagina e gonnella. Un
portavoce del patriarcato che ha lasciato all’avversario repubblicano,
l’universal soldier McCain,
l’esclusiva del rifiuto della tortura legittimata dalla banda Bush.
Una
nazione che ne riduce in schiavitù un’altra, forgia le proprie catene
(Carlo Marx)
Il Kosovo
e il silenzio della diaspora serba, in altre faccende
affaccendata
Una delle cose più
incomprensibili è la reazione – la mancata reazione
– della comunità serba all’estero, in Italia dov’è
foltissima, alla suprema offesa e lacerazione inflitta da una banda di Stati
canaglia al loro paese. Ma come, qui si strappa
l’ultimo (?) arto al corpo storico, geografico, culturale, umano della
loro patria/matria e cosa s’è visto? Qualche
italiano volenteroso e pertinace ha messo commenti e cronache in rete. Ma una manifestazione dei serbi nelle tante città in cui
risiedono? Un presidio davanti alle ambasciate UE, tedesca, francese,
britannica? Un appello da far firmare ai soliti intellettuali? Un picchetto e
un uragano di e-mail a Palazzo Chigi? Un coordinamento europeo per assediare
Bruxelles?*
*(Aggiungo, ad articolo ormai inoltrato,
l’apprezzamento per quel migliaio di lavoratori serbi che, a secessione
proclamata, hanno manifestato a Vicenza. Iniziativa degna di plauso,
ma, ahinoi, isolata e tardiva).
Ogni tanto si sente di una festa, un ballo col cotillon, una mossetta contro i pogrom anti-rom, una promozione turistica
per la Bosnia. E
il milione di profughi senzapatria, senzacasa, senza soldi, cacciati dalle loro
terre? E la Zastava, cuore operaio della Serbia,
polverizzata e svenduta ai predatori stranieri (Astrit
Dakli, lo slavofobo, ha solo da recriminare contro il
proficuo accordo tra la russa Gazprom,
dell’unico amico dei serbi, Putin, e la società del gas di Belgrado)? E i
150mila fratelli rimasti alla mercè dei tagliagole
del “premier” Hashim Thaqi,
narcotrafficante e assassino-capo dell’UCK, assurto al vertice del nuovo mafiastatarello in vista dei profitti che le elites occidentali incamerano dalle basi militari
d’assalto (Bondsteel), dal passaggio di
stupefacenti afghani, turchi e ora anche colombiani, tutti sotto tutela Cia,
dal traffico di donne, bambini e organi? Quel pendaglio da forca di Thaqi, premier kosovaro, è come se Totò Riina fosse il
nostro presidente del consiglio (magari, di questo passo, ci diventa…).
Le
lacrime di Tommaso De Francesco e i suoi “ultranazionalisti”
Qualcosa si deve essere
spento nei serbi quando Milosevic non mobilitò il suo esercito e il suo popolo
contro l’ingresso dei briganti Nato in Kosovo. Ne sarebbe venuta
un’invasione della Serbia, ma anche una guerriglia di massa,
probabilmente grandi lutti e distruzioni, ma anche la vittoria assicurata alle
lotte di liberazione condotte nella forma della guerra asimmetrica in un
territorio che più idoneo alla guerriglia non si può.
Iraq, Afghanistan, Cuba, gli stessi serbi sotto il tallone nazista, insegnano. Vi potete immaginare cosa sarebbe successo a
D’Alema e al suo governo di Sturmtruppen se
avesse dovuto impegnare i militari italiani contro i partigiani serbi, già
vittoriosi della macchina da guerra tedesca! Se avesse dovuto accogliere
processioni di bare dei “nostri ragazzi”!
