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La Redazione

 

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FARC, OSTAGGI, CHAVEZ E SCIACALLI

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A cura di God
Il 7 Febbraio 2008
52 Views

blankDI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea

La diatriba tra due giornalisti esperti di America Latina e, non dico le Farc o addirittura Hugo Chavez, sarebbe troppo onore, ma l’associazione italiana che si occupa di Colombia e Farc (“Nuova Colombia”), ha evidenziato una volta di più come l’intelligenza e perfino l’esperienza possano dalla spocchia venire guastate fino alla putrefazione.

Il modello più illustre dei nostri tempi e luoghi è qui Massimo D’Alema, il parabarbieruccolo baffettato di Gallipoli, travolto da tic nervosi (segni di un’inconscia consapevolezza della propria fisiologica destinazione alle cantonate) che, parlando e guardando al mondo in verticale giù dal proprio naso, impegna una vita a occultare nella sua stizzosa boria il masso di Sisifo dei propri flop (e anche delle proprie malefatte).Dei due giornalisti Cric e Croc uno è Guido Piccoli, opportunamente ospitato da un “manifesto” che spreca editoriali e paginoni per piagnucolose perorazioni delle proprie dame da salotto in difesa della “vittima di genere” Hillary Clinton. Già, quella che reggeva la coda (insieme ad altre) del bombarolo Clinton nel suo massacro della Jugoslavia, nell’embargo genocida all’Iraq, nel sostegno alla pulizia etnica di Sharon (e non per nulla è il candidato più caro, oltreché alle manifestine, ai nazisionisti di Tel Aviv), nel maramaldeggiare Usa contro i popoli dell’America Latina. Quella che avvolge nel silenzio Guantanamo e Bagram, quella che non hai mai detto chiaro e tondo “finiamola con uccidere popoli con l’alibi della truffa 11 settembre”. Croc è Gennaro Carotenuto, uno che scrive cose consapevoli e interessanti sull’America Latina, ma che spesso piscia fuori dal vaso quando fa il giornalista “partecipativo” uscendo dal proprio seminato. Entrambi appartengono alla nobile schiera dei politically correct, rigorosamente non-violenti e dunque beneaccetti su treni che portano un po’ dappertutto, salvo là dove si rischia di bruciarsi le dita. Il loro quadro di riferimento sono “società civile”, “diritti umani” e “comunità internazionale”, pari pari il tiro a tre con il quale l’imperialismo sbatte i suoi zoccoli sui crani dei divergenti.

Ma a forza di maneggiare roba incandescente con i migliori guanti d’amianto, a volte si finisce con l’incenerirsi la credibilità. Guido Piccoli, prima che sul “manifesto” desse dei delinquenti e narcotrafficanti alle Farc colombiane, mettendosi nella scia maleodorante del – da lui poi inutilmente deprecato -narcofascista Uribe, l’avevo incontrato in un convegno bolognese nel quale entrambi eravamo relatori su guerre e rivoluzioni. Le sue prese di distanza da chi all’obliterazione di popoli di troppo risponde picchiando e sparando, non gli procurarono i favori del pubblico. Il che, comunque, non ha portato a nessun ripensamento. Anzi, il consanguineo ambiente del “manifesto”, ne ha propiziato il quasi totale allineamento con i più viscerali anatemi pacifinti. Alvaro Uribe ne ha goduto: l’universo mondo, anche se non tutti lo dicono, sa perfettamente che trattasi di criminale della più sporca acqua coloniale; quello che gli premeva era che gente come Piccoli e Carotenuto contribuissero acchè un’impeccabile guerriglia, lunga quarant’anni e dunque manifestamente sostenuta da gran parte della popolazione, venisse insozzata, satanizzata alla Saddam e, così, messa quanto meno sullo stesso piano. Anzi, peggio, visto che il piccolissimo Piccoli non si è addirittura peritato di adombrare “torture” delle Farc sul corpo inerme del bambino Emmanuel, figlio della selva, della guerriglia e dell’ostaggio Clara Rojas. Di solito a gente così si dà dell’infame. Nonché del cretino quando preferisce credere a un macellaio psicopatico come Uribe, o a un poliziotto manovrato, piuttosto che a un combattente comunista per la liberazione del popolo e per l’integrazione della Patria Grande.

