FALLUJAH IN TECHNICOLOR

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Il 25 Dicembre 2007 il sito Wikileaks.org, branca specializzata nelle “omissioni” della famosa enciclopedia “Wikipedia” [*], mette in rete un rapporto segreto dell’esercito statunitense sulla “prima battaglia di Falluja” di aprile 2004. Il 27 Dicembre su Wikileaks.org e il 28 Dicembre su Antiwar.com viene pubblicato un articolo di Stephen Soldz a questo proposito. L’analisi è eccellente e approfondisce gli aspetti fondamentali del rapporto.

(Presentazione di Stephen Soldz: “psicanalista, psicologo, ricercatore per la salute pubblica e membro di facoltà alla Boston Graduate School di Psicoanalisi. Gestisce la pagina web di Psychoanalysts for Peace and Justice e il blog Psyche, Science, and Society”).

Il rapporto è affascinante perchè, descrivendo la (prima) battaglia di Falluja, non narra di un conflitto tra i Marine e gli insorti, ma l’episodio di una “guerra d’informazione”. La veridicità del rapporto non ha quindi niente a che vedere con i fatti, né con le stesse operazioni. Il rapporto non analizza la situazione reale ma quella virtualizzata. Propone delle correzioni riguardanti la situazione virtuale, ragiona ed informa solo in funzione di ciò. Soldz lo fa notare con precisione e si interroga a questo proposito… Per questo, ad esempio, non vi sono informazioni “segrete”, in modo che non sia accessibile al pubblico. Questo “rapporto segreto” non comporta niente di segreto perché affronta un tema necessariamente pubblico, il materiale con cui si lavora per costruire permanentemente e rinforzare la “realtà” virtuale.“Non venendo a termini con l’impopolarità dell’occupazione, il rapporto perpetua la cecità americana alle difficoltà di sostenere un’occupazione mentre cresce l’opposizione. Così, il rapporto presta insufficiente attenzione al grado in cui la popolazione di Fallujah ha sostenuto i combattenti della resistenza. Forse, comunque, l’assenza di una qualunque discussione sul “vincere i cuori e le anime” è un implicito riconoscimento che questo era un obbiettivo impossibile, ed irrilevante al fine del desiderio statunitense di distruggere Fallujah come simbolo di opposizione organizzata all’occupazione.

Alla fine, l’aspetto più sorprendente del rapporto divulgato è l’assenza di ogni informazione o analisi, nel documento segreto, che non fosse prontamente disponibile nel pubblico dominio. Il fallimento nel trattare con la situazione reale che gli Stati Uniti hanno affrontato in Iraq durante l’assalto di Fallujah ha sollevato la domanda del perché, persino nelle analisi segrete dello spionaggio, l’esercito, e forse l’intero governo Usa, non abbia analizzato la realtà, piuttosto che trasmettere propaganda. Possono essere contemplate molte spiegazioni diverse: paura che il documento trapelasse; leader dell’esercito o persino analisti dello spionaggio affetti dalla stessa propaganda propinata alla stampa e all’opinione pubblica, o sistemi per il reperimento informazioni che premiamo quelli che supportano l’ideologia dominante. Più probabilmente è una qualche combinazione di questi fattori. Ma il risultato, illustra il rapporto, è che, come per l’intelligence pre-guerra, l’intelligence durante l’occupazione dell’Iraq ha in molti casi corroborato i credo esistenti piuttosto che fornire nuove prospettive che permettessero alle forze Usa di adattarsi alle condizioni reali che affrontavano”.

Il rapporto e la sua analisi – è significativo che l’autore sia uno psicologo – sono dei documenti importanti per la nostra epoca, per la guerra in Iraq, per la psicologia americana, per il nostro famoso virtualismo. Si nota poi che il rapporto su Falluja di aprile 2004 (considerata una “disfatta” della “guerra d’informazione”) preannuncia il rapporto di novembre 2004 (una “vittoria” sempre nello stesso campo – ma subito contestabile e contestata). Più che mai, è il virtualismo l’arma totale ed assolutamente implicita secondo il comportamento americanista; il materiale di questa guerra è la comunicazione di un’informazione che deve essere “elaborata” con lena e vigore.

La definizione della “guerra” postmoderna

… Il rapporto e la sua analisi contribuiscono a farci comprendere qual è la definizione della “guerra” nella nostra epoca postmoderna. Quest’analisi completa quella che abbiamo pubblicato nella rubrica F&C del 26 Dicembre 2007.