Io, invece, mi sono
trovato accanto a Tommaso Di Francesco, balcanista
del “manifesto”, durante la cerimonia degli amici di Stefano
Chiarini nel primo anniversario della scomparsa del grande giornalista. Con
Tommaso ci eravamo incrociati nelle guerre balcaniche
e anche all’università di Napoli, ove ebbi l’occasione di
chiedergli cosa mai determinasse quella sua coazione a ripetere gli stereotipi
imperialisti su Slobodan Milosevic “dittatore”. Mi rispose: quali stereotipi? Tommaso era amico di Stefano e nel
“manifesto”, insieme a lui, a Manlio Dinucci, Robecchi, Rita Di Leo e
a pochi altri, l’argine ostinato contro la deriva moderata dei vecchi e
nuovi “venerandi maestri” del giornale. Ci lesse, quel giorno, una
toccante e intelligente lettera al compagno che non c’era più. Gli ero
seduto accanto e mi disse con tono afflitto, riferendosi all’imminente
secessione del Kosovo: Avevamo capito fin
dall’inizio come sarebbe andata a finire in Serbia, vero? Gli risposi: Già, peccato che il tuo
giornale, nel giorno del golpe Otpor/Cia contro
Milosevic, cioè contro la
Jugoslavia, così titolò: “La primavera di Belgrado”.
Lo scambio finì lì. Perché TDF non è solo un onesto giornalista che la tragedia
dei serbi e i delitti euro-statunitensi contro il popolo serbo li ha sempre
fedelmente squadernati ai lettori, con la penna e con il cuore, come tocca ai
giornalisti con coscienza e professionalità. TDF ahinoi è anche nella comitiva
di coloro (Giuliana Sgrena, Marina Forti, M. Cocco, altri) che partecipano, sì,
alle sofferenze delle vittime, denunciano, sì, i crimini e l’ottusità dei
carnefici politici e militari, ma al tempo stesso di questi ultimi condividono
aporie, stereotipi, falsi luoghi comuni, micidiali operazioni di mistificazione
e inganno. In questo modo sconfiggono il loro stesso assunto informativo,
politico, morale, ideologico. Cosa che va di pari passo e sortisce
gli stessi effetti disastrosi del pertinace rifiuto a sinistra di investigare e
produrre analisi alternative sulla truffa sconvolgimondo
dell’11/9, di Osama, di Al Qaida, del
terrorismo islamico. Fino a riprendere e avallare con stanca pigrizia ancor oggi la
surreale sostituzione, operata dagli occupanti, della Resistenza, baathista e islamica, fino a ieri accreditata dai comandi Usa di 200mila
combattenti, con un improvvisamente onnipresente Al Qaida.
Tecnica vecchia e logora, ricorda gli occupanti tedeschi che per meglio
giustificare le loro stragi davano del Banditen ai partigiani.
Torna particolarmente
desolante il fatto che un dabbenuomo come Tommaso continui, implacabile in ogni suo articolo, a ripetere
frusti e falsi concetti, in modo lampante strumentali alla promozione di
guerre. Ed ecco il karma della contropulizia
etnica degli albanokosovari, a ribadire
una mai attuata pulizia etnica serba che invece era una rabbiosa e
inevitabilmente dura risposta di Stato alla quinta colonna secessionista,
scaturita dalla criminalità organizzata albanese, dai marchi tedeschi e dai
sabotaggi di George Soros e Madre Teresa (cui i
briganti secessionisti hanno ora coerentemente intitolato la via principale di
Pristina). Ecco la balla di un Milosevic inesorabilmente carico dei bugiardi
misfatti attribuitigli dagli aggressori, definito alla Remondino
despota (l’equilibrista Rai che
ora definisce teppisti i manifestanti che
giustamente hanno assediato l’ambasciata dello Stato assassino), in un
paese dalle elezioni a gogò, dalle maggiori città amministrate
dall’opposizione, dalla stampa in mano all’opposizione al 90%, dalle
mai represse manifestazioni dei collaborazionisti tipo Vichy
(non avevano, a Belgrado, consuetudine con i De Gennaro). Un Milosevic che,
estremo difensore del pluralismo etnico-confessionale,
avrebbe oppresso il Kosovo togliendogli lo statuto d’autonomia, quando si
era limitato a eliminare il paralizzante, mai visto altrove, veto kosovaro a
tutte le decisioni delle istituzioni federali e regionali. Ed ecco il disco rotto
dei “nazionalismi” e “ultranazionalismi” serbi, laddove fu la Serbia a resistere, prima
in nome dell’unità jugoslava e poi della sua sopravvivenza agli
sciovinismi razzisti e religiosi dei microstati, coloniali, mafiosi o
fascistizzanti, fabbricati in provetta dall’imperialismo lanciato verso
Est. Si fosse mai sentito parlare di quell’ “ultranazionalista”
di D’Alema che pensa di dover
difendere gli “interessi del’Italia” massacrando paesi
altrui.
