Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
Scriveva Kautiliya, il Machiavelli d’Oriente, nel IV secolo d.C., che un buon re si dota di una vasta rete di spie dei seguenti tipi: lo studente inquieto, l’agricoltore sfortunato, il mercante fallito, il monaco vagante in contatto con vari ordini, l’eremita con un seguito di esaltati, le cui profezie saranno fatte avverare a cura del servizio segreto. Gli agenti saranno senza famiglia, esperti di arti magiche, avvelenatori, bravi, gobbi e nani da circo, menestrelli, musicisti, eunuchi. Negli assembramenti popolari un agente biasimerà il re e un altro lo difenderà, si censirà chi aderisce all’uno e all’altro. I nemici del re saranno eliminati con incidenti provocati e, in seguito, si faranno abbattere anche le spie affinché dell’inganno non resti traccia. All’estero gli agenti aizzeranno ogni tipo di malcontento e lotta, finanzieranno i più deboli, assolderanno ruffiani, teatranti, monaci e astrologi.
Il re è un buffone, la corte un circo, la politica un intrigo di vero e falso. La tradizione orientale è ricchissima di questi testi dedicati agli “arcani del potere”. Che cos’è, infatti, il potere se non l’arte di “escogitare ragioni grazie alle quali il popolo soddisfatto e affascinato si astenga dall’uso delle armi”, si chiede Arnold Clapmarius, trattatista del ‘600? [1]
Nel gioco delle apparenze della società massmediatica le maschere diventano idoli, prodigi, fenomeni. A volte, però, la verità erompe squarciando il velo dell’illusorietà fenomenica. Ecco, il video del “monaco vagante” con la lingua in fuori, in balia degli istinti bestiali che vincono sull’equilibrio del saggio, viola le regole del gioco e, così facendo, mostra quanto il gioco sia truccato.
Il video è stato girato il 28 febbraio scorso, ma è stato diffuso solo qualche giorno fa, e riprende il Dalai Lama che bacia sulle labbra un bambino e, non soddisfatto, gli chiede “succhiami la lingua”, durante un incontro nel tempio di Dharamshala, in India. [2]
“Una presa in giro innocente e scherzosa” si è giustificato il leader spirituale con una nota ufficiale, aggiungendo che, comunque, “Sua Santità desidera scusarsi con il bambino e la sua famiglia, oltre che con i suoi numerosi amici in tutto il mondo, per il dolore che le sue parole possono aver causato. Si rammarica di questo incidente”.
Sua Santità è, all’anagrafe, Tenzin Gyatso, 87 anni, XIV Dalai Lama, leader per l’indipendenza del Tibet, icona del pacifismo mondiale, figura di spicco nella lotta al cambiamento climatico, premio Nobel, esule dal 1959, considerato uno dei personaggi più influenti al mondo.
Ma per Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana, si sta montando un caso sul nulla: “Non c’è nessuna situazione che possa mettere in discussione l’integrità, la moralità, l’eticità del comportamento di sua santità. Chi lo fa è in cattiva fede. Siamo inorriditi da certe interpretazioni”. In effetti, baciare un bambino sulla bocca è nulla, deve far parte del nirvana o di qualche altra pseudo illuminazione psichica…
Anche il leader del governo tibetano, Penpa Tsering, si ostina a negare l’evidenza dichiarando che i gesti sono stati fraintesi: “Sua santità è sempre vissuto nella sacralità, seguendo la vita dei monaci buddhisti, incluso il celibato. I suoi anni di pratica spirituale si sono spinti oltre i piaceri sensoriali”.
E non c’è chi, nel maldestro tentativo di salvare “Oceano di saggezza” (traduzione di Dalai Lama) dalla marea di fango in cui sta affondando, non citi improbabili tradizioni tibetane sul mostrare la lingua.
Chi non le manda a dire è l’Haq, Center for child rights di Nuova Delhi che condanna ”qualsiasi forma di abuso nei confronti dei bambini”. E chiarisce che “questo video non riguarda alcuna espressione culturale, e anche se lo fosse, tali espressioni culturali non sono accettabili”.
C’è una sola interpretazione da dare al gesto del Dalai Lama: pedofilia, che è un crimine a cui dovrebbe fare seguito un’azione legale e non semplici scuse. Anzi, occorrerebbe aprire un’approfondita indagine perché è legittimo chiedersi se fa così in pubblico, chissà cosa combina in privato…
Purtroppo il Dalai Lama non è il primo monaco a macchiarsi di tali nefandezze. Nel 2019 il giornalista Sanitsuda Ekachai scriveva sul Bangkok Post come la piaga fosse talmente diffusa da non scioccare più nessuno, denunciando che “la maggior parte dei monaci pedofili sfugge alla legge perché è protetta da una cultura di paura, segretezza e impunità nei templi”.
