Esclusivo: Emerge il video dell’interrogatorio della giovane attivista palestinese Ahed Tamimi

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 DI JESSE ROSENFELD

Il Daily Beast ha potuto visionare in esclusiva il video dell’interrogatorio, da parte dei militari israeliani, della giovane attivista palestinese Ahed Tamimi, colpevole di aver schiaffeggiato il soldato che aveva sparato a suo cugino.

PRIGIONE MILITARE DI OFER, West Bank – Dopo che il giudice militare israeliano aveva aperto la seduta nella prigione di Ofer, per dar modo alla stampa di assistere all’accettazione, da parte della corte, della richiesta di patteggiamento di Ahed Tamimi, questa giovane Palestinese, che aveva già trascorso alcuni mesi in prigione per aver dato uno schiaffo ad un soldato, è stata risoluta nel suo breve messaggio al mondo.

“Non c’è giustizia sotto occupazione”, ha detto la diciassettenne ammanettata durante l’udienza del 21 marzo, cercando con lo sguardo la sua famiglia e i suoi amici al fondo della balconata. “Siamo in un tribunale illegale”, ha continuato in arabo, parlando in tono calmo ed esplicativo, fino a quando i suoi carcerieri hanno posto termine a questa dichiarazione estemporanea.

Questa giovane dai capelli ricci è diventata grande usando la videocamera per documentare la lotta della propria famiglia e del proprio villaggio contro gli insediamenti israeliani sulla loro terra ed il regime militare che domina la vita di tutti loro. Ha imparato, durante gli anni trascorsi nei movimenti di protesta locali contro il soffocante regime militare, che la sua miglior difesa è costituita dalle dichiarazioni pubbliche. Per cui, nel mese di febbraio, quando il giudice militare aveva fatto uscire dalla sala i giornalisti e i diplomatici che erano presenti in gran numero alla prima seduta del processo in cui Ahed era intenzionata a rilasciare una dichiarazione, la strategia era cambiata, come dice suo padre, Bassem Tamimi.

Ahed è nata e cresciuta nel villaggio di Nabi Salah, nel Central West Bank, dove incontri giornalieri e spiacevoli con i soldati ed i coloni israeliani sono un fatto della vita. Durante la sua fanciullezza, mentre si sviluppava un movimento di protesta contro le restrizioni imposte dall’occupazione, la sua famiglia era diventata il cuore dalla resistenza di tutto il villaggio, man mano che la rivolta si estendeva agli altri centri abitati di confine del West Bank che si opponevano al muro ed agli insediamenti israeliani in continua espansione.

Cresciuta nell’era del digitale, con tutti gli articoli di approfondimento apparsi sui media riguardanti la sua famiglia e la sua comunità, Ahed ha conquistato notorietà in Israele per le immagini che la ritraggono mentre affronta con coraggio i soldati israeliani che hanno attaccato o arrestato i suoi amici o i suoi familiari. Mentre gli uomini politici ed i nazionalisti integralisti israeliani considerano le sue azioni come una umiliazione per l’esercito ed un indebolimento del ruolo dei militari nei territori occupati (e per questo la riempiono di giudizi al vetriolo) (Ahed) è nel frattempo diventata una fonte di ispirazione per quel pugno di Israeliani di sinistra che ancora si oppongono agli insediamenti abusivi.

Così, quando nel mese di dicembre era diventato virale un video di Ahed che affrontava e schiaffeggiava un soldato israeliano, che aveva appena sparato un proiettile di gomma alla testa di suo cugino, mandandolo in coma temporaneo, era subito seguita, da parte dei politici israeliani, una valanga di condanne e di richieste di punizione per la giovane e la sua famiglia.

Il video virale dello schiaffo e la dimostrazione di coraggio durante le udienze pubbliche hanno, allo stesso tempo, fatto diventare Ahed l’icona dei Palestinesi e la bestia nera degli Israeliani. Ahed è già stata mitizzata alla stregua di Wonder Woman da Jim Fitzpatrick, l’artista creatore della famosa immagine di Che Guevara ed il suo caso è stato esemplificato come un’esperienza così comune per i giovani Palestinesi tanto da essere stato definito un vero e prorio rito di iniziazione. Nel frattempo, i politici israeliani hanno cercato compromettere la famiglia Tamimi asserendo, falsamente, che si tratta di attori e non di una vera famiglia e paragonando la loro determinazione alla resistenza ad una forma di terrorismo.

Di fronte alla prospettiva di anni di prigione per lo schiaffo ad un soldato, Ahed, come la stragrande maggioranza dei Palestinesi che hanno a che fare con il sistema giudiziario militare israeliano, ha acconsentito ad una richiesta di patteggiamento. La percentuale di condanne, secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem è pressochè del 100% e le richieste di patteggiamento sono la parte più rilevante di tutto il sistema. Il patteggiamento di Ahel prevede una detenzione di otto mesi, compresi i tre passati in carcerazione preventiva, ed una multa di circa 1500 dollari. Farà solo due mesi di carcere in meno di Elor Azaria, il soldato israeliano che aveva sparato ed ucciso un assalitore palestinese disarmato ed incapacitato che giaceva immobile a terra.