Vedendo il solito
“nazionalismo estremo”, o “ultranazionalismo” là dove
si tratta e si è sempre trattato di mera difesa contro
gli sciovinismi frazionisti dei proconsoli coloniali in Croazia, Slovenia,
Bosnia, Kosovo e Montenegro, Di Francesco accredita, mi auguro inconsapevole,
tutti le invenzioni demonizzanti elaborate dalle centrali della guerra
psicologica occidentale e finalizzate a
lubrificare i cingoli dell’aggressione. Così, come certi farabutti
fanno con la Palestina,
appare molto equilibrato porre tutti, serbi e secessionisti, sullo stesso piano
e risulta invece molto connivente. Come quando ancora
una volta, contro ogni evidenza, si attribuisce a una “decisione”
(documentare, prego!) serba la fuga dal Kosovo di “centinaia di migliaia
di abitanti”, di cui è stato provato che scappavano invece dai
bombardamenti a tappeto e all’uranio degli amici Nato (ma poi, ai
microfoni dovevano fantasticare su atrocità serbe, sennò col cazzo che venivano ammessi nei campi di quell’associazione a
delinquere che i giudici individuarono nel dalemiano
“Arcobaleno”. Balle di sopravvivenza che per TDF erano “dignitose e credibili”). Del
premier “moderato” Ibrahim Rugova, volto umano dell’operazione colonialista e
noto in Svizzera per traffico di droga, TDF si dice ottimo amico.
Probabilmente influenzato dall’albanese slavofobo e russofobo del
“manifesto”, Astrit Dakli,
TDF diffida di Putin e ritiene strumentale la sua condanna della secessione e dello stupro
del diritto internazionale che rappresenta. E conclude
vantandosi di aver conosciuto la Politovskaja, sapete la
giornalista russa anti-Putin e cortigiana di Eltsin e
degli oligarchi, che parlava di Russia e di Cecenia come gradivano Cia e
Pentagono, suoi editori di riferimento nelle collaborazioni a “Radio
Liberty” e “Radio Free Europe”. Sulle
elezioni presidenziali serbe, TDF si esalta alla vittoria del filo-europeo
Boris Tadic, ultraliberista, devoto alle potenze che
hanno sfasciato il suo paese, a scapito del “radicale” Tomas Nikolic, chissà perché ancora pervicacemente definito di
destra e “ultranazionalista”, a dispetto di un suo programma
elettorale socialmente, politicamente e geopoliticamente
assai più di sinistra di quello dell’avversario.
Arriva, TDF, addirittura a compiangere l’assassinio di Zoran Djindjic, collega di
partito del destro Tadic, da parte, afferma senza
prove, dello stesso ultranazionalismo che lo aveva aiutato
a defenestrare Milosevic. Fosse anche vero, non ci sarebbe davvero
da versare una lacrima su quel Djindjic, losco figuro
di rinnegato e quinta colonna dei tedeschi, che era arrivato
a fornire agli aggressori gli obiettivi serbi da bombardare.