Se gli americani preparano la loro fuga vittoriosa dall’Iraq, patrimonio dei loro ex avversari accudito dal generale Petraeus, è perché si sono convinti che nell’intelletto limitato degli iracheni c’è qualcosa di insormontabile. Nonostante i numerosi tentativi, non sono riusciti a convincere gli Iracheni liberati che erano stati loro, gli Americani, a vincere. Eppure era questo lo scopo della battaglia di Falluja (novembre 2004), almeno secondo il Christian Science Monitor che il 29 Novembre 2004 afferma (brano tratto dall’analisi di Soldz): “Sta circolando questa idea: ‘Perché l’Iraq non sembra come la Germania o il Giappone [dopo la Seconda Guerra Mondiale], che sapevano di essere stati sconfitti?'” dice John Pike, un analista militare che dirige Globalsecurity.org ad Alexandria, Vancouver. “Una delle sfide che stiamo affrontando ora è che queste persone non sanno di essere state sconfitte”, dice. “Fallujah sarà un’opportunità per loro di essere battuti in modo definitivo e assaporare la sconfitta”.

È quindi normale che il rapporto dei servizi segreti dell’esercito statunitense parli di “una guerra d’informazione” riferendosi alla prima battaglia di Falluja: “Per quel che si confà ad una battaglia simbolica, l’analisi rende chiaro che la guerra d’informazione era primaria. La mancata riconquista di Fallujah dopo l’attacco dei Marine fu causata, sostengono gli autori, dal fatto che le forze della resistenza (gli “insorti” nel loro lessico) siano riuscite a far giungere il loro messaggio nel mondo intero”.

La battaglia si fondava sulla “realtà” virtuale che i soldati americani volevano imporre. Si potrà notare che esclusi i risultati delle operazioni (Falluja fu presa di nuovo) e la soddisfazione iniziale, la seconda battaglia di Falluja non diede dei risultati migliori, perché la guerra degli “insorti” non terminò: l’Iracheno continuò a non ammettere di essere stato vinto, ma andò avanti combattere e a non sottomettersi. La logica di Falluja-II può essere compresa e spiegata ad un inglese, ma lo stesso non si può dire per gli Iracheni. (L’inglese citato, sempre dello stesso articolo del Christian Science Monitor: “La logica è: abbatti Fallujah, mostrane la testa e dì ‘Fai come ti dico, o sarai il prossimo’”, dice Toby Dodge, un analista dell’Iraq allo International Institute of Strategic Studies a Londra).

Durante la lettura del rapporto, in cui si condividono ampiamente le osservazioni di Soldz, si comprende la causa del furore degli Americani in Iraq dopo la loro vittoria nell’aprile del 2003, il perché del loro comportamento spesso barbaro e, brutale. È il furore di fronte alla testardaggine del non-americano che rifiuta la realtà virtuale statunitense.

Oggi negli Stati Uniti si concepisce la guerra secondo regole precise. Curiosamente si potrebbe pensare che questo sia un ritorno alla guerra del XVIII secolo, periodo in cui le battaglie erano effettivamente mediate da regole ferree. (Questo tipo di guerra fu cancellato dalla “guerra senza regole”, la guerra rivoluzionaria. Questo tema è stato trattato nei due articoli su Guglielmo Ferrero del 19 Dicembre 2007). Ma se il processo sembra simile, è la portata di quelle regole che differenzia la guerra d’oggi da quella del Settecento. Nel XVIII secolo tutti accettavano quelle regole, considerate “oggettive”, fondate sulla logica delle situazioni e che si rifacevano ad una realtà oggettiva che tutti condividevano. Non erano solo la visione deformata del mondo di uno solo dei suoi protagonisti. Oggi gli Americani sono i soli a seguire queste regole che caratterizzano la loro realtà virtuale. Le regole possono riassumersi in questa filosofia: “L’unica guerra accettabile è quella che definiamo secondo le nostre concezioni e i nostri mezzi, ed è chiaro che ne saremo i vincitori”.

Tutto questo è virtualismo puro e limpido. È evidente quanto tutto ciò metta in luce perfettamente l’impotenza militare oramai affermata e quasi teorizzata del “padrone della guerra” americanista. Questa guerra, che egli impone in gloria della sua potenza, è diventata effettivamente impossibile da portare avanti e da vincere semplicemente perché l’avversario rifiuta il virtualismo statunitense e continua la propria guerra. Il “padrone della guerra” continua a creare, confermare e documentare, attraverso i suoi servizi segreti, la sua versione virtualizzata; forse nella Costituzione sarà inserito un emendamento per vietare qualsiasi messa in discussione. La realtà intanto tira dritto per la sua strada, portando l’esercito statunitense ad uno sfinimento tale che si sta progettando una ritirata forzata dall’Iraq.

Fonte: http://www.dedefensa.org
Link: http://www.dedefensa.org/article.php?art_id=4783
31.12.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di NUNZIA DE PALMA

Nota:

[*] Non è propriamente corretto. Wikileaks si auto-definisce “un sistema incensurabile per il rilascio non-rintracciabile di documenti e analisi pubbliche. Il nostro interesse primario è in Asia, l’ex blocco sovietico, l’America Latina, l’Africa sub-sahariana e il Medio Oriente, ma ci aspettiamo aiuto dai popoli di tutti i paesi che desiderano rivelare il comportamento immorale nei loro governi e nelle loro aziende”.

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