Il processo di Ahed è stato per la maggior parte interdetto al pubblico ed è stato ampiamente condannato dalle organizzazioni per i diritti umani, locali ed internazionali. La dichiarazione e la richiesta di patteggiamento da parte della giovane sono arrivate dopo un calvario che ha comportato molteplici arresti per i membri della sua famiglia e numerosi snervanti interrogatori, in cui le è stata negata la presenza dell’avvocato o dei genitori. Anche se l’esercito israeliano si era fatto accompagnare dalla TV di stato durante l’irruzione nella casa dei Tamimi per l’arresto, il giudice militare, nel tentativo di venire incontro alle crescenti richieste dei politici di destra, aveva citato i “diritti del minore” solo nel momento in cui aveva interdetto la seduta a tutti, eccetto alla famiglia, e aveva sigillato il procedimento.

Ma nel video di quasi due ore dell’interrogatorio di Ahed, il 26 dicembre, visionato in esclusiva da The Daily Beast, i suoi diritti di minore sembrano importare assai poco ai due inquisitori di sesso maschile che fanno pressioni su di lei. Ammanettata e seduta ad una scrivania in un ufficio di polizia, Ahed assiste e resiste a tutta l’escalation degli addetti alla sicurezza, dalla finzione teatrale poliziotto buono-poliziotto cattivo, agli inquietanti tentativi di flirt, fino alle terrificanti minacce nei confronti della sua famiglia. Secondo il suo gruppo di sostegno, il video è quello del suo terzo interrogatorio e, nonostante ciò, lei continua a ribadire per tutto il tempo il suo diritto a rimanere in silenzio. E’ l’argomentazione che i suoi accusatori avevano usato nelle udienze preliminari come pretesto per negarle il rilascio su cauzione e continuare gli interrogatori.

Oltre l’aura di leggenda e di infamia che ha caratterizzato il processo di Ahed Tamimi, è proprio l’agghiacciante, banale interrogatorio di una ribelle e talvolta terrorizzata sedicenne che fa capire tutto il peso dell’occupazione.

Da quello che sembra essere l’angolo di ripresa di una telecamera di un computer in un angolo di un ufficio di polizia, (si vede) Ahed che viene condotta nella stanza e fatta sedere ad una scrivania. Le viene offerta dell’acqua ed un panino, ma lei rifiuta.

Mantenendo un’espressione indifferente, non dice nulla mentre le vengono fatte una serie di domande di routine. Anche quando le viene chiesto di dire il proprio nome, lei ribadisce il suo diritto a rimanere in silenzio. Mentre l’interrogatorio continua, l’interrogatore principale (un ebreo israeliano di origini medio-orientali, che si può ascoltare mentre afferma di appartenere all’intelligence militare, sulla trentina, con un taglio di capelli militare, camicia grigia, blue jeans ed una pistola alla cintura) cerca di coinvolgere Ahed in una conversazione.

Lei rimane risolutamente in silenzio, mantenendo un’espressione neutra.

L’interrogatore, parlando in un arabo disarticolato e con inflessione ebraica, cerca di flirtare in maniera arrogante ed intimidatoria.

“Hai gli occhi di un angelo”, dice alla sedicenne, che risponde con il silenzio ed uno sguardo gelido.

L’interrogatore passa poi all’approccio familiare e si lancia in una spiegazione su come Ahel sia proprio come sua sorella e di come sua sorella spenda tutti i suoi soldi in vestiti. Ahed sembra essere disinteressata ed imperturbabile, a volte con lo sguardo perso nel vuoto.

Vedendo che il suo collega non riesce a stabilire un rapporto, il secondo interrogatore prova con l’intimidazione diretta. “Sono un interrogatore israeliano”, dice in modo autoritario. “Noi ci muoviamo secondo la legge… In tutte le zone la legge è quella israeliana, è quella militare. E tu devi obbedire alla legge, tu e tutta la tua famiglia.”

Ahed non dice nulla, così l’interrogatore principale cerca nuovamente di paragonarla a sua sorella. Per tutto il tempo,c’è un secondo uomo con una camicia a quadri, di cui non si può vedere il volto, che siede dietro una scrivania e che occasionalmente incoraggia alla rinuncia l’interrogatore principale.

Ad un certo punto l’interrogatore principale si arrabbia, getta via in modo teatrale il blocco degli appunti e si toglie la pistola, dicendo ad Ahed che non si tratta di un interrogatorio e pregandola di parlare con lui. Ahed non dice nulla.

A questo punto l’interrogatore inizia a mostrarle dei video di quello che sembra essere l’episodio dello schiaffo e le manifestazioni di protesta nel suo villaggio. L’espressione del suo volto si addolcisce.

L’interrogatore attacca. “Tua madre, questa è la voce di tua madre! Di chi è quella voce?” chiede. Chiaramente sconvolta, Ahed tiene le labbra serrate. (L’interrogatore) la minaccia poi di tenerla in carcere. Lei rimane in silenzio.