Le cadute
di TDF e le ragioni di Slobodan Milosevic
Rinverdendo i fasti delle
menzogne che coprirono il golpe occidentale, portato avanti dai giovinastri di Otpor, addestrati per la bisogna da generali Usa a
Budapest, TDF parla di un Milosevic nelle elezioni del 2001 contestato dalla folla in rivolta per i risultati improbabili che
presentava. Rovescia la verità nel suo contrario quando afferma che,
nel 2001, “il popolo” invase il parlamento
per bruciare le schede di una “falsa vittoria di Milosevic”. Ci si chiede quale Belgrado mai abbia visto De Francesco
nei giorni della sedizione di Otpor che, istruita e
armata dalla Cia, raccattando elementi fascisti dalla periferia, era arrivata a
bruciare in parlamento le schede, non della “improbabile vittoria di
Milosevic”, ma quelle che avevano correttamente assegnato la vittoria ai
partiti della sinistra. Non contento, TDF, mitragliando i suoi anatemi contro
questo fantomatico “ultranazionalismo” serbo, non riesce a
trattenersi dal tornare all’attacco delle precedenti
responsabilità del nazionalismo serbo e di Milosevic, contrapponendo
a queste i Tadic e i Kostunica “moderati”
e virtuosi, dato che sono i soli leader a non aver partecipato alle guerre fratricide che hanno insanguinato i
Balcani. Un osservatore meno candido, meno credulone, direbbe che
sono stati questi leader ad aver abbandonato e tradito la lotta di Milosevic e
dei serbi per l’unità della Jugoslavia contro il colonialismo e i suoi
miserevoli burattini indigeni. E che poi si sono fatti investire dagli
stupratori del loro paese del compito di consegnarlo
ai licantropi del più becero e mafioso capitalismo. Non si rende neanche conto,
TDF, che la collera degli attuali dirigenti serbi contro gli Usa e gli europei
che li hanno traditi, ma ai quali per trenta denari avevano venduto il
presidente leader della Resistenza, è l’inconfutabile conferma che
Milosevic aveva visto giusto. Sono lacrime sul latte versato.
La cosa verrebbe a
noia per il profumo rancido che emana, se non fosse che fa pena un giornalista,
di sicura dabbenaggine, che, alle lacrime per le disgrazie dei serbi, associa
le diffamazioni e menzogne che a un D’Alema, a questo punto invano
deprecato da TDF, hanno consentito prima di bombardare la Jugoslavia (non per
nulla i giuristi di Rifondazione lo denunciarono come criminale di guerra) e
poi di farsi rompighiaccio internazionale della costituzione e del
riconoscimento di un orrendo narcostato etnico.
Testa-coda
di TDF anche in Medioriente
I tonfi di De Francesco
non si limitano ai Balcani. Ogni tanto il Nostro fa delle incursioni in altri
settori. Il risultato non cambia. Quando invade lo spazio assolutamente
irreprensibile che era di Stefano Chiarini, si precipita a sostenere il raggiro
Usa sull’onnipresenza di Al Qaida in Iraq, un
Al Qaida che, come ripetutamente denunciato dalle più
attendibili fonti irachene, a cominciare dalla prestigiosa
Associazione degli Ulema, non è altro che l’etichetta che, nelle loro
ambasce, occupanti e fantocci applicano alla Resistenza onde screditarla agli
occhi del mondo e rinverdire il teorema del “terrorismo islamico”. Sulla
Palestina, per esempio, pertinacemente avallando il rovescio delle verità
praticate da USraele e dai
suoi sicofanti, azzarda l’auspicio che Hamas
ripensi il tragico errore del colpo di Stato. Possibile che nessuno
gli abbia fatto leggere i documenti scovati da Hamas, dopo la neutralizzazione
dei quisling dell’ANP, e pure pubblicati dalla stampa egiziana, che
dimostrano come il l’agente Cia-Mossad
Mohammed Dahlan, capo della sicurezza di Fatah, era lì lì per scatenare un
golpe contro il legittimo governo di Hamas, democraticamente eletto,