Difficile quantificare il fenomeno perché, da un lato, i vertici cercano di evitare scandali invitando le vittime a non denunciare, dall’altro, il tessuto sociale in cui si innesta è davvero povero, mentre la carriera monastica consente un’istruzione gratuita, un sostegno economico e un alloggio. Senza trascurare la sudditanza psicologica di un discepolo nei confronti di quello che ritiene essere un “maestro”. Infatti, a supporto delle vittime, qualche anno fa è stato creato il gruppo “MeTooGuru”.
Lo scandalo ha già colpito nomi noti come Choedak Rinpoche, lama della Società tibetana di Canberra, o come Sakyong Mipham Rinpoche, lama di Shambhala International. Esemplare il caso di Sogyal Rinpoche – uno dei più famosi maestri tibetani (appare persino nel film “Piccolo Buddha”), fondatore dell’organizzazione internazionale Rigpa e autore del best seller “Il libro tibetano del vivere e del morire” -, accusato di violenza dalle sue studentesse fin dal 1994, anche se la vicenda è esplosa in tutta la sua gravità solo nel 2017. [3]
D’altronde, lascia allibiti che le molestie del Dalai Lama siano state perpetrate di fronte a 120 “illuminati”, fra cui alcuni monaci, senza che nessuno intervenisse, a conferma del clima di tolleranza di certe aberrazioni.
Anche la stampa occidentale non pare aver debitamente sollevato la questione, limitandosi a far scivolare la notizia fra le tante e a far apparire il gesto come, nel peggiore dei casi, semplicemente sconveniente.
L’impressione è che si tratti dell’ennesima finestra di Overton spalancata sullo sdoganamento della pedofilia che qualcuno vorrebbe far passare come una normale variante del comportamento sessuale fra le altre, in linea con l’ideologia pansessualista senza limiti.
Val la pena ricordare che, secondo la teoria del sociologo Joseph Overton, qualsiasi tabù può essere infranto e diventare legge purchè si seguano sei precisi passaggi di ingegneria sociale. Il primo prevede che se ne inizi a parlare: il suo semplice apparire nel dibattito pubblico permette a ciò che era “impensabile” di slitttare sul piano del “pensabile”. In questa fase, che è quella decisiva, secondo Overton, sono molto efficaci le tecniche di shock: per esempio, un personaggio famoso irrompe sulla scena promuovendo un’idea in modo estremo e caricaturale. La società si scandalizza, lo critica, ma intanto l’idea si è guadagnata una sua finestra di opportunità per svilupparsi. Ovviamente, la comunicazione dei media ha un’importanza fondamentale per depotenziare il senso di riprovazione e iniziare a far accettabile alla popolazione ciò che era inaccettabile fino a qualche anno prima. Nei passaggi successivi l’idea comincia a diffondersi, non sembra più così sbagliata, si inizia a prevedere qualche eccezione al suo divieto, fino a che è matura per essere lanciata nell’ultima fase, la sua legalizzazione, grazie alla quale viene istintivamente identificata come giusta.
A che punto siamo dei passaggi previsti da Overton? Avanti, purtroppo. Il “ministero del condizionamento” addetto alla neolingua ha già coniato il nuovo termine “Map” (minor attracted person) per non offendere i pedofili nel grande progresso della tolleranza umanitaria, mentre l’Unione europea, nella Raccomandazione del 2010, ha invitato gli Stati membri a eliminare qualsiasi legislazione discriminatoria in tema di rapporti “ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali”. D’altronde, il bambino concepito dall’Onu è un soggetto che si autodetermina, in grado di scegliere, ad esempio, di assumere la terapia farmacologica per la transizione di genere, terapia che è irreversibile. [4]
Non sottovalutiamo il fatto che atti di pedofilia perpetrati da un leader religioso molto ammirato possono creare dissonanza cognitiva nella coscienza collettiva depotenziando la gravità degli atti compiuti. La luce che passa da questa finestra di Overton getta un’ombra inquietante sulla via dell’illuminazione di sua sacralità il Dalai Lama.
Già da molto tempo, il Dalai Lama è coinvolto in vicende più politiche che spirituali.