Quanto a Gennaro Carotenuto, in questa congiuntura maestrino dalla penna nera, è stata degna di Zelig la sua metamorfosi da fustigatore delle Farc, anche qui terroristiche, sanguinarie, narcotrafficanti e controparte di una “società civile” colombiana che solo la siderale distanza concettuale gli ha potuto far apparire bella impetuosa, a “embè, tutto sommato, qualcosa di queste Farc si può salvare, un contributo chissà lo possono ancora dare…”, rigurgitati penosamente dopo i chiarimenti. Ma come, i falsari di interviste inventate, i bugiardoni sui movimenti e disolocamenti di Emmanuel, coloro che avevano imbrogliato Chavez e mezzo mondo latinoamericano che si era precipitato ad accogliere il bambino…?

Cosa aveva determinato questa invereconda metempsicosi, al termine della quale i due soggetti, uno sul giornaletto pseudo-comunista e l’altro dal suo palchetto “partecipativo”, si erano ripresentati come bisce divincolantisi sotto lo scarpone? Era successo che lo scarpone lo aveva calzato Hugo Chavez e, con precisa mira, l’aveva fatto calare su tutti gli sciacalli e paraculi che si erano avventati sulla vicenda per poter dar sfogo, finalmente, alla propria avversione alla resistenza armata e reintegrarsi così nei vari circoli della caccia dai quali si spara soltanto su chi insiste a ingombrare le strade con i suoi cenci. Carotenuto, avventurandosi temerario fin nelle zone a lui ignote del Medio Oriente, ne aveva già dato ripetuta prova.

L’ho ascoltato per intero, Hugo Chavez, nel suo racconto sulla vicenda Emmanuel e dei due ostaggi liberati e a lui consegnati, Clara Rojas e Consuelo de Perdomo. Un racconto che coincide perfettamente con quello delle Farc e di gente interna alla situazione colombiana, E siccome la mia ultraquinquennale frequentazione di Chavez e del Chavismo mi ha dato ogni ragione per nutrire in lui più che in chiunque altro assoluta fiducia, ecco che ne viene fuori che le Farc avevano ragione, hanno detto il vero e che Uribe ha potuto servirsi di fiancheggiatori come Piccoli e Carotenuto per tentare – e non riuscire – di mandare in vacca la liberazione – unilaterale! – degli ostaggi e di additare al ludibrio universale la resistenza armata di popolo al suo narcofascismo coloniale.

Semmai, le Farc hanno peccato dell’ingenuità degli onesti, non consentita però a chi da decenni ha minuziosa e drammatica esperienza del carattere criminale del regime che combatte. La consegna del bambino a gente fidata, fuori dai pericoli della selva e delle bande uribiste, era appropriata. Il sequestro di Emmanuel da parte del delinquente di Bogotà poteva, doveva, essere previsto e possibilmente sventato, prima di prometterne la consegna. Ma quest’ombra non toglie che le Farc abbiano dimostrato, come sempre in passato, di essere serie, perbene, corrette. E Chavez le ha riconosciute e onorate come tali, alla faccia degli sciacalli: “Forze armate della Rivoluzione”, “Esercito combattente”, le ha chiamate. Con enfasi. Insomma, dalla parte dei giusti, dalla parte della liberazione. Piccoli e Carotenuto, che pure inneggiano ala rivoluzione bolivariana, pensano forse che il presidente venezuelano fa combine con terroristi narcotrafficanti? Le Farc e il Venezuela ne sono usciti alla grande. E così “Nuova Colombia”, che i ridicolizzati volevano ridicolizzare. I due giornalisti ne escono alla “piccoli”. Che Carotenuto limi la sua presunzione e si ravveda. Ha coscienza e conoscenza per farlo. Piccoli lasciamolo perdere. Le contumelie usate come scalini per salire un po’, lo hanno scaraventato nel fondo.

Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
12.01.2008

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