comportante la liquidazione dei suoi dirigenti? L’intervento di Hamas
aveva semplicemente neutralizzato il complotto di Israele e dell’ANP ai
danni della democrazia e del popolo palestinese resistente. Si può chiamare
golpe il rifiuto del tradimento di un’ANP che si fa finanziare, armare e
addestrare la guardia pretoriana dai nemici del suo popolo? Di Tommaso non è
solo, gode del conforto di altre penne assai
superficiali e corrive. C’è quella dell’equilibrista Ennio Remondino, con le sua coazione a
ripetere il concetto caro all’Occidente del despota
Milosevic e i suoi sgherri. Quella dell’augusta cofondatrice
del giornale, Luciana Castellina (pure lei devota
alla frode dell’11/9), che esprime tutta la sua riprovazione per la fatale ripresa di egemonia delle forze serbe più nazionaliste, a tutto
danno di quelle democratiche che oggi governano. Una volta di più il
manifesto toglie le parole di bocca a Bush e sodali, giù giù fino a D’Alema e Veltroni, per i quali
aggredire e colonizzare sono interventi umanitari, mentre estremisti
nazionalisti sono coloro che non ci stanno e”democratici” quelli
che applicano i diktat politici ed economici dei loro padroni a Washington e Wall Street. Con un triplo salto carpiato logico questa veneranda maestra, afferma poi impunemente che
con i bombardamenti
Nato sulla Jugoslavia… si è solo ritardata la vittoria degli oppositori
di Milosevic. Anche lei, dunque ballava alla musica della manifestaiola Primavera di Belgrado
sulla fossa comune dei popoli jugoslavi.
I
giocolieri dei due pesi e due misure
Così, agevolato dalle
aporie truffaldine dei colonialisti, ribadite dal
“manifesto” e da altri media di “sinistra” ,
D’Alema e i suo padrini hanno potuto compiere lo sporco lavoro di
destabilizzare una residua legalità internazionale, inventandosi un microstato
di delinquenti, tutelato per i comuni interessi dalle forze di polizia europee
(Eulex). Un’entità etnica, razzista, sorta dal
genocidio di quasi metà della sua popolazione (altro che kosovari albanesi al
90% nel 1998) e che ora serve da retroterra per i traffici criminali di tutti i
suoi mallevadori, dalla droga al commercio di esseri umani e delle loro parti,
dalla rapina delle sue ricchezze minerarie, compresi i nuovi giacimenti di gas
e greggio recentemente scoperti al confine tra Albania e Kosovo, ulteriore stimolo al lavoro sporco di D’Alema e
compari. Con sul groppone l’identificazione con
la scellerata politica degli zombie anglosassoni, l’Iraq dei 2,5 milioni
di morti nella guerra 1991-2008, la Palestina cui far fare la fine degli Incas, l’Afghanistan da devastare per obiettivi
esclusivamente predatori, il Libano da tenere libanizzato
e al guinzaglio, la
Jugoslavia frantumata in ridicoli bantustan
per masticarla meglio, e tutto questo al costo di una macelleria sociale senza
precedenti, con il corollario dello Stato picchiatore e carceriere, come si fa
ad ancora risparmiare alla nostra classe politica ed ecclesiastica il termine
di fuorilegge? Macchè, sono fuorilegge e meritevoli
di 7 anni di prigione i ragazzi che a Firenze si erano
fatti spaccare la testa per urlare al consolato Usa quello che si faceva alla
Jugoslavia.
Ovvio che i serbi un
giorno si riprenderanno la terra delle loro origini e
del loro destino. Ovvio che, crollata la Grande Bestia imperialista e
dispersi i suoi clienti, la
Jugoslavia riprenderà forma e coesione, condizione perché
quei popoli non muoiano. Ma non saranno le compiacenze, obbedienze e connivenze
dei politici e dei giornali sedicenti di sinistra a sostenerli ed affiancarli nella rivincita. Quelli dovranno leccarsi le
ferite, se non saranno già stati affidati alla discarica della storia.