Come dimenticare i suoi libri con Greta per salvare il pianeta, la sua appartenenza al club di Budapest, il suo ruolo chiave nel disegno globalista? [5]
Icona della minoranza perseguitata dei tibetani, subito sfruttata dai potentati economici non certo per appoggiare i monaci arancioni (di cui non gliene importa assolutamente nulla) ma per la propria guerra contro la Cina nello scacchiere della geografia globalista.
D’altronde, gli esiliati, gli emarginati, gli esclusi, chiunque sia “diverso” (in tutte le sue possibili accezioni: etniche, religiose, sessuali, ecc.) è l’eroe del futuro incensato dal nuovo progressismo diversitario, un fenomeno che i sociologi chiamano “allofilia”, cioè il valutare pregiudizialmente positivo qualsiasi aspetto delle civiltà non europee. La retorica dell’inclusività è l’imperativo categorico con cui smantellare le ultime vestigia di civiltà, cultura e tradizione per la trasformazione dei popoli in una massa planetaria indifferenziata.
Abilissimo nelle relazioni pubbliche, i tour del Dalai Lama hanno alimentato il mito di un buddismo utopistico, occultando quanto, in realtà, sta accadendo in molte aree del sud-est asiatico dove, da alcuni anni, frange estremiste del clero stanno diffondendo un integralismo violento contro le comunità Rohingya locali. Le organizzazioni internazionali parlano esplicitamente di pulizia etnica.
L’idea di militarizzare i monaci ha trovato terreno fertile nella scuola buddista dei theravada, la più antica e diffusa in Myanmar, Sri Lanka, Thailandia, Cambogia e Laos. Alcuni monaci radicali si proclamano “combattenti spirituali” come Sitagu Sayadaw, il lama più influente del Myanmar, che ha dichiarato pubblicamente di essere pronto a schierare 400.000 monaci contro i “nemici”. O come Wirathu, soprannominato il “Bin Laden buddista”, ritenuto l’ispiratore del raid del 2012 nello Stato di Rakhine che ha portato alla morte 200 musulmani e 100.000 sfollati.
Nel corso delle sue reincarnazioni, il Dalai Lama, oggi, incarna tutti gli stereotipi del nuovo moralismo politicamente corretto: l’ecologismo catastrofista, la difesa delle minoranze, l’uguaglianza utopica terrorizzante, la spiritualità da salotto per i divi di Hollywood, il culto della banalità. E, a questo punto, anche la pedofilia.
Nel mondo nuovo che coincide con il trionfo del neocapitalismo, il Dalai Lama è stato eletto a idolo carismatico dell’Occidente liberal-atlantista per essere venduto ad una platea da convertire in seguaci non tanto del tantrismo ma delì’Agenda 2030, una nuova fede con i suoi testi sacri, le sue liturgie, i suoi simboli, i suoi santi e…i suoi martiri: la mancanza di devozione coincide, infatti, con l’eresia.
Come ogni ideologia, anche questa ha bisogno di sostenitori famosi che prende indifferentemente dal mondo dello spettacolo, della cultura, della religione.
Chiunque va bene, basta che sappia officiare tutte le cause diritto-civiliste e finto umanitarie. Dalla bambina triste ai divi di Hollywood, dai cantanti trans-gender ai neri imbrattatori di statue, dai rettori che cancellano la cultura agli anziani guru, si tratta di coprire tutto il repertorio delle varianti umane in modo che ciascuno possa identificarsi ed imitarli.
È tutto un carrozzone di mascheramenti, camuffamenti, trucchi, dietro i quali – da oriente a occidente, da meridione a settentrione – c’è sempre e solo un’unica realtà, quella dei potentati economici dominanti e dei loro prodigiosi incantesimi.
“Ogni ideologia vuole disegnare attorno a noi un’altra realtà, fittizia, nel cui steccato rinchiude il suo circolo di adepti” ha scritto la filosofa e mistica Simone Weill.
Il Dalai Lama è lì per ammaliare le folle trascinandole verso un diverso senso comune, nuove egemonie, l’abbandono del senso critico. Da sempre le verità mistiche vengono strumentalizzate per le mistificazioni politiche, cadenzano nuovi rituali autoritari, perimetrano la moderna idea di Bene, montano la guardia alla morale. Si tratta di offrire la nuova mitologia del presente con i suoi incantatori di serpenti nel grande rito collettivo di omologazione dove a essere sacrificato è ogni pensiero differente.