Per la maggior parte dell’interrogatorio, Ahed mantiene un’espressione relativamente neutra, alle volte stanca ed annoiata. E’ comunque quando l’interrogatore inizia a minacciare l’arresto della sua famiglia e dei suoi amici che l’atteggiamento di Ahed si trasforma in uno sguardo prima di orrore e poi malinconico.

Ahed, dall’arresto fino al suo arrivo al centro interrogatori non è stata picchiata dai soldati e non è stata fisicamente torturata durante l’interrogatorio, un ‘esperienza che, secondo quanto affermato dalle organizzazioni per i diritti civili palestinesi ed israeliane e da International Child, è routine per i giovani Palestinesi. In ogni caso, lei conosce le vicende di molti amici e di molte famiglie che hanno sperimentato il peggio della carcerazione israeliana.

Nel 1993, Bassem Tamimi era stato malmenato in modo così grave da un interrogatore israeliano che era entrato in coma, in un caso documentato all’epoca da Human Rights Watch. Mentre si trovava in prigione, sua sorella era morta quando era stata spinta giù dalle scale di un tribunale militare israeliano da un traduttore dell’esercito e si era rotta l’osso del collo. Dopo essere stato accusato di complicità nell’uccisione di un colono, Bassem si era risvegliato dall’interrogatorio temporaneamente paralizzato e con 63 punti di sutura in testa, conseguenza dell’intervento chirurgico. Nei suoi confronti non erano mai state formalizzate accuse ed era uscito di prigione nel giorno dei funerali di sua sorella. Per cui non è certo una sorpresa che Ahed sia così sconvolta dalla minaccia dell’interrogatore di incarcerare quelli che le stanno vicino.

“Non voglio portare qui quei bambini”, le dice l’interrogatore in inglese. “Io prego che tu scelga la via più facile. Tu non vuoi che io parli con quei bambini, vero?” dice, riferendosi agli amici ed alla famiglia di Ahed. Mentre l’interrogatorio si avvia alla conclusione, con Ahed ancora silenziosa, l’interrogatore fa un ultimo, disperato tentativo di piegare la giovane con la minaccia di usare la forza nei confronti di quelli a cui lei tiene di più.

“Pensaci, va bene?” la blandisce. “Non mi serve che tu parli, lo sappiamo. Patiranno anche loro questo posto”.

L’interrogatorio termina subito dopo e, mentre viene condotta fuori dalla stanza, Ahed, facendo finta di nulla, prende il panino che aveva rifiutato all’inizio ed esce senza voltarsi.

Dopo l’interrogatorio, alcuni amici ed alcuni membri della famiglia di Ahed, che l’interrogatore aveva minacciato di arresto, sono stati prelevati nel corso di interventi militari a Nabi Salah. Mentre, secondo le stime di B’Tselem, 5980 Palestinesi, compresi 356 individui sotto i 18 anni, sono attualmente in stato di detenzione in Israele, il video dell’interrogatorio di Ahed getta luce su un’esperieza che continua a segnare ed a condizionare la società e la politica della Palestina. Arriva anche in un momento di crescenti proteste dei Palestinesi di Gaza per il lungo assedio israeliano e di una rinata campagna per i diritti civili dei rifugiati palestinesi, che ha già dovuto subire quasi venti morti e centinaia di feriti dalle sparatorie israeliane la scorsa settimana, durante le proteste sulla linea di confine.

Allo stesso tempo, i Palestinesi che, delusi dalla loro dirigenza ufficiale, continuano tuttavia a protestare contro la decisione degli Stati Uniti di spostare la propria ambasciata a Gerusalemme, hanno un disperato bisogno di esempi di coraggio e determinazione nella lotta all’occupazione israeliana. Bassem spera che l’esempio della sua famiglia e la condotta di Ahed possano fornire un modello su come le famiglie palestinesi si possono impegnare in una lotta collettiva.

Ahed, nell’udienza di condanna, si è comportata come nella maggior parte delle sedute preliminari aperte al pubblico, dal banco degli imputati ha chiacchierato con la famiglia e con gli amici da cui era stata separata, allo stesso tempo apparentemente non interessata ad ascoltare la propria sentenza tradotta dall’ebraico in arabo sgrammaticato.

Mezzora prima, lo stesso atteggiamento di disprezzo disinteressato aveva caratterizzato la madre di Ahed, Nariman Tamimi. Parlando con la famiglia ed ignorando il procedimento formale, aveva accettato a malincuore, con le lacrime agli occhi, un patteggiamento simile a quello della figlia. Il suo crimine era stato quello di filmare e mettere in rete lo schiaffo di sua figlia al soldato israeliano nel cortile di casa.

Mentre Nariman veniva condotta via, una attivista israeliana anti-occupazione che aveva assistito all’udienza, si era sporta dalla balaustra della balconata ed aveva dato due schiaffi sul collo al procuratore militare. “Questo è ciò che ti meriti” gli aveva detto in ebraico

 

Fonte: www.thedailybeast.com

Link: https://www.thedailybeast.com/exclusive-interrogation-video-surfaces-of-palestinian-teen-activist-ahed-tamimi

1.04.2018

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARKUS

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