Ogni
candidato si comportava bene nella speranza che lo si
giudicasse degno di elezione. Tuttavia, questo sistema divenne un disastro allorchè la città era diventata corrotta. Poiché allora non
era il più virtuoso, ma il più potente che si candidava alle elezioni e i
deboli, perfino i virtuosi, erano troppo impauriti per
candidarsi.
(Nicolò Machiavelli)
Un
partito pluriball
Bertinotti, uomo per ogni
stagione purchè gli dia lustro e lo mantenga sulla
giostra, si affanna trafelato, disponibile come non mai, appresso alla Grande
Cosca Veltroni-Berlusconi, pur di rimediare ancora
qualche sprazzo dal cono di luce di quel mafio-potere.
C’è dell’orrido e del patetico nelle giravolte di quest’uomo,
che riesce a trascinarsi dietro perfino i recalcitranti all’abbandono della
falce e del martello per mettere in piedi un minestrone che ha la densità di
contenuti di un pluriball. Mi è capitato di
assistere, della parti del mio non natìo
borgo selvaggio, a un’assemblea di circondario della “Sinistra
l’Arcobaleno”. Un Bonelli
che esternava pie genericità, un Cancrini psichiatra
che solo di psichiatria parlava (ma non della demenza onanista delle
“sinistre”), un ometto barbuto della SD che pareva un busto del Pincio e di quello aveva la vivace eloquenza, un rifondarolo da comizio. Qualche sprazzo veniva dagli
interventi di uno sconsolato pubblico, per il resto un vuoto da interno di
mongolfiera. Accenni autocritici per quanto di scelleratezze prodiane hanno contribuito a cacciare nel gozzo della gente,
una visione di società sottratta alla paralitica egemonia
dell’agonizzante esistente, un break dell’abbraccio
mortale con la borghesia berlusconizzata? Meglio
chiedere agli asini di volare. Invece una conferma, iniettata dalle
compatibilità bertinottiane, del ruolo di ruotino di scorta del pateracchio veltrusconiano,
con la pietosa insistenza dell’invocazione al PD che ci ripensi e conceda
ancora una volta tale particina in commedia. Fenomenale il dato che nessuno dei
quattro moschettieri del re abbia ritenuto di fare un accenno alla questione guerra,
missioni, basi, Nato, Vicenza, come se si trattasse non del nodo dirimente di
tutta la nostra epoca, ma di una fastidiosa mosca che era meglio ignorare
piuttosto che spiaccicarla. Certo, una coda di paglia lunga
da qui a Kabul, intrisa di sangue.
Vota
sempre per principi, anche se voti da solo. Avrai il
conforto che il tuo voto non sarà mai perso.
(John Quincy
Adams)
Annullare
la scheda dell’antipolitica, stare con la politica vera di Vicenza, Val di Susa, i
Zero-rifiuti, Cobas…
Sono per la scheda
annullata. C’è chi in rete, e anche qualche gruppettaro sul
“manifesto”, invoca l’astensione, inconsapevole della quasi
totale irrilevanza di un dato numerico che può essere attribuito a semplice e
indistinta insofferenza al solito trucco elettorale. Le schede annullate
significano invece un’attiva manifestazione di volontà politica e, per
quanto si vorranno poi attribuire ai partiti, senza cambiare la qualità
dell’esito, rappresentano nel loro incremento esponenziale una spada di
Damocle su governanti e “oppositori”, nonché
un terreno di coltura per la rinascita di una sinistra che non sia la maschera
di carnevale del padrone. Correttamente, anche stavolta, i Cobas hanno
dichiarato nelle prossime elezioni non sosterremo nessuna
lista, non daremo indicazioni di voto per nessuno, non metteremo candidati in
nessuna lista. Mi pare implicita la constatazione che non c’è
proprio nessuno da poter eleggere.