Le tele narrative della propaganda sono appiccicose, insistenti, seducenti, imprigionano in un immaginario artificioso, appositamente costruito per creare consenso indotto.
“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto oppure il comunista convinto, ma le persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso”, ha scritto Hannah Arendt.
In questo orizzonte di falsificazione, di abbaglianti maschere oscure, il Dalai Lama appare per smerciare frammenti di fascinazione orientaleggianti ad un Occidente desertificato dalla commercializzazione di ogni realtà che ha svuotato di significato qualsiasi elevatezza.
Non è in questione il Buddismo ma l’indebita appropriazione di una cultura lontanissima dalla nostra ridotta a moda new age, banalizzata a misura della nostra società unidimensionale.
È una corsa alla meditazione, al rilassamento, allo yoga…sogni ingenui per anime fragili in cerca di un comodo Altrove. Sono nostalgie di aure diradate e di tutto ciò che la tecnica avanzante scaccia. Si cerca un’autorità esterna che deresponsabilizzi, che allontani la sofferenza, una sorta di vaccino per l’anima. Su ignari bisognosi che mendicano estasi a comando, i “sapienti” a volte elargiscono carità di luce, conoscenze illuminative, religioni da salotto.
“Conviene all’umanità di un maestro, mettere i propri discepoli in guardia contro sé stesso”, ha scritto Nietzsche.
Il successo delle religioni orientali in Occidente deriva da un vuoto spirituale. I prodigi della tecnica coprono bisogni, ma non danno senso all’esistenza poiché la scienza “non pensa, ma calcola soltanto”, come ha scritto Martin Heidegger.
Il disincantamento del mondo sotto i colpi della razionalizzazione modernista, la rarefazione del sacro alla luce dell’intellettualizzazione dell’Occidente, l’appiattimento di ogni profondità simbolica ha ristretto la vita entro un orizzonte privo di mistero, di pathos, di poesia.
È un processo di annichilimento di lunga data che il neoliberismo sta portando all’eccesso in vista della transizione transumanista. Un uomo senz’anima, senza valori, senza tradizioni, senza coscienza, è un uomo pronto per essere manipolato, digitalizzato, impiantato, allevato come animale in serie.
Il nuovo ordine mondiale non prevede la sopravvivenza di nessuna religiosità che non sia il culto della scienza e la devozione alle connotazioni liberali, liquide, consumistiche nella forma di un generico umanitarismo sincretista.
Come ha profetizzato Yuval Noah Harari, consigliere speciale di Klaus Schwab, durante il WEF del 2018: “Gli esseri umani ora sono animali che possono essere hackerati. Né la Gestapo né il KGB sono stati in grado di farlo, ma presto alcune corporazioni e governi saranno in grado di farlo. Hackerando gli organismi umani, le élite possono acquisire il potere di reinventare il futuro della vita…Il libero arbitrio è finito. Tutta la vita per 4 miliardi di anni (dinosauri, pomodori, amebe, esseri umani) è stata soggetta alle leggi della selezione naturale e della biochimica organica. Ma questo ora sta per cambiare. La scienza sta sostituendo l’evoluzione tramite selezione naturale con l’evoluzione tramite design intelligente. Non il design intelligente di qualche Dio sopra le nuvole, ma il design intelligente delle nostre nuvole (la nuvola IBM , la nuvola Microsoft), queste sono le forze motrici dell’evoluzione”.
Nessun leader religioso si sta opponendo alla deriva transumanista. L’unico che ci ha provato, Benedetto XVI, è stato fatto cadere.
Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
28.04.2023
Sonia Milone. Architetto, specializzata in antropologia culturale, è autrice di articoli e saggi dedicati all’arte e all’architettura (con un occhio particolare rivolto alle “culture altre”) per esplorare, con differenti coordinate critiche, le aree dei transiti, dei flussi e delle derive che solcano i territori della contemporaneità.
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NOTE
[1] Elémire Zolla, “Verità segrete esposte in evidenza”, Marsilio, 1990
[2] Qui il video Dalai Lama asks little boy to ‘suck my tongue’ – YouTube
[3] Il processo non è stato concluso a causa della sua morte per malattia nel 2019.
[4] Si rimanda al mio articolo La Storia del Grande Reset dell’Uomo: dal Transgender al Transumanesimo, da Tavistock all’Oms – Parte Seconda – Come Don Chisciotte
[5] Greta Thunberg, Tenzin Gyatso, “Insieme per salvare il pianeta. Obiettivi comuni contro il cambiamento climatico”, Baldini-Castoldi, 2022