di Roberto Giacomelli, Ideeazione.com
La società nutritiva, dove il cibo è un feticcio erotico e viene fotografato con cupidigia come un oggetto sessuale e gli acquisti di oggetti riempiono il vuoto dell’anima, esalta l’aspetto femmineo e materno dei maschi e condanna quello virile.
Gli uomini deboli delle nuove generazioni, orfani della figura paterna archetipo di virilità, cresciuti da madri iperprotettive, hanno perso le caratteristiche maschili che da sempre contraddistinguono la loro funzione sociale e spirituale. Le società organiche del passato, dove i principi del mondo della Tradizione erano ancora vivi, prevedevano per i giovani riti di passaggio all’età adulta, prove di coraggio e forza per dominare il dolore e la paura.
Il comitatus romano e la sippe germanica, le scuole della cavalleria medievale, le corporazioni di arti e mestieri e le accademie militari preparavano i giovani maschi al mestiere delle armi.
Dal mondo classico a quello medievale fino alla prima parte del Novecento, il culto della forza virile era diffuso in tutte le culture, come tratto eminente della mascolinità.
Destrezza, resistenza alla fatica, difesa della Patria e della famiglia, i compiti virili si basavano sull’uso della forza, fisica e mentale. I giovani che aspiravano ad entrare nel mondo dei grandi si vantavano della loro forza che esibivano fieramente con le fanciulle che volevano conquistare.
Per loro l’uomo forte era garanzia di sicurezza e protezione, di prole sana e continuità della stirpe e mai avrebbero preso in considerazione un pretendente debole o affetto da menomazioni. La virilità si accompagnava inevitabilmente alla forza, alla quale nessun uomo avrebbe mai rinunciato.
In tempi ancora vicini nei borghi sperduti lontani dall’insana frenesia delle megalopoli, le prove di forza sono rimaste vive nel folklore e nelle tradizioni popolari, ultimo retaggio di un mondo povero e dignitoso, non ancora corrotto dal consumo compulsivo.
Nelle città contemporanee habitat naturale del capitalismo selvaggio, la forza è un orpello del passato, una caratteristica inutile e demonizzata.
Qualità obsoleta di uomini rozzi e non abbastanza civilizzati, resti patetici di un tempo da cancellare per far posto ad una nuova tipologia umana: i maschi femminei.
Consumatori perfetti di qualsiasi oggetto stupido e costoso prodotto dal grande capitale cosmopolita, pazienti ideali per terapie farmacologiche sperimentali, clienti migliori per gli spacciatori di sostanze stupefacenti.
Vittime indifese di invasori famelici che li elimineranno nella sostituzione dei popoli in atto, estranei che prenderanno il loro posto, godranno i frutti del lavoro dei loro padri e colonizzeranno la terra dei maschi deboli con culture aliene e violente.
Per ottenere una rapida sostituzione non ci deve essere resistenza alla conquista, ma una facile penetrazione permessa dalla mancanza di uomini forti, orgogliosi delle loro tradizioni e dell’appartenenza alla loro stirpe.
I maschi deboli del nostro tempo elogiati per la loro fragilità, indecisi e spaventati, attori inconsapevoli di una tragedia che li travolgerà senza scampo.
Vittime della loro debolezza, spinti al vittimismo da una sapiente propaganda che li vuole inermi, lamentosi, eterni lattanti desiderosi solo di protezione e comprensione.
Il piacere della forza, del coraggio e dell’eroismo sono soppiantati dalla pratica del lamento, schiere di finti perseguitati, vittime sacrificali senza fare alcun sacrificio si lamentano di non essere capiti e supportati.
Generazioni viziate dal permissivismo e dal buonismo nemico di ogni regola, che le ha convinte che tutto sia dovuto, che si deve ottenere ciò che si desidera senza impegno, gratuitamente. Frustrati narcisisti, vivono per apparire e non per essere, nemmeno più per avere perché il possesso comporta una conquista, quindi uno sforzo.
Soggetti spaventati dalla realtà che non affrontano mai, invocando la protezione di chi disprezzano e considerano violento e brutale: gli uomini veri.
Pacifisti fomentatori di guerre fatte dagli altri purché non li coinvolgano, femministi inconsciamente terrorizzati dalle donne che sentono più forti, ambientalisti che spargono rifiuti tecnologici dei dispositivi dai quali sono dipendenti.
Smidollati che si vantano di essere fragili e tormentati, rifuggono lo scontro da cui tutto prende forma come ricordava Eraclito, perché si sono già arresi prima di combattere.
Il loro male sottile è la mancanza di disciplina, dall’antico verbo greco disco ovvero imparo, senza la forza e la capacità di soffrire caratteristica dell’Eroe.
Poppanti a vita si fermano all’archetipo del Puer senza evolvere mai in quello del Guerriero, che fa sua la forza e la violenza per piegare il Fato. Le prove a cui si sottopone l’Eroe sono i passaggi iniziatici che portano alla liberazione della materia pesante di cui è impastata la natura umana per fare emergere quella divina.
I deboli, i fragili, le vittime sono destinati a soccombere perché la Natura è crudele e non fa sconti, solo la Forza può salvare i popoli della vecchia Europa dalla fine annunciata.
Il capitalismo terminale vuole maschi deboli da sostituire con genti giovani e forti da sfruttare come manodopera a basso costo, un unico popolo di soggetti indistinti e omologati senza identità.
Solo l’educazione al pericolo ad al coraggio, alla confidenza quotidiana con la Forza formerà l’élite di coloro che vedranno la nuova Età dell’Oro, per gli altri la condanna all’estinzione.
“Fino da piccoli vi insegnano ad avere paura del lupo, poi da grandi scoprite che il vero pericolo viene dalle pecore”.
Di Roberto Giacomelli
Roberto Giacomelli, scrittore e saggista.
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Pubblicato da Matteo Parigi per ComeDonChisciotte.org
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