Non
fidarsi è meglio
Non c’è da fidarsi
di chi , pur indossando abiti candidi, ripete le
parole d’ordine dei carnefici militari e sociali: dal
“terrorismo” all’”integralismo” islamico (il mostro dell’estremismo radicale islamico, come lo
chiama l’emissario a Kabul del mostro dell’estremismo moderato
apostolico romano nel “manifesto”), dall’11 settembre
dell’attentato bushiano, all’agenzia Cia
Al Qaida, dalle montature a fini colonialisti del Darfur, del Myanmar o dello Zimbabwe strappato alle grinfie
dei vampiri bianchi, alla turlupinatura letale della “nonviolenza”,
dal perfido strumento colonialista dei “diritti umani”, alla
prostrazione davanti a un arnese della reazione teocratica come il Dalai Lama.
Ci sono quelli che, messi alla porta dal Veltroni nazionale, nel segno della
coerenza e della dignità rientrano nel retrobottega del Rutelli municipale
– e di altri fiduciari locali di costruttori, redditieri, automobilieri, elettroinquinatori,
camorristi, preti – per godere ancora dei frutti dello scempio di Roma. Non c’è da fidarsi di verdi – e tanto
meno di legambientini, topastri da
tempo brulicanti nel formaggio del potere – che, pur arrossendo,
annuiscono dalla lontana a strumenti di morte come gli inceneritori, o la TAV. Né c’è
da fidarsi di tutta quella rancida “società civile”, che ora si
balocca tra Veltroni e Bertinotti alla ricerca di qualche candidatura
“indipendente”: sindacati ormai tutti gialli, Arci ( la maestrina dalla penna nera Raffaela
Bolini: noi non siamo a priori contro le missioni
all’estero, la comunità internazionale ha il dovere di mettersi in
mezzo…), Ong, Tavole della pace, conventicole
varie. In una cosa sono bravi e utili: nel confondere la distinzione tra giusto
e ingiusto, tra chi subisce e chi infligge, ciarlando di “diritti degli
uni e diritti degli altri”, di estremisti e di
moderati di ambo le parti, finendo col mettere tutti, vittime e carnefici,
nello stesso sacco.
Dove sono finiti gli occhiali
di Trotzky?
E, malgrado
il rispettabile Turigliatto, non mi fido nemmeno di
quel trotzkismo, ingordo di minoritarismo e perciò
grottescamente trino su un corpo solo. Dietro a falce e martello coltiva il suo
arrogante, eurocentrico e quindi essenzialmente razzista disdegno, anzi la sua
nasuta disapprovazione, verso tutto ciò che si muove fuori dalla
proprie oniriche coordinate, Chavez, Fidel, la Resistenza irachena,
quella islamica, Mugabe, milioni di persone che nel mondo si strabattono contro l’urgenza assoluta del momento,
l’imperialismo. Diranno, costoro, anche delle cose condivisibili sulle
sciagure sociali interne, sulla “brutta guerra”, ma tralignano
quando dall’albero allargano lo sguardo alla foresta e siccome è la
condizione della foresta che determina l’ambiente e la vita di ogni sua
singola componente, sbagliare lì è vanificare la cura
dell’albero. Il padre nobile al quale questa triade fa riferimento aveva
lo sguardo ben più acuto e lungo. Non mi fido di un
Cannavò, leader della neonata “Sinistra Critica”, che con la sua
falce avrebbe voluto decapitare Slobodan Milosevic e con il martello liberava
la strada ai venduti di Otpor. Indimenticabile e
indecente il titolo con cui, su “Liberazione”, esaltò
il golpe euro-statunitense contro la
Serbia libera e sovrana: Belgrado ride.
Si sa bene ora, caro lungimirante Cannavò, chi ridesse allora e continua a ridere. E intanto, senza dirmi nulla, cestinava le mie
corrispondenze da Belgrado perché, intervistati, i dirigenti Otpor si dichiaravano orgogliosi di essere stati addestrati
dalla Cia. O perché descrivevo i lindi quartieri e le protezioni sociali che il
Partito Socialista di Slobo aveva assicurato ai rom. Ti paga Milosevic?
mi chiese. E non mi fido dei boyscout che insistevano
a contrapporre ai rivoluzionari passati e presenti l’uomo mascherato del Chapas, quando anni di scempiaggini letterarie, vaniloqui
galattici, rosari recitati alla nonviolenza e al non-potere, assoluta sterilità
operativa e vanitoso isolamento geopolitico, autoculto della personalità, avevano già fatto
giustizia di questo stratega del depistaggio per fighetti europei. Li abbiamo
visti, i boyscout, appena un po’ disorientati quando il neo-Zorro da operetta ha assolto il compito dei suoi
mandanti di dare una mano al Berlusconi locale, Caldiron,
facendo le scarpe al candidato presidenziale Lopez Obrador,
unica e credibile speranza per il Messico di affiancarsi al nuovo e positivo
che muove l’America Latina.
Si tratta di sinistre che
diranno pure qualcosa di assennato sulle politiche del coacervo
veltrusconiano, che, un po’ tardi, si tirano
fuori dalla morta gora bertinottesca (invitati da noi
autoconvocati nel 2004 a
unirsi contro il monarca, fecero orecchie di mercante), ma che non si
libereranno mai da una responsabilità degna dei pesi di Sisifo:
aver impedito, con l’assunzione delle patacche su Milosevic e sul
“nazionalismo” serbo, quella mobilitazione, di massa e senza
riserve mentali, per la
Jugoslavia e accanto alla sua dirigenza, che solo così
avrebbe potuto mettersi tra le ruote dell’incipiente “guerra
infinita”. Altro che “si, ma”, altro
che “né con, né con”. E’ gente che pensa di difendere Cuba
dalle mene Usa dando del “dittatore sanguinario” a Fidel Castro, e
l’Iraq ripetendo da sonnambuli le fole su Saddam e sulla Resistenza.
E, per finire là dove non
sembra ahinoi esserci fine, non mi fido neanche di
coloro che oggi inalberano vessilli dell’antagonismo sociale e della
lotta contro il militare, ma che un attimo fa, offrendo al Veltroni a stelle
strisce e stella di Davide, tanto opportunisticamente quanto demenzialmente, una lista elettorale
“arcobaleno”, tali vessilli li avevano scordati in soffitta.
C’è un limite alle “svolte”. Si rischia di frantumarsi contro
un muro: presero lo 0,6%. E, guardate, dirò una bestialità, ma non mi fido
neanche delle quote paritarie per il genere rosa. Penso a quelle che già hanno dato la loro prova: Binetti,
Turco, Santanchè, Brambilla, Finocchiaro,
Menaguerra, Deiana, Bonino,
Bernardini, Pollastrini,
Pivetti, Mascia, Sereni, Mussolini… Moltiplicarle? Sarà equo, ma non mi
pare risolva il problema. Anzi, se si allarga lo sguardo a Clinton, Livni, Albright, Rice, Bhutto, Merkel, Royal, Elisabetta…
fa paura. Troppo facile farne una questione di genere. Tina Anselmi, quella sì.
Ce ne fossero.
E’ il TG3 delle 19. Sfilano nell’invereconda passerella di tutti i telegiornali i gaglioffi presuntuosi e ottusi della vera
antipolitica: strepitose maschere da film de paura, corruzione, protervia,
ipocrisia, furberia, ottusità, rozzezza, vaniloquenza.
Su tutte, la faccia di Veltroni che si smolla sul gorgoglio sempre più
indistinto di putrefatte demagogie e mafiosi
avvertimenti. Pare un Luigi XVI della Magliana. Siamo al 1789? Mancano i
sanculotti.
Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
29.